Pres. Onorato Est. Marmo Ric. Alberelli
Rifiuti. Nozione di rifiuto
Sulla natura di rifiuto delle traversine ferroviarie in cemento armato precompresso e rottami ferrosi
Svolgimento del processo
Con sentenza pronunciata il 18 novembre 2005, corretta nel dispositivo con ordinanza del 22 novembre 2005, e depositata il 23 novembre 2005, il tribunale di Cosenza dichiarava Gennaro Alberelli responsabile del reato di cui agli artt. 46, 51 primo comma lettera a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 per avere esercitato attività di smaltimento di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, ( rottami ferrosi), senza la prescritta autorizzazione, nell’area sita in agro Rende, (per fatto accertato il 16 dicembre 2003), e, concesse all’imputato le attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 2.100,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, nonché al ripristino, a sue spese, dello stato dei luoghi, ordinando altresì il dissequestro dei veicoli presenti sull’area e la restituzione degli stessi agli aventi diritto.
Proponeva ricorso per cassazione Gennaro Alberelli chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.
Motivi della decisione
Con il primo motivo Gennaro Alberelli lamenta l’erronea applicazione della legge penale.
Rileva il ricorrente che il giudice monocratico del Tribunale di Cosenza, all’udienza del 6 giugno 2005, aveva dichiarato infondata l’eccezione di nullità sollevata dall’avvocato Emilio Perfetti, nominato in sede di richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro probatorio emesso dal Pubblico Ministero il 18 dicembre 2003, per essere stata omessa nei suoi confronti la notifica del decreto di citazione a giudizio, e aveva disposto di precedersi oltre, designando un difensore d’ufficio.
Lo stesso giudice aveva motivato il rigetto dell’eccezione sostenendo che la notifica del decreto di citazione a giudizio all’avvocato Perfetti non era necessaria, in quanto, sia nell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., sia nel decreto di citazione risultava come unico difensore l’avvocato Filippo Spina, il quale aveva rinunciato al mandato difensivo soltanto in data 24 febbraio 2005, dopo il decreto di citazione a giudizio emesso il 6 settembre 2004.
Ritiene il ricorrente che il giudice di merito aveva affermato l’erroneo principio secondo cui la nomina del difensore di fiducia fatta dall’indagato per il procedimento di riesame era del tutto autonoma rispetto al procedimento principale e non dispiegava effetto alcuno su quest’ultimo.
Non vi era invece alcuna ragione per negare al telegramma di nomina del difensore per il procedimento cautelare la qualità di atto assimilabile nelle forme a quelli richiesti nell’art. 96 cp.p, così come non si poteva negare che l’accettazione dei risultati del procedimento di riesame e la conseguente attività successiva del difensore dovessero essere considerati come facta concludentia rivelatori della volontà dell’imputato di avvalersi della difesa del nuovo difensore; né, d’altro canto, poteva ritenersi che il giudice di merito non fosse a conoscenza di tale nomina, in quanto essa era inserita nel fascicolo del pubblico ministero, autorità che dispone sia la notifica dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., sia la notifica della citazione a giudizio.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, (v. per tutte Cass. pen. sez. III 3 marzo 1999, n. 4653) “la nomina del difensore di fiducia fatta dall’indagato per il procedimento incidentale di riesame non dispiega effetto alcuno nel procedimento principale, del tutto autonomo e separato dal primo, non essendone prevista la conoscenza da parte dell’autorità giudiziaria procedente che viene avvisata della richiesta di riesame ai soli fini della trasmissione degli atti”.
Alla luce di tale giurisprudenza, conforme del resto alla diversa natura e distinzione dei procedimenti, (cautelare e di merito), rileva il Collegio che la circostanza della presenza materiale, nel fascicolo del procedimento di merito, del telegramma di nomina dell’avvocato per la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro, non assume rilievo in ordine alla differenziazione dei due procedimenti.
Va quindi respinto il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento all’inclusione della condotta contestata nella fattispecie disciplinata dall’art. 51, comma primo lettera a) del decreto legislativo n. 22 del 1997.
Deduce il ricorrente che dalla deposizione dell’unico teste escusso era emersa soltanto la presenza, sul sito oggetto dell’accertamento, di materiale inerte, per lo più depositato in attesa di un futuro trattamento che avrebbe dovuto essere effettuato tramite un costruendo impianto oggetto di domanda di autorizzazione.
Egli infatti, a norma del decreto Ronchi, aveva richiesto all’autorità preposta l’autorizzazione per la realizzazione di un impianto di lavorazione del materiale proveniente da demolizioni edili.
