Pres. Papa Est. Onorato Ric. Zanchin ed altro
Rifiuti. Carogne di animali
L’art. 183 primo comma D.Lv. 152-06 esclude dalla disciplina generale anche le carogne, senza tuttavia ripetere la clausola prevista dall’art. 8 D.Lgs. 221997, "in quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge" mentre il secondo comma prendendo in considerazione lo ius superveniens, precisa che resta ferma la disciplina di cui al Reg. CE n. 17742002 “…che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell'ambito del campo di applicazione ivi indicato”. Tale particolarità evidenzia un possibile vizio di incostituzionalità per eccesso di delega ma può comunque procedersi ad una lettura della norma tale da renderla compatibile col vincolo costituzionale e comunitario e giungere pertanto alla conclusione che le carogne, cioè i corpi morti di animali, sono escluse dalla disciplina generale dei rifiuti solo e in quanto siano regolate da normative diverse: in particolare, solo in quanto siano oggetto della disciplina sanitaria e veterinaria introdotta prima dal D.Lgs. 508-1992 e poi dal Regolamento comunitario 1774-2002 e che le stesse carogne, se e in quanto configurano rifiuti di origine animale, rientrano nuovamente nella disciplina generale sui rifiuti, qualora esulino dalla suddetta normativa sanitaria e veterinaria, che ne disciplina la eliminazione o, in casi limitati di basso rischio, la riutilizzazione per scopi delimitati.
Svolgimento
del
processo
1 - Con sentenza
del 5
luglio 2005 il tribunale monocratico
di Udine, sezione distaccata di Palmanova,
ha condannato alla pena di 6.000
di ammenda ciascuno Oriana Zanchin e Costante
Di Pascoli, avendoli riconosciuti
colpevoli del reato di cui all’art. 51, comma 1, lett. a)
D.Lgs. 22/1997, perché - in qualità
di contitolari del canile “Il
girasole”
- senza le prescritte autorizzazioni,
avevano effettuato attività di
smaltimento di rifiuti speciali, immettendo nei cassonetti
del servizio pubblico per la raccolta dei rifiuti solidi
urbani le ceneri prodotte
dall’incenerimento delle carcasse dei cani morti e
del pelo
proveniente dalla rasatura degli stessi cani e dalla pulizia dei box
(in
Porpetto fino al 15 luglio 2003).
In linea di fatto, il giudice monocratico ha accertato che il canile suddetto era dotato di un impianto di incenerimento per spoglie animali, regolarmente autorizzato dalla Regione; ma che gli imputati, invece di conferire le ceneri di risulta a una ditta specialmente autorizzata per lo smaltimento (come avevano fatto solo in seguito), usavano immettere le stesse ceneri nei cassonetti cittadini per la raccolta dei rifiuti solidi urbani (come si poteva desumere dal fatto che non esisteva un deposito preliminare e non esisteva traccia dello smaltimento nel registro di carico e scarico).
In linea di diritto, il giudice ha osservato che le ceneri erano qualificabili come rifiuti speciali ex art. 7, comma 3, D.lgs.; e che pertanto o dovevano essere conferite a terzi appositamente autorizzati per lo smaltimento o il recupero, o dovevano essere autosmaltite nell’impianto del canile previa specifica autorizzazione ex art. 28 D.Lgs. 22/1997.
Non poteva invece condividersi la tesi difensiva, secondo cui i residui degli animali inceneriti erano esclusi dalla disciplina sui rifiuti a norma dell’art. 8 lett. c) del D.Lgs. 22/1997, il quale espressamente deroga a detta disciplina per le “carogne” di animali e per altri rifiuti di origine agricola. Infatti - secondo il giudice - detta deroga va interpretata restrittivamente e opera per i rifiuti elencati, come le carogne, solo in quanto essi siano disciplinati da altre specifiche disposizioni di legge.
2 - Il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione, deducendo erronea applicazione di legge.
In sostanza, sostiene che vi sono disposizioni normative che regolano le carogne di animali e le loro ceneri, confermando così che per esse non si applica la disciplina sui rifiuti di cui al D.Lgs. 22/1997. Tali disposizioni si rinvengono nella direttiva comunitaria 2000/76 e nel Regolamento CE 3 ottobre 2002 n. 1774. E conclude affermando che sino all’entrata in vigore di questo regolamento le ceneri provenienti dall’incenerimento delle carogne animali non costituivano rifiuto.
