Codici a specchio, ISPRA e Ponzio Pilato
di Gianfranco AMENDOLA
La tormentata vicenda dei rifiuti con codici a specchio si arricchisce oggi di un altro capitolo, scritto, questa volta, dal massimo istituto scientifico nazionale in tema di ambiente: l’Ispra.
Per darne conto senza scrivere un romanzo, dobbiamo necessariamente rinviare, per tutte la fasi pregresse, ad altri articoli già pubblicati 1.
1 Cenni generali. Sintesi
Scusandoci, quindi, per la brevità, sembra sufficiente, in questa sede, limitarci a ricapitolare i termini essenziali della questione:
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Come è noto, la questione dei codici a specchio si ricollega al Catalogo europeo dei rifiuti, il quale prevede che da alcune attività di produzione o di consumo possano scaturire due categorie di rifiuti, uno pericoloso ed uno non pericoloso; sono, appunto, i cosiddetti codici a specchio per cui quel rifiuto viene classificato sia con asterisco (come pericoloso) sia senza. Un rifiuto individuato da una “voce a specchio” è identificato come pericoloso solo se le sostanze pericolose raggiungono determinate concentrazioni, tali da conferire al rifiuto una o più delle proprietà di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE.
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La normativa europea tuttavia non specifica, nel dettaglio, il percorso da seguire per accertare la eventuale pericolosità di questi rifiuti per cui, al fine di evitare incertezze e prassi non uniformi che si stavano delineando, il legislatore italiano, con l’art. 13, comma 5, della legge n. 116 dell’11 agosto 2014, ampliava la premessa all'introduzione all’elenco dei rifiuti di cui all'allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, dove, sulla base della normativa comunitaria, dettava in proposito regole precise incentrate sulla conoscenza completa e certa della composizione del rifiuto, e concludendo che “q uando le sostanze presenti in un rifiuto non sono note o non sono determinate con le modalita' stabilite nei commi precedenti, ovvero le caratteristiche di pericolo non possono essere determinate, il rifiuto si classifica come pericoloso ”.
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Le regole di cui sopra venivano pesantemente contestate da alcuni settori industriali e dai loro consulenti tecnici, soprattutto con riferimento alla presunzione (senza la prova in positivo) di pericolosità in caso di accertamenti o, comunque, di dati insufficienti.
Un primo punto fermo, tuttavia, veniva posto, in proposito, da Cass. pen. sez. 3, 3 maggio-9 novembre 2016, n. 46897 ric. Arduini (a proposito di un traffico illecito di rifiuti ospedalieri in provincia di Frosinone), la quale, confermando una pronucia del Tribunale del riesame di Roma, evidenziava che la normativa europea di riferimento fornisce la definizione normativa del rifiuto con codice 'a specchio' pericoloso, ma “ non indica le modalità di caratterizzazione del rifiuto, che sono il presupposto di fatto di una corretta classificazione ”. Quindi, richiamando i criteri per la caratterizzazione della legge 116/2014, evidenziava che “ compete al detentore del rifiuto dimostrare in concreto che, tra i due codici "a specchio", il rifiuto vada classificato come non pericoloso,previa caratterizzazione dello stesso; in mancanza, il rifiuto va classificato come pericoloso (art 1, comma 6, Alleg. D)” ; concludendo che dall’accoglimento di una tesi diversa, “ deriverebbe che il detentore di un rifiuto con codice "a specchio" potrebbe classificarlo come non pericoloso, e di conseguenza gestirlo come tale, in assenza di analisi adeguate; ma tale interpretazione, oltre ad essere in contrasto con gli obblighi di legge, è evidentemente eccentrica rispetto all'intero sistema normativo che disciplina la gestione del ciclo dei rifiuti, ed al principio di precauzione ad esso sotteso".
