Cass. Sez. III n. 10804 del 12 Marzo 2019 (Cc 5 dic 2018)
Pres. Di Nicola Est. Liberati Ric. Cortese
Rifiuti.Beni demaniali e sequestro penale
La particolare natura dei beni facenti parte del demanio dello Stato, in cui sono comprese le aree di golena dei fiumi, non suscettibili di utile detenzione o possesso da parte dei privati in assenza di un titolo legittimante (ex art. 823, comma 1, cod. civ.), tanto che il prolungato possesso non ne determina, neppure se sorretto da buona fede, l’acquisto per usucapione ventennale, rende irrilevante la detenzione di fatto di tali aree, che quindi non fa sorgere il diritto alla loro restituzione, cosicché anche se esse, come nel caso in esame, siano state sottoposte a sequestro nei confronti dell’occupante abusivo, ciò non può far sorgere il diritto alla restituzione, in caso di dissequestro, a favore di quest’ultimo, che non potrebbe comunque legittimamente detenere od occupare tali aree (fattispecie relativa a richiesta di dissequestro di un’area golenale oggetto di deposito e smaltimento illecito di rifiuti, in violazione dell’art. 256, comma 1, d.lgs. 152/2006.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 23 luglio 2018 il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello cautelare proposto da Domenico Cortese, nei confronti dell’ordinanza del 27 aprile 2018 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con cui era stata respinta la richiesta del ricorrente, volta a ottenere il dissequestro di un’area golenale posta in territorio del Comune di Roma, via del Cappellaccio 73, sottoposta a vincolo in quanto oggetto di deposito e smaltimento illecito di rifiuti, in violazione dell’art. 256, comma 1, d.lgs. 152/2006.
Il Tribunale, nel dichiarare inammissibile l’appello del richiedente, ne ha rilevato la mancanza di interesse a ottenere il dissequestro, essendo stata sottoposta al vincolo cautelare un’area demaniale (facente parte della golena di un fiume), detenuta abusivamente e in via di mero fatto, non suscettibile di diritti da parte di privati, con la conseguente carenza di legittimazione e, con essa, anche di interesse, a ottenerne il dissequestro e la restituzione.
2. Avverso tale ordinanza il Cortese ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo, mediante il quale ha denunciato la violazione dell’art. 322 bis cod. proc. pen., esponendo che nel luglio 2016 aveva presentato richiesta di dissequestro finalizzata alla bonifica dei terreni, da eseguire sotto il controllo della polizia giudiziaria, che era stata regolarmente eseguita, al termine della quale aveva chiesto il dissequestro definitivo dell’area, respinta in considerazione dell’affidamento dell’area al Demanio e della mancanza di un valido titolo in capo al richiedente che ne legittimasse il possesso o la detenzione.
Tali rilievi, sulla base dei quali l’appello cautelare era stato dichiarato inammissibile per carenza di interesse, risultavano, però, erronei, in quanto egli, nella duplice veste di imputato e di persona alla quale le cose erano state sequestrate, era legittimato a presentare appello. La occupazione abusiva dell’area, nella quale peraltro il ricorrente risiedeva da oltre dieci anni, era irrilevante quanto al suo diritto a ottenerne la restituzione, essendo l’area stata bonificata ed essendo, pertanto, venute meno le ragioni che avevano determinato la apposizione del vincolo, non essendo, tra l’altro, mai state avanzate richieste di rilascio da parte del Demanio, al quale aveva anche presentato richiesta di concessione dell’area.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è manifestamente infondato.
2. La dichiarazione di inammissibilità dell’appello, fondata sulla carenza di interesse del ricorrente, in quanto privo di legittimazione a chiedere e ottenere il rilascio dell’area sottoposta al vincolo, in conseguenza della sua appartenenza al Demanio fluviale dello Stato, è pienamente corretta, risultando irrilevante, in ragione della natura del bene e della mancanza di qualsiasi elemento circa la sua eventuale sdemanializzazione, la prolungata occupazione dell’area da parte del ricorrente.
Non è contestato, in punto di fatto, che l’area sottoposta a sequestro, in quanto rientrante nella golena del fiume Tevere, appartiene al Demanio fluviale dello Stato, ai sensi dell’art. 822 cod. civ.
Correttamente, dunque, il Tribunale, nel dichiarare inammissibile per difetto di interesse l’appello cautelare proposto dal ricorrente, avverso il diniego della restituzione dell’area, che il ricorrente ha anche provveduto a bonificare, ha giudicato irrilevante la precedente detenzione di fatto e in assenza di titolo dell’area sottoposta a sequestro e oggetto della richiesta di restituzione, che il ricorrente non potrebbe, in assenza di un valido titolo concessorio, nella specie mancante, legittimamente detenere o occupare.
La particolare natura dei beni facenti parte del demanio dello Stato, in cui sono comprese le aree di golena dei fiumi, non suscettibili di utile detenzione o possesso da parte dei privati in assenza di un titolo legittimante (ex art. 823, comma 1, cod. civ.), tanto che il prolungato possesso non ne determina, neppure se sorretto da buona fede, l’acquisto per usucapione ventennale, rende irrilevante la detenzione di fatto di tali aree, che quindi non fa sorgere il diritto alla loro restituzione, cosicché anche se esse, come nel caso in esame, siano state sottoposte a sequestro nei confronti dell’occupante abusivo, ciò non può far sorgere il diritto alla restituzione, in caso di dissequestro, a favore di quest’ultimo, che non potrebbe comunque legittimamente detenere od occupare tali aree.
Ne consegue la correttezza del rilievo della carenza di interesse, oltre che di legittimazione, del ricorrente a dolersi del diniego della restituzione in suo favore dell’area sottoposta a sequestro e che occupava abusivamente, nella quale aveva anzi realizzato un deposito abusivo di rifiuti, trattandosi di area del demanio pubblico, con la conseguente manifesta infondatezza della sue doglianze.
3. Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a causa della manifesta infondatezza dell’unico motivo cui è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 5/12/2018