Pres. Lupo Est. Marini Ric. Saetti ed altro
Rifiuti. Rifiuti gassosi e getto pericoloso di cose
1.Gli effluenti gassosi destinati ad essere immessi nell'atmosfera, direttamente o previa combustione, al termine di attività produttive non costituiscono "rifiuto"; ad essi si applica la disciplina specificamente prevista dalla Parte quinta del decreto legislativo n.152 del 2006, che ha incluso quella anteriormente contenuta nel d.P.R. 24 maggio 1988, n.203. Possono costituire "rifiuto" le sostanze gassose qualora ai fini dello smaltimento siano immesse, da sole o insieme ad altra sostanza, in contenitori, oppure quegli effluenti gassosi che vengono stoccati e quindi smaltiti a mezzo di impianto "indipendente" rispetto a quello ove sono stati generati nel corso di attività produttiva.
2.Nessuna rilevanza penale ai sensi dell'art.674 c.p. può essere attribuita alle emissioni, se contenute nei limiti previsti, con riferimento ai valori fissati dalle autorizzazioni. Una simile esclusione di responsabilità per la contravvenzione prevista dall'art.674 c.p., tuttavia, opera con riferimento esclusivo ai valori contemplati dalle autorizzazioni, ma non comporta affatto una generale indifferenza per le ricadute delle emissioni sull'ambiente e sulle persone; in altri termini, non esime l'impresa dal farsi carico di altre e diverse situazioni offensive collegate alle emissioni. Tale distinzione porta a considerare che per i profili non contemplati dalle autorizzazioni residuano doveri di attenzione e di intervento del gestore dell'impianto industriale, il quale può essere chiamato ad adottare "quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l'impatto sulla realtà esterna ".
La sentenza di primo grado è leggibile qui
Il commento alla sentenza di primo grado di A.L. VERGINE è leggibile qui
MOTIVAZIONE
RILEVA
I fatti oggetto del presente ricorso concernono assunte violazioni
della normativa in materia di rifiuti, nonché l'ipotesi di emissione di
fumi e/o polveri connesse all'attività industriale presso la raffineria
AGIP PETROLI situata in Gela. I Sigg. SAETTI e FREDIANI sono stati
chiamati a rispondere dei reati in quanto direttori dello stabilimento;
come in seguito specificato, il Sig. SAETTI ha cessato il proprio
incarico il 21 dicembre 2001 ed il Sig. FREDIANI il 16 aprile 2004.
La contestazione iniziale comprendeva:
al capo A) della rubrica, la violazione
dell'art.25, comma secondo del d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 con
riferimento a plurime violazioni delle autorizzazioni regionali
concernenti;
¨ A. l - l'impianto "Vacuum"
¨ A.2 - l'impianto "Cracking catalitico"
¨ A.3 - l'impianto di trattamento delle acque
¨ A.4 - le campagne di monitoraggio
al capo B) della rubrica, ripetute violazioni della
normativa in materia di rifiuti, in particolare concernenti rifiuti
speciali non pericolosi collegati a:
¨ B.1 - la gestione dell'impianto "Cracking catalitico", considerata
attività comportante incenerimento ai sensi del D.M. n.503 del 1998
¨ B.2 - la gestione dell'impianto di "Alchilazione" (per cui si è
proceduto separatamente)
¨ B.3 - la gestione dell'impianto di trattamento delle acque (T.A.S.),
anch'essa comportante incenerimento
¨ B.4 - la gestione dell'impianto "Claus", anch'essa comportante
incenerimento
Al capo C) della rubrica, la violazione dell'art.
674 c.p. per avere provocato, mediante le condotte sopra specificate,
un inquinamento dell'aria a seguito di emissione fumi e/o polveri.
Fatti contestati dal dicembre 1999 al dicembre 2001, con permanenza.
In esito al giudizio dibattimentale, nel corso del quale si é proceduto
a stralcio della contestazione sub B.2 ed è stata ammessa e
perfezionata oblazione con riferimento alla contestazione sub A.2,
ammessa la costituzione delle parti civili Italia Nostra Onlus e Amici
della Terra Onlus, il Tribunale ha:
- ritenuto sussistenti i reati contestati ai capi B.1, B.3 e B.4 e C
della rubrica
- dichiarato non doversi procedere per prescrizione nei confronti del
Sig.SAETTI in ordine ai capi AA e A.4
- assolto il Sig.SAETT1 e il Sig.FREDIANI dal capo A.3 "perché il fatto
non sussiste"
assolto il Sig.FREDIANI dai capi A.1 e A.4 " per non avere commesso il
fatto".
Ha quindi condannato, previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche, il Sig. SAETTI alla pena di euro 36.000,00 di ammenda ed il
Sig.FREDIANI alla pena di euro 44.000,00 di ammenda.
Ha condannato altresì gli imputati al risarcimento dei danni e delle
spese del processo in favore delle parti civili, danni liquidati
equitativamente in euro 15.000,00 ciascuna, nonché al risarcimento del
danno ambientale, da liquidarsi in separata sede.
Avverso tale sentenza presentano ricorso per cassazione i Sigg.Saetti e
Frediani, con separate impugnazioni redatte dai rispettivi difensori.
Il ricorso del Sig.SAETTI si articola nei seguenti
motivi:
con primo motivo si lamenta violazione dell'art.606,
lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all'art.2 del D.M. Ambiente 19
novembre 1997, n.503, per illogicità e contraddittorietà della
motivazione ed erronea applicazione di legge.
Con secondo motivo si lamenta violazione
dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione agli artt.2 del d.lgs.
n.133 del 2005, art3 della Direttiva 200/76 CE, art.8 del d.lgs. n.22
del 1997, 2 del d.lgs. n.152 del 1999, per illogicità della motivazione
e violazione dell'art.14 delle preleggi;
Con terzo motivo si lamenta violazione dell'art.606,
lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all'art.42 c.p., per carenza di
motivazione ed errata applicazione della legge penale;
Con quarto motivo si chiede l'applicazione
dell'art.234 del Trattato CE con richiesta di interpretazione
pregiudiziale;
Con quinto motivo si lamenta violazione
dell'art.606, lett.e) c.p.p. in relazione all'art.674 c.p., con
richiesta di applicazione dell'art.129 c.p.p.
Con sesto e ultimo motivo si lamenta violazione
dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p. in relazione all'art.185 c.p. e
art.18 della legge n.349 del 1986 per mancanza della motivazione e
violazione di legge. Erroneamente la sentenza riconosce alle parti
civili un danno iure proprio che non trova fondamento nel nostro
ordinamento.
Il ricorso del Sig. FREDIANI si articola nei seguenti motivi:
Con primo motivo si lamenta violazione dell'art.606,
lett.b) ed e) c.p.p.,in relazione agli artt. 1 e 6 del d.lgs. 5
febbraio 1997, n.22 per erronea applicazione di legge e mancanza di
motivazione.