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Nel frattempo, il dibattito sulle voci a specchio si allargava valorizzando, come “novità”, il dato normativo della entrata in vigore, il 1 giugno 2015, di due modifiche comunitarie (del 2014) relative ai rifiuti, e precisamente il Regolamento (UE) n. 1357/2014, che ha sostituito l'allegato 3 della Direttiva in relazione alle proprietà di pericolo dei rifiuti, da H1 ad H15 nonché la Decisione 2014/955/Ue che modifica la precedente Decisione 2000//532/Ce relativa all'elenco dei rifiuti, della quale sopprime gli articoli 2 e 3 (divenuti superflui in quanto le stesse disposizioni sono contenute nella Direttiva n. 98) e, soprattutto, sostituisce l'allegato con l'elenco dei rifiuti, toccando anche la problematica dei codici a specchio. E, pertanto, da più parti si affermava che le due modifiche comunitarie, essendo contenute in atti direttamente esecutivi negli Stati membri avevano automaticamente abrogato le “vecchie” disposizioni cautelative della legge 116/2014.
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In particolare, questa problematica esplodeva pochi mesi dopo la citata sentenza della suprema Corte, quando, nel gennaio 2017, la cd. “Operazione Maschera”, coordinata dalla DDA di Roma ed estesa a varie province laziali (con il coinvolgimento della galassia Cerroni) portava al sequestro di 19 impianti di trattamento rifiuti e di una discarica per rifiuti non pericolosi, con 25 indagati cui veniva contestato, tra l’altro, il delitto di traffico illecito di rifiuti basato sulla circostanza che ingenti quantitativi di rifiuti rientranti nelle voci a specchio erano stati classificati come non pericolosi in base ad analisi ritenute totalmente insufficienti al fine di escluderne la pericolosità; ipotizzando, peraltro, la complicità dei rispettivi chimici e dei titolari dei laboratori interessati, con un profitto di circa 26 milioni di euro.
Proposto ricorso al Tribunale del riesame, l’ordine dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise 2 interveniva pesantemente con espresso riferimento all’operazione Maschera, affermando che " un certificato di Analisi chimica redatto conformemente a quanto previsto dall'appendice I del Codice Deontologico dei Chimici, per essere ritenuta sufficientemente esaustiva della pericolosità o meno di un rifiuto, dovrà prendere in considerazione la ricerca di tutte quelle sostanze pericolose considerate ubiquitarie, o, comunque, molto comuni, oltrechè di tutte le eventuali sostanze specifiche, pertinenti con il processo di produzione del rifiuto, risultanti a valle dei processi logici di valutazione che il Chimico deve aver potuto/dovuto effettuare " e dichiarando “distorta” la applicazione del principio di precauzione sancito dalla legge, effettuata dalla Cassazione.
Si giungeva, così al 2 marzo 2017, quando il Tribunale del riesame di Roma, richiamando anche i pareri della regione Lazio 3 e del Ministero dell’ambiente, affermava che, dopo le modifiche comunitarie (direttamente esecutive), “ l'analisi del rifiuto "a specchio", al fine di determinarne la pericolosità, deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo ”. Non spiegava, tuttavia, come sia possibile stabilire se nel rifiuto sono presenti o meno sostanze pericolose senza prima determinare la composizione del rifiuto stesso, tanto più se, come spesso accade, il rifiuto non proviene da un processo produttivo specifico, cioè non sia un rifiuto regolarmente generato.
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Proposto dal P.M. ricorso per cassazione, e fissata l’udienza relativa, veniva, a questo punto, emanato il decreto legge 20 giugno 2017, n. 91, intitolato a " Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno ", il cui art. 9 (che nulla ha a che vedere con la crescita del Mezzogiorno) dispone che “ i numeri da 1 a 7 della parte premessa all'introduzione dell'allegato D alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sono sostituiti dal seguente: «1. La classificazione dei rifiuti e' effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER ed applicando le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014». In sostanza, quindi, abrogava con la massima urgenza le disposizioni della legge 116/2014 e le “sostituiva” con il disposto dei due atti comunitari sopra richiamati, che, peraltro, erano operativi automaticamente nel nostro paese già da due anni, prevalendo su qualsiasi disposizione italiana con essi non compatibile 4.
2. I pareri dell’ISPRA
Era prevedibile e previsto che in questa complessa vicenda tecnico-normativa intervenisse il massimo organo scientifico in tema di ambiente. Ed infatti l’ISPRA, per quanto ci risulta, si occupava dei codici a specchio in due occasioni: una prima volta nel 2015, su richiesta della regione Lazio, la seconda, il 4 luglio 2017, su richiesta del Senato a proposito dell’art. 9 D. L. 91/2017, appena citato.
