Pres. Postiglione Est. Petti Ric. Chiarabini
Urbanistica. Inammissibilità scriminante dello stato di necessità
Lo stato di necessità è difficilmente ipotizzabile in materia di abusivismo edilizio o ambientale, quando il pericolo di restare senza abitazione è concretamente evitabile attraverso i meccanismi del mercato o dell'assistenza sociale. In tale materia manca, non solo e non tanto il danno grave alla persona (secondo qualche decisione di legittimità per danno grave alla persona deve intendersi ogni danno grave ai suoi diritti fondamentali ivi compreso quello all'abitazione), ma anche e soprattutto l'inevitabilità del pericolo: infatti l'attività edificatoria non è vietata in modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla legge a tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio, l'ambiente ed il paesaggio, che sono tutelati anche dall’articolo 9 della Costituzione. Di conseguenza , se il suolo è edificabile, le disagiate condizioni economiche non impediscono al cittadino di chiedere il permesso di costruire. Se il suolo non è edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non può prevalere sull'interesse della collettività alla tutela del paesaggio e dell'ambiente.
UDIENZA PUBBLICA DEL 29/05/2007
SENTENZA N.1606
REG. GENERALE N.6190/04
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Amedeo Postiglione presidente
Dott. Agostino Cordova consigliere
Dott. Ciro Petti consigliere
Dott. Margherita Marmo consigliere
Dott. Antonio Ianniello consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal difensore di Chiarabini Angelo, nato a
Sant'Angelo in Vado(PS) il 31 maggio del 1952, avverso la sentenza
della corte d'appello di Bologna del 13 maggio 2003;
udita la relazione svolta del consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale in persona del dott. Angelo
Di Popolo, Il quale ha concluso per l'inammissibilità de
ricorso;
Udito il difensore avv Brochiaro Magrone Fabrizio,quale sostituto
dell'avv. Vittorino Cagnoni, il quale ha concluso per l'accoglimento
del ricorso;
Letti il ricorso e la sentenza denunciata, osserva
IN FATTO
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 13.05.2003 (depositata
in data 18.08.2003 e notificata al difensore in data 09.10.2003 e
all'imputato contumace in data 13.10.2003),confermava quella
pronunciata dal Tribunale di Rimini, con cui Chiarabini Angelo era
stato condannato, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla
pena di mesi uno di arresto ed curo 4000,00 di ammenda, quale
responsabile della contravvenzione p.e p. dall'art. 20 lett. b)
L.47/85, per avere, quale proprietario di un fabbricato allo stato
grezzo, sito in Rimini via Calastra s.n., in assenza della concessione
edilizia, eseguito sul piano seminterrato già realizzato in
precedenza, un piano primo avente le dimensioni di mt. 10,12 x 12,10
(mq. 122,45) con altezza di mt. 2,92, con getto sui tre lati delle
solette per i balconi per un totale di mq. 53,46. Reato accertato in
Rimini il 02.09.1999.
Ricorre per cassazione l'imputato per mezzo del suo difensore sulla
base di due motivi
Con il primo motivo il difensore deduce mancanza e manifesta
illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606, I
comma, lettere. d) ed e), C.p.p., in ordine alla mancata assunzione
della prova testimoniale sulle circostanze integranti lo stato di
necessità chiesta in primo grado a norma dell'articolo 507
c.p.p. e rinnovata con i motivi d'appello.
Con il secondo motivo lamenta mancanza e manifesta
illogicità della motivazione nella parte relativa alla
mancata revoca dell'ordine di demolizione e di revoca del sequestro.
