Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2542, del 10 maggio 2013
Rifiuti.I materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo sono considerati rifiuti.

E’ legittimo l’art. 1, primo comma, lettera b), del decreto del 3 luglio 2007 del Ministero dell’Ambiente, secondo il quale “i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo sono considerati rifiuti e pertanto devono essere gestiti ai sensi della vigente normativa sui rifiuti”. Dunque, la Regione, non può utilizzare i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo, senza alcun controllo delle loro caratteristiche. Con tale decreto il Ministero autorizza la Regione Valle d’Aosta per gli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente delle ex cave e delle discariche di amianto. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 02542/2013REG.PROV.COLL.

N. 07706/2008 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7706 del 2008, proposto dal Ministero dell’ambiente, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Regione Autonoma Valle d’Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alberto Romano e Carlo Emanuele Gallo, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Lungotevere Sanzio, 1;

nei confronti di

Comune di Emarese, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito nel corso del secondo grado del giudizio;

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta 16 aprile 2008, n. 33.

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 27 novembre 2012 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato dello Stato D’Ascia e l’avvocato Alberto Romano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. La Regione autonoma Valle d’Aosta chiedeva al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio l’autorizzazione per l’avvio dei lavori, nel sito di Emerese, consistenti “nell’integrazione del progetto preliminare e definitivo (prima fase) della messa in sicurezza permanente del cratere dell’area A” nell’ambito degli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente delle ex cave e delle discariche di amianto.

Per la realizzazione di queste opere, la Regione, al fine di limitare i costi e dovendo impiegare una grande quantità di materiale inerte da scavo, intendeva utilizzare quello ricavato nel corso dell’esecuzione di progetti di competenza regionale o comunale, ivi compresi i lavori di manutenzione relativi ai corsi d’acqua, ai bacini idrici ed agli alvei.

2. Con decreto del 3 luglio 2007, prot. 3776/Qdv/M/DI/B, il Ministro ha autorizzato l’avvio dei lavori, stabilendo, però, all’art. 1, primo comma, lettera b), che “i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo sono considerati rifiuti e pertanto devono essere gestiti ai sensi della vigente normativa sui rifiuti”.

La limitazione contenuta nel provvedimento ministeriale induceva la Regione a reperire altrove (presso altre regioni) il materiale occorrente per la bonifica, non potendo più utilizzare né il materiale da scavo né il materiale derivante da operazioni di disalveo, recuperato nell’ambito del suo territorio.

3. La Regione autonoma Valle d’Aosta ha proposto ricorso avverso il decreto 3 luglio 2007.

Il ricorso è stato accolto dal TAR, che ha annullato il decreto con la sentenza qui impugnata.

4. Il giudice di primo grado ha ritenuto apodittica la statuizione contenuta nel provvedimento di autorizzazione all’avvio dei lavori, in base alla quale “i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo sono considerati rifiuti e pertanto devono essere gestiti ai sensi della vigente normativa sui rifiuti”.

In base all’art. 185 del d. lgs. 156/2006, comma 1, lett. l), non rientra fra i rifiuti: “Il materiale litoide estratto da corsi d’acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità competenti”.

L’art. 186, a sua volta recita: “1. Le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, ed i residui della lavorazione della pietra destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati non costituiscono rifiuti e sono, perciò, esclusi dall’ambito di applicazione della parte quarta del presente decreto solo nel caso in cui, anche quando contaminati, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione siano utilizzati, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale … sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti e dal decreto di cui al comma 3”.

Le disposizioni, sopra riportate, fanno degli opportuni distinguo fra materiale inquinato e non, ai fini della loro qualificazione quali “rifiuti” e del loro conseguente utilizzo.

Secondo il giudice di primo grado, non può essere condiviso l’assunto della difesa statale, laddove ritiene che la statuizione contestata sarebbe in linea con l’orientamento espresso dall’Unione Europea, dalla Corte di Giustizia e con quanto stabilito nell’art. 185 e 186 del d.lgs. n. 152 del 2006 recante norme in materia ambientale, come modificato con il d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, dove i materiali inerti da scavo e i fanghi di dragaggio sarebbero ex se da qualificarsi “rifiuti”.

