Cass. Sez. III n. 21029 del 30 maggio 2022 (UP 28 apr. 2022)
Pres. Di Nicola Rel. Galterio Ric. Duca
Rifiuti.Caratteristiche della discarica abusiva

Nè l’eterogeneità, ancorchè di fatto spesso rinvenibile nell’ammasso dei rifiuti su una determinata area, né la natura pericolosa dei rifiuti che configura una specifica aggravante,  costituiscono elementi costitutivi della fattispecie contravvenzionale di discarica abusiva – irrilevante essendo pertanto il fatto che fossero sversati nella scarpata solo liquami e deiezioni animali provenienti dagli esemplari dell’allevamento di ovini, bovini ed equini gestito dall’imputato - ad integrare la quale concorrono invece l’accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la definitività del loro abbandono, l’estensione dell’area in tal modo occupata ed il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione.


RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 22.11.2021 la Corte di Appello di Messina ha integralmente confermato la pronuncia resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto che ha condannato Giuseppe Duca alla pena di sette mesi di arresto ed € 2.000,00 di ammenda in quanto responsabile del reato, ritenuto la violazione più grave, di cui all’art. 256 terzo comma d. lgs. 152/2006 per avere realizzato una discarica abusiva su una porzione, costituita da una vallata naturale, del terreno adibito a sede della propria azienda zootecnica nella quale venivano sversati le deiezioni degli animali (capo A), nonché del reato di cui al primo comma della medesima norma per aver abbandonato sul terreno una vecchia auto fuori uso (capo B), tra loro avvinti dal vincolo della continuazione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando cinque motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di erronea applicazione della legge penale, la mancata riqualificazione del fatto di cui al capo A) nella fattispecie criminosa di cui al primo (abbandono di rifiuti) o al secondo comma (deposito incontrollato di rifiuti) dell’art. 256 d. lgs. 152/2006 in ragione della natura omogenea e non pericolosa dei rifiuti costituiti dalle deiezioni degli animali e della mancanza di alcuna attività di gestione della discarica, così come di condizioni di degrado dello stato dei luoghi. Contesta in ogni caso sia l’estensione dell’area contestata come discarica non desumibile dalle sommarie indicazioni fornite dal teste Prizzi che aveva fatto riferimento alla superficie complessiva lorda senza considerare che in essa non potevano essere ricomprese le estese porzioni di terreno all’interno della vallata non interessate da alcuno sversamento, sia la durata della condotta non evincibile dal dato quantitativo degli sversamenti, mai accertato né dalle fotografie scattate dai verbalizzanti le cui aree più scure potevano essere costituiti  da semplice terra.
2.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 255 e 256 d. lgs. 152/2006 e al vizio motivazionale, tanto la natura di rifiuto dell’autovettura rinvenuta sul terreno desunta dalle sole immagini fotografiche senza alcuna verifica delle sue potenzialità di funzionamento a seguito di un intervento di pulizia e manutenzione, quanto la sua riconducibilità ad alcuna delle ipotesi criminose previste dal primo comma dell’art. 256 del T.U.I. tutte caratterizzate da un’attività di gestione. Sostiene invece la sua sussumibilità, non essendo in ogni caso il mezzo attinente all’attività di allevamento di animali svolta dall’imputato sull’area in questione, nella previsione dell’art. 255 che punisce con la sola sanzione amministrativa il privato che abbandoni episodicamente un proprio rifiuto trasportandolo nel luogo ove verrà abbandonato, nel quale non vi era traccia di alcuna attività di raccolta e raggruppamento di altri veicoli, essendo comunque la condotta occasionale priva di rilevanza penale.
2.3. Con il terzo motivo lamenta la mancanza di motivazione sulla richiesta formulata espressamente dalla difesa delle attenuanti generiche, che imponeva anche in caso di diniego l’esplicitazione delle relative ragioni.
2.4. Con il quarto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli artt. 81, 132 e 133 cod. proc. pen. e 256, primo comma lett. a) d. lgs. 152/2006 e al vizio motivazionale, l’illegalità della pena essendosi la Corte di appello limitata a confermare la pronuncia di primo grado che aveva effettuato una quantificazione complessiva senza alcuna distinzione tra pena base ed aumento ai fini della continuazione che conseguentemente non poteva ritenersi essere stato applicato in misura contenuta come apoditticamente affermato dalla sentenza impugnata posto che mentre il terzo comma dell’art. 256 ove il reato di cui al capo A) fosse stato ritenuto il più grave, prevede la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, il primo comma contempla le medesima sanzioni in via alternativa. Adduce conseguentemente la violazione del principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 40983/2018, secondo il quale se il reato più grave è punito con la pena congiunta e quelli satellite con la pena alternative l’aumento può essere applicato su una soltanto delle sanzioni previste per il crimine più grave, laddove nella fattispecie era stato applicato tanto in relazione all’arresto che all’ammenda.
