Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Guerrini ed altro
Rifiuti. Rifiuti di origine animale (liquami zootecnici)
Configura il reato di abbandono di rifiuti il deposito di deiezioni zootecniche di un’azienda agricola in una concimaia priva di adeguati sistemi di contenimento con conseguente percolamento sul terreno nudo e deflusso attraverso una vaso all’interno di una roggia (la Corte esamina nella decisione anche la questione relativa alla disciplina generale sui rifiuti e quella relativa ai rifiuti di origine animale
Svolgimento
del
processo
Il
Tribunale di Brescia, con
sentenza pronunciata il 27 marzo 2006 e depositata il 1° aprile
2006,
dichiarava Piergiuseppe Guerrini e Mauro Guerrini responsabili del
reato
previsto a punito dall’art. 51 del comma secondo del decreto legislativo n. 22 del
Il Tribunale, ritenuto in fatto che le deiezioni zootecniche erano depositate in una concimaia, in assenza di adeguati sistemi di ripresa dei liquidi di percolazione e di dilavamento meteorico, sicché, percolando sul terreno nudo, defluivano nella roggia denominata “Bocca di Rosa” adiacente all’insediamento, provocando la contaminazione della stessa con evidenti tracce di schiume sino all’altezza della strada Bassa per Capriano del Colle e, concesse agli imputati le circostanze attenuanti generiche, li condannava alla pena di euro 6.000,00 ciascuno, oltre al pagamento, in solido, delle spese processuali.
Proponevano ricorso per cassazione entrambi gli imputati chiedendo alla Corte, per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati, di annullare la sentenza impugnata.
Motivi della decisione
Con
il primo
motivo i ricorrenti lamentano la violazione di cui all’art.
606 comma primo
lettera B) c.p.p. con riferimento agli artt. 14 comma secondo, 51,
commi primo
e secondo del decreto legislativo n. 22
del
Deducono i ricorrenti che il giudice di primo grado aveva ritenuto che si fosse in presenza di liquidi certamente qualificabili come rifiuti, e cioè di sostanze di cui i detentori non effettuavano riutilizzo, ma di cui si disfacevano in modo improprio.
Tale valutazione era del tutto immotivata e censurabile in quanto, contrariamente a quanto asserito dal Tribunale, era stata giudizialmente acquisita prova certa che l’azienda agricola non solo era munita di regolare autorizzazione amministrativa P.U.A. ma era dotata di un moderno sistema di separazione dei liquami, finalizzato proprio all’attività di fertirrigazione.
Appariva inoltre evidente la finalizzazione al riutilizzo di tutti i liquami come concime e comunque doveva rilevarsi che, a mente dell’elenco allegato al c.d. decreto Ronchi, costituiscono rifiuti, tra l’altro, quelli previsti dal cod. 02.01.06, ossia le feci animali urine e letame, (comprese lettiere usate), effluenti, raccolti separatamente, ma ciò soltanto ove gli stessi vengano trattati fuori sito e non anche quando, come nel caso in esame, le deiezioni rimangano all’interno della medesima azienda agricola ed ivi sottoposte ai trattamenti preliminari al loro impiego per la fertirrigazione.
Doveva inoltre ritenersi insussistente l’elemento oggettivo del reato ascritto ai. ricorrenti in considerazione del fatto che la condotta non si era protratta per un lasso di tempo apprezzabile e comunque non era stato accertato l’elemento soggettivo del reato.
Il motivo è infondato.
Il
giudice di
merito, alla luce dei rilievi eseguiti dal personale
dell’Arpa di Brescia che
ha eseguito il sopralluogo in data 19 agosto
Ha quindi congruamente concluso ritenendo “che in data 19 agosto 2003 le deiezioni zootecniche dell’azienda agricola gestita dagli imputati erano depositate in una concimaia priva di adeguati sistemi di contenimento e percolavano sul terreno nudo defluendo attraverso un vaso, nella roggia denominata Bocca di Rosa”.
Deve quindi ritenersi congruamente motivata la sentenza con riferimento alla violazione di cui all’art. 51 secondo comma del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 di cui sussistono tutti gli elementi.
Giova peraltro in proposito precisare che la materia relativa ai rifiuti di origine animale è regolata dal decreto legislativo 14 dicembre 1992 n. 508 emesso in attuazione della direttiva CEE numero 667 del 1990 del Consiglio, la quale stabiliva le norme sanitarie per l’eliminazione, la trasformazione e l’immissione sul mercato di rifiuti di origine animale.