In proposito l’art. 51 comma primo lettera a) del decreto legislativo 22/1997, punendo chiunque effettui un’attività di raccolta, trasporto, recupero di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione, fa riferimento esclusivamente all’esercizio concreto di tali attività e non prevede il tentativo, trattandosi di contravvenzione.
Inoltre, la presenza di un deposito di materiale di risulta derivante dalle operazioni di manutenzione di tratti ferroviari non rientrava nell’ipotesi contestata di cui agli artt. 45 e 51 primo comma lettera a) del decreto legislativo del 5 febbraio 1997, n. 22, (come modificato dal decreto legislativo n. 138 del 2002.
Comunque, rispetto alla contestazione non era stata provata alcuna attività di esso ricorrente diretta a smaltire i rifiuti, ma unicamente la presenza, nel deposito dell’azienda da lui gestita, di materiali, che, per le condizioni in cui erano stati rinvenuti, non contenevano neppure i requisiti per essere qualificati come rifiuti, potendo essere riutilizzati per l’attività edilizia e quindi costituenti un valore economico per il detentore.
Alla luce dell’art. 14 del decreto legislativo n. 138 del 2002, che opera l’interpretazione autentica dell’art. 6 comma 1 lettera a) del decreto Ronchi, doveva quindi ritenersi l’ipotesi in esame come un esempio tipico di accumulo di materiale effettivamente ed oggettivamente riutilizzabile e, come tale, non definibile come rifiuto, così come anche i pneumatici usati non rientravano nella nozione di rifiuto prevista dall’art. 6 del decreto Ronchi, non essendo inservibili ma potendo essere riutilizzati.
Il motivo è infondato.
L’art. 6 del decreto legislativo n. 22 del 1997, lettera a), (ora decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 132, art. 163 lettera a), definisce come rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi. In particolare nell’elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all’allegato A), (Catalogo Europeo dei Rifiuti) sono compresi, tra l’altro, i veicoli fuori uso (codice 16.01.04), i pneumatici fuori uso (cod. 16.01.03) e i rottami ferrosi (cod. 1601 17).
Considerato che nel cantiere della ditta individuale gestita dall’Alberelli sono state rinvenute, in sede di sopralluogo della polizia tributaria di Cosenza, traversine ferroviarie in cemento armato precompresso e pneumatici usati, deve ritenersi sussistente la condizione oggettiva richiesta dall’art. 6 comma primo lettera a) del decreto legislativo n. 22 del 1997.
Deve peraltro rilevarsi che nella motivazione della sentenza impugnata la contestazione è stata circoscritta alla presenza di rottami ferrosi e traversine in cemento armato precompresso, mentre il giudice di primo grado ha escluso la natura di rifiuto per quel che attiene ai pneumatici, sicché la doglianza va circoscritta ai beni qualificati come rifiuti dal primo giudice e quindi ai rottami ferrosi e alle traversine ferroviarie in cemento armato precompresso.
Trattandosi di rifiuti speciali prodotti da terzi deve quindi ritenersi indispensabile l’autorizzazione prescritta dall’art. 25 del decreto legislativo n. 22 del 1997, senza la quale il materiale non può essere tenuto nell’area aziendale. L’art. 51 comma 1 del decreto legislativo n. 22 del 1997 vieta infatti sia la raccolta che il recupero e lo smaltimento di rifiuti in mancanza della stessa.
Non possono ritenersi, poi, a giudizio del Collegio, le condizioni di deroga di cui al comma 2 dell’art. 14 del d.l. n. 138 del 2002, convertito in legge n. 178/2002, non essendo stato dimostrato dal ricorrente - su cui grava l’onus probandi, trattandosi di eccezioni alla regola - (v. Cass. pen. sez. III sent. n. 9504 del 2005) che i maneriali in questione potevano essere ed erano effettivamente e oggettivamente riutilizzati senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente (comma 2 lettera a), ovvero dopo aver subito un trattamento preventivo senza necessità alcuna delle operazioni di recupero tra quelle individuate nell’allegato C) del decreto legislativo n. 22/ 1997 (comma 2 lettera b).
Essendo incontroverso che l’imputato non è in possesso di alcuna autorizzazione per l’attività che svolgeva, deve ritenersi sussistente anche l’elemento soggettivo del reato contestato e respinto anche il secondo motivo di impugnazione.
Consegue al rigetto del ricorso l’obbligo del ricorrente al pagamento delle spese processuali.