2.5. Con il quinto motivo lamenta in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 163 cod. pen. al vizio motivazionale, la mancanza di risposta alla richiesta espressamente formulata dalla difesa della sospensione condizionale della pena. deduce,


CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Il primo motivo, compendiandosi in censure reiterative delle medesime doglianze articolate con il ricorso in appello in assenza di alcun confronto argomentativo con i rilievi spesi dai giudici del gravame, deve essere dichiarato inammissibile.
La definizione giuridica di discarica è rinvenibile nel D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 2, comma 1, lett. g), ove si afferma che trattasi di un’area "adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno". Aggiunge la richiamata disposizione che "sono esclusi da tale definizione gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero, trattamento o smaltimento, e lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni come norma generale, o lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore a un anno", consentendo così, grazie all'indicazione del dato temporale, di distinguere la discarica da altre attività di gestione.
Muovendo da tale definizione si è pervenuti all’elaborazione giurisprudenziale dell’istituto che con univoca interpretazione ritiene che ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è necessario l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito o ricettacolo con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato (ex plurimis, Sez. 3, n. 18399 del 16/03/2017, Rv. 269914; Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Rv. 257996).
Dall’insieme delle suddette caratteristiche deriva che nè l’eterogeneità, ancorchè di fatto spesso rinvenibile nell’ammasso dei rifiuti su una determinata area, né la natura pericolosa dei rifiuti che configura una specifica aggravante,  costituiscono elementi costitutivi della fattispecie contravvenzionale in esame – irrilevante essendo pertanto il fatto che fossero sversati nella scarpata solo liquami e deiezioni animali provenienti dagli esemplari dell’allevamento di ovini, bovini ed equini gestito dall’imputato - ad integrare la quale concorrono invece l’accumulo, più o meno sistematico, ma comunque non occasionale, di rifiuti in un'area determinata, la definitività del loro abbandono, l’estensione dell’area in tal modo occupata ed il degrado, quanto meno tendenziale, dello stato dei luoghi per effetto della presenza dei materiali in questione. Caratteristiche queste tutte accertate nel caso di specie dai giudici distrettuali, senza che la difesa riesca a confutarne la sussistenza.
Del tutto inconferenti devono ritenersi, infatti, sia le contestazioni sulle dimensioni della discarica, indicata sin dal capo di imputazione in 800 mq. in corrispondenza di una vallata presente nella zona, la quale, quand’anche dovessero escludersi le aree intermedie non interessate, secondo la difesa, da alcun rifiuto, senza che neppure ne venga indicato il numero nè l’estensione, è comunque una superficie di ampie dimensioni morfologicamente caratterizzata da una depressione naturale del terreno nella quale si accumulavano masse di letame e di deiezioni animali, in parte provenienti da un tubo di scarico collegato con le stalle, in parte ivi sversati manualmente, sia le doglianze sulla ripetitività della condotta, di natura meramente contestativa, che non si confrontano con il dirimente rilievo svolto dalla Corte di appello in ordine all’ingente quantitativo rinvenuto dagli agenti del Nas e del Noe al momento del sopralluogo e alla ricostruzione temporale dagli stessi effettuata tramite le fotografie rinvenute su internet, scattate in diverse date a partire da numerosi anni addietro, sull’aumento delle superfici coperte dai rifiuti, segno inequivoco della ripetizione della condotta nel tempo e dunque dell’esclusione della sua occasionalità. Conseguentemente nessun pregio riveste l’eccepita riconducibilità del fatto al mero abbandono di rifiuti che la difesa invoca in termini soltanto astratti, senza cogliere il nucleo fondante la differenza tra le due figure contravvenzionali attesa la natura occasionale e discontinua di tale attività rispetto a quella, abituale o organizzata, di discarica, contraddistinta pertanto dalla ripetitività nel tempo delle attività di sversamento e del conseguente accumulo dei relativi materiali sulla medesima area (Sez. 3, n. 25463, 15 aprile 2004).