Con secondo motivo si lamenta violazione
dell'art.606, lett.b) ed e) c.p.p., in relazione agli artt.8, comma 1
del d.lgs. n.22 del 1997 (oggi art.185, comma 1 del d.lgs. n.152 del
2006), artt.l, 3, 6 e 7 d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 e disposizioni del
D.M. 12 luglio 1990 (linee guida per la qualità dell'aria), per erronea
applicazione di legge e mancanza o comunque illogicità e
contraddittorietà della motivazione. Inoltre, considerata la lettura
che la sentenza impugnata ha dato delle Direttive 75/442 e 91/156 del
Consiglio, deducendo da esse la possibilità di qualificare come
"rifiuti" anche i prodotti gassosi, il ricorrente chiede prospettarsi
alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell'art.234 del Trattato
istitutivo, una pronuncia pregiudiziale sul punto.
Con terzo motivo si lamenta violazione dell'art.606,
lett.b) ed e) c.p.p., in relazione all'art.674 c.p., per erronea
applicazione della legge penale, mancanza e comunque illogicità e
contraddittorietà della motivazione
Con memorie datate 18 e 20 Settembre 2007 le difese dei Sigg.SAETTI e
FREDIANI hanno ulteriormente ribadito e precisato le argomentazione
esposte nei motivi principali.
OSSERVA
1. Le contestazioni
Con plurimi decreti definitivi dell'Assessorato competente
della Regione Sicilia (rispettivamente del 20 gennaio 1999 per
l'impianto Cracking; 14 marzo 2002 avente portata generale e contenete
indicazioni specifiche per l'impianto T.A.S.; 19 maggio 2003 per
l'impianto Claus) lo stabilimento di raffinazione situato in Gela della
Soc.AGIP PETROLI è stato autorizzato ad operare mediante il ricorso
agli impianti oggetto della contestazione mossa agli odierni
ricorrenti. Tali decreti risulterebbero riprodurre pedissequamente le
disposizioni contenute nel D.M. Ambiente del 12 Luglio 1990, ed in
particolare dell'allegato 3B che concerne l'attività delle raffinerie
di oli minerali.
La contestazione mossa ai Sigg. Saetti e Frediani con il decreto di
citazione a giudizio del 4 Settembre 2003 si muove lungo tre diverse
direzioni: la prima (capo A) è quella di non avere rispettato le
prescrizioni contenute nei citati decreti di autorizzazione
all'utilizzo degli impianti, ivi compresa la prescrizione relativa
all'effettuazione di campagne di monitoraggio; la seconda (capo B) è
quella di avere svolto, senza autorizzazione, attività di gestione di
rifiuti, ed in particolare attività di incenerimento dei rifiuti
gassosi provenienti dalle produzioni effettuate negli impianti di
raffinazione; la terza (capo C) è quella di avere, con le condotte che
precedono ed in assenza di autorizzazioni per l'immissione di fumi in
atmosfera (d.P.R. n.203 del 1998, citato), causato l'inquinamento
dell'aria a seguito di riversamento di fumi e/o polveri all'esterno, in
ciò coinvolgendo l'abitato di Gela e le zone circostanti.
I Sigg. Saetti e Frediani sono stati tratti a giudizio in quanto
direttori pro tempore dello stabilimento, e come tali responsabili del
rispetto delle autorizzazioni e dell'osservanza degli obblighi di legge.
Sulla base dei dati esposti in sentenza e non contestati, il Sig.Saetti
ha rivestito la carica di direttore dal 15 Dicembre 2000 al 20 Dicembre
2001, mentre il Sig.Frediani lo è stato dal 21 Dicembre 2001 al 16
Aprile 2004.
2. Il dispositivo della sentenza impugnata
Rispetto alle suesposte contestazioni, il Tribunale ha, come sopra
ricordato, disposto per:
- la condanna con
riferimento ai capi B.1, B.2, B.4 e C della rubrica;
- l'applicazione della prescrizione per il Sig.Saetti e l'assoluzione
per il Sig.Frediani in relazione ai capi A.1 e A.4;
- l'assoluzione per entrambi in relazione al capo A.3;
Inoltre, in corso di giudizio vi è stata pronuncia di oblazione in
relazione al capo A.2 e la separazione del processo per il capo B.2 in
vista di sentenza di patteggiamento (poi pronunciata da altro giudice).
Rispetto alla contestazione iniziale, dunque, residuano a carico dei
ricorrenti i reati previsti dai capi B (esclusa l'ipotesi sub B.2) e C.
3. L'impianto industriale
L'impianto di Gela è destinato a raffinare prodotti petroliferi. Si
tratta di lavorazione di particolare complessità che richiede una
molteplicità di lavorazioni della materia prima che conducono alla
separazione (o decomposizione) dei suoi componenti in vista
dell'ottenimento di più tipologie di prodotti "raffinati" destinati
all'utilizzo industriale e commerciale.
La contestazione e la sentenza si sono concentrati su alcuni aspetti
dell'attività di raffinazione:
- l'impianto di "Cracking catalitico" (capo BA), che interviene sulle
molecole degli idrocarburi pesanti e che deve essere periodicamente
rigenerato mediante la combustione dei residui (coke) ad altissime
temperature, con conseguente produzione di anidride carbonica e ossido
di carbonio; quest'ultima sostanza è considerata altamente inquinante e
prima di essere immessa in atmosfera necessita di un ulteriore
trattamento mediante ossidazione per trasformarla in anidride
carbonica, e tale trattamento avviene mediante combustione, o
postcombustione, all'interno di una caldaia denominata "CO boiler";
- l'impianto di trattamento delle acque di stabilimento, con acronimo
T.A.S. (capo B.3), che provvede alla separazione delle acque e degli
idrocarburi contenuti nella materia prima; si tratta di processo che
origina anche idrocarburi allo stato gassoso che devono essere
eliminati, ma hanno potenzialità inquinanti e non possono essere
immessi direttamente in atmosfera. Pertanto, tutte le volte in cui
nelle vasche del sistema T.A.S. si crea un accumulo di pressione, i gas
vengono inviati alla "torcia TECO" al fine di subire un processo di
combustione prima di essere immessi in atmosfera.
- l'impianto Claus (capo B.4), che ha lo scopo di desolforizzare i
prodotti trattati nella raffineria ed in particolare di trattare la
corrente gassosa che proviene dalle attività di raffinazione e risulta
ricca di una sostanza altamente inquinante (idrogeno solforato);
l'impianto, dunque, trasforma la sostanza inquinante ricavandone zolfo
e vapore acqueo che, pur contenendo una limitata parte residuale di
idrogeno solforato, può essere immesso in atmosfera.
4. Il reato previsto dal capo B
La questione centrale che residua a carico dei ricorrenti e che
costituisce la parte preponderante dei motivi di ricorso è quella che
concerne la sussistenza dell'ipotesi di reato contestata al capo B.
4.A - La motivazione della sentenza impugnata
Accogliendo l'impostazione accusatoria, il Tribunale ha
considerato provata la sussistenza della violazione prevista
dall'art.51, comma secondo del d.lgs. 5 febbraio 1997, n.22. Come si
legge a pag.18 della motivazione, tale conclusione si fonda su due
presupposti essenziali:
a) che i "reflui" gassosi (capi B.1 e B.3) e le "correnti" gassose (capo B.4) siano da considerare "rifiuti" disciplinati dal citato decreto legislativo;
b) che la loro combustione comporti, nel caso dello stabilimento AGIP, attività di incenerimento di rifiuti ai sensi del D.M. 503 del 1997.