In ordine al profilo psicologico del reato, aggiunge che nessuna colpa poteva rimproverarsi agli imputati dal momento che nessuna violazione era stata rilevata dal servizio veterinario in esito ai controlli ripetutamente effettuati.
Motivi della decisione
3 - Com’è noto, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c) D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, sono esclusi dal campo di applicazione dello stesso decreto - tra l’altro - le carogne, “in quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge”.
Sulla interpretazione di siffatta norma, questa corte ha già avuto modo di pronunciarsi con due orientamenti contrapposti.
Da
una parte,
Cass. Sez. III, n. 29236 dell’11 giugno 2003, Miccoli, rv.
Dall’altra,
Cass. Sez. III, n. 8520 del 16 gennaio 2002, Leuci, rv.
Quest’ultimo
orientamento è stato ribadito anche dopo l’entrata
in vigore del Regolamento CE
3 ottobre 2002 n. 1774 (norme sanitarie relative ai sottoprodotti di
origine
animale non destinate al consumo umano), atteso che anche questo
provvedimento,
che è stato ritenuto tacitamente abrogante il predetto
D.Lgs. 508/1992, regola
esclusivamente i profili di polizia sanitaria degli scarti di origine
animale
non destinati al consumo umano (così Cass. Sez. III, n.
26851 del 5 maggio 2004,
Milone, che però è stata
massimata
col n.
4 - Ad avviso del collegio, deve essere condiviso il secondo orientamento per una serie di ragioni, che non sempre coincidono con quelle già prospettate.
Anzitutto - come già rilevato - ogni disposizione derogatoria è di stretta interpretazione.
In secondo luogo, le disposizioni derogatorie di cui all’art. 8 del D.Lgs. 22/1997, che delimitano le “esclusioni”, vanno lette in relazione all’art. 1 dello stesso decreto, che nell’individuare il “campo di applicazione” della generale disciplina di gestione dei rifiuti, fa esplicitamente “salve” le “disposizioni specifiche particolari o complementari, conformi ai principi del presente decreto, adottate in attuazione di direttive comunitarie che disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti”.
Questo combinato disposto di “salvezza” e di “esclusione” denota che il legislatore ha voluto escludere la disciplina generale, in forza dell’art. 15 c.p., quando esiste una disciplina che regoli “la stessa materia” per una determinata categoria di rifiuti; ma ha voluto far convivere le due normative quando esiste una disciplina “complementare” che, lungi dal regolare la stessa materia, abbia per oggetto profili diversi da quello ambientale.
In base a tale criterio va inquadrato il rapporto tra:
a) il D.Lgs. 22/1997, che, per la tutela dell’ ambiente (inteso come ambiente-biosfera, comprensivo dei suoi elementi fisico-chimici di acqua, suolo e aria), disciplina la gestione dei rifiuti, cioè le operazioni di raccolta, di trasporto, di recupero e di smaltimento dei medesimi, che devono essere debitamente autorizzate;
b) il D.Lgs. 508/1992, che, in attuazione delta direttiva 90/667/CEE, disciplina le norme sanitarie e di polizia veterinaria per la gestione (sotto specie di operazioni di eliminazione e di trasformazione) dei rifiuti di origine animale. In particolare, questi rifiuti animali, distinti in materiali ad alto rischio e in materiali a basso rischio, devono essere trasformati oppure eliminati, attraverso incenerimento o sotterramento, in appositi stabilimenti riconosciuti.
Occorre sottolineare che già questa diversità di profili, di tutela ambientale da una parte, e di tutela sanitaria e veterinaria, dall’altra, denota un rapporto di complementarietà e non di esclusione tra le due normative.
In terzo luogo, lo stesso tipo di rapporto intercorre tra il ripetuto D.Lgs. 22/1997 e il più recente il Regolamento CE 1774/2002, che detta norme sanitarie relative ai sottoprodotti di origine animale non destinati al consumo umano. Ai fini del Regolamento, secondo l’art. 2, si intendono per “sottoprodotti di origine animale” corpi interi o parti di animali o prodotti di origine animale non destinati al consumo umano, i quali, pur non costituendo l’oggetto del processo produttivo, sono il risultato indiretto dello stesso processo, così come identificati e classificati in tre categorie dagli articoli 4, 5 e 6. Essi devono essere eliminati mediante incenerimento, o trasformati e poi eliminati mediante incenerimento, sempre in appositi impianti riconosciuti, ovvero, per i sottoprodotti di terza categoria, anche trasformati o utilizzati in vari modi.