Né alcuna rilevanza può attribuirsi al fatto che nella specie non vengano svolte attività prodromiche o successive allo sversamento dei rifiuti perché ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata – condotta prevista dallo stesso legislatore come alternativa -, è sufficiente l'accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, Sentenza n. 39027 del 20/04/2018 - dep. 28/08/2018, Caprino, Rv. 273918, che ha precisato che trattasi di attività proprie di discariche correttamente autorizzate, ma non costituiscono elementi indispensabili per ritenere l'esistenza di una discarica abusiva, ben potendo l'autore del reato, come succede nella maggioranza dei casi, limitarsi a realizzare l'accumulo dei rifiuti).
2. Il secondo motivo deve ritenersi manifestamente infondato.
Va in primo luogo rilevato che la natura di rifiuto dell’auto accertata dai giudici di merito in ragione del fatto che la stessa fosse stata “per metà interrata”, indice eloquente del suo stato di abbandono, non può ritenersi contrastata dai rilievi di natura del tutto fattuale e, per vero, anche congetturale, secondo i quali il veicolo a seguito di interventi di pulizia e manutenzione “sarebbe potuta tornare in circolazione”. Va al riguardo chiarito che la nozione di rifiuto, desumibile dalla formulazione dell'art. 183, comma 1, lett. a), del testo unico attualmente vigente, comprende "qualsiasi sostanza o oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi." Sicché, quel che rileva ai fini della configurabilità del rifiuto non sono le intenzioni dell’agente, bensì il criterio oggettivo della destinazione naturale del bene all'abbandono, logicamente desunta dalla Corte peloritana dalle contingenze concrete, atteso che il fatto di averlo interrato lascia necessariamente desumere che si trattasse di un veicolo fuori uso (Sez. 3, Sentenza n. 22035 del 13/04/2010 - dep. 10/06/2010, Brilli, Rv. 247625).
Del resto, il d. lgs. 24 giugno 2003, n. 209, art. 3, comma 1, lett. b), "Attuazione della direttiva 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso", richiamato dal d. lgs. n. 152 del 2006, art. 231, definisce "veicolo fuori uso", un veicolo .... a fine vita che costituisce un rifiuto ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, e successive modifiche". Il successivo comma 2 recita: "Un veicolo è classificato fuori uso ai sensi del comma 1, lettera b): a) con la consegna ad un centro di raccolta, effettuata dal detentore direttamente o tramite soggetto autorizzato al trasporto di veicoli fuori uso o tramite il concessionario o il gestore dell'automercato o della succursale della casa costruttrice che ritira un veicolo destinato alla demolizione nel rispetto delle disposizioni del presente decreto (essendo comunque, considerato rifiuto e sottoposto al relativo regime, anche prima della consegna al centro di raccolta, il veicolo che sia stato ufficialmente privato delle targhe di immatricolazione, salvo il caso di esclusivo utilizzo in aree private di un veicolo per il quale è stata effettuata la cancellazione dal PRA a cura del proprietario); b) nei casi previsti dalla vigente disciplina in materia di veicoli a motore rinvenuti da organi pubblici e non reclamati; c) a seguito di specifico provvedimento dell'autorità amministrativa o giudiziaria; d) in ogni altro caso in cui il veicolo, ancorché giacente in area privata, risulta in evidente stato di abbandono". Da qui la correttezza del ragionamento della Corte di merito che non ha ritenuto di doversi soffermare sulle caratteristiche potenziali del veicolo a seguito di interventi di là da venire e che invece si è concentrata sulla individuazione degli elementi sintomatici dello stato e della volontà di abbandono del mezzo, ampiamente avvalorati dalla documentazione fotografica in atti.
Quanto all’ulteriore profilo di doglianza, la tesi difensiva, secondo la quale la condotta in contestazione sarebbe sussumibile nell’ambito dell’abbandono dei rifiuti penalmente irrilevante, prescinde integralmente dalle caratteristiche soggettive dell’agente che in tanto può rispondere dell’illecito amministrativo di cui all’art. 255 d. lgs. 152/2006 in quanto non rientri fra i soggetti di cui all’art. 256, secondo comma, e dunque non sia titolare di una impresa né responsabile di un ente, stante la clausola di salvezza contenuta nella stessa norma, che esclude che possa rivestire la posizione di soggetto attivo chiunque abbandoni rifiuti nell'ambito di una attività economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell'attività medesima. Non essendo in contestazione la titolarità in capo all’imputato dell’azienda zootecnica esercente attività di allevamento di animali, nessun pregio riveste l’allegazione, anch’essa del tutto fattuale, che l’auto non rientrasse nell’attività di allevamento, né che si trattasse di un unico rifiuto escludente l’attività di raccolta sanzionata dall’art. 256. Va infatti rilevato che intanto il deposito occasionale di rifiuti può integrare un mero illecito amministrativo in quanto si tratti di un’attività episodicamente svolta da soggetti non titolari di imprese né responsabili di enti che effettuano una delle attività di cui al primo comma dell’art. 256 d. lgs. 152/2006, configurando altrimenti una gestione non autorizzata di rifiuti, comunque rientrante, così come il trasporto, tra le condotte sanzionate dalla norma suddetta.