In altri termini, il Tribunale ritiene che i prodotti allo stato
gassoso possano essere ricondotti, a seconda delle circostanze, sia
alla categoria dei "rifiuti" sia a quella degli effluenti gassosi: nel
primo caso sono soggetti alla disciplina prevista dal d.lgs. n.22 del
1997, nel secondo alla disciplina del d.P.R. 24 maggio 1988, n.203. Si
versa nella prima ipotesi quando il prodotto viene sottoposto ad un
trattamento ai fini dello smaltimento, mentre si versa nella seconda
quando il prodotto è destinato ad essere immesso direttamente in
atmosfera.
Tale distinzione, afferma il Tribunale, è in tutto simile sul piano
concettuale e giuridico a quella che si applica ai prodotti liquidi che
provengono da attività industriale; qualora sottoposti a trattamento,
infatti, vanno qualificati come "rifiuti" e trovano disciplina nel
d.lgs. n.22 del 1997, mentre risultano disciplinati dal d.lgs. n.152
del 1999 quando vengono riversati direttamente nel corpo ricettore e
considerati "acque di scarico" (principi questi chiaramente affermati
sia dalla sentenza n.173 del 20 Giugno 1998 della Corte Costituzionale
sia dalla decisione n. 12310 del 1995 delle Sezioni Unite Penali di
questa Corte).
In materia di prodotti gassosi, il Tribunale richiama come fondamentale
la sentenza della Terza Sezione Penale di questa Corte n. 494 del 19
Marzo 1999, Lago, secondo cui (in linea con precedente decisione n.2208
del 7 dicembre 1992, Fava e altri) sia la normativa nazionale sia
quella comunitaria in tema di inquinamento atmosferico non fanno venire
meno l'applicabilità della normativa in terna di rifiuti: la scelta dei
legislatori è stata, infatti, quella di favorire una "tutela integrata
dell'ambiente" ai fini di un rafforzamento della sua protezione. Ne
consegue che un impianto industriale deve ottenere le autorizzazioni
previste dal d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 e rispettare i limiti di
emissione in esso fissati, e nello stesso tempo ottenere le
autorizzazioni per la trattazione dei rifiuti gassosi nel rispetto dei
principi e delle regole fissati dagli artt.2 e 28 del d.lgs. n.22 del
1997.
Il Tribunale ritiene che tale impostazione trovi una importante
conferma non solo in una lettura coordinata delle Direttive 91/156/CEE,
91/689/CEE e 94/62/CE (in terna di rifiuti), 80/779/CEE, 82/884/CEE,
84/360/CEE e 85/203/CEE (in tema di inquinamento atmosferico),
91/271/CEE e 91/676/CEE (in materia di acque), ma anche nei
fondamentali principi espressi nella sentenza della Corte di Giustizia,
Sesta Sezione, del 18 aprile 2002 nel proc. C-9/00, Palin Granit Oy.
Tale decisione, individua nei principi di "precauzione" e "azione
preventiva" i capisaldi della politica comunitaria in materia di
ambiente e di salute, con la conseguenza che il concetto di "rifiuto"
non può trovare applicazioni restrittive che contrastino con le
finalità della Direttiva 75/442.
In tale prospettiva deve leggersi, secondo il Tribunale, il contenuto
di altre decisioni della Corte di Giustizia. Innanzitutto la sentenza
Tombesi e altri del 25 giugno 1997 nelle cause riunite C-304/94 e
altre, secondo cui neppure il riciclo o il recupero di una sostanza fa
venire meno la sua natura di rifiuto. Quindi la sentenza Arco Chemie
Nederland del 15 Giugno 2000 nelle cause riunite C-418/97 e C-419/97,
che, dopo avere ribadito il divieto di dare interpretazioni restrittive
del concetto di rifiuto, afferma che "il fatto che una sostanza sia un
sottoprodotto (un residuo) di un processo di produzione imperniato
sull'ottenimento di un altro prodotto costituisce un'indicazione della
possibilità che si tratti di un rifiuto ai sensi della direttiva
(75/442) ... Una sostanza perderebbe le caratteristiche di rifiuto
unicamente se sia stata oggetto di un'operazione di recupero completo
ai sensi dell'allegato II B della direttiva , cioè se possa essere
trattata nello stesso modo di una materia prima ovvero, come nel caso
di specie, se il potenziale materiale o energetico del rifiuto è stato
utilizzato nella combustione".
Tali conclusioni, secondo il Tribunale, non vengono messe in
discussione dalla disciplina comunitaria (direttiva 2000/76/CE) e
nazionale (d.lgs. 11 maggio 2005, n.133) in tema di impianti di
incenerimento e coincenerimento: si tratta di normativa di settore che
non può modificare i principi generali in materia di rifiuti. Il fatto
che la normativa di settore contempli, per le attività di
incenerimento, solo i rifiuti solidi e liquidi (art.3 della citata
Direttiva e art.1, comma 1 del citato decreto legislativo) non esclude
che in via generale assumano natura di rifiuto anche le sostanze
gassose.
Sulla base di tale ricostruzione normativa, il Tribunale ritiene che i
processi di combustione o postcombustione dei residui gassosi derivanti
dall'attività di raffinazione costituiscano "un'attività di smaltimento
di un rifiuto gassoso derivante da ciclo industriale, che come tale
doveva essere autorizzata ai sensi dell'art.28 del d.lvo 22/97".
Ciò vale per la combustione nella caldaia del CO boiler (capo B.1 in
relazione all'impianto di Cracking catalitico), ove avviene
un'operazione di incenerimento disciplinata dal D.M. 19 novembre 1997,
n.503 ("rifiuti speciali non pericolosi") nella parte in cui,
all'art.2, include "le apparecchiature di trattamento dei gas". Vale
altresì per la torcia TECO (capo B.3), che, indipendentemente dalla
natura di strumento di sicurezza (che il Tribunale esclude alla luce
della sua funzionalità del tutto ordinaria), rappresenta un impianto di
trattamento e incenerimento dei gas. Vale, infine, per l'impianto Claus
(capo B.4), che trasforma in zolfo e vapore acqueo la corrente gassosa
proveniente dalle attività di raffinazione e contenente idrogeno
solforato, altamente inquinante.
Conclude il Tribunale che i tre impianti, pur necessari al regolare
funzionamento della raffineria e dei suoi processi, "non fanno parte
integrante del processo di raffinazione" (pag.38 della motivazione) e
vanno considerati come impianti destinati al trattamento di rifiuti
gassosi.
4.B - I motivi di ricorso
Pur con prospettazioni non del tutto coincidenti, i ricorrenti
contestano in radice la ricostruzione dei presupposti in fatto e
l'interpretazione del dato normativo operate dal Tribunale.
Sostengono, infatti, che le autorizzazioni rilasciate alla soc.AGIP
coprono completamente le attività svolte dagli impianti contemplati nei
capi B.1, B.3 e B.4, e ciò in quanto prevedono le modalità di
trattamento dei flussi gassosi e le successive emissioni. Sostengono,
poi, che è del tutto infondata la qualificazione dei flussi gassosi
quali "rifiuti". La conseguenza di tale impostazione è che
mancherebbero del tutto i presupposti in fatto e in diritto per
l'affermazione della responsabilità penale dei direttori dello
stabilimento.