5 - Queste conclusioni vanno
sostanzialmente tenute ferme anche dopo l’entrata in vigore
del D.Lgs. 3 aprile
2006 n. 152, che, sulla base
della legge delega 15 dicembre 2004 n.
Invero, l’art. 177 di questo provvedimento definisce il suo campo di applicazione negli stessi termini di cui al predetto art. 1 del D.Lgs. 22/1997, e cioè indicando come sua materia la gestione dei rifiuti, e facendo espressamente salve le disposizioni specifiche, particolari o complementari, adottate in attuazione di direttive comunitarie che disciplinano la gestione di determinate categorie di rifiuti.
L’art. 185 (limiti al campo di applicazione), invece, nel suo primo comma, esclude dalla disciplina generale, alcune categorie di rifiuti (più numerose di quelle escluse dalla legislazione previgente), tra cui le carogne, senza tuttavia ripetere la clausola prevista dal menzionato art. D.Lgs. 22/1997, “in quanto disciplinate da specifiche disposizioni di legge”.
Il secondo comma dello stesso articolo, inoltre, prendendo in considerazione lo ius superveniens, precisa che “resta ferma la disciplina di cui al Regolamento CE n. 1774/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002, recante norme sanitarie relative a sottoprodotti di origine animale non destinate al consumo umano, che costituisce disciplina esaustiva ed autonoma nell’ambito del campo dì applicazione ivi indicato”.
Riguardo a queste innovazioni, c’è anzitutto da dubitare seriamente se la soppressione della clausola prevista dal ripetuto art. 8 non sia incostituzionale per eccesso di delega, giacché questa conferiva al Governo solo un potere di riordino, di coordinamento e di integrazione, non già di sottrazione, della legislazione vigente, e soprattutto perché tra i criteri direttivi della delega legislativa dettati dal Parlamento, nell’art. 1, comma 8, era espressamente indicata la “piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza” (lett. e); nonché la “affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio «chi inquina paga»” (lett. f).
Orbene, non è chi non veda come, escludendo dalla disciplina dei rifiuti alcune categorie di sostanze, anche se prive di qualsiasi regolamentazione, si finisca per sguarnire quella tutela dell’ambiente che il delegante voleva “elevata” e inoltre si arrivi a lasciare inattuate le direttive comunitarie vigenti in materia.
Infatti, l’art. 2 della direttiva 91/156/CEE (quella appunto attuata dal D.Lgs. 22/1997) escludeva dal campo di applicazione della disciplina dei rifiuti sei categorie di sostanze (tra cui le carogne) solo “qualora già contemplate da altra normativa”; sicché (a richiamata formulazione dell’art. 185, comma 1, appare in contrasto sia con la legge delega sia con il diritto comunitario, appunto laddove ha escluso le carogne e altre sostanze dalla disciplina generale sui rifiuti, anche se non sono regolamentate da altra normativa.
Tuttavia, prima di sollevare questione di illegittimità costituzionale della norma in parte qua, spetta al giudice il compito di interpretarla in modo da renderla compatibile col vincolo costituzionale e comunitario. Il che, nel caso di specie, almeno per quanto riguarda le carogne e gli altri rifiuti di origine animale, sembra possibile alla luce della clausola di salvezza contenuta nel ricordato art. 177, secondo cui concorre con quella generale la disciplina specifica dettata per determinate categorie di rifiuti, nonché in forza della disposizione del secondo comma dell’art. 185, secondo cui resta ferma la disciplina del regolamento comunitario (direttamente applicabile nell’ordinamento italiano) in materia di rifiuti animali non destinati al consumo umano.
Secondo questa interpretazione adeguatrice, le carogne sono escluse dalla disciplina generale sui rifiuti solo in quanto disciplinate sotto il profilo sanitario e veterinario dal Regolamento CE n. 1774/2002, che rimane l’unica ed esaustiva normativa applicabile per il medesimo profilo (dovendosi così intendere il secondo comma dell’art. 185).
