L’inesistenza
di regole univoche in materia di disciplina delle installazioni ha determinato
l’insorgenza di una accesa conflittualità tra i gestori dei servizi di
telefonia ed i Comuni.
Gli Enti locali, infatti, facendosi carico dei timori espressi dalla comunità governata, nella generalità dei casi si sono determinati a disciplinare l’allocazione degli impianti sulla scorta di divieti generalizzati di insediamento in zone residenziali nonché mediante l’introduzione di obblighi di distanza (tra l’una e l’altra stazione radio base nonché tra le antenne e le strutture “sensibili” – come scuole ed ospedali – ovvero tra le antenne e l’abitato cittadino).
Da
ultimo il Consiglio di Stato con sentenza del 3 giugno 2002, n.3095 ha statuito
che sia nel quadro normativo precedente, sia dopo l’entrata in vigore della
legge 36/2002, non rientra tra le competenze attribuite ai comuni la fissazione
di limiti di esposizione ai campi elettromagnetici diversi da quelli previsti
dalla disciplina statale, né tale risultato può legittimamente perseguirsi da
parte dei comuni attraverso un esercizio strumentale delle loro competenze in
materia edilizia e urbanistica.
Pertanto,
i giudici di palazzo Spada confermano che la previsione del divieto
generalizzato di installazione delle stazioni radio base per la telefonia
cellulare nelle zone territoriali omogenee a destinazione residenziale ovvero la
previsione di distanze minime tra tali impianti e gli edifici c.d. sensibili
attengono più ad un ambito di tutela sanitaria che ad effettive esigenze
di ordine urbanistico e in nessun caso appaiono giustificati sulla scorta di
effettive e documentate esigenze riferibili a situazioni particolari.
Si
ribadisce “che l’introduzione di misure tipicamente di governo del
territorio (distanze, altezze, localizzazioni, ecc.) trova giustificazione solo
se sia conforme al principio di ragionevolezza ed alla natura delle competenze
urbanistico-edilizie esercitate e sia sorretta da una sufficiente motivazione,
sulla base di risultanze acquisite attraverso un’istruttoria idonea a
dimostrare la ragionevolezza della misura e la sua idoneità al fine perseguito”.
Lo strumento utilizzato dagli enti locali per esercitare i poteri di controllo e di veto sull’installazione degli impianti di trasmissione radiotelevisiva e di telefonia cellulare è stato per anni quello di pretendere per essi il rispetto delle prescrizioni urbanistiche vigenti nella zona e l’ottenimento della concessione edilizia, in quanto opere recanti significative modifiche nell’assetto del territorio, ai sensi dell’art. 1 della legge n.10/1977. La potestà dei Comuni in materia di gestione del territorio si rivela uno strumento potente di controllo della localizzazione degli impianti, nella perdurante assenza di una regolamentazione nazionale uniforme. Per cui alcuni giudici hanno ritenuto legittimi anche regolamenti comunali che, in nome dell’assetto urbanistico, finivano per occuparsi della tutela della salute applicando il principio di precauzione raccomandato dalla comunità europea (TAR PUGLIA ordinanza 9 novembre 2000, n.1287).
L’attività
di regolazione del comune viene avallata da alcune pronunce in quanto si svolga
nel rispetto delle finalità urbanistiche sia pure latamente intese sino a
comprendere anche la verifica del rispetto delle soglie di emissione prescritte
dal DM 381/98.
Come
è noto la potestà regolamentare dei comuni nella specifica materia è stata
espressamente riconosciuta dall’art. 8 comma 6 della legge 36/2001. Peraltro,
anche in vigenza del solo DM 381/98 un analogo potere poteva desumersi dalla
considerazione sistematica delle competenze comunali in materia urbanistica e
dei necessari collegamenti tra l’attuazione dei principio di minimizzazione
delle esposizioni e l’utilizzo degli strumenti urbanistici. Le “linee
guida applicative” del DM381/98 hanno evidenziato, poi, al punto 4 che i
limiti di esposizione compatibili della popolazione e i relativi valori di
cautela “possono essere facilmente rispettati con una corretta
pianificazione ed installazione sia degli impianti per la telefonia mobile che
di quelli utilizzati per le comunicazioni radiotelevisive" e che "i
comuni possono adottare un provvedimento (regolamento) formalizzato per
garantire la tutela della salute, dell'ambiente e del paesaggio e la
minimizzazione dell'esposizione ai campi elettromagnetici”.
