Cass. Sez. III n. 21146 del 16 maggio 2013 (Ud 2 mag. 2013)
Pres. Teresii Est. Ramacci Ric. Galvagni
Rifiuti. Conferimento in discarica e criteri di ammissibilità del rifiuto

Le disposizioni che individuano i criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica hanno, come finalità esclusiva, quella di verificare la conferibilità in discarica del singolo rifiuto previo accertamento delle caratteristiche e della loro rispondenza ai requisiti normativamente fissati, il che non consente di estenderne l'ambito di applicazione in momenti successivi a quello del conferimento. Tali disposizioni, peraltro, non prevedono alcuna sanzione di nullità o inutilizzabilità in caso di inosservanza ed hanno pertanto carattere ordinatorio. Deve inoltre ritenersi possibile che la verifica circa l'ammissione, in una discarica di inerti, di rifiuti che non soddisfano i criteri normativamente individuati possa essere effettuata, dopo il  conferimento, non soltanto mediante accertamento analitico, ma anche attraverso l'utilizzazione di ogni elemento di prova valutabile dal giudice.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. TERESI Alfredo - Presidente - del 02/05/2013
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere - SENTENZA
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 1350
Dott. ANDREAZZA Gastone - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. ANDRONIO Alessandro M. - Consigliere - N. 46233/2012
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GALVAGNI OSVALDO N. IL 27/08/1959;
avverso la sentenza n. 432/2010 CORTE APPELLO di TRENTO, del 20/04/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/05/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Trento, con sentenza del 20,4.2012, ha confermato la decisione con la quale, in data 13.4.2010, il Tribunale di Rovereto aveva ritenuto Osvaldo GALVAGNI responsabile dei reati di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 7, comma 2 e art. 256, comma 1, lett. a) e comma 3 perché, nella qualità di legale
rappresentante della "Alto s.a.s.", autorizzata all'esercizio di una discarica per inerti, ammetteva rifiuti con concentrazioni di antimonio, zinco e fluoruri superiori ai limiti di legge e non osservava le prescrizioni dell'autorizzazione, accogliendo un quantitativo di rifiuti eccedente quello massimo stabilito. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rilevando di aver sempre eccepito la violazione dell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen. al fine di evidenziare la inutilizzabilità di tutti gli accertamenti effettuati nell'ambito del procedimento in ragione del fatto che, al momento del loro compimento, egli doveva ritenersi già sottoposto ad indagini, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, in contrasto con quanto dimostrato dalla presenza, in atti, di una lettera con la quale l'amministrazione comunale segnalava alla Procura, due giorni prima del controllo, l'indagine che stava compiendo sulla discarica anche in relazione a diverso procedimento per il quale egli era indagato.
3. Con un secondo motivo di ricorso rileva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che la Corte territoriale, pur riconoscendo che l'effettuazione del campionamento dei rifiuti in discarica era stato effettuato senza osservare le disposizioni di cui al D.M. 3 agosto 2005, le ha ritenute applicabili alla sola caratterizzazione del rifiuto per l'ingresso in discarica e non anche per i rifiuti già conferiti, incorrendo pertanto nella violazione del decreto medesimo, il quale costituisce l'unica disposizione applicabile nella fattispecie, come confermato anche dai testimoni escussi nel corso dell'istruzione dibattimentale. 4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta che i giudici del gravame avrebbero immotivatamente ritenuto comunque rappresentativo il campione prelevato, pur in presenza di diverse conclusioni formulate dal consulente tecnico di parte.
5. Con un quarto motivo di ricorso osserva che nella discarica era possibile conferire diverse tipologie di rifiuti, ivi comprese quelle che la vigente normativa sottrae all'obbligo di analisi, con la conseguenza che il superamento delle concentrazioni di zinco, antimonio e fluoruri ben poteva essere riferita a tali materiali, mentre la sanzione penale sarebbe applicabile solo nel caso in cui il superamento dei limiti di concentrazione riguardi i rifiuti soggetti a preventiva verifica analitica.
6. Con un quinto motivo di ricorso deduce che la Corte del merito non avrebbe considerato la censura di inutilizzabilità delle analisi, su un campione raccolto il 7.8.2008, per l'inosservanza delle metodiche stabilite dal D.M. 3 agosto 2005, art. 5, comma 1, lett. b) e all. 3, punto 2.