Secondo i ricorrenti si sarebbe in presenza di "emissioni gassose"
disciplinate dal D.M. 12 Luglio 1990 (in particolare dall'allegato 3B
relativo alle raffinerie di oli minerali), ed in modo del tutto
conforme dalle tre autorizzazioni regionali: nessuna violazione,
dunque, sarebbe sotto tale profilo a loro addebitabile.
Quanto alla nozione di "rifiuto", la posizione dei ricorrenti può
essere sintetizzata nei termini che seguono:
- la fondamentale Direttiva 75/442/CEE definisce (art. 1, lett.A) i
"rifiuti" come gli oggetti e le sostanze "di cui il detentore si disfi
o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi" e rientranti
nell'allegato allegato che comprende quello che viene definito
comunemente come il "catalogo europeo dei rifiuti", o CER. Tale
catalogo costituisce punto di riferimento anche per la disciplina
nazionale, ed in particolare per l'allegato A richiamato dall'art.6 del
d.lgs. n.22 del 1997;
- l'art.8, collima primo del d.lgs. n.22 del 1997 a sua volta non
include le sostanze gassose o aeriformi tra i rifiuti oggetto della
disciplina;
- gli allegati alla Direttiva comunitaria e al d.lgs. n.22 del 1997 non
ricomprendono sostanze gassose o aeriformi, con l'unica eccezione dei
gas industriali che, soli o uniti a sostanze chimiche, sono posti in
contenitori o in contenitori a pressione;
- la lett.a) dell'art.185 del d.lgs. n.152 del 2006 si pone in linea
con al normativa citata, ed anzi per gli effluenti gassosi rinvia
all'art.183, comma 1, lett.z) del medesimo decreto, che parla di
"qualsiasi sostanza gassosa introdotta nell'atmosfera che possa causare
inquinamento atmosferico" e che debba, pertanto, essere trattata
attraverso la termodistruzione o la postcombustione;
- l'art.2 del D.M. 25 febbraio 2000, n.124 in tema di impianti di
incenerimento opera un riferimento esclusivamente ai "rifiuti solidi o
liquidi" inclusi nell'allegato D al d.lgs. n.22 del 1997 (e successive
modifiche);
- l'art.3 della direttiva 2000/76/CE del Consiglio e del Parlamento in
data 4 Dicembre 2000 e l'art.2 del d.lgs. di attuazione 11 maggio 2005,
n.113 (in tema di incenerimento dei rifiuti) richiamano esclusivamente
i "rifiuti solidi o liquidi";
- sempre in tema di incenerimento di rifiuti, l'allegato 1, lett.B del
D.M. 25 febbraio 2000, n.124 prevede diversi livelli di concentrazione
negli effluenti gassosi in relazione alla qualità, solida o liquida,
del rifiuto che affluisce all'inceneritore, mentre non considera in
alcun modo l'eventualità di rifiuti gassosi;
- tutta la normativa fin qui citata dimostrerebbe, secondo i
ricorrenti, che gli effluenti gassosi potenzialmente inquinanti sono
sottoposti alla specifica normativa posta a tutela della qualità
dell'aria;
- in linea con questa normativa, dunque, gli impianti interni alla
raffineria provvedono a trattare gli effluenti gassosi in modo da
procedere all'emissione in atmosfera di residui aeriformi compatibili
con le previsioni normative (si vedano il d.P.R. n.203 del 1988 ed il
D.M. 12 Luglio 1990, nonché la legge 6 maggio 2002, n.82 per l'impianto
Claus) e con le autorizzazioni, così che nessuna ulteriore
autorizzazione era necessaria;
In Sintesi (pag.12 ricorso Frediani), l'esclusione dei gas prodotti
all'interno dell'impianto AGIP dall'ambito di applicazione dell'art.51
del d.lgs. n.22 del 1997 (capo B della rubrica) emergerebbe da tre
circostanze principali:
a) in via generale, l'esclusione formulata dall' art.8, comma primo del
d.lgs. n.22 del 1997 (e dall'art.185, lett.A del d.lgs. n. 152 del 3
aprile 2006) dei gas dal novero dei "rifiuti";
b) l'appartenenza dei flussi gassosi (impianti di cracking e Claus)
alle attività di processo;
c) l'appartenenza della torcia TECO alle apparecchiature di sicurezza.
4.0 - Le valutazioni della Corte
1. La sentenza del Tribunale di Gela esamina e affronta in modo
approfondito e tecnicamente pregevole un aspetto di grande delicatezza
legato alle attività di grandi impianti industriali che trattano a
mezzo di specifici impianti le sostanze gassose frutto della
lavorazione prima che esse vengano immesse in atmosfera. Tuttavia, le
conclusioni cui il Tribunale giunge si fondano su una interpretazione
delle disposizioni di legge che la Corte non condivide per le ragioni
che saranno di seguito esposte.
2. Va premesso che questo Collegio ritiene in via generale di
uniformarsi ai principi che la giurisprudenza della Corte di Giustizia
ha nel tempo affermato e che sono stati ampiamente citati nella
motivazione della sentenza impugnata; il riferimento è ai principi che
impongono ai Paesi membri, ed alle loro istituzioni, l'obbligo di
prevenire i pericoli di danno all'ambiente ed all'uomo e che, in modo
del tutto coerente, fanno divieto di interpretare in modo restrittivo
il concetto di "rifiuto".
Ciò nondimeno, deve osservarsi che la disciplina nazionale, contenuta
soprattutto nei decreti legislativi n.22 del 1997 e n.152 del 2006,
opera in attuazione delle direttive e della piu' ampia normativa
comunitaria, e che soltanto su alcune delle relative disposizioni
sembrano porsi dubbi di perfetta coerenza con i principi fissati in
quella sede.
In particolare, sia gli articoli 6 e 8 del d.lgs. n.22 del 1997 sia gli
articoli 185 e 183 del d.lgs. n.152 del 2006 contengono definizioni e
indicazioni circa la nozione e la portata del concetto di "rifiuto" che
hanno caratteristiche (v. supra) di coincidenza con quanto previsto
dalla normativa comunitaria.
3. Ciò detto, la Corte considera centrale, sebbene in sé non esaustiva,
la circostanza che il d.P.R. 24 maggio 1988, n.203 si occupi
espressamente ed in modo sistematico di "emissioni" aeriformi che
assumono rilievo in quanto possono "causare inquinamento atmosferico".
Si è in presenza di una disciplina di settore che ha caratteristiche di
organicità e che mira a ridurre al massimo per le attività produttive
le immissioni in atmosfera di sostanze che comportano rischi per
l'ambiente e per l'uomo; essa ha, dunque, ad oggetto i medesimi beni di
rilievo costituzionale che sono posti a fondamento proprio della
normativa in tema di rifiuti. Questa circostanza da sola non impedisce,
ovviamente, che possa sussistere in linea teorica una concorrenza della
normativa sulle emissioni con quella in terna di rifiuti, ma impone al
giudicante una particolare attenzione in sede interpretativa, dovendosi
individuare l'area di tutela che esulerebbe dalla normativa di settore
(emissioni) e ricadrebbe all'interno della disciplina sui rifiuti.