In effetti è proprio la lettura anche di tali nuove disposizioni (l’art. 185 elenca le tipologie di materiali non ritenuti “rifiuti” ed il 186 indica i limiti di utilizzabilità delle “terre e rocce da scavo”) che induce a contrastare la tesi dell’amministrazione.

5. Il Ministero dell’ambiente ha proposto ricorso in appello evidenziando come gli articoli 185 e 186 del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo vigente prima delle modifiche introdotte dall’art. 4 del d.lgs. n. 4 del 2008, prevedono che solo a determinate condizioni i materiali litoidi e le terre e rocce da scavo possano essere reimpiegate nel ciclo produttivo e quindi sottrarsi alla classificazione come rifiuti; il che dunque sottende, piuttosto che escludere, la loro tendenziale equiparazione ai rifiuti sotto il profilo della disciplina applicabile. L’art. 186 infatti esclude dalla categorie dei rifiuti le terre e le rocce da scavo sempre che la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione superiore ai limiti previsti dalle legge vigenti e dal decreto Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471.

6. Il Ministero appellante sottolinea che era onere della Regione fornire la prova che i materiali non fossero ascrivibili alla categoria dei rifiuti.

Dal verbale della conferenza di servizi istruttoria del 13 luglio 2006, emerge che il rappresentante del Ministero dell’ambiente osservava che i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo sono considerati rifiuti e pertanto devono essere gestiti ai sensi della vigente normativa sui rifiuti ed “esprime(va) la non condivisione … in merito all’utilizzo dei fanghi di drenaggio e disalveo come riempimento del cratere dell’ex cava. Detti materiali non rispettano né i limiti del d.m. 471/199m né i limiti del d.m. 5 febbraio 1998. Inoltre i predetti materiali così come certificato dall’ARPA della Valle d’Aosta <<non sono stai sufficientemente caratterizzati>>”.

7. La sentenza di accoglimento, qui impugnata, ha ritenuto illegittimo l’art. 1, primo comma, lettera b), del decreto del 3 luglio 2007, secondo il quale “i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo sono considerati rifiuti e pertanto devono essere gestiti ai sensi della vigente normativa sui rifiuti”.

La conseguenza di tale accoglimento era la possibilità, per la Regione, di utilizzare i materiali inerti da scavo e i materiali provenienti da operazioni di disalveo, senza alcun controllo delle loro caratteristiche.

8. La Sesta Sezione, con ordinanza 28 ottobre 2008, ha accolto l’istanza cautelare, sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata, “atteso che la formulazione testuale delle norme accredita l’idea – specie per quanto riguarda il materiale inerte da scavo – che la qualificazione come rifiuti sia la regola, salvo contrarie risultanze”.

9. Così riassunte le vicende che hanno condotto alla presente fase del giudizio, ritiene la Sezione che il ricorso in appello è fondato per l’assorbente profilo del mancato assolvimento dell’onere della prova in ordine alle caratteristiche dei materiali che la Regione avrebbe dovuto utilizzare per il riempimento della cava.

La Regione, nella “dichiarazione a verbale” allegata alla conferenza di servizi di cui sopra, ha preso atto che “la messa in sicurezza del cratere dovrà avvenire mediante l’uso di materiale da scavo caratterizzato ed avente le caratteristiche richieste dell’art. 186, del d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152 e/o da materiale naturale”.

Tale affermazione costituiva il riconoscimento della attendibilità delle osservazioni svolte dal rappresentante del Ministero dell’ambiente durante lo svolgimento della conferenza.

Il dispositivo contenuto nel decreto impugnato, e ritenuto illegittimo dalla sentenza, era conforme a quanto accettato dalla Regione con la dichiarazione “a verbale”.

Tale circostanza avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado a rilevare l’infondatezza dello stesso ricorso, piuttosto che ad annullare la disposizione, la cui assenza avrebbe consentito l’utilizzazione di materiali che non corrispondono a quanto previsto dagli articoli 185 e 186 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Del resto, risulta dalla documentazione acquisita che la Regione non ha a suo tempo provato la non contaminazione dei materiali (peraltro risultati provenienti dal bacino idoelettrico di Brusson, con metalli vari al di sopra limiti imposti).

10. Il ricorso in appello va quindi accolto con conseguente rigetto del ricorso di primo grado.

11. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. 7706/2008), come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado proposto innanzi il Tribunale amministrativo regionale per la Valle d’Aosta (R.G. 87/2007).

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/05/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)