6 - Sulla base delle argomentazioni sopra esposte, si deve allora concludere che:
a) le carogne, cioè i corpi morti di animali, sono escluse dalla disciplina generale dei rifiuti solo e in quanto sono regolate da normative diverse: in particolare, solo in quanto sono oggetto della disciplina sanitaria e veterinaria introdotta prima dal D.Lgs 508/1992 e poi dal Regolamento comunitario 1774/2002;
b) le stesse carogne, tuttavia, se e in quanto configurano rifiuti di origine animale, rientrano nuovamente nella disciplina generale sui rifiuti, qualora esulino dalla suddetta normativa sanitaria e veterinaria, che ne disciplina la eliminazione o, in casi limitati di basso rischio, la riutilizzazione per scopi delimitati.
Detta conclusione non ha nulla di strano,
ove si pensi che lo stesso
Regolamento 1774/2002, nell’Allegato IV, al capitolo IV,
dedicato ai
residui dei processi di
incenerimento
o coincenerimento, definisce come “residui”
i materiali liquidi o solidi
generati da
questi processi, che includono le ceneri e scorie pesanti, le ceneri volanti e le polveri
di caldaia (art. 9); e stabilisce che
i residui devono essere riciclati, se del
caso, direttamente nell’impianto, ovvero al di fuori
dell’impianto, “in conformità
della pertinente normativa comunitaria” (art. 10); e al
capitolo VII, art. 4, dopo aver stabilito che i sottoprodotti
di origine animale
devono essere inceneriti in modo da essere completamente ridotti
in cenere, precisa che “le ceneri devono essere collocate in
una discarica
ai sensi della
direttiva 1999/31/CE” (attuata nell’ordinamento italiano
con
il D.Lgs. 13 gennaio 2003 n. 36).
E infatti nel Catalogo europeo dei rifiuti, allegato al D.Lgs. 22/1997, che pure è un elenco soltanto orientativo, non esaustivo, tecnicamente aggiornabile, redatto soprattutto per finalità di armonizzazione amministrativa, sono contemplati i rifiuti da incenerimento (190100), le ceneri pesanti e le scorie (190101), le ceneri leggere (190103), le polveri di caldaia (190104).
7 - Alla luce delle considerazioni precedenti, diventa pi agevole la valutazione della fattispecie di causa.
Gli imputati gestivano un canile dotato di impianto di incenerimento per spoglie di animali, regolarmente riconosciuto nella vigenza del D.Lgs. 508/1992; ma i residui dell’incenerimento delle carogne e dei peli degli animali, derivati dalla tosatura e dalla pulizia dei box, anziché smaltirli in una discarica, li conferivano nei cassonetti adibiti alla raccolta dei rifiuti solidi urbani.
E’ evidente che i rifiuti di origine
animale, nella fase dell’incenerimento,
erano sottoposti
alla disciplina veterinaria di cui al
D.Lgs. 508/1992, prima, e al
Regolamento CE 1774/2002, dopo; ma, nella misura in cui l’incenerimento lasciava
residui e non cagionava la eliminazione
completa delle sostanze, i residui stessi dovevano sottostare alla
disciplina generale
sui rifiuti, dettata dal D.Lgs.
22/1997, e ora sostituita dal
D.Lgs. 152/2006.
Non trattandosi di rifiuti urbani, ma di rifiuti
speciali, i titolari del
canile non potevano conferirli nei cassonetti
approntati per la
raccolta dei rifiuti solidi
urbani, ma dovevano smaltirli in una discarica, conferendoli alle ditte
autorizzate, oppure dovevano essere autorizzati
all’autosmaltimento.
Avendoli conferiti nei cassonetti, gli
imputati si sono resi responsabili
del reato contravvenzionale loro
contestato, di gestione non autorizzata
di rifiuti, del quale certamente ricorre anche l’elemento
psicologico, almeno sotto
la specie colposa, dovendosi ritenere che
professionisti del settore dotati di
media perizia e diligenza
dovessero conoscere la normativa applicabile nella soggetta
materia, o
potessero informarsi al riguardo
dall’autorità
amministrativa
competente.
IJ ricorso va
quindi
respinto. Consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna alle spese
processuali. Considerato il contenuto
dell’impugnazione, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore
della cassa delle ammende.