Pertanto, sulla scorta
dell’orientamento giurisprudenziale richiamato con il regolamento comunale non
possono essere introdotti limiti di esposizione diversi per valore assoluto,
unità di misura o metodologia di rilevamento, rispetto a quelli vigenti in base
alla normativa statale, anche se più rigorosi, spettando ai comuni, in materia
di limiti sanitari (soltanto) :
-preventivamente al rilascio della concessione, una funzione di verifica del
(prevedibile, sulla base della documentazione presentata) rispetto da parte
dell'impianto dei limiti vigenti, funzione che viene esercitata avvalendosi
delle A.R.P.A. (o, laddove queste non siano ancora operanti, dei P.M.P. delle
A.U.S.L.);
-successivamente all'attivazione dell'impianto, funzioni di vigilanza e
controllo, laddove dette funzioni siano state ad essi attribuite con la legge
regionale di conferimento ex art. 3 del d.lgs.112/1998 e ormai, comunque, in
base all'art. 14 della legge 36/2001 (secondo cui, nell'esercizio di dette
funzioni, condivise con le province, i comuni "utilizzano le strutture"
delle A.R.P.A., ovvero "si avvalgono del supporto tecnico"
dell'A.N.P.A., dell'ISPESL e degli Ispettorati territoriali del Ministero delle
comunicazioni).
A
tal riguardo il T.A.R. Umbria (sentenza n.426 del 10 agosto 2001) ha statuito:
-
-non può legittimamente introdursi un divieto generalizzato
all’installazione di impianti sul territorio comunale, perché ciò
equivarrebbe alla negazione dell’esercizio del servizio pubblico;
-
-divieti di localizzazioni con riferimento a zone omogenee, previsioni di
distanze minime (dai centri abitati, dagli insediamenti produttivi), previsioni
di caratteristiche strutturali (altezze massime) o funzionali (potenze massime)
degli impianti, possono essere legittimamente introdotti soltanto se ed in
quanto: a)finalizzati ad un corretto insediamento urbanistico e territoriale
degli impianti (venendo in questo caso in rilievo l’apprezzamento di interessi
più propriamente estetici e paesaggistici); b)finalizzati alla minimizzazione
delle esposizioni ai campi elettromagnetici sul territorio comunale, sulla base
di una concreta valutazione dei livelli di esposizione presenti nelle diverse
aree; c)compatibili (in entrambi i casi predetti) con una adeguata funzionalità
del servizio pubblico di telefonia radiomobile (funzionalità che deve essere
riferita alla rete di ogni gestore interessato, per evidenti motivi di tutela
della concorrenza e del mercato).
-
-nei limiti della strumentalità al conseguimento di dette finalità,
dovrà essere valutata anche la legittimità di eventuali previsioni di oneri
aggiuntivi (oneri informativi, certificativi, manutentivi relativi agli
impianti) posti in capo al gestore dell’impianto.
-
Viene, pertanto, ritenuto un modello adeguato di pianificazione quello
previsto dall’art. 9, comma 1 della legge n.36/2001 in tema di
“risanamenti” (rectius: interventi di riduzione a conformità e
delocalizzazione degli impianti preesistenti, per rispettare i limiti di
esposizione) degli impianti radioelettrici, incentrato sulla proposta dei
gestori di un piano di risanamento e sulla sua approvazione da parte delle
regioni, sentiti i comuni. Il piano “…può prevedere anche la
delocalizzazione degli impianti di radiodiffusione in siti conformi alla
pianificazione in materia e degli impianti di diversa tipologia in siti
idonei” e viene adottato direttamente dalle regioni “in caso di inerzia o
inadempienza dei gestori” nel termine previsto dalla legge. Tuttavia, nelle
more della piena attuazione della legge n.36/2001 (formazione dei catasti delle
sorgenti fisse dei campi elettromagnetici, ecc.) i comuni possono, comunque,
elaborare un regolamento destinato ad essere integrato e modificato una volta
eseguiti gli adempimenti previsti dalla richiamata legge 36/2001 in attesa dei
quali la carenza delle informazioni necessarie sulla individuazione dei siti di
installazione, impianti, rete infrastrutturali e territorio finalizzate alla
ottimale localizzazione degli impianti sarà supportata mediante il
coinvolgimento degli operatori attraverso una “dialettica procedimentale”.
-
Al riguardo assume importanza la necessità che i gestori partecipino
concretamente al procedimento formativo del regolamento e che le osservazioni e
proposte dagli stessi prospettate siano indirizzate a possibili ipotesi di
installazione alternative per siti e/o caratteristiche degli impianti, con i
correlati livelli di esposizione conseguibili, vengano valutate dal comune prima
dell’approvazione del regolamento anche nel rispetto del principio della
minimizzazione delle esposizioni.
-
Sembrerebbe logico intuire un forte ridimensionamento del potere
dell’ente locale nel disciplinare l’installazione degli impianti facendo
leva sull’assetto urbanistico, in quanto vengono fatte salve soltanto le
prescrizioni di pianificazione comunale che individuano veri e propri vincoli.