Assume che la corte ha illegittimamente confermato la pronuncia del
Tribunale di Rimini con cui era stata rigettata la richiesta
d'assunzione della prova testimoniale avanzata dalla difesa ai sensi
dell'art. 507 c.p.p. e diretta a dimostrare l'esistenza dell'esimente
dello stato di necessità ex art. 54 c.p.. Il giudice di
secondo grado, infatti, dopo aver riconosciuto che l'appellante aveva
effettivamente allegato le circostanze a sostegno dell'esistenza di uno
stato di necessità (la vana ricerca di altre soluzioni "in
affitto ",le proprie disagiate condizioni economiche; la
precarietà/intollerabilità di una forzata
coabitazione con i suoceri nell'appartamento di questi ultimi), aveva
successivamente affermato, in modo del tutto inadeguato, che tali
circostanze erano state "prospettate unicamente nei motivi d'appello in
quanto la difesa in primo grado si era limitata a chiedere l'escussione
di un certo Zavatti Nevio, il quale avrebbe dovuto testimoniare sul
fatto che il Chiarabini stesso era stato il muratore del manufatto
edilizio in questione. Con ciò la corte aveva compiuto un
evidente errore nella lettura e nella valutazione degli atti
processuali. Invero le suindicate allegazioni erano state prospettate
dalla difesa del Chiarabini nel corso del dibattimento di primo grado,
allorché era stata illustrata la tesi difensiva fondata
sull'esistenza di un grave stato di necessità, provocato
dallo sfratto subito dall'imputato, dall'impossibilità di
rinvenire un altro alloggio idoneo per sé e per la propria
famiglia e dalla difficile e insostenibile coabitazione forzata con i
suoceri.
A conferma di quanto dedotto e al fine di dimostrare l'esistenza del
predetto stato di necessità, all'udienza del 12.03.2002, era
stata prodotta la copia dell'atto di sfratto dell'imputato dalla
propria abitazione e si era chiesto che venisse ammessa, ai sensi
dell'art. 507 c.p.p., la prova testimoniale sulle circostanze allegate
e integranti le condizioni richieste per l'esistenza di tale esimente
(lo sfratto subito dall'imputato dal proprio appartamento, i tentativi
di rinvenire un altro alloggio idoneo rivelatisi inutili a causa della
scarsa offerta di appartamenti oltre che degli elevati canoni
richiesti, le precarie condizioni economiche dell'imputato e della sua
famiglia e la difficile coabitazione forzata nell'abitazione dei
suoceri, la decisione di costruirsi un alloggio da solo ricorrendo al
proprio lavoro di muratore). A tal fine alla medesima udienza del
12.03.2002 si era indicato come testimone il Sig. Zavatti Nevio.
Inoltre la conferma dell'ordine di demolizione era illegittima
perché,a seguito dell'inosservanza dell' ingiunzione a
demolire dell'autorità comunale, il bene non era
più di sua proprietà, ma era divenuto di
proprietà comunale, per cui non poteva demolire un bene
altrui.
Con memoria dell' 11 maggio del 2007 il ricorrente ribadiva di avere
presentato domanda di condono ed eccepiva altresì la
prescrizione maturata dopo la decisione impugnata.
IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei
motivi.
Preliminarmente si rileva che la domanda di condono presentata dal
ricorrente, come risulta dalla nota del 15 gennaio del 2007 trasmessa a
questa Corte dal dirigente l'ufficio comunale, è stata
ritenuta irricevibile e decaduta perché la documentazione
era incompleta.
Ciò premesso, si rileva che il mezzo d'annullamento di cui
all'articolo 606 primo comma lett. d), anche a seguito delle
modificazioni apportate con l'articolo 8 della legge n 46 del 2006,
presuppone non solo che la prova sia decisiva, ma anche che sia stata
richiesta a norma dell'articolo 495 comma secondo c.p.p.. La norma in
esame invero ha la funzione di apprestare tutela nel caso di eventuale
violazione del cosiddetto diritto alla controprova, quando sia stata
compromessa l'effettiva instaurazione del contraddittorio in ordine ad
un elemento decisivo dell'istruzione probatoria.