7. Con un sesto motivo di ricorso denuncia la mancata considerazione, da parte dei giudici del gravame, dell'ulteriore censura di inutilizzabilità del campione prelevato il 9.3.2009 per violazione del citato D.M. e della norma UNI 12457-2.
8. Con un settimo motivo di ricorso lamenta che la Corte territoriale non avrebbe espresso alcuna considerazione in ordine alle osservazioni formulate dal consulente di parte nel corso dell'istruzione dibattimentale e nell'elaborato scritto depositato. 9. Con un ottavo motivo di ricorso osserva che al gestore della discarica sarebbe imposto un generico obbligo di verifica dei rifiuti conferiti, limitato al controllo visivo degli stessi ed all'esame della documentazione fornita dal conferitore e che la documentazione prodotta (certificati da analisi forniti dai produttori e conferitori dei rifiuti ed analisi eseguite dallo stesso imputato pur non essendovi obbligato) evidenziava l'assenza dell'elemento psicologico dei reati contestati, in ordine al quale la Corte del merito non avrebbe motivato.
10. Con un nono motivo di ricorso rileva che il superamento del limite quantitativo dei rifiuti conferito dipende dal criterio di conversione tra peso e volume concretamente adottato e che, fissando l'autorizzazione la sola cubatura, detto criterio veniva convenzionalmente individuato ogni anno dal gestore e l'amministrazione comunale, con la conseguenza che la violazione di quanto stabilito non può configurare inosservanza
dell'autorizzazione, penalmente sanzionata, come ritenuto dai giudici del gravame, bensì mera violazione di un atto privato. 11. Con un decimo motivo di ricorso deduce l'assenza dell'elemento soggettivo del reato, avendo egli fatto affidamento su una prassi consolidata, che aveva in passato consentito di derogare ai quantitativi massimi annuali di rifiuti conferiti. 12. Con un undicesimo motivo di ricorso contesta la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale finalizzata all'assunzione di prove ritenute decisive, dettagliatamente indicate, sulla quale la Corte del merito non si sarebbe pronunciata. 13. Con un dodicesimo motivo di ricorso lamenta il vizio di motivazione in relazione al rigetto della questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 16, comma 1 sollevata innanzi ai giudici del gravame.
Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
14. Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente rilevare che la sentenza impugnata, prima di procedere all'analisi dei singoli motivi di appello, pone in evidenza la circostanza che il primo giudice aveva ritenuto la responsabilità penale dell'imputato sulla scorta delle analisi fatte eseguire dallo stesso da un laboratorio di sua fiducia.
Ricordano inoltre i giudici del gravame che la sentenza di primo grado indicava come riferibili al solo momento dell'ingresso in discarica i criteri di campionamento fissati dal D.M. 3 agosto 2005, ritenendo invece quelli successivi non vincolati dalle medesime disposizioni, accertando, tuttavia, che i prelievi erano stati comunque eseguiti in conformità a quanto stabilito dal decreto ministeriale e nel rispetto della metodologia di cui alla norma UNI 10802, così come le analisi successivamente eseguite da entrambi i laboratori rispettavano le prescrizioni di cui alle norme UNI 1802/2004 appendice A e UNI EN 12457-2/04.
Procedendo successivamente alla verifica delle doglianze mosse con l'atto di appello, la Corte del merito effettua una corretta valutazione dell'ambito di applicabilità degli artt. 223 e 220 disp. att. cod. proc. pen. che il ricorrente assume violati. Va a tale proposito richiamato quanto già stabilito dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l'attività di prelievo e di analisi ha natura amministrativa a meno che non venga eseguita su disposizione del magistrato o non esista già un soggetto determinato, indiziabile di reati. In tale ultimo caso soltanto trovano applicazione le garanzie difensive previste dall'art. 220 disp. att. cod. proc. pen., mentre, con riferimento all'attività amministrativa, è applicabile l'art. 223 disp. att.. Il presupposto, per l'operatività dell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e per il sorgere del conseguente obbligo di osservare le disposizioni codicistiche in tema di assicurazione delle fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire ai fini dell'applicazione della legge penale, è costituito dalla sussistenza della mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (così Sez. 3 n. 16386 del 27 aprile 2010, con richiami ai precedenti. Di analogo contenuto e riferita alla stessa vicenda anche la sentenza n. 15372/2010).
