Cass. Sez. III n. 8684 del 28 febbraio 2019 (Up 30 ott 2018)
Pres. Sarno Est. Andronio Ric. Paterlini
Rifiuti.Gestore della discarica
Il d.lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. o), definisce come “gestore della discarica”, «il soggetto responsabile di una qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa», ricomprendendo in tale categoria sia il titolare dell’autorizzazione, sia i soggetti che partecipano in concreto a una o più fasi della gestione.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del 5 dicembre 2016, il Tribunale di Reggio Emilia, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, ha condannato l’imputato alla pena di 20.000,00 euro di ammenda, per il reato di cui all’art. 29-quaterdecies, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, perché, in qualità di procuratore speciale di Iren Ambiente s.p.a., con atto di nomina del 27/07/2010 e con delega a curare il rispetto delle norme in tema di inquinamento ambientale, nonché titolare di autorizzazione integrata ambientale, rilasciata in data 12/07/2013, in relazione alla discarica di Poiatica del Comune di Carpineti, non aveva osservato l’obbligo di cui al punto 2.10, quinto capoverso, dell’allegato n. 1 del d.lgs. n. 36 del 2003, che impone la copertura giornaliera dei rifiuti con strato di materiale protettivo (23 novembre 2014).
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si deduce la carenza di motivazione in relazione all’elemento soggettivo ed oggettivo della contravvenzione contestata, nonché in ordine alla posizione di garanzia del Paterlini.L’imputato non sarebbe stato legale rappresentante di Irens.p.a. nella data oggetto di contestazione, mentre sarebbe stato tratto in giudizio in qualità di procuratore speciale e il Tribunale avrebbe omesso di motivare in ordine alla sussistenza dei requisiti in forza dei quali un procuratore speciale, delegato dal legale rappresentante, possa essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 29-quaterdecies del d.lgs. n. 152 del 2006.
2.2. – Si censura, in secondo luogo, la mancanza di motivazione in relazione all’esistenza e all’efficacia, nell’ambito dell’organizzazione aziendale di Irens.p.a., di deleghe specifiche riferite sia alla gestione degli impianti di discarica esistenti nel territorio provinciale di Reggio Emilia, sia alla gestione dell’impianto Poiatica di Carpineti.Secondo la difesa, dalle testimonianze dell’ingegnere Giachetti e del geometra Melioli, emergerebbe una struttura organizzativa piramidale, in base alla quale il Paterlini sarebbe solo un procuratore speciale, il quale non presiederebbe alla gestione e al controllo della discarica di Poiatica. Inoltre, il fatto contestato, del 23 novembre 2014, sarebbe frutto di un singolo episodio, causato da un operatore che avrebbe omesso di applicare le coperture sui rifiuti della discarica e per il quale non vi sarebbe stata alcuna motivazione da parte della Tribunale.
2.3. – Con un terzo motivo di ricorso, si rilevano la carenza e la contraddittorietà della motivazione quanto all’affermazione della responsabilità penale per un fatto diverso da quello contestato dal pubblico ministero. Si sostiene che l’autorizzazione del 12 luglio 2013, indicata nel capo d’imputazione, non sarebbe quella vigente alla data del 23 novembre 2014, tempuscommissidelicti, in quanto sarebbe stata modificata più volte e con più atti, fino all’ultimo datato 17 ottobre 2014. Tutti questi provvedimenti autorizzativi sarebbero stati vigenti al momento del fatto e non sarebbero stati oggetto di contestazione né di motivazione da parte del Tribunale, che avrebbe dovuto tenere conto del fatto che l’elemento oggettivo del reato consiste proprio nella mancata osservazione delle prescrizioni autorizzative, vigenti al momento della contestazione. Si lamenta che il giudice di primo grado avrebbe affermato che i provvedimenti successivi al 12 luglio 2013 avevano modificato la struttura della discarica in quanto autorizzavano la realizzazione, al suo interno, di un vaglio a valle dell’impianto di triturazione già autorizzato – c.d. trattamento dei rifiuti per operazioni D13 – e non assoggettato alla disciplina del d.lgs. n. 36 del 2003, che riguarderebbe solo la discarica dei rifiuti. Il pubblico ministero non avrebbe mai contestato all’imputato di aver violato il provvedimento autorizzativo nello svolgimento del trattamento dei rifiuti, mentre il Tribunale non solo avrebbe considerato esclusivamente le operazioni D13, mai contestate, ma avrebbe anche erroneamente ritenuto che si fosse violata l’autorizzazione del 6 ottobre 2014, anch’essa mai contestata, affermando la responsabilità dell’imputato per un fatto diverso da quello riportato nel capo d’imputazione.