Si noti che il parere del 2015 porta la data del 5 giugno (4 giorni dopo la entrata in vigore dei due atti comunitari sopra richiamati), tanto è vero che fa esclusivo riferimento ai suddetti atti, senza mai citare la legge italiana all’epoca vigente (n. 116/2014)); e, in sostanza, afferma che “ il produttore deve quindi selezionare i parametri da analizzare, partendo dalla conoscenza del processo che ha generato il rifiuto… .. i referti analitici devono necessariamente essere accompagnati da una relazione tecnica esaustiva che consenta di conoscere le caratteristiche del rifiuti in ingresso all’impianto, le fasi di processo, i flussi e le caratteristiche dei rifiuti e/o materiali prodotti. Detta relazione risulta indispensabile per escludere eventuali elementi di pericolosità del rifiuto qualora lo stesso sia identificato da una voce a specchio dell’elenco europeo dei rifiuti. Pertanto, classificare il rifiuto utilizzando solo i risultati di referti analitici riferiti chiaramente ad un numero parziale di parametri non costituisce un approccio metodologico corretto….. ”5
Non è questa la sede per analizzare compiutamente i due pareri, soprattutto per verificarne la coerenza (tra il 2015 e il 2017). Lo faremo in un prossimo futuro ma, ai fini del presente lavoro, sembra opportuno limitarsi ad esaminare il parere del 2017 (quello, cioè, emesso con riferimento alle disposizioni dell’art. 9 sopra riportato relative alle voci a specchio) non sotto il profilo tecnico ma giuridico, soprattutto per quanto concerne la vera novità dell’art. 9, cioè l’abrogazione delle disposizioni della legge 116/2014.
Esso parte dalla premessa che “ la corposa normativa europea sulla classificazione, così come si è venuta a strutturare, contiene già al suo interno tutti gli elementi necessari per procedere all’attribuzione, ad un dato rifiuto, del pertinente codice dell’elenco europeo e, quindi, anche alla valutazione della sussistenza di una o più caratteristiche di pericolo ”. Affermazione che ci trova perfettamente d’accordo ed è, ovviamente, anche il punto di partenza della legge 116/2014 (“ la classificazione dei rifiuti e' effettuata dal produttore assegnando ad essi il competente codice CER, applicando le disposizioni contenute nella decisione 2000/532/CE ” ) che, come abbiamo detto, di fronte all’instaurarsi di prassi ampiamente discrezionali (quali, le “analisi a pacchetto”), risulta emanata proprio per dettagliare operativamente (“ le indagini da svolgere per determinare le proprieta' di pericolo che un rifiuto possiede sono le seguenti…….”) quelli che, a nostro avviso, erano (e sono) gli unici criteri possibili per adempiere agli obiettivi del legislatore comunitario in tema di rifiuti con codice a specchio; partendo, ovviamente, dalla conoscenza certa e completa della composizione del rifiuto. Valutazione che sembra condivisa da ISPRA, la quale certamente sarà stata consultata anche al momento della emanazione della legge 116 e che, nel parere del 2015, non muove alcuna critica nei confronti delle disposizioni introdotte dalla legge citata, le quali, in sostanza, risultano confermate dal contenuto del parere stesso. Ed anche il parere del 2017, dopo aver premesso che le disposizioni della legge 116/2014 sono state pubblicate “quando l’iter di predisposizione della nuova normativa europea era ormai praticamente completato e in attesa di definitiva emanazione. Il suddetto preambolo è dunque intervenuto in una fase di passaggio tra vecchi e nuovi criteri di classificazione e risulta di conseguenza non coerente con questi ultimi …"6, evidenzia che “ al fine di riallineare la normativa nazionale a quella europea”, si rende necessaria una operazione di “omogeneizzazione”. Affermazioni che, quindi, da un lato sembrano confermare che, per ISPRA, la legge 116/2014 era coerente con la normativa comunitaria all’epoca vigente; e dall’altro postulano che, adesso, essa deve essere adeguata alle sopravvenute modifiche comunitarie, concludendo che proprio per questo “ quanto riportato dall’art. 9 appare condivisibile”.