In applicazione di tali condivisibili principi la Corte del merito ha censurato le diverse conclusioni del giudice di prime cure, il quale aveva escluso ogni rilievo alle eccezioni formulate in ragione del fatto che le analisi erano state eseguite su campioni prelevati alla presenza dell'imputato, osservando tuttavia che la doglianza relativa all'applicabilità dell'art. 220 disp. att. cod. proc. pen. all'atto del campionamento doveva ritenersi infondata, non risultando sussistente, in quel momento, alcun elemento indiziante a carico dell'imputato.
15. Tale assunto viene contestato nel primo motivo di ricorso, richiamando il contenuto di atti del procedimento (una lettera del 5.8.2008 con la quale l'amministrazione comunale segnalava alla Procura, due giorni prima del controllo, l'indagine che stava compiendo sulla discarica anche in relazione a diverso procedimento per il quale egli era indagato) il cui contenuto risulta però considerato dai giudici del gravame, i quali ne hanno escluso la rilevanza con motivazione coerente e priva di contraddizioni, osservando come la circostanza che il ricorrente risultasse indagato per altri fatti, in assenza di ulteriori elementi, fosse del tutto irrilevante, anche in considerazione dello scopo dichiarato della verifica, risultante dalla documentazione che la Corte del merito richiama, finalizzata all'accertamento della regolarità amministrativa della gestione della discarica.
Il motivo di ricorso risulta pertanto infondato e meramente ripetitivo di questione compiutamente affrontata dal giudice d'appello.
16. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso. Il D.M. 3 agosto 2005, recante la definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica, è stato emanato in attuazione di quanto disposto dal D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 7, comma 5, (attuazione della direttiva 1999/31/Ce relativa alle discariche di rifiuti) che demanda ad un apposito decreto la definizione dei criteri di ammissibilità in discarica dei rifiuti ed era vigente all'epoca dei fatti, essendo stato abrogato solo con l'entrata in vigore del D.M. 27 settembre 2010, secondo quanto stabilito dall'art. 11 del Decreto medesimo.
Il testo del provvedimento è inequivoco e contempla i criteri e le procedure di ammissibilità dei rifiuti nelle discariche, prevedendo la caratterizzazione di base del rifiuto da eseguire prima del conferimento in discarica, ovvero dopo l'ultimo trattamento effettuato e la verifica del rifiuto al fine di stabilire il possesso delle caratteristiche della relativa categoria ed il rispetto dei criteri di ammissibilità previsti.
Con specifico riferimento alle discariche di rifiuti inerti, quale è quella gestita dal ricorrente, il D.M., art. 5 individua due diverse tipologie di rifiuti. La prima è costituita dai rifiuti elencati nella tabella 1, che non richiede alcun accertamento analitico, trattandosi di rifiuti considerati già conformi ai criteri specificati nella definizione di rifiuti inerti di cui al D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36, art. 2, comma 1, lett. c) ed ai criteri di ammissibilità stabiliti dal decreto ministeriale. Si deve tuttavia trattare di una singola tipologia di rifiuti, proveniente da un unico processo produttivo, anche se sono ammesse, insieme, diverse tipologie di rifiuti elencati nella tabella 1, purché provenienti dallo stesso processo produttivo, La seconda categoria contempla, invece, i rifiuti inerti che, a seguito della caratterizzazione di base di cui all'art. 2, sottoposti a test di cessione di cui all'allegato 3 al decreto, presentano un eluato conforme alle concentrazioni fissate nella tabella 2 o che non contengono contaminanti organici in concentrazioni superiori a quelle indicate nella tabella 3 del Decreto.
17. Risulta pertanto evidente, come pure ritenuto dai giudici del merito, che le disposizioni che individuano i criteri di ammissibilità dei rifiuti In discarica hanno, come finalità esclusiva, quella di verificare la conferibllità in discarica del singolo rifiuto previo accertamento delle caratteristiche e della loro rispondenza ai requisiti normativamente fissati, il che non consente di estenderne l'ambito di applicazione In momenti successivi a quello del conferimento.