Uno specifico rilievo sul piano ermeneutico deve essere attribuito, a
parere della Corte, anche alla circostanza che in sede comunitaria,
come si è accennato, è stata emanata una disciplina apposita delle
emissioni in atmosfera, diversa e separata da quella in tema di rifiuti.
4. Venendo, sulla base di queste premesse, ad una prima interpretazione
del dato normativo, la Corte ritiene condivisibile l'accentuazione
posta dai ricorrenti sulla circostanza che entrambi i decreti
legislativi citati in precedenza (n.22 del 1997 e n.152 del 2006)
operino una dichiarata esclusione delle emissioni gassose dall'ambito
di operatività della disciplina sui rifiuti. Così come deve
attentamente valutarsi la circostanza che il d.lgs. n.152, il così
detto T.U. sull'ambiente, ha raccolto nella sua parte quinta (art.267 e
ss.) le disposizioni in tema di emissioni che formavano oggetto del
citato d.P.R. 24 maggio 1988, n.203
5. Procedendo ad un sintetico esame della disciplina ora citata, la
Corte osserva:
A) Gli articoli 6 e 8 del d.lgs.n.22 del 1997 delimitano il campo di
applicazione della disciplina sui rifiuti. L'art.6 (definizioni),
recependo quasi letteralmente l'art.2 della Direttiva 91/156 CEE, alla
lett.a) precisa che deve intendersi per "rifiuto: qualsiasi
sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato
A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di
disfarsi". A fronte di una definizione tanto ampia, il
successivo articolo 8 precisa che "sono esclusi dal campo di
applicazione del presente decreto gli effluenti gassosi emessi
nell'atmosfera, nonché, in quanto disciplinati da specifiche
disposizioni di legge: a) i rifiuti radioattivi; ... e) le acque di
scarico, esclusi i rifiuti allo stato liquido.... ".
Dalla lettura coordinata di queste disposizioni possono trarsi alcune
conclusioni.
La prima: all'ampiezza della definizione di "rifiuto" di cui all'art.6
non può che corrispondere un'altrettanto ampia e radicale esclusione
degli effluenti gassosi.
La seconda: mentre per gli effluenti gassosi l'esclusione è totale e di
portata generale, per altre sostanze, quali le acque, essa opera (si
veda la congiunzione "nonché") solo quando esista una specifica
disciplina, che, evidentemente, per gli effluenti è considerata dalla
norma come già esistente e assorbente.
La terza: a differenza degli effluenti gassosi, la lett.e)
espressamente prevede che anche i liquidi possano essere ricompresi
nell'ambito dei "rifiuti" allorché si tratta di "acque reflue"; a
proposito di tale distinzione si rinvia al d.lgs. n.152 del 1999 ed
alla giurisprudenza che si è formata in materia.
La quarta: tale ultima esplicita differenza mette in crisi il parallelo
tra rifiuti gassosi e rifiuti liquidi, su cui si fonda la motivazione
della sentenza impugnata. Sul punto merita aggiungere la considerazione
che secondo il citato d.lgs. n.152 del 1999 i liquidi direttamente
immessi nei corpi recettori non possono essere considerati, come
"rifiuto", ancorché contengano particelle inquinanti e siano stati
sottoposti a trattamento preventivo. Se ciò è vero, sembra doversi
concludere che la disciplina sulle acque, contrariamente a quanto
assunto dalla sentenza impugnata, conforta la lettura che esclude
dall'ambito dei rifiuti gli effluenti immessi direttamente
nell'atmosfera ancorché contengano particelle inquinanti e siano stati
sottoposti a trattamento preventivo.
B) Il recente "Testo unico" sull'ambiente, il d.lgs. n.152 del 2006,
consente indicazioni altrettanto preziose e del medesimo segno. Non
solo presenta una netta distinzione sistematica fra i "rifiuti",
disciplinati dalla Parte quarta, e le "emissioni", regolate dalla Parte
quinta, ma nella definizione del concetto di rifiuti chiarisce e
rafforza tale distinzione.
Dopo avere riportato alla lett.a) dell'art.183 una definizione di
"rifiuto" che ricalca quella del citato art.6 d.lgs. n.22 del 1997, nel
successivo art.185, che definisce l'ambito di applicazione del decreto,
vengono riprodotti i principi già fissati dal citato art.8 del d.lgs.
n.22 del 1997, ed in particolare il primo comma dell'art.185 recita:
"1. Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta
del presente decreto:
a) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera
di cui all'articolo 183, comma 1, lettera z);
b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi costituiti da acque
reflue;
c) ...
A sua volta, la lettera z) dell' art.183 recita:
"z) emissioni: qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa
introdotta nell'atmosfera che possa causare inquinamento atmosferico; ".
Ritiene la Corte che la struttura del d.lgs. n.152/2006 e il
complesso delle disposizioni ora richiamate confermino le conclusioni
cui si è giunti con riferimento al d.lgs. n.22/1997.
Del resto, a conferma della fondatezza della diversa disciplina degli
effluenti gassosi, sembra evidente a questo Collegio che la immissione
in atmosfera dei fumi e delle polveri che derivano dal ciclo produttivo
presenta caratteristiche diverse dalla gestione e dallo smaltimento dei
rifiuti, cioè dai residui liquidi o solidi della trasformazione della
materia prima e delle sostanze utilizzate nel corso dell'attività
produttiva.
C) Di analogo segno sono le conclusioni che possono trarsi dall'esame
delle disposizioni in materia di impianti di incenerimento e
coincenerimento di rifiuti previsti dalla disciplina comunitaria
(direttiva 2000/76/CE) e nazionale (d.lgs. 11 maggio 2005, n.133). E'
ben vero che, come ricordato dal Tribunale di Gela, si tratta di
normativa di settore, ma è indubbio che si tratta di normativa che
disciplina proprio quell'attività di combustione e incenerimento che lo
stesso Tribunale prende in esame con riferimento agli impianti presi in
esame ai capi B.1, B.3 e B.4 della rubrica.
Ebbene, come la stessa sentenza impugnata ricorda, la disciplina in
tema di inceneritori contempla esclusivamente il trattamento dei
"rifiuti solidi e liquidi". Ancora una volta resta escluso dalla norma
il trattamento degli effluenti gassosi.
6. Ciò non toglie, a parere della Corte, che in via generale l'attività
produttiva possa dare origine anche a "rifiuti" allo stato gassoso,
cioè a sostanze aeriformi che debbono essere stoccate e quindi trattate
in vista dei opportune forme di smaltimento. In tal senso depone la
circostanza che gli allegati alla Direttiva 75/442/CEE ed al D.lgs.
n.22 del 1997 ed il così detto "catalogo europeo" dei rifiuti
contemplino sostanze gassose, ma ciò avviene solo con riferimento a
quelle sostanze gassose che, sole o con sostanze liquide, sono
immagazzinate all'interno di contenitori. In altri termini ed a titolo
di esempio, a parere della Corte un accumulo di bombole da
riscaldamento che ancora contengono gas e siano destinate ad essere
smaltite possono certamente considerarsi come contenitori di un
"rifiuto" ancorché allo stato gassoso.