Nella fattispecie la prova non era decisiva perché verteva
sulla sussistenza di un presunto stato di necessità che la
corte ha legittimamente ritenuto non configurabile e comunque la prova
non si riferiva ai casi previsti dall'articolo 495 comma secondo
c.p.p.. Invero, lo stato di necessità è
difficilmente ipotizzabile in materia di abusivismo edilizio o
ambientale, quando il pericolo di restare senza abitazione è
concretamente evitabile attraverso i meccanismi del mercato o
dell'assistenza sociale (Così Cass. Sez III 4 dicembre 1987
Iudicello;Cass 17 maggio 1990 n. 7015;22 settembre 2001, Riccobono; 22
febbraio 2001, Bianchi). In tale materia manca, non solo e non tanto il
danno grave alla persona (secondo qualche decisione di
legittimità per danno grave alla persona deve intendersi
ogni danno grave ai suoi diritti fondamentali ivi compreso quello
all'abitazione -cfr Cass. 11030 del 1997-), ma anche e soprattutto
perché manca l'inevitabilità del pericolo:
infatti l'attività edificatoria non è vietata in
modo assoluto, ma è consentita nei limiti imposti dalla
legge a tutela di beni di rilevanza collettiva, quali il territorio,
l'ambiente ed il paesaggio, che sono tutelati anche dalla Costituzione
-art 9- Di conseguenza, se il suolo è edificabile, le
disagiate condizioni economiche non impediscono al cittadino di
chiedere il permesso di costruire. Se il suolo non è
edificabile, il diritto del cittadino a disporre di un'abitazione non
può prevalere sull'interesse della collettività
alla tutela del paesaggio e dell'ambiente. Le decisioni di questa corte
che interpretano in maniera estensiva il concetto di danno alla persona
fino a comprendervi il diritto all'abitazione si risolvono in mere
affermazioni di principio sull'astratta applicabilità di
tale esimente anche in materia di abuso edilizio, posto che richiedono
comunque un'indagine rigorosa sull'effettiva sussistenza dei requisiti
dell'esimente, i quali requisiti difficilmente o eccezionalmente sono
stati riscontrati in concreto (cfr ad esempio Cass 19811 del 2006). In
definitiva, pur aderendo in questa materia ad un'interpretazione ampia
del concetto di danno alla persona, difficilmente nella prassi sarebbe
configurabile l'inevitabilità del pericolo e comunque nella
fattispecie certamente lo stato di necessità non
è configurabile, poiché il prevenuto non si
è neppure preoccupato di indicare la ragione per la quale
non ha potuto chiedere il permesso di effettuare la sopraelevazione che
abusivamente ha effettuato, anche se ha dovuto necessariamente
investire risorse economiche per realizzare il manufatto. Ed
è questa la ragione che rende manifesta l'infondatezza
dell'istanza di concessione dell'esimente dello stato di
necessità.
In relazione al secondo motivo si osserva che la potestà
attribuita autonomamente al giudice penale di disporre la demolizione
del fabbricato abusivo non trova un limite nell'avvenuta acquisizione
del bene al patrimonio comunale, giacché la stessa
acquisizione è finalizzata alla demolizione. Il contrasto
tra i due poteri -giurisdizionale ed amministrativo-, diretti entrambi
al medesimo risultato ossia alla demolizione del manufatto abusivo, non
si verifica quindi al momento dell'acquisizione del bene al patrimonio
comunale, bensì nel momento in cui il Consiglio comunale,
per l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, manifesti la
volontà di non procedere alla demolizione, sempre che
l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.