Del resto, anche il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 7, comma 5 che prevede l'emanazione del decreto ministeriale, fa espresso ed esclusivo riferimento ai criteri di ammissione in discarica dei rifiuti.
Tali disposizioni, peraltro, non prevedono alcuna sanzione di nullità o inutilizzabilltà in caso di Inosservanza ed hanno pertanto carattere ordinatorio.
Deve inoltre ritenersi possibile che la verifica circa l'ammissione, in una discarica di inerti, di rifiuti che non soddisfano i criteri normativamente individuati possa essere effettuata, dopo il conferimento, non soltanto mediante accertamento analitico, ma anche attraverso l'utilizzazione di ogni elemento di prova valutabile dal giudice.
18. Nella fattispecie, la Corte territoriale, dopo aver proceduto all'individuazione dell'ambito di operatività del citato decreto ministeriale in maniera che il Collegio ritiene giuridicamente corretta per le ragioni appena esposte, ha puntualmente analizzato l'ulteriore, rilevante, aspetto della rappresentatività dei campioni prelevati, con accertamento in fatto ancora una volta assistito da tenuta logica e coerenza strutturale e fondato sulle risultanze dell'istruzione dibattimentale e sulla verifica delle metodiche utilizzate, ritenute corrette.
Tale verifica costituisce, peraltro, idonea, ancorché implicita, confutazione delle diverse considerazioni sviluppate dal consulente di parte richiamate nel terzo motivo di ricorso attraverso l'inammissibile prospettazione di una valutazione alternativa degli elementi già esaminati dai giudici del merito.
19. Le medesime considerazioni valgono anche per quanto concerne il settimo motivo di ricorso, nel quale in via del tutto generica, si lamenta l'omessa valutazione, da parte dei giudici del gravame, delle argomentazioni sviluppate dal consulente di parte. 20. Anche il quarto motivo di ricorso risulta meramente ripetitivo di analoga doglianza formulata nel giudizio di appello ed esaminata dai giudici del gravame.
Il ricorrente pone infatti in dubbio che il superamento dei valori riscontrati nei rifiuti conferiti in discarica avrebbe potuto riguardare quei materiali la cui ammissibilità non richiede la preventiva caratterizzazione.
Si è già ricordato in precedenza come la individuazione di tale specifica tipologia di rifiuti sia giustificata, nello stesso decreto ministeriale, dal fatto che detti rifiuti sono considerati già conformi ai criteri normativamente fissati in ragione della loro stessa natura.
Tale evenienza è stata opportunamente richiamata dalla Corte territoriale, la quale ha anche coerentemente osservato che l'eventuale commistione tra le due diverse tipologie di rifiuti avrebbe comunque costituito un vantaggio per l'imputato, determinando, in buona sostanza, una "diluizione" del campione. 21. Anche l'infondatezza del quinto e sesto motivo di ricorso, concernenti la metodica delle analisi dei campioni, risulta evidente. Il ricorrente richiama infatti il contenuto del D.M. 3 agosto 2005 che i giudici del gravame non hanno ritenuto applicabile per le ragioni in precedenza ricordate, rispondendo così anche alla specifica censura che si assume non esaminata.
Va peraltro ricordato che, come già detto, i giudici del merito hanno utilizzato, ai fini dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, la sola documentazione concernente i risultati di analisi fatte effettuare dallo stesso imputato da laboratorio di sua fiducia.
22. Prive di pregio appaiono, poi, le deduzioni formulate nell'ottavo motivo di ricorso, concernenti l'elemento soggettivo del reato. Occorre a tale proposito ricordare come la giurisprudenza di questa Corte abbia già avuto modo di precisare che sul gestore della discarica grava l'obbligo di verificare la caratterizzazione dei rifiuti effettuata dai produttori o dai detentori che li conferiscono al fine di determinare l'ammissibilità dei rifiuti stessi (Sez. 3 n. 37559, 3 ottobre 2008) e che tale obbligo va assolto con tutti i mezzi idonei, non potendo essere limitato ad una comparazione meramente visiva (Sez. 3 n. 36818, 12 ottobre 2011).