Diciamo subito che, sotto il profilo giuridico, questa conclusione è certamente errata. Poiché, infatti, come abbiamo accennato, le modifiche comunitarie sono avvenute con atti direttamente applicabili negli Stati membri, è pacifico che esse integrano le disposizioni nazionali e prevalgono sulle disposizioni con le stesse eventualmente incompatibili, senza bisogno di alcuna legge nazionale finalizzata a sancire un adeguamento già automaticamente verificatosi da due anni. E, quindi, l’art. 9 non può essere “condivisibile”, essendo, sotto questo profilo, quanto meno, superfluo; ma, soprattutto, fuorviante quando collega alle modifiche comunitarie l’abrogazione di tutta la legge 116.
Sotto questo profilo, peraltro, la conclusione ISPRA è certamente incongrua se si esaminano quali, nella sostanza, sono le modifiche che, secondo ISPRA, rendono “condivisibile” l’abrogazione di una legge (la 116) che, prima di queste modifiche, era da ISPRA condivisa: a) le frasi di rischio scompaiono, e compaiono le indicazioni di pericolo; b) alcuni termini utilizzati dalla legge 116 sono “gergali” e non quelli propri della normativa sui rifiuti; c) il concetto di “limite soglia” ha un significato diverso. Trattasi evidentemente di modifiche chiare, meramente formali e del tutto circoscritte, che certamente, dal 1 giugno 2015, operano e prevalgono automaticamente, nella legge 116, rispetto alla “vecchia” formulazione, senza bisogno di alcuna legge nazionale. E, comunque, se anche si volesse procedere ad “omogeneizzazione” con legge nazionale, sarebbero bastati pochi ritocchi alle disposizioni della legge 116, che, invece, vengono abrogate in toto dal “ condivisibile” art. 9.
C’è, però, un’altra modifica citata da ISPRA che merita di essere approfondita perché è certamente “nuova”, non è chiara come le altre e risulta, in sostanza, l’unico argomento addotto dai fautori del cambiamento lberalizzatore. Il parere ISPRA del 2017, infatti, afferma che “ mentre la regolamentazione comunitaria fa espressamente riferimento, ai fini della classificazione, al contenuto di “sostanze pericolose” e, nella definizione della procedura di valutazione della pericolosità, “alle sostanze pericolose pertinenti”, la legge 116/2014 fa più genericamente riferimento alle “sostanze presenti” nel rifiuto, il che può portare ad includere, nella procedura analitica, anche tutte le sostanze non classificate come pericolose ai sensi del regolamento 2008/1272/CE e la cui determinazione non è richiesta dalla normativa sui rifiuti ”.
Per capire meglio il significato di questa modifica, appare innanzi tutto opportuno andare alla fonte, e cioè alla Decisione 2014/955/UE, la quale, nel testo italiano, recita che “l 'iscrizione di una voce nell'elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a «sostanze pericolose», è opportuna solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose pertinenti che determinano nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE”.
Compaiono, quindi, nuovi aggettivi come "opportuna" e " pertinenti", di cui non è ben chiaro il significato sostanziale soprattutto per quanto concerne la “pertinenza” 7. Per capire meglio, abbiamo, allora, fatto quello che sempre si dovrebbe fare quando vi sono dubbi circa una normativa comunitaria e cioè abbiamo controllato la esattezza del traduzione italiana confrontandone il testo con quello delle lingue base della UE (francese ed inglese), che, in caso di dubbio, fanno fede.
Ecco il francese:
"Une référence spécifique ou générale à des «substances dangereuses» n'est appropriée pour un déchet marqué comme dangereux figurant sur la liste harmonisée des déchets que si ce déchet contient les substances dangereuses correspondantes qui lui confèrent une ou plusieurs des propriétés dangereuses HP 1 à HP 8 et/ou HP 10 à HP 15 énumérées à l'annexe III de la directive 2008/98/CE..... "
Ed ecco l'inglese:
"An entry in the harmonised list of wastes marked as hazardous ,having a specific or general reference to 'hazardous substances, is only appropriate to a waste when that waste contains relevant hazardous substances that cause the waste to display one or more of the hazardous properties HP 1 to HP 8 and/or HP 10 to HP 15 as listed in Annex III to Directive2008/98/EC...."