Questa stessa sezione ha già statuito che il potere dovere
del giudice penale di eseguire la demolizione dell'opera edilizia
abusiva, disposta ex art. 7 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 con la
sentenza di condanna, opera anche nel caso in cui le opere siano state
acquisite al patrimonio del Comune, con la sola esclusione del caso in
cui sia intervenuta la deliberazione del consiglio comunale che abbia
dichiarato l'esistenza di prevalenti interessi pubblici (Cass sez III
n. 3489 del 2000;n.2406 del 2003; 37120 del 2003; nn 26149; 37120;
43294 del 2005). In base all'art. 7 della legge n. 47 del 1985 (ora
art. 31 T.U.) il consiglio comunale può dichiarare
legittimamente la prevalenza di interessi pubblici ostativi alla
demolizione alle seguenti condizioni: 1) assenza di contrasto con
rilevanti interessi urbanistici e, nell'ipotesi di costruzione in zona
vincolata,assenza di contrasto con interessi ambientali: in
quest'ultimo caso l'assenza di contrasto deve essere accertata
dall'amministrazione preposta alla tutela del vincolo; 2) adozione di
una formale deliberazione del Consiglio con cui si dichiari formalmente
la sussistenza di entrambi i presupposti; 3) la dichiarazione di
contrasto della demolizione con prevalenti interessi pubblici, quali ad
esempio la destinazione del manufatto abusivo ad edificio pubblico,
ecc.. Inoltre, l'incompatibilità dell'esecuzione
dell'ordinanza di demolizione con la delibera consiliare presuppone che
questa sia attuale e non meramente eventuale, perché non
è consentito fermare l'esecuzione penale per tempi
imprevedibili senza la concreta esistenza di una delibera consiliare
avente i requisiti anzidetti, giacché l'ordinamento non
può attendere sine die l'adozione di una
eventuale deliberazione. Solo a partire dall'adozione della delibera
è preclusa al giudice la potestà di disporre la
demolizione del manufatto o di subordinare il beneficio della
sospensione condizionale della pena alla demolizione e solo a partire
da tale momento l'inottemperanza dell'ingiunto all'ordine di
demolizione impartito dall'autorità giudiziaria è
giustificata.
Peraltro non può considerarsi illecita la condotta del
condannato, il quale in esecuzione dell'ordine impartito dal giudice,
provveda a demolire il manufatto anche dopo il decorso del termine
fissato nell'ingiunzione dall'autorità amministrativa,
giacché con la demolizione si realizza proprio il fine al
quale è diretta l'acquisizione gratuita al patrimonio
comunale. Quindi, quand'anche si fosse già verificata
l'acquisizione del bene al patrimonio comunale, la circostanza non
sarebbe ostativa alla demolizione o alla subordinazione del beneficio
della sospensione condizionale della pena alla demolizione stessa o
all'esecuzione dell'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di
condanna, giacché entrambe le ingiunzioni sono dirette a
realizzare lo stesso risultato ossia l'eliminazione dal territorio di
un manufatto abusivo.
Per quanto concerne l'esplicita revoca del sequestro del bene si
osserva che, una volta che il comune è divenuto titolare del
bene e nella fattispecie il ricorrente non contesta l'acquisizione del
bene al patrimonio disponibile del comune, anzi ha fondato il secondo
motivo su tale premessa, l'imputato non ha interesse alla restituzione
e, quindi, non può dolersi della mancata revoca del
provvedimento di sequestro preventivo( Cass n 711/97), salvo il caso,
che non ricorre nella fattispecie, in cui chiede il dissequestro per
potere eseguire la demolizione. Invero con la sentenza di condanna la
cosa oggetto del sequestro preventivo, se non deve essere confiscata,
va restituita a favore dell'avente diritto, che nella fattispecie a
seguito dell'acquisizione del bene al patrimonio comunale si identifica
nel Comune (cfr per tutte Cass sez III 9 giugno 2004,Meglio)
L'inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza
dei motivi impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la
decisione impugnata secondo l'orientamento espresso dalle Sezioni unite
di questa corte con la decisione n 32 del 2000, De Luca
nonché con la decisione del 27 giugno del 2001, Cavalera)
P.Q.M.
La Corte Letto l'articolo 616 c.p.p.
Dichiara
Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuale ed al versamento della somma di euro
1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 29 maggio del 2007