Si tratta, invero, di un obbligo chiaramente individuato anche dal D.M. 3 agosto 2005 ripetutamente richiamato dal ricorrente, laddove impone al gestore della discarica non soltanto un sommario esame documentale e visivo come affermato in ricorso, quanto, piuttosto, un accertamento sicuramente accurato, come emerge dal tenore complessivo delle disposizioni che richiamano espressamente i doveri del gestore con riferimento ad attività di "verifica" ed "ispezione". Va poi rilevato che la buona fede del ricorrente non poteva comunque ritenersi dimostrata attraverso la documentazione menzionata in ricorso e che si assume prodotta, mentre, invece, come evidenziato in altra parte dell'atto, risulta essere stata soltanto oggetto di richiesta di ammissione previa rinnovazione dell'istruzione dibattimentale che la Corte non ha disposto.
23. Quanto al nono motivo di ricorso, la Corte territoriale ha preliminarmente osservato che il superamento del limite massimo dei rifiuti conferibili nella discarica non è stato oggetto di contestazione da parte dell'imputato, mentre viene posta in discussione la metodologia di calcolo dei quantitativi conferiti, convenzionalmente pattuito con l'amministrazione e che il ricorrente ritiene estranea all'autorizzazione.
Deve rilevarsi, a tale proposito, che il motivo di ricorso è articolato in fatto, con richiami alle suddette metodiche di calcolo la cui verifica è preclusa in questa sede di legittimità ed è, pertanto, inammissibile.
24. Del tutto infondato risulta anche il decimo motivo di ricorso, ove si sostiene l'insussistenza dell'elemento soggettivo dei reati concernenti il superamento del quantitativo massimo di rifiuti conferibili in discarica sulla base dell'affidamento dell'imputato su una consolidata prassi amministrativa in base alla quale erano state in precedenza consentite alcune deroghe.
Tale assunto non è infatti condivisibile, atteso che la deroga, che secondo lo stesso ricorrente veniva giustificata, nel suo caso, da esigenze particolari, per sua natura costituisce una eccezione alla regola e viene concessa in ragione di situazioni contingenti, risultando così inidonea a determinare una fondata aspettativa circa una sua possibile reiterazione.
25. Quanto all'undicesimo motivo di ricorso concernente la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, deve ricordarsi che la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che l'istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all'art. 603 cod. proc. pen. costituisce un'eccezione alla presunzione di completezza dell'istruzione dibattimentale di primo grado, dipendente dal principio di oralità del giudizio di appello, cosicché si ritiene che ad esso possa farsi ricorso, su richiesta di parte o d'ufficio, solamente quando il giudice lo ritenga indispensabile ai fini del decidere non potendolo fare allo stato degli atti (v. Sez. 2 n. 3458, 27 gennaio 2006 ed altre prec. conf.)
Si è ulteriormente osservato che, per il carattere eccezionale dell'istituto, è richiesta una motivazione specifica solo nel caso in cui il giudice disponga la rinnovazione, poiché in tal caso deve rendere conto del corretto uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, mentre in caso di rigetto è ammessa anche una motivazione implicita, ricavabile dalla stessa struttura argomentativa posta a sostegno della pronuncia di merito nella quale sia evidenziata la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo o negativo sulla responsabilità, con la conseguente mancanza di necessità di rinnovare il dibattimento (Sez. 3 n. 24294, 25 luglio 2010; Sez. 5 n. 15320, 21 aprile 2010; Sez. 4 n. 47095, 11 dicembre 2009).
Nella fattispecie, il percorso motivazionale seguito dai giudici del gravame per pervenire alla conferma della sentenza di primo grado risulta del tutto idoneo a ritenere giustificata la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale.
26. Per quanto riguarda, infine, il dodicesimo motivo di ricorso, si osserva che lo stesso risulta genericamente formulato e si limita alla mera critica delle considerazioni svolte sul punto dai giudici del gravame senza alcuna ulteriore specificazione alla rilevanza e fondatezza della questione ne', tanto meno, agli articoli della Costituzione rispetto ai quali il D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 16, comma 1 si porrebbe in contrasto.
27. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2013