Pur non essendo espressamente previsto dalle norme richiamate, potrebbe
ragionevolmente giungersi ad analoga conclusione, applicando i
ricordati principi interpretativi fissati dalla Corte di Giustizia,
nella ipotesi che nel corso del processo produttivo si originino gas
che vengono accantonati per essere successivamente trattati e smaltiti,
in parallelo rispetto alle originarie autorizzazioni sulle emissioni,
in un impianto diverso oppure da parte di terzi. Si tratta di
interpretazione che presenta qualche possibilità di conflitto col
generale divieto di analogia in malam partem, ma
che potrebbe trovare fondamento proprio nell'altrettanto generale
divieto di fornire una lettura restrittiva del concetto di "rifiuto".
Una possibile conferma della natura di rifiuto dei gas trattati
separatamente è rinvenibile nella previsione di un impianto di
postcombustione "indipendente" contenuto nell'allegato 2.1 del D.M. 12
Settembre 1990 (v. infra al punto 10).
7. Pur con diversa motivazione, è su questa possibilità "intermedia"
che ha appuntato la propria attenzione la contestazione mossa ai
ricorrenti ed accolta dal giudice: la combustione dei gas nella fase
successiva alla loro formazione ma anteriore alla fase finale di
immissione in atmosfera avrebbe le caratteristiche proprie del
trattamento (per cui non vi è stata, da parte dell'AGIP e dei
ricorrenti, richiesta di autorizzazione) di rifiuti gassosi.
La Corte non intende affrontare i temi legati alla ricostruzione
fattuale dei processi di lavorazione in atto all'interno della
raffineria. Si tratta di questione sottratta al giudice di legittimità:
essa attiene alla valutazione del materiale probatorio ed è stata
affrontata dalla motivazione in maniera per la gran parte coincidente
con quella prospettata dai ricorrenti e, comunque, scevra da vizi
logici o contraddizioni. Sul punto si rinvia alla sentenza della
Seconda Sezione Penale della Corte, 5 maggio-7 giungo 2006, n.19584,
Capri ed altra (rv 233773, rv 233774, rv 233775) e alla sentenza della
Sesta Sezione Penale, 24 marzo-20 aprile 2006, n.14054, Strazzanti (rv
233454), che confermano e attualizzano i principi fissati in tema di
limiti del sindacato di legittimità dalla giurisprudenza delle Sezioni
Unite Penali fin dalla sentenza n.2120, del 23 novembre 1995-23
febbraio 1996, Fachini (rv 203767).
8. Spetta, invece, alla Corte valutare se il Tribunale abbia
correttamente applicato a tale ricostruzione i principi di diritto
sopra illustrati in tema di rapporto fra la normativa in tema di
rifiuti e quella in tema di emissioni.
Ora, sembra alla Corte di poter affermare, seguendo la ricostruzione
operata dal Tribunale, che il processo produttivo in senso stretto (e
cioè la progressiva raffinazione di diversi prodotti petroliferi
"leggeri" partendo dalla più "pesante" materia prima lavorata) e i
processi termici necessari alla qualità degli strumenti produttivi
(come la combustione del coke generato sulle grate utilizzate
dall'impianto Cracking catalitico) causano la formazione di gas che
deve essere eliminato mediante immissione in atmosfera. Sempre secondo
la ricostruzione del Tribunale, tali gas presentano impurità e
contengono sostanze che sono molto pericolose per la qualità dell'aria
e la salvaguardia dell'ambiente, con la conseguenza che le normative
vigenti in tema raffinerie (si veda l D.M.12 Luglio 1990, infra, punto
10 e seguenti) e le autorizzazioni all'attività della raffineria di
Gela impongono il passaggio dei gas attraverso processi ulteriori di
combustione al fine di separare le sostanze inquinanti e immettere in
atmosfera sostanze aeriformi quanto piu' possibile "pulite".
E' a questo punto che si pone il problema interpretativo che la
sentenza impugnata ha risolto nel senso di ravvisare in queste attività
intermedie delle fasi essenziali al funzionamento degli impianti, ma
non all'attività tipica dello stabilimento (la raffinazione del
greggio) e, dunque, attività che servono a smaltire i rifiuti gassosi
che vengono prodotti dall'attività tipica.
9. La Corte non condivide l'impostazione e le soluzioni adottate sul
punto dal Tribunale di Gela. Appare evidente che i residui solidi della
raffinazione (ad esempio il coke), oppure i residui solidi delle
attività di postcombustione (ad esempio lo zolfo) assumono le
caratteristiche proprie del "rifiuto" se non reimpiegati integralmente
nel ciclo produttivo, ad esempio, per generare energia, oppure se non
trattati e ceduti come prodotto commerciale (e ciò può valere per lo
zolfo) oppure affidati a terzi a fini di successivo smaltimento. Lo
stesso potrebbe dirsi per i liquidi eventualmente residuanti al termine
del ciclo produttivo, siano essi l'acqua di lavaggio o eventuali scarti
di lavorazioni non ulteriormente impiegati.
La medesima logica non risulta, invece, applicabile ai gas presi in
esame dalla sentenza. Quei gas sono stati considerati dalle
autorizzazioni regionali, in conformità con la normativa comunitaria e
nazionale in vigore, proprio perché potenzialmente inquinanti, e come
tali, sono stati fatti oggetto di prescrizioni volte a ridurre le
impurità e le sostanze inquinanti in essi contenute, in modo da rendere
l'immissione in atmosfera compatibile con la disciplina citata.
10. A tale proposito la Corte osserva che il fondamentale D.M. 12
Luglio 1990, che contiene le linee guida in tema di emissioni
nell'atmosfera procurate da impianti industriali, prevede disposizioni
specifiche con riferimento:
1) in via generale (impianti di combustione con potenza termica
inferiore a 50 MW):
- agli impianti di postcombustione, destinati a depurare gli scarichi
gassosi, purchè non gestito come impianto indipendente (Allegato 2,
punto 1);
- ai dispositivi di rigenerazione dei catalizzatori di cracking
catalitico (c.s.)
- agli impianti Claus per la produzione di zolfo (punto 30)
2) con riferimento alle raffinerie di olii minerali (A11.3 B ss.):
- alle emissioni inquinanti provenienti da raffinerie autorizzate
(punto 1)
- alla disciplina dei singoli "punti di emissione, ciascuno dei quali,
indipendentemente dal processo che vi si svolge, va valutato
individualmente con riferimento ad alcuni dei valori massimi (punto 8)
- agli impianti Claus
(presenza di postcombustione; conversione operativa dello zolfo; valori
di emissione e di conversione - punto 9)
- agli inceneritori (punto 10)
- ai valori di emissione negli impianti di combustione (punto C.3)
- ai sistemi di stoccaggio e gestione dei gas mediante raccolta e
postcombustione (punto D.1)
- alla raccolta e convogliamento degli effluenti gassosi al fine di essere rimessi nel processo, oppure combusti ai fini del processo o, in ultima ipotesi, inviati ad un bruciatore a torcia (punto D.2)
- alla gestione dei gas
nelle apparecchiature di riduzione della pressione, destinati ad essere
raccolti e trattati come al punto che precede (punto D.3)
- alla destinazione alla postcombustione dei gas "derivanti dai
processi, dalla rigenerazione catalizzatori, dalle ispezioni, dalle
operazioni di pulizia" (punto D.4)
11. Come risulta evidente da questo sintetico elenco, la disciplina
delle emissioni prodotte dagli impianti di raffinazione di olii
minerali si occupa in dettaglio sia degli impianti Claus, sia dei
bruciatori a torcia, sia degli altri impianti di postcombustione e di
incenerimento. E non solo, perché risulta evidente che la medesima
disciplina si occupa anche dei sistemi di stoccaggio e di raccolta dei
gas e dei sistemi di riduzione della pressione (cioè il sistema
T.A.S.): il che significa che, ai sensi dell'allegato 3.B, la
disciplina in tema di emissioni delle raffinerie di olii minerali si
dirige espressamente anche ai gas temporaneamente raccolti e stoccati
all'interno dell'impianto in attesa del successivo trattamento diretto.