Appare chiaro, allora, che "opportuna" deve essere letto come " appropriata" senza alcun elemento di discrezionalità e che "pertinenti" non è affatto riferito al processo produttivo da cui vengono generati i rifiuti ma alle proprietà di pericolo ("corrispondenti") elencate subito appresso dalla disposizione in esame; tanto è vero che il testo inglese elimina addirittura questo aggettivo.
E pertanto, la corretta traduzione italiana dovrebbe essere: “ l 'iscrizione di una voce nell'elenco armonizzato di rifiuti contrassegnata come pericolosa, con un riferimento specifico o generico a «sostanze pericolose», è appropriata solo quando questo rifiuto contiene sostanze pericolose tali da determinare nel rifiuto una o più delle caratteristiche di pericolo da HP 1 a HP 8 e/o da HP 10 a HP 15 di cui all'allegato III della direttiva 2008/98/CE ”.
Non sembra, quindi, a nostro sommesso avviso, che questa aggiunta comunitaria abbia, in sostanza, alcuna rilevanza innovativa; e, di certo, non quella che ISPRA ed altri le vogliono attribuire 8. E soprattutto, comunque la si voglia intendere, non è certo tale da giustificare l’abrogazione totale della legge 116/204 (inclusa la presunzione di pericolosità in caso di dubbio) senza introdurre alcuna altra cogente indicazione operativa.
3. Il nocciolo del problema
Siamo, così, arrivati al nocciolo del problema. La formulazione dell’art. 9 D.L. 91/2017, infatti, è tale da far supporre che, per la classificazione (pericolosi o non) dei codici a specchio, al posto delle “vecchie” disposizioni della legge 116 (basate sulla “vecchia” regolamentazione comunitaria) devono oggi essere applicate le nuove disposizioni comunitarie. Si sostituisce, cioè, la legge 116 con “ le disposizioni contenute nella decisione 2014/955/UE e nel regolamento (UE) n. 1357/2014 della Commissione, del 18 dicembre 2014 ”. Il che fa pensare, ovviamente, che le nuove disposizioni contengano una nuova disciplina operativa, peraltro contrastante con quella delineata dalla legge 116.
Questo non è vero. Basta leggere, infatti, il testo vigente della normativa comunitaria (incluse, quindi, le novità del 2014 entrate in vigore il 1 giugno 2015) per verificare che essa (come prima delle novità) non contiene alcuna espressa disciplina operativa 9 quale quella sancita con la legge 116, che, quindi, abrogata la legge, deve oggi essere desunta, così come prima della legge 116, dal complesso della normativa comunitaria (ovviamente aggiornata). La migliore riprova di questa affermazione viene proprio dalla lettura del parere ISPRA 2017 il quale, dopo aver detto giustamente che deve essere applicata la normativa comunitaria, indica essa stessa nel dettaglio quali dovrebbero essere, a suo giudizio, i relativi criteri operativi per la classificazione di un rifiuto a specchio. Proprio come fa(ceva) la legge 116.
Prescindiamo pure, in questa sede, dal raffronto tra i criteri della legge 116 e quelli contenuti nel parere ISPRA 2017 10. Quello che è certo, comunque, è che, abrogata la legge 116, oggi non vi sono più criteri certi e cogenti cui rifarsi. Tanto più che adesso, attraverso una discutibile lettura del nuovo testo comunitario, vi è chi postula una discrezionalità tecnica praticamente illimitata, foriera certamente di incertezze e di prassi non uniformi, arrivando addirittura a richiedere che, in caso di dubbio, sia lo Stato a fornire, in positivo, la prova della pericolosità. Così, si riapre e si amplia oggettivamente (come avveniva prima della legge 116/2014) la strada agli imbroglioni, mascherati, più o meno, da tecnici, e alle “lotterie” dei “probabilisti” stregoni, sostituendo il certo con l’incerto in un campo delicatissimo quale quello dei rifiuti pericolosi. Con sommo gaudio degli indagati della operazione Maschera.
4. Conclusione
Ci sarà modo di approfondire questi contenuti ISPRA che troppo spesso, specie per quello che non si dice, sembrano indulgere alla tentazione di accontentare un po’ tutti, ma soprattutto il governo.