3. Di nessuna censura è passibile l’omessa pronuncia sulle attenuanti generiche posto che la generica richiesta contenuta nell’atto di appello priva di alcun elemento di segno positivo o comunque volto a suffragare la meritevolezza del beneficio invocato non imponeva ai giudici del gravame alcuna pronuncia trattandosi di un motivo ab origine inammissibile. Dovendo infatti l’omessa risposta esser letta in relazione al contenuto della doglianza medesima con la quale il Duca si era limitato a richiedere l’applicabilità delle circostanze ex art. 62 bis sic et simpliciter, non soltanto non era affatto necessaria la esplicita motivazione del rigetto a fronte di un’istanza che non concerne un diritto automatico dell’imputato, presupponendo invece il riconoscimento, in positivo, di elementi tali da giustificare la diminuzione della pena rispetto al prefissato arco edittale, ma difetta altresì l’interesse alla presente impugnativa in sede di legittimità in quanto l'eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (così ex multis Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019 - dep. 18/11/2019, Bercigli, Rv. 277281).
Anche il terzo motivo deve pertanto ritenersi inammissibile.
4. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per il quarto motivo afferente al trattamento sanzionatorio, ovverosia ad un profilo della rejudicanda riservato all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e, come tale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità all’infuori delle ipotesi in cui la determinazione della pena sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
Evenienza questa certamente non ricorrente nel caso di specie avendo i giudici del gravame chiarito che la pena base era stata determinata già dal primo giudice in corrispondenza del minimo edittale previsto per il reato più grave, necessariamente identificabile in ragione dell’arco edittale previsto ex lege, nella contravvenzione di cui al capo A), pari a sei mesi di arresto ed € 2600 di ammenda. Prevedendo il reato satellite la pena alternativa dell’arresto o della ammenda, è chiaro che, essendo stata la pena complessiva quantificata in sette mesi di arresto ed € 3.000,000 di ammenda, l’aumento, applicabile ai fini della continuazione esclusivamente ad una delle due sanzioni, sia stato effettuato sulla sola pena detentiva nella misura di un mese, derivandone per l’effetto che la pena pecuniaria di € 3.000, che si discosta con uno scarto pressocchè insignificante dal minimo edittale, fosse già stata quantificata in tale misura per il reato sub A).
5. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi anche per il quinto motivo.
La genericità delle doglianze articolate dalla difesa che nulla dice sulle effettive ragioni che avrebbero consentito al prevenuto di beneficiare dell’invocata sospensione condizionale della pena non consente di censurare l’omessa pronuncia della Corte distrettuale, la quale, restando silente sul punto, ha implicitamente valutato l’insussistenza dei presupposti necessari all’accoglimento della richiesta.
Risulta, del resto, dal certificato del Casellario giudiziario presente nel fascicolo che il Duca abbia già usufruito per ben tre volte del beneficio ex art. 163 cod. pen. riconosciutogli con sentenza della Pretura di Messina del 14.5.1993, con condanna pronunciata dal Tribunale di Barcellona di Pozzo di Gotto del 7.7.2005 e con pronuncia della Corte di appello di Messina del 21.11.2006.
Conseguentemente deve ribadirsi il principio, già affermato da questa Corte in relazione alla sussistenza delle cause ostative di cui all’art. 164 secondo comma cod. pen., secondo cui il giudice non ha l'obbligo di motivare il diniego della sospensione condizionale della pena quando essa non sia concedibile per difetto dei presupposti di legge (Sez. 3, Sentenza n. 6573 del 22/06/2016 - dep. 13/02/2017, Rv. 268947), valevole anche in presenza delle preclusioni di cui al quarto comma ricorrenti nel caso di specie, a differenza di quanto accade allorquando il rigetto dell’invocato beneficio sia correlato all’esito negativo del giudizio prognostico di cui al primo comma che, in quanto rimesso alla discrezionalità del giudicante, postula l’esplicitazione delle ragioni ritenute rilevanti ai fini del diniego in quanto sindacabili sul piano della logicità e della mancanza di arbitrarietà.
All’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso il 28.4.2022