Ciò impedisce, per quanto detto in precedenza, che quei gas possano
essere ricondotti al concetto di "rifiuto".
12. Inoltre, va escluso, e del resto tale sembra essere la valutazione
del Tribunale nella prima parte della decisione, che l'attività
produttiva presso la raffineria di Gela mancasse delle autorizzazioni
prescritte per le attività che provocano emissioni in atmosfera, oppure
abbia operato in violazione delle stesse. Al contrario, la stessa
sentenza pare affermare che la gestione degli impianti di trattamento
dei gas è stata effettuata senza distaccarsi dalle previsioni e senza
superare i valori contenuti nelle autorizzazioni rilasciate dalla
Regione Sicilia. A tal proposito, infine, non emergono dalla sentenza
impugnata elementi che lascino pensare che tali autorizzazioni siano
state rilasciate in contrasto con la normativa vigente.
13. Per quanto fin qui esposto la Corte conclude che i motivi di
ricorso relativi al capo B) della rubrica debbono essere accolti e la
sentenza annullata senza rinvio perché il fatto come contestato "non
sussiste".
14. Tutto ciò premesso, la Corte ritiene di poter affermare il seguente
principio: gli effluenti gassosi destinati ad essere immessi
nell'atmosfera, direttamente o previa combustione, al termine di
attività produttive non costituiscono "rifiuto"; ad essi si applica la
disciplina specificamente prevista dalla Parte quinta del decreto
legislativo n.152 del 2006, che ha incluso quella anteriormente
contenuta nel d.P.R. 24 maggio 1988, n.203. Possono costituire
"rifiuto" le sostanze gassose qualora ai fini dello smaltimento siano
immesse, da sole o insieme ad altra sostanza, in contenitori, oppure
quegli effluenti gassosi che vengono stoccati e quindi smaltiti a mezzo
di impianto "indipendente" rispetto a quello ove sono stati generati
nel corso di attività produttiva.
5. Il reato previsto dall'art.674 c.p. (capo C)
5.A - La sentenza del Tribunale
La contestazione mossaci ricorrenti con riferimento alla
contravvenzione prevista dall'art.674 c.p. è quelle di avere, operando
senza le prescritte autorizzazioni ai sensi "della legge n.203 del
1988" oppure in difformità da esse, e comunque tramite le condotte
contestate ai capi A e B, causato attraverso l'emissione di fumi e/o
polveri un inquinamento dell'aria che ha interessato l'abitato di Gela
e le zone limitrofe.
Il Tribunale, dato atto delle diverse soluzioni che la giurisprudenza
ha dato ai problemi interpretativi posti dalla norma, ha ritenuto di
accogliere l'impostazione secondo cui anche in presenza di
autorizzazioni amministrative un'attività produttiva può dare causa a
emissioni moleste e tali da integrare il reato contestato allorché le
emissioni superino la "normale tollerabilità" e risultino idonee ad
arrecare offesa al bene tutelato; il Tribunale ha altresì condiviso la
posizione che considera il reato in esame come reato di pericolo
presunto e prescinde dalla verifica di specifici effetti negativi sulla
salute delle persone o sulla qualità dell'ambiente.
Muovendo da tali valutazioni interpretative, la motivazione della
sentenza impugnata passa all'esame del materiale probatorio in atti e
conclude che l'impianto industriale ha emesso polveri e gas dall'odore
nauseabondo che hanno causato nausea, vomito, giramenti di testa,
bruciori agli occhi e alla gola, difficoltà respiratorie. Tali
circostanze hanno portato a segnalazioni alle autorità e a plurimi
interventi dei Carabinieri e dei tecnici della Provincia. La
motivazione illustra quindi le ragioni per cui tale situazione di fatto
può con certezza essere ricondotta alle attività della raffineria, e in
particolare ai sistemi T.A.S. ed alla torcia, in costanza di direzione
dello stabilimento da parte dei due ricorrenti. Il fatto che costoro,
inevitabilmente edotti delle molestie arrecate dagli scarichi
nell'atmosfera, non si siano attivati per eliminarne le conseguenze,
rappresenta a parere del Tribunale un elemento di responsabilità sotto
il profilo del dolo eventuale.
5.B - Le valutazioni della Corte
La Corte rileva che per quanto esposto con riferimento al reato
previsto dal capo B) deve escludersi che la raffineria AGIP di Gela
operasse in assenza delle prescritte autorizzazioni concernenti le
emissioni nell'atmosfera; parimenti deve escludersi che la raffineria
abbia superato i livelli prescritti. Ciò porta a concludere che sul
piano della regolarità amministrativa va esclusa l'ipotesi che gli
odierni ricorrenti operassero "nei casi non consentiti dalla legge".
Ciò detto, questa Corte ritiene di non condividere l'impostazione della
sentenza impugnata, che collega la sussistenza della contestazione sub
C), da un lato, alla violazione della normativa in tema di rifiuti
(pag.46 della motivazione), violazione che, come si è visto deve
ritenersi non sussistente, e, dall'altro, alla considerazione che,
indipendentemente da tali violazioni, anche un'attività autorizzata e
svolta "legalmente" può integrare il reato in esame quando superi il
livello di "normale tollerabilità" previsto dall'art.844 del codice
civile.
A questo proposito, sembra necessario approfondire la questione
centrale posta dalla sentenza impugnata, e fermamente contestata dai
ricorrenti, e cioè la questione se la persona che gestisce un opificio
autorizzato e mantenga le emissioni all'interno dei limiti previsti
dall'autorizzazione possa comunque offendere il bene protetto
dall'art.674 c.p. e rispondere penalmente per non essersi attivato al
fine di eliminare gli effetti molesti collegabili all'attività
produttiva.
Sul punto questa Sezione della Corte ha avuto modo di pronunciarsi
recentemente.
Con sentenza n.33971, Bortolato, emessa a seguito dell'udienza del 10 Ottobre 2006, è stato affermato il principio che le emissioni operate in conformità delle autorizzazioni amministrative non integrano il reato previsto dall'art.674 c.p., in quanto il rispetto della normativa di settore integra una presunzione di legittimità.
Con la sentenza n.21814 dell'11 maggio-6 giugno 2007, Pierangeli (rv
236682), questa Sezione, nel ribadire dette conclusioni, ha peraltro
affermato il principio che si è in presenza di presunzione non
assoluta, nel senso che anche nel caso di rispetto delle autorizzazioni
possono residuare per il gestore degli impianti obblighi di ragionevole
attivazione. Si legge in motivazione:
"...