Di certo, comunque, a prescindere dai questi contenuti, ISPRA non può lavarsene le mani facendo finta che l’art. 9, abrogando la legge 116, ha risolto e chiarito tutta la problematica della classificazione dei rifiuti a specchio. Specie quando il rischio è che rifiuti pericolosi vengano gestiti come se non lo fossero.
In altri termini, non si può far finta, in un parere di così alto livello, di non capire che il vero scopo dell’art. 9 non è quello di applicare una normativa comunitaria che già dovrebbe essere applicata automaticamente dal 1 giugno 2015, ma, in realtà, quello di togliere di mezzo le (sacrosante) certezze della legge 116, inducendo addirittura a ritenere che, a seguito di modifiche comunitarie del tutto marginali, i criteri della legge 116 non possono più essere utilizzati e che ve ne siano di nuovi.
Né si può far finta di non sapere, in un parere di così alto livello –e, peraltro, tutto incentrato sulla normativa comunitaria-, che gli stessi problemi si sono posti anche in altri paesi europei e che, proprio per questo e proprio a seguito delle " m odifiche giuridiche alla Lista dei Rifiuti e criteri di rifiuti pericolosi entrate in vigore il 1 giugno 2015", la Commissione Europea (DG Ambiente) sin dal 15 giugno 2015 ha predisposto un " Documento di orientamento sulla definizione e classificazione dei rifiuti pericolosi " al fine di Legal changes to the List of Waste and Hazardous Waste criteria entered into force on 1 June 2015. As part of the work to produce a guidance document to facilitate a common understanding of the new requirements and contribute to a uniform implementation of waste classification in the EU28, the European Commission (DG Environment) launched a stakeholder consultation on a draft guidance document ." facilitare una comprensione comune delle nuove esigenze e contribuire ad un'applicazione uniforme della classificazione dei rifiuti nel EU ", il quale, nel terzo capitolo (pagine 24-30) si occupa espressamente della procedure per la classificazione dei rifiuti, inclusi, ovviamente, i codici a specchio, delineando sostanzialmente –guarda caso- la stessa procedura operativa adottata in Italia dalla (oggi abrogata) legge 116/2014 e resa operativa in altri paesi europei (fra cui la Gran Bretagna) 11; e conclude che “ se la composizione del rifiuto non è chiara e non vi è alcuna possibilità di procedere ad un approfondimento con gli ulteriori passaggi conoscitivi riportati nel capitolo seguente, il rifiuto è da classificare come pericoloso ”
A nostro sommesso avviso, sarebbe stato, quindi, doveroso, da parte di ISPRA, invece di plaudire alla abrogazione della legge 116, di inserire alcune sue dubbie considerazioni sulla interpretazione delle (minime) modifiche comunitarie, e di dichiarare per ben due volte “ condivisibile” il dettato governativo dell’art. 9, richiedere al legislatore di inserire, nella conversione in legge del decreto n. 91/2017, i criteri enunciati in questo documento comunitario da un organismo super partes quale la Commissione UE, al fine di evitare ogni incertezza e garantire seriamente ed effettivamente, con disposizioni cogenti per tutti, la rispondenza della nostra normativa a quella comunitaria 12.
Né si dica che un simile suggerimento non rientra nelle competenze ISPRA, in quanto di certo il parere del 2017 non è affatto solo “tecnico” ma spazia più volte nel campo giuridico, politico ed economico, tanto da ribadire per ben due volte di essere d’accordo con una scelta governativa che, così come formulata, apre palesemente la strada all’incertezza nel settore delicatissimo dei rifiuti pericolosi, con rilevanti implicazioni economiche a favore di un certo mondo imprenditoriale. E proprio in un momento in cui tanti bravi ricercatori ISPRA vedono messo in pericolo, per volontà governativa, il loro sacrosanto posto di lavoro.