-
Solo in questo ristretto ambito, pertanto, potrà esercitarsi la
discrezionalità dell’ente locale che non potrà più individuare i parametri
rilevanti per es. per il rilascio della concessione edilizia, includendovi i
profili igienico-sanitari, anche perché non sarà più possibile ascrivere
eventuali sconfinamenti ad una interpretazione estensiva della materia
urbanistica, che non verrà più in diretto rilievo.
-
All’amministrazione comunale vengono a residuare soltanto l’esercizio
di compiti di vigilanza e/o di attuazione che, con ogni evidenza, non involgono
la titolarità di un’autonoma funzione decisoria. (in tal senso Tar Lazio, 25
agosto 2001, n.7024).
Tale
interpretazione era stata confermata dal Tar Marche (sentenza n.205 del 19
aprile 2001) e dal Tar Toscana (sentenza n.412 dell’8 marzo 2001). Sempre in
tema di tutela della salute è stato affermato che a quest’ultima “…è
diretto proprio il decreto interministeriale n.381/98 allorchè definisce i
valori limite di esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici
generati dagli impianti fissi prefissati….demandando alle Regioni, non al
comune, il compito di emanare la disciplina relativa alla loro installazione e
modifica…allo scopo di garantire il rispetto dei valori limite prefissati, il
raggiungimento di eventuali obiettivi di qualità e le attività di controllo e
vigilanza”. In particolare è stato osservato che “ se pure deve darsi atto
dell’apprezzabile intento perseguito dalla singola Amministrazione comunale al
fine di pervenire ad una migliore tutela del bene-salute dei cittadini residenti
sul territorio non può, tuttavia, ometter(si) di valutare…la potenzialità
pregiudizievole intrinseca all’eventuale ammissibilità di un generalizzato
potere derogatorio in capo ai singoli comuni…Ad un siffatto decentramento
decisionale –e non già meramente esecutivo e di vigilanza, come invece
postulato dalla normativa applicabile- inevitabilmente finirebbe per accedere un
complessivo quadro di disciplina (degli insediamenti degli impianti; dei limiti
di emissione; dei parametri di tollerabilità; degli obiettivi di qualità) che,
in quanto intuibilmente eterogeneo di fatto produrrebbe una differenziata tutela
della salute dei cittadini in ragione dell’insediamento di essi su un
(particolare) territorio comunale, il luogo che all’interno di un
altro…siffatte conclusioni inevitabilmente configgono con l’esigenza –di
diretta profanazione costituzionale- di omogeneità della disciplina di tutela
della salute pubblica sull’intero territorio nazionale e contribuiscono a
confermare l’assunto…di proteggere la salute dei cittadini dalle potenzialità
nocive insite nelle radiazioni elettromagnetiche” (Tar Lazio sentenza 25
agosto 2001, n.7024). Viene pertanto da ultimo confermata l’impossibilità di
un potere derogatorio in capo all’Ente locale salvo la “…preventiva
acquisizione di riscontrabili ed oggettivi elementi di valutazione alla stregua
dei quali una diversa disciplina della materia si dimostrasse (non solo
necessaria, ma anche meramente)opportuna” (Tar lazio sentenza 25 agosto 2001,
n.7024). Ciononostante, in considerazione della univocità delle statuizioni
giurisprudenziali rinvenibili sull’argomento, sembra potersi considerare
acclarata quanto meno l’inesistenza in capo ai Comuni di un’attribuzione di
competenza in materia di limiti a protezione della salute dai campi
elettromagnetici in senso stretto Al di là dei limiti sanitari, quindi con
riferimento all’ambito della tutela ambientale, entra in gioco la competenza
comunale in materia urbanistica il cui esercizio (oltre a considerare le
installazioni di impianti per finalità connaturate all’urbanistica, come
sembra voler ricordare il riferimento al “corretto insediamento urbanistico
territoriale degli impianti”), può essere rivolto anche alla finalità di
tutela ambientale dai campi elettromagnetici come espressamente sancito
dall’art. 8, comma 6, della legge n. 36/2001, attraverso il riferimento
all’attuazione del principio di minimizzazione delle esposizioni.
In
sintesi l’ente comunale può introdurre divieti specifici di localizzazione,
distanze minime e prescrizioni di specifiche caratteristiche strutturali e
funzionali solo ove ciò sia necessario per il soddisfacimento di esigente
correlate al corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti (in
considerazione di interessi estetici e paesaggistici), ovvero alla
minimizzazione delle esposizioni ai campi elettromagnetici sul territorio
comunale (che implica la preventiva rilevazione dei livelli di esposizione
presenti nelle diverse aree) e compatibilmente con la adeguata funzionalità del
servizio pubblico di telefonia radiomobile.