Cass. Sez. III n. 1717 del 15 gennaio 2021 (UP 11 nov 2020)
Pres. Sarno Est. Gai Ric. Troiani
Rumore.Responsabilità gestore di un pubblico esercizio
Risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisce i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, ciò in base al pertinente rilievo secondo cui la veste di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento, come l'attuazione dello "ius excludendi" e il ricorso all'Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica e, a tal fine, poiché l'evento possa essere addebitato al gestore dell'esercizio commerciale, occorre che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo da parte dell'agente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 28 febbraio 2020, il Tribunale di Roma ha condannato Troiani Camilla, alla pena di € 600,00 di ammenda, perché ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 659 comma 1 cod.pen. per avere, quale titolare del locale Vesper Cafè Enoteca, sito in Roma, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con emissioni sonore prodotte dall’impianto stereo e dal vociare degli avventori del locale, arrecato disturbo al riposo e all’occupazione dei condomini residenti in via Massa Carrara n. 4. Accertato in Roma dall’aprile 2015 al 6 aprile 2016.
Con la medesima sentenza l’imputato era stato condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, liquidato in € 500,00 per ciascuna di esse, nonché alla rifusione delle spese da costoro sostenute.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputata a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo, con un unico e articolato motivo, la violazione di legge in relazione all’erronea applicazione dell’art. 659 cod.pen. e il vizio di motivazione.
Secondo la ricorrente il Tribunale, ferma la riconducibilità dei rumori e degli schiamazzi agli avventori del locale di cui l’imputata è titolare, avrebbe erroneamente ritenuto in capo alla predetta una posizione di garanzia riconducibile all’obbligo giuridico di impedire gli schiamazzi e comunque i rumori eccessivi prodotti dalla propria clientela provenienti, come avvenuto nel caso concreto, dall’esterno del locale. Invero, siffatto obbligo sarebbe sussistente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, unicamente rispetto alle condotte poste in essere dai clienti che si trovino all’interno del locale e non all’esterno. Nel caso in esame, poi, i rumori e il vociare provenivano da area esterna (giardinetti), in ogni caso l’imputato aveva adottato misure atte a impedire gli schiamazzi prodotti dai suoi clienti apponendo, dapprima, apposito cartello volto a invitare gli avventori a non disturbare e poi nell’assunzione di servizio di vigilanza privata. Il giudice avrebbe ritenuto insufficiente l’adozione di tali misure e non avrebbe considerato che il disturbo proveniva in realtà dai giardini ubicati di fronte all’esercizio commerciale e dalla strada e cioè da ambienti esterni. In definitiva il tribunale avrebbe condannato l’imputata in virtù di una responsabilità oggettiva.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
Secondo la sentenza impugnata era stato accertato, attraverso rilievi fonometrici dell’ARPA, in più giorni, durante le ore di apertura del locale, il superamento dei valori soglia quanto alla produzione di immissioni sonore. I testi escussi, condomini dello stabile che si affacciava su Piazza Massa Carrara, avevano dichiarato come sino alle 2 di notte la zona antistante il condominio era interessata da vociare e da musica ad alto volume che impediva il riposo delle persone e come dopo la rimozione dei tavolini fuori dal locale, l’attività di mescita dei vini avveniva attraverso una finestra su strada che comportava un costante assembramento di persone davanti al locale ed anche nel vicino giardino pubblico.
Sulla scorta dell’accertamento di fatto, il Tribunale di Roma ha condannato Troiani Camilla per il reato di cui all’art. 659 cod.pen. ritenendo dimostrato il disturbo del riposo notturno delle persone “data la musica ad alto volume ed il vociare prodotto da capannelli di persone assembrate davanti al locale” (cfr. pag. 3) e l’assenza di misure, non adottate dalla ricorrente, volte ad impedire fattivamente il disturbo tranne un “inutile” cartello apposto all’interno del locale.
5. In relazione alle censure della ricorrente, il Collegio ritiene di dover dare continuità̀ alla condivisa affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 14750 del 22/01/2020, Rv. 279381 – 01; Sez. Fer., n. 34283 del 28/07/2015, Rv. 264501; Sez. 1, n. 48122 del 03/12/2008, Rv. 242808, e Sez. 3 n. 28570 del 09/05/2019 non mass.), secondo cui risponde del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone il gestore di un pubblico esercizio che non impedisce i continui schiamazzi provocati dagli avventori in sosta davanti al locale anche nelle ore notturne, ciò in base al pertinente rilievo secondo cui la veste di titolare della gestione dell'esercizio pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall'ordinamento, come l'attuazione dello "ius excludendi" e il ricorso all'Autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell'ordine e della tranquillità pubblica e, a tal fine, poiché l'evento possa essere addebitato al gestore dell'esercizio commerciale, occorre che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo da parte dell'agente.
Ciò implica un'adeguata verifica in sede di merito, volta ad accertare la consistenza degli spazi fruibili dagli avventori, la tipologia delle emissioni sonore e le iniziative assunte dal gestore del locale per eliminarle o almeno per contenerle, dovendosi rilevare che dagli accertamenti di fatto era risultato che il servizio di offerta del vino avveniva attraverso una finestra del locale, circostanza già in sé idonea a produrre assembramento di avventori davanti al locale, e che non era stata predisposta una attività di vigilanza esterna, anzi la sentenza dà atto dell’apposizione di un cartello all’interno del locale, misura questa che si era rivelata del tutto inadeguata allo scopo avuto riguardo agli accertamenti fonometrici ripetuti in più occasione in un significativo lasso temporale. Quanto alla prospettazione alternativa che i rumori provenissero dai giardini pubblici, si tratta di una censura di merito con cui si sollecita una rivalutazione del fatto non consentita a fronte delle indicazioni provenienti dalle testimonianze sull’assembramento che si generava davanti al locale conseguente alle modalità del servizio di mescita. Accertati gli schiamazzi e la somministrazione delle bevande all’esterno del locale, tramite la finestra, la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto sussistente un obbligo giuridico in capo alla titolare, non limitato all’interno del locale, proprio perché l’attività di mescita era svolta anche all’esterno. Nei confronti degli avventori che fruivano del servizio del locale, servizio svolto all’esterno di questo e nei limiti di questo, è senza dubbio configurabile lo ius excludendi del gestore. Ma, in ogni caso, la sentenza impugnata ha ritenuto accertate due condotte di disturbo, quella proveniente dalla musica diffusa dall’impianto stereo del locale e quella conseguente al vociare degli avventori all’esterno. Ora il ricorso non si confronta con la prima condotta di disturbo che è già di per sé sola idonea a configurare il reato contestato.
Il ricorso censura solo la prima delle ragioni del decidere, senza nulla dire della seconda, così incorrendo nel vizio di aspecificità (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017, dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448).
6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
La ricorrente deve, altresì, essere condannata alla rifusione delle spese sostenute nel grado in favore delle parti civili come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, l’imputata alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile La Monaca Gabriella che liquida € 3.000,00, oltre accessori di legge; Roberto Puglisi, Emilia Sanci, Marco Mezzana, Patrizia Maria D’Adumbo, Alberto Pesce, Simona Hameri, che liquida in complessivi € 7.000,00, oltre accessori di legge; Sforza Daniela e Frigeni Maurizio che liquida in complessive € 3.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso l’11/11/2020