1 Da ultim, cfr. il nostro Voci a specchio: l'Ordine dei chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge in www.industrieambiente. it, marzo 2017, nonchèCodici a specchio: arriva il partito della scopa, ivi, aprile 2017, AMENDOLA-SANNA, C odici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, ivi, giugno 2017 e Codici a specchio: cresce il partito della certezza (scientifica) in www.lexambiente .it, 11 luglio 2017
2 "Parere pro veritate" emesso il 12 febbraio 2017 dall'ordine interregionale dei chimici del Lazio, Umbria, Abruzzo e Molise con specifico riferimento alla citata “operazione Maschera”, a firma del Presidente (che risulta anche essere il redattore della perizia utilizzata nell’ambito del procedimento conclusosi con la citata sentenza della Cassazione, in difesa di un industriale indagato anche nell’ambito della operazione Maschera)
3 Cfr. Regione Lazio, relazione del 30 gennaio 2017 sugli impianti oggetto di sequestro in data 25/1/2017 (operazione Maschera) , risposta a nota n. 41712 del 27/1/20117, la quale, con riferimento alla legge 116, afferma che “la differenza sostanziale tra i due testi normativi è rappresentata, in estrema sintesi, dall'obbligo di determinazione delle concentrazioni di tutti i composti, nel caso della legge 116/2014 ovvero di quelli pertinenti in base al processo produttivo da cui vengono generati i rifiuti”.
4 Per approfondimento e per una prima valutazione critica cfr. il nostro C odici a specchio. il miracolo estivo che elimina i rifiuti pericolosi, in www.industrieambiente.it di luglio 2017
5 Anche in questo parere, quindi, non si spiega, tuttavia, come sia possibile selezionare i parametri da analizzare quando il rifiuto non proviene da un processo produttivo specifico, cioè non sia un rifiuto regolarmente generato.
6 A dire il vero, visto che, come ricorda ISPRA, il testo delle modifiche comunitarie, in agosto 2014, era già certo, si dovrebbe ritenere che il legislatore italiano della legge 116 si sia guardato bene dall’inserire disposizioni con esse incompatibili o “non coerenti”, le quali, comunque, sarebbero state superate e abrogate dopo pochi mesi.
7 cfr. FIMIANI, La classificazione dei rifiuti dopo la novità della legge 125/2015 , in Rifiuti, n. 231, agosto-settembre 2015, secondo cui “ devono, allora, ritenersi superati, stante la prevalenza della fonte eurounitaria, i criteri stringenti e le presunzioni di cui ai predetti commi 5 e 6 della norma introdotta con la legge n. 116/2014, con l'affermazione, quale regola generale nello svolgimento delle analisi, della ricerca, caso per caso, dell'effettiva natura del rifiuto, mediante l'individuazione dei parametri "opportuni", ''proporzionati" e ''pertinenti", all'esito di un'attività a contenuto valutativo (come si evince dal ricorso ai concetti di opportunità e proporzionalità, da parte delle norme europee), ancorché caratterizzata da discrezionalità tecnica (il concetto di "pertinenza" implica la individuazione di criteri oggettivi, verificabili, coerenti con la natura dei cicli produttivi e tecnicamente attendibili)”.
8 Nello stesso senso, con approfondimenti sulle versioni originarie del testo (anche in tedesco), cfr. GALASSI, La classificazione delle voci a specchio e il criterio di esaustività delle analisi: dallo scontro in dottrina alla soluzione del decreto Mezzogiorno , in www.ambientelegaledigesta.it , la quale conclude che “ dalla lettura dei testi originali non emergono i riferimenti né al parametro di opportunità né della pertinenza delle analisi al processo produttivo ”
9 Tanto è vero che, come vedremo appresso, la Commissione UE ha predisposto una guida (aggiuntiva) con tale disciplina.
10 Vale la pena, comunque, di evidenziare da subito che, nel parere in esame (ovviamente non cogente), ISPRA afferma anche la necessità di “ acquisire le informazioni necessarie a individuare le possibili tipologie di sostanze che potrebbero essere presenti nel rifiuto e conferire pericolosità allo stesso ”; e che, a proposito della tanto odiata “presunzione di pericolosità”, conclude che “u n’insufficiente conoscenza delle caratteristiche di un rifiuto, derivante da una procedura attuata in maniera superficiale, comporta inevitabilmente che lo stesso sia classificato come pericoloso. ”.
11 Per uno specchietto sinottico di comparazione tra le disposizioni della legge 116/2014 e i criteri enunciati in questo documento comunitario, cfr. il nostro Codici a specchio: arriva il partito della scopa, cit.
12 Con tutto il rispetto, ci sembra che la Commissione europea sia ben più qualificata di ISPRA a proporci come applicare la normativa comunitaria.