2.4. – Con un quarto motivo di doglianza, si lamentano vizi di motivazione in relazione all’omessa considerazione di elementi di prova decisivi per l’individuazione degli obblighi gravanti su Irens.p.a., in base all’autorizzazione integrata ambientale vigente al momento del fatto.Dal provvedimento autorizzativo del 6 ottobre 2014, vigente, secondo la difesa, alla data del 23 novembre 2014, si desumerebbe che l’Irens.p.a.era autorizzata all’installazione «sul fronte di discarica» di un trattamento consistente nella triturazione, deferizzazione e vaglio del rifiuto, funzionale a separare la frazione secca da quella umida. L’impianto in esame, comprensivo della sua area di lavorazione, non sarebbe una discarica, in quanto non depositerebbe materiale sul suolo, e non sarebbe assoggettato alla disciplina del d.lgs. n. 36 del 2003. L’autorizzazione richiamata dalla difesa non prescriverebbe alcuna copertura dei rifiuti presenti nell’area ove si svolgono le operazioni di triturazione e di vaglio, ma si riferirebbealla presenza di emissioni odorigene, con relativa sospensione in caso di ripetute segnalazioni.
2.5. – Col quinto motivo di doglianza, si deducono la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla copertura dei rifiuti mediante “biostabilizzato”.Il Tribunale avrebbe erroneamente applicato la delibera della Giunta della Regione Emilia-Romagna n. 1996 del 2006, ritenendo di poter inferire elementi di prova contrari all’avvenuta copertura da elementi visivi e non analitici. Secondo la difesa, il teste Benassi, tecnico dell’ARPA, che aveva riferito di rifiuti coperti con materiale illecito, non dovrebbe essere ritenuto fonte credibile, in quanto non sarebbe stato in grado di distinguere le caratteristiche del “biostabilizzato”, mentre non si sarebbe tenuto conto delle dichiarazioni dell’ingegnere Giachetti, che avrebbe riferito di un’avvenuta copertura dei rifiuti con tale materiale.
2.6 − Si lamenta, infine, la violazione degli artt. 133 e 62 bis cod. pen., in quanto il Tribunale avrebbe erroneamente applicato una pena pari a 20.000,00 euro di ammenda, vicina al massimo edittale previsto per il reato di cui al capo d’imputazione, a fronte di un singolo episodio contestato. Inoltre, sarebbe stato violato l’art. 62 bis cod. pen., in quanto non sarebbero state concesse le attenuanti generiche, a causa della condotta processuale dell’imputato che si era opposto al decreto penale di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è fondato limitatamente al sesto motivo di ricorso.
3.1 – Il primo motivo di doglianza è inammissibile. Come ben evidenziato dal Tribunale, il ruolo di procuratore speciale rivestito dall’imputatocomporta una sua responsabilità rispetto alle prescrizioni previste in tema di gestione dei rifiuti. Egli, infatti, era il soggetto espressamente delegato ad effettuare quella peculiare attività sulla discarica di Poiatica del Comune di Carpineti, essendo espressamente delegato a tali adempimenti. E risultano del tutto generiche le contestazioni difensive relative a pretesi vizi della delega di funzioni, peraltro meramente ipotizzati, essendo pacifico che Paterlini fosse il soggetto che anche in concreto si occupava della discarica, ed essendo irrilevanti in questa sede eventuali profili di corresponsabilità in capo al legale rappresentante della società.
