Cass. Sez. III n. 41996 del 9 ottobre 2014 (Ud 17 lug 2014)
Pres. Teresi Est. Scarcella Ric. Anibaldi
Rifiuti.Responsabilità dell'amministratore delegato
Il presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può essere, da solo, considerato il rappresentante della società, appartenendo la rappresentanza all'intero consiglio di amministrazione, salvo delega che questi faccia ad un comitato esecutivo o ad un singolo consigliere (amministratore) delegato. La delega delle attribuzioni del consiglio di amministrazione ad uno (o più) dei suoi membri importa il conferimento della facoltà di esercitare i poteri dell'intero organo collegiale. Una volta conferita la delega, l'obbligo di vigilanza sulla osservanza delle misure antinfortunistiche passa dall'intero consiglio di amministrazione al delegato. Analogo principio è, chiaramente, applicabile anche in materia ambientale
RITENUTO IN FATTO
1. A.O. proponeva tempestivo ricorso, personalmente, avverso la sentenza della Corte d'appello di ROMA, emessa in data 11/07/2012, depositata in data 14/09/2012, con cui, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di ROMA in data 22/12/2011, il medesimo imputato è stato condannato, ritenuta la continuazione, alla pena sospesa di mesi 11 di arresto ed Euro 6.000,00 di ammenda, revocando l'ordine di bonifica dello stato dei luoghi disposto dal giudice di primo grado; in particolare, il ricorrente è stato condannato per la violazione, continuata, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, lett. B), commessa dal (OMISSIS), poichè:
a) nella qualità di presidente del CDA della soc. COGESA Consult s.r.l., formalmente sino alla data del 17/10/2007, di fatto sino alla data del 17/11/07, in concorso con altri imputati nei cui confronti si è separatamente proceduto, effettuavano attività di smaltimento di rifiuti pericolosi e non in mancanza della prescritte autorizzazioni di cui all'art. 208 TUA, presentando l'impianto caratteristiche differenti rispetto a quello approvato con delibera della GR n. 5785 del 3/11/98, rinnovata con decreto commissariale n. 288 del 23/12/04, mai successivamente approvato ed autorizzato dal Commissario delegato all'Emergenza rifiuti ed, in particolare, trattandosi di impianti di trattamento chimico - fisico di rifiuti pericolosi (perchè tossici e nocivi) e successivo smaltimento di gran parte degli stessi nella fognatura del Consorzio per lo sviluppo economico della provincia di Rieti (capo a);
b) nella predetta qualità, effettuava, in concorso con altri imputati nei cui confronti si è separatamente proceduto, in violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 187, attività di miscelazione di rifiuti non consentita (in quanto non autorizzata con delibera della G.R. n. 5785 del 3/1198) di rifiuti pericolosi e non pericolosi, a seguito della quale si formava un nuovo rifiuto classificabile con codice CER 19 02 04 (capo b).
2. Con il ricorso, tempestivamente e personalmente proposto, vengono dedotti quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per omessa motivazione.
Si duole, anzitutto, il ricorrente per aver motivato la sentenza d'appello per relationem rispetto alla sentenza emessa dal tribunale di Rieti, senza procedere ad alcun autonomo iter argomentativo; i giudici avrebbero limitato la motivazione sostanzialmente affermando che le deduzioni della difesa si sarebbero vanamente appuntate sulle risultanze processuali ed in particolare sulla perizia, laddove, invece, dettagliatamente erano stati confutati in sede di appello gli elementi sui quali era stata affermata dal primo giudice la responsabilità del ricorrente, in particolare con riferimento alle conclusioni dei periti nominati in dibattimento, ritenendo la Corte territoriale la ricostruzione fattuale contraria a quella difensiva, in modo del tutto contraddittorio.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riferimento al Decreto 23 dicembre 2004, n. 288, del Commissario delegato per l'emergenza ambientale della regione Lazio.
Secondo il ricorrente sia il primo giudice che la Corte territoriale sarebbero pervenuti ad affermare la responsabilità del ricorrente sulla base di un ragionamento del tutto illogico e contraddittorio, non esistendo alcun concreto apprezzamento delle risultanze processuali e appalesandosi la motivazione puramente assertiva, in particolare laddove afferma di aver preso in considerazione l'atto di appello e la documentazione allegata, traendone conseguenze illogiche; nella specie, nell'esaminare il documento in questione, rappresentato dal decreto n. 228 del 23/12/04, la Corte afferma che l'impianto della COGESA non era conforme all'autorizzazione del 1998 nè la sua nuova configurazione sarebbe stata successivamente autorizzata, con ciò errando nell'interpretare il decreto n. 228 con cui, secondo la difesa, veniva rinnovata D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 28, l'autorizzazione rilasciata alla COGESA con il decreto della GR n. 5785/98 concernente l'attività di stoccaggio di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi; il decreto n. 228, secondo la prospettazione difensiva, non disponeva il rinnovo della vecchia autorizzazione, ma integrava e modificava l'autorizzazione al fine di renderla conforme all'art. 28 citato; l'evidenza documentale, pertanto, contrasterebbe con la motivazione, in quanto non esisterebbe quel minimo di concreto apprezzamento delle risultanze processuali tale da imporre l'annullamento della sentenza, in quanto il ricorrente sarebbe stato condannato pur a fronte dell'evidenza rappresentata dal decreto n. 228 che approvava ed autorizzava le varianti richieste.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 28, al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 e conseguente violazione dell'art. 530 c.p.p..
Secondo il ricorrente, la sentenza avrebbe violato le predette norme, in quanto l'impianto era in regola con le autorizzazioni richieste, avendo ricevuto la COGESA il Decreto n. 228 con cui veniva rinnovata D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art. 28, l'autorizzazione rilasciata in precedenza con Decreto della GR Lazio del 3/1198, concernente l'attività di stoccaggio - trattamento dei rifiuti speciali pericolosi e non. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), in riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256 e conseguente violazione dell'art. 530 c.p.p..
La sentenza appellata viene, altresì, censurata nella parte in cui conferma la responsabilità del ricorrente nonostante i motivi di appello con cui si prospettava l'inesigibilità della condotta; nella specie, dal verbale del Cda 11/09/2001 si delineavano in maniera inequivoca i differenti ruoli ricoperti dal presidente del Cda e dall'amministratore delegato; in particolare, il compito di sovrintendere alle attività tecniche progettuali ed esecutive era stato ritenuto spettasse al presidente del Cda, ossia al ricorrente, non avvedendosi del fatto che il suo ruolo si definiva con la proposizione al Cda che, solo, aveva il compito di decidere in merito; in sintesi, dunque, la condotta addebitata al ricorrente, era precipuamente spettante all'amministratore delegato della società e non al presidente del Cda, come confermato altresì dalla procura speciale conferita in data 14/09/04 dall'amministratore unico B. all'ing. R., con cui quest'ultimo veniva nominato direttore tecnico per la gestione dell'impianto di stoccaggio, trattamento e recupero della società posto in Cittaducale, nonchè mandatario speciale per tutte le funzioni inerenti la normativa prevenzionistica e degli impianti previsti dalla legge; la sentenza impugnata, invece, avrebbe attribuito al ricorrente la responsabilità, a prescindere da quella dell'amministratore delegato, per la sua qualità di presidente del Cda, quantomeno sotto il profilo dell'omessa vigilanza sull'operato di chi, agendo alle dipendenze della società, ha posto in essere condotte vietate, in ciò richiamando un principio giurisprudenziale di legittimità affermato per fattispecie del tutto diversa.
2.5. Infine, la difesa, sul presupposto dell'ammissibilità del ricorso, eccepisce l'intervenuta estinzione per prescrizione dei reati ascritti, in quanto commessi alla data del 17/11/07, data del sequestro operato su ordine del GIP di Bari, che determina la cessazione della condotta illecita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev'essere accolto, con conseguente annullamento dell'impugnata sentenza per essere i reati estinti per prescrizione.
4. Ed invero, esaminati i motivi di ricorso, non manifestamente infondato appare il quarto motivo; ed infatti, la sentenza di questa Corte richiamata in motivazione (Sez. 3^, n. 23971 del 25/05/2011 - dep. 15/06/2011, Graniero, Rv. 250485), afferma la responsabilità del titolare dell'impresa, in ordine al reato previsto dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1, (attività di gestione di rifiuti non autorizzata), ove la condotta vietata venga materialmente posta in essere da un dipendente della ditta dell'imputato, ma fa salva ovviamente l'ipotesi dell'esistenza del conferimento da parte del titolare di un atto di delega a terzi.
Nel caso esaminato, in particolare, si verte in tema di responsabilità attribuibile all'amministratore delegato ed all'organo tecnico da questi incaricato per lo svolgimento degli incombenti di legge.
Più precisamente, il ricorrente è stato chiamato a rispondere delle violazioni, accertate nello loro oggettività, nella qualità di Presidente del C.d.A. che, tuttavia, non può essere considerato come "legale rappresentante", appartenendo pacificamente la rappresentanza della persona giuridica all'amministratore delegato. In altri termini, una volta conferita la delega dal C.d.A. all'amministratore delegato, l'obbligo di vigilanza della gestione delle attività incidenti sulla tutela ambientale incombe al delegato e non al Presidente del C.d.A. Ciò, del resto, è stato più volte affermato dalla stessa giurisprudenza di questa Corte che, sul punto, ha precisato che il Presidente del consiglio di amministrazione di una società di capitali non può essere, da solo, considerato il rappresentante della società, appartenendo la rappresentanza all'intero consiglio di amministrazione, salvo delega che questi faccia ad un comitato esecutivo o ad un singolo consigliere (amministratore) delegato. La delega delle attribuzioni del consiglio di amministrazione ad uno (o più) dei suoi membri importa il conferimento della facoltà di esercitare i poteri dell'intero organo collegiale. Una volta conferita la delega, l'obbligo di vigilanza sulla osservanza (in quella fattispecie, n.d.r.) delle misure antinfortunistiche passa dall'intero consiglio di amministrazione al delegato (Sez. 4^, n. 14436 del 26/09/1990 - dep. 06/11/1990, Massari, Rv. 185679).
Analogo principio è, chiaramente, applicabile anche in materia ambientale.
5. L'accoglimento di tale motivo di ricorso, attesa la sua non manifesta infondatezza, determinerebbe la necessità di annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza ad altra sezione della Corte d'appello per nuovo esame della relativa questione, non adeguatamente affrontata dalla Corte territoriale, con conseguente assorbimento degli altri motivi.
Tale soluzione è, però, preclusa alla Corte di legittimità in quanto, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275).
Ed infatti, i reati per cui si procede sono estinti per prescrizione alla data del 17 novembre 2012 (ricorso pervenuto a questa Corte in data 8 agosto 2013), non rilevando peraltro la sospensione (per l'adesione del difensore all'astensione proclamata dalla categoria professionale di appartenenza) dal 21 marzo al 17 luglio 2014, in quanto successiva al maturarsi del predetto termine prescrizionale.
6. L'impugnata sentenza dev'essere, pertanto, annullata senza rinvio per estinzione dei reati per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere i reati estinti per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2014.
Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2014