3. In sostanza, si rileva come la giurisprudenza abbia
fissato il principio secondo il quale il reato previsto dalla seconda
parte dell'art.674 c.p. (emissioni di gas, di vapori o di fumo) può
essere integrato dalle emissioni maleodoranti qualora queste abbiano
carattere non momentaneo e siano capaci di provocare un impatto
negativo, anche solo a livello psichico, sulle attività lavorative e di
relazione delle persone (tra le altre, Sezione. Terza Penale, n. 3678
del 1° dicembre 2005-31 gennaio 2006, Giusti, rv 233291).
Ciò detto, per le attività produttive occorre distinguere l'ipotesi che
siano svolte senza autorizzazione (perché non prevista o perché non
richiesta o ottenuta) oppure in conformità alle previste
autorizzazioni. Nella prima ipotesi, il contrasto con gli interessi
protetti dalla disposizione di legge vanno valutati secondo criteri di
"stretta tollerabilità" senza poter fare riferimento alla "normale
tollerabilità" delle persone quale si ricava dal contenuto dell
'art.844 c.c. (per tutte, Sezione Terza Penale, sentenza n.11556 del 21
febbraio-31 marzo 2006, Davito Bava, rv 233565). Occorre, in altre
parole, procedere ad una libera e attenta valutazione delle conseguenze
che le emissioni producono sull'area esterna all'azienda e sulle
persone che vi abitano o comunque operano.
4. Quanto, invece, l'attività produttiva si svolga secondo le
prescritte autorizzazioni, si è in presenza di una situazione che può
assumere rilevanza penale solo nella ipotesi che si verifichino
contrasti con la disciplina vigente (lettura, questa, che dà concreta e
puntuale applicazione all'espressione "nei casi non consentiti dalla
legge '). In particolare, la giurisprudenza ha fissato il principio
interpretativo secondo cui non sussiste rilevanza penale delle
emissioni quando esse siano inferiori ai limiti previsti da generali
disposizioni normative o dalle autorizzazioni in concreto rilasciate
(sentenze della Terza Sezione Penale n.33971 del 21 giugno-10 ottobre
2006, Bortolotto, rv 235056; n.8299 dell'8 gennaio-9 febbraio 2006,
Tortora, rv 233562; n.19898 del 21 aprile-26 maggio 2005, Pandolfìni,
rv 231651). Al di sotto di tali limiti, dunque, le emissioni non
integrano forme di responsabilità penale e possono solo dare corso
all'eventuale applicazione della disciplina fissata dal citato art.844
c.c.
Ed anche le decisioni che dal mancato superamento dei limiti, fissati
non fanno discendere in modo inevitabile la non rilevanza penale della
condotta, hanno cura di precisare che la tutela dei diritti delle
persone non può spingersi, in presenza di legittime autorizzazioni
rilasciate all'impresa, oltre il livello della concreta esigibilità
dell 'adozione di misure atte a prevenire ed evitare potenziali lesioni
o effettive conseguenze dannose. Si sostiene, in altri termini, che una
responsabilità può sussistere anche all'interno dei limiti ,fissati
qualora l'azienda non adotti quegli accorgimenti tecnici
ragionevolmente utilizzabili per ulteriormente abbattere l'impatto
sulla realtà esterna (si veda Sezione Terza Penale, sentenza n.38396
del 28 settembre-24 ottobre 2005, Riva e altri, rv 232359)."
L'applicazione di tali principi, che la Corte condivide, impone di
concludere che nessuna rilevanza penale ai sensi dell'art.674 c.p. può
essere attribuita alle emissioni, se contenute nei limiti previsti, con
riferimento ai valori fissati dalle autorizzazioni. Una simile
esclusione di responsabilità per la contravvenzione prevista
dall'art.674 c.p., tuttavia, opera con riferimento esclusivo ai valori
contemplati dalle autorizzazioni, ma non comporta affatto una generale
indifferenza per le ricadute delle emissioni sull'ambiente e sulle
persone; in altri termini, non esime l'impresa dal farsi carico di
altre e diverse situazioni offensive collegate alle emissioni.
Tale distinzione porta a considerare che per i profili non contemplati
dalle autorizzazioni residuano doveri di attenzione e di intervento del
gestore dell'impianto industriale, il quale può essere chiamato ad
adottare "quegli accorgimenti tecnici ragionevolmente
utilizzabili per ulteriormente abbattere l'impatto sulla realtà
esterna".
Se è vero che, nel caso della raffineria AGIP le emissioni di fumi e di
polveri non risultano avere superato i limiti fissati nelle
autorizzazioni, occorre rilevare che dette autorizzazioni non hanno in
alcun modo preso in esame le caratteristiche olfattive delle emissioni,
né fissato alcun limite sotto tale profilo.
Il fatto che l'ordinamento italiano non preveda una specifica
disciplina in tema di tollerabilità degli odori, non significa affatto,
a parere della Corte, che le imprese non abbiano alcun obbligo di
contenere le emissioni maleodoranti, soprattutto quando esse assumano
caratteristiche tali da produrre effettivi e non secondari disagi alle
persone. Sul punto appare opportuno ricordare che anche anteriormente
all'introduzione di una specifica disciplina in materia di emissioni
rumorose, la giurisprudenza fissò il principio secondo cui la
produzione di rumore poteva integrare il reato previsto dall'art.674
c.p.; si tratta di principio che fu espressione di tutela di valori
costituzionalmente garantiti, come lo stesso legislatore riconobbe
quando, probabilmente sollecitato proprio dalle pronunce giudiziarie,
ritenne di occuparsi in modo esplicito della materia.
Una analoga interpretazione del dato normativo è possibile, a parere
della Corte per quanto riguarda le emissioni maleodoranti (si veda la
sentenza emessa in data odierna da questa Sezione nel procedimento a
carico del Sig.Alghisi Federico e altro). Sotto questo profilo appaiono
certamente apprezzabili le argomentazioni in fatto e le valutazioni
contenute nella sentenza impugnata anche con riferimento ai fastidi
causati dall'odore pessimo delle emissioni della raffineria.
Tuttavia, la Corte deve rilevare che la contestazione mossa ai
ricorrenti al capo C) della rubrica non contempla in alcun modo
l'ipotesi esaminata dalla sentenza. Il capo C), infatti, richiamate le
(dalla Corte escluse) violazioni di cui ai capi A) e B), muove ai
ricorrenti l'accusa di avere "senza le necessarie autorizzazioni ai
sensi della legge 203/1998..., o comunque in violazione delle
prescrizioni autorizzative causato un inquinamento aeriforme dovuto al
riversamento di fumi e/o polveri all'esterno". Così contestato, a
parere della Corte, il fatto di cui al capo C) non sussiste: le
autorizzazioni ai sensi della legge (o più precisamente del d.P.R.
n.203 del 1988) erano state rilasciate e non risultano violazioni dei
limiti in esse fissate. Ciò porta ad escludere che le condotte dei
ricorrenti si pongano fuori dai "casi consentiti dalla legge" e che la
mera emissione di fumi e/o polveri possa assumere rilievo. Nessun altro
profilo di offesa ai beni tutelati dall'art.674 c.p. risulta
contestato, e l'esigenza di salvaguardare la corrispondenza tra
contestazione e decisum impedisce di introdurre
profili di responsabilità ulteriori.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non
sussiste.
Così deciso in Roma il 9 Ottobre 2007.