3.2. – Le considerazioni appena svolte valgono anche in riferimento al secondo motivo di doglianza, riferito alla struttura aziendale. Come già evidenziato, lanatura piramidale delle funzioni di controllo nell’ambito della società Iren, all’interno della quale, secondo la difesa, l’imputato sarebbe subordinato rispetto a soggetti gerarchicamente superiori, risulta meramente asserita e, anzi, puntualmente smentita dal tenore letterale della delega di funzioni, quale emerge dall’imputazione, nonché dagli accertamenti effettuati circa l’attività in concreto da lui svolta. Deve in ogni caso ricordarsi che ild.lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. o), definisce come “gestore della discarica”, «il soggetto responsabile di una qualsiasi delle fasi di gestione di una discarica, che vanno dalla realizzazione e gestione della discarica fino al termine della gestione post-operativa compresa», ricomprendendo in tale categoria siail titolare dell’autorizzazione, sia i soggetti che partecipano in concreto a una o più fasi della gestione. (Sez. 3, n. 9614 del 27/11/2013, Ballauri, Rv 258729; Sez. 3, n. 7241 del 09/01/2014, Del Carlo, Rv. 258934). Deve considerarsi, inoltre, del tutto generica la censura difensiva vertente sulla singolarità dell’episodio contestato, in quanto non vengono specificate le ragioni per le quali debba imputarsi la negligenza della mancata copertura a un singolo, non meglio precisato, operatore della società diverso dall’imputato, così che l’operato di quest’ultimo possa ritenersi esente da colpa.
3.3. – Il terzo motivo di doglianza è infondato. Come affermato dal Tribunale, le autorizzazioni integrate ambientali successive a quella del 12 luglio 2013, oggetto di contestazione, non sono state sostitutive di quest’ultima, perché contengono prescrizioni integrative che implicano, in ogni caso, l’obbligo di copertura a fine giornata dei rifiuti per gli impianti e le discariche. E il fatto è stato contestato quale violazione dell’autorizzazione del 12 luglio 2013, perché era tale provvedimentoad indicarepuntualmentegli obblighi poi violati dall’imputato.
3.4. – Il quarto motivo di doglianza è anch’esso infondato.Il d.lgs. n. 36 del 2003, ai fini della sussistenza degli obblighi in capo ai soggetti responsabili della discarica, non esclude, da tali adempimenti, eventuali vagli posti a valle di un impianto di triturazione; anzi, al punto 2.10 dell’allegato 1, prevede espressamente che i rifiuti che possano emanare miasmi, debbano essere «al più presto» ricoperti con materiale idoneo e vi debba essere un’adeguata copertura giornaliera. Né il trattamento D1 (deposito sul suolo), né quello D13 (raggruppamento preliminare), pur essendo previsti negliatti richiamati dalla difesa, escludono l’obbligo di copertura del rifiuto, previsto, per il caso di specie, dall’autorizzazione del 12 luglio 2013. E del tutto generica, oltre che puntualmente smentita dall’istruttoria, è la censura relativa al fatto che l’area in questione non sarebbe una discarica.
3.5. – Il quinto motivo di doglianza è inammissibile.In tema di copertura dei rifiuti mediante materiale biostabilizzato, la difesa genericamente richiama la delibera della regione Emilia-Romagna n. 1996 del 2006, che regolamenta l’utilizzo dello stesso, ma non specifica quali disposizioni e quali requisiti sia applicherebbero in concretoai fini della predisposizionedella copertura del rifiuto. Come ben sottolineato dal Tribunale, i testimoni sentiti in dibattimento hanno chiaramente riferito di una mancata copertura in una determinata area della discarica. Lo stesso Giachetti, teste introdotto dalla difesa, ha contraddetto la sua affermazione sulla ritenuta copertura dei rifiuti, in quanto, in un secondo momento, ha affermato l’esistenza di un’area di lavorazione scoperta. Quanto al teste Benassi, deve rilevarsi che si tratta evidentementedi un soggetto dotato della competenza tecnica necessaria ai fini di una corretta individuazione del materiale idoneo alla copertura, la quale, come da lui confermato, non era sussistente nella discarica in questione.
3.6. – Il sesto motivo di doglianza è fondato.
Il Tribunale di Reggio Emilia si è limitato a negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in conseguenza dell’opposizione, da parte dell’imputato, al decreto penale di condanna; scelta processuale che deve invece ritenersi normale espressione del diritto di difesa e, dunque, di per sé neutra ai fini dell’individuazione dei presupposti di cui all’art. 62 bis cod. pen. Quanto, poi, alla pena, la sua determinazione in misura ben superiore rispetto al medio edittale avrebbe richiesto un’adeguata motivazione, non potendo ritenersi sufficiente il semplice generale richiamo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
4. – Da quanto precede consegue che sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al trattamento sanzionatorio e alle circostanze attenuanti generiche, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, al Tribunale di Reggio Emilia. Il ricorso deve essere resto rigettato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio e alle circostanze attenuanti generiche, e rinvia, per un nuovo giudizio sul punto, al Tribunale di Reggio Emilia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 30ottobre 2018.