Cass. Sez. III n. 22832 del 10 giugno 2021 (UP 23 apr 2021)
Pres. Liberati Est. Mengoni Ric. Schirinzi ed altri
UrbanistIca.Cessione di cubatura e concorso nel reato del funzionario comunale nominato responsabile del procedimento
La "cessione di cubatura" è legata a due condizioni: l'omogeneità dell'area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente e ricevente) e la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa vicinanza. Tale contiguità viene a mancare, in ogni caso, quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l'edificazione. E’ configurabile il concorso nel reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 a carico del funzionario comunale nominato responsabile del procedimento che, procedendo ad istruire la pratica edilizia, abbia colposamente espresso parere favorevole al rilascio di un titolo abilitativo illegittimo, in tal modo apportando un contributo causale rilevante ai fini della determinazione dell'evento illecito
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/6/2019, la Corte di appello di Lecce, in riforma della pronuncia emessa il 7/11/2017 dal locale Tribunale, dichiarava Luigi Schirinzi, Andrea Calabrese, Walter Cosimo Pennetta e Lucio Ricciardi colpevoli del delitto di cui all’art. 481 cod. pen., così riqualificata l’originaria imputazione di cui al capo d) e limitatamente al falso connesso alla relazione paesaggistica, nonché delle contravvenzioni di cui ai capi a) e b) – artt. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 181, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Agli stessi, nelle rispettive qualità, era riconosciuto di aver consentito e realizzato – a seguito del rilascio di un illecito permesso di costruire e di una non valida autorizzazione paesaggistica, in zona sottoposta a vincolo di tale natura ed a tutela del PUTT.P Regione Puglia – opere edili non consentite, perché eseguite con volumetria non ammissibile sul relativo lotto, nei termini analitici di cui alla contestazione, e previa predisposizione di un relazione paesaggistica nella quale si attestava falsamente la conformità ambientale dell’intervento.
2. Propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo i seguenti motivi:
Schirinzi
• Manifesta illogicità della motivazione con riguardo a plurimi elementi. La Corte di appello non avrebbe considerato che il ricorrente/committente avrebbe fatto un legittimo affidamento sull’operato dei tecnici che avevano gestito la pratica edilizia, sì che nessun addebito – neppure di colpa – gli potrebbe esser mosso. La sentenza, inoltre, avrebbe trattato allo stesso modo la posizione di tutti gli imputati, senza distinguere l’operato di ciascuno ed il necessario profilo psicologico; dal cui esame, peraltro, sarebbe emersa la completa estraneità ai fatti dello Schirinzi, medico che vive a centinaia di chilometri dall’area in esame e privo di qualunque competenza edilizia od urbanistica. A ciò si aggiunga, come peraltro affermato