Si è quindi posto il problema di individuare il rapporto tra tale disciplina e quella generale in tema di rifiuti e più specificamente di verificare se il decreto legislativo del 1992 si ponesse, rispetto alla disciplina di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, in rapporto di specialità.
In proposito si sono registrati due indirizzi giurisprudenziali discordi.
Un primo indirizzo riteneva sussistente tale rapporto di specialità (Cass. pen. sez III sent. 11 giugno 2003, n. 29236; Cass. pen. sent. pen sez. III 5 maggio 2004, n. 26851), mentre una seconda articolata decisione di questa Corte ha precisato che le esclusioni dal regime del decreto legislativo 14 dicembre 1992 n. 508 operano soltanto allorquando le categoria di materie esonerate siano disciplinate da specifiche disposizioni di legge, e tale non può essere considerato il d.lgs. 14 dicembre 1992, n. 508 che regola esclusivamente i profili sanitari e di polizia veterinaria della fase dì trasformazione dei rifiuti di origine animale, con esclusione dei profili di gestione per in quali rimane l’operatività del decreto n. 22 del 1997.
Successivamente vi stata la pubblicazione del Regolamento CE n. 1774 del 2002 che ha disciplinato la raccolta, il trasporto, il magazzinaggio e le altre attività elencate dei sottoprodotti di origine animale, regolamento immediatamente operativo nel diritto interno ai sensi dell’art. 189 del Trattato CEE. Tale regolamento ha quindi provocato la tacita abrogazione delle norme del decreto legislativo 508 del 1992 nella parte in cui vi era incompatibilità con le stesse, ma non ha inciso sulle disposizioni penali di cui al d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 che quindi rimangono in vigore.
Deve,
peraltro
comunque rilevarsi che anche il suddetto regolamento opera su un piano
diverso
rispetto a quello del decreto legislativo n. 22 del
Deve quindi ritenersi a tutti gli effetti applicabile alla fattispecie in esame la norma incriminatrice di cui al capo d’imputazione.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione di cui all’art. 606 comma primo lettera e) c.p.p. con riferimento all’omesso riconoscimento del caso fortuito nel percolato oggetto dell’imputazione.
Deducono i ricorrenti che il Tribunale non aveva ritenuto sussistente il caso fortuito, senza considerare che essi avevano regolarmente realizzato idonee strutture di contenimento costituite da un pozzetto di colaticcio.
Inoltre, quanto alla causa del danno, il primo giudice avrebbe dovuto considerare che l’impianto si era bloccato a causa della rottura della coclea, la cui sostituzione era avvenuta dopo il tempo strettamente necessario ai fini del reperimento del meccanismo idoneo alla riparazione a alla sua installazione.
Inoltre il Tribunale aveva immotivatamente ritenuto che i ricorrenti non impiegassero i reflui per l’attività di fertirrigazione.
Anche il secondo motivo è infondato, atteso che il Tribunale ha precisato, con chiara e puntuale coerenza argomentativa, che la giustificazione dell’imputato Piergiuseppe Guerrini, secondo cui la notte antecedente il sopralluogo si era verificato un malfunzionamento del separatore, era rimasta un mero assunto del tutto sfornito di prova, sia in relazione al suo accadimento, sia in relazione al nesso di causalità tra l’inconveniente meccanico addotto e l’improvviso spargimento al suolo del liquame bovino.
Va quindi respinto anche il secondo motivo di impugnazione.
Con il terzo subordinato motivo i ricorrenti lamentano la violazione di cui all’art. 606 comma primo lettera b del codice di procedura penale con riferimento all’art. 133 c.p. in quanto il Tribunale aveva applicato la pena di 9.000,00 di ammenda, limitandosi a definirla equa, senza il minimo riferimento ai criteri impiegati ai fini dosimetrici.
Anche il terzo motivo è infondato.
Considerato
che
la contravvenzione contestata agli imputati prevede, alternativamente,
la pena
dell’arresto da tre mesi ad un anno o l’ammenda da
€
Trova quindi applicazione il principio stabilito da consolidata giurisprudenza, secondo cui nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosta molto dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125 comma terzo c.p.p. adoperando espressioni come pena congrua, pena equa e congruo aumento, ovvero si richiami alla gravità del reato e alla personalità del reo (v. per tutte cass. pen. sez. I sent. 14 febbraio 1997, n. 1059).
Va quindi respinto anche il terzo motivo di impugnazione.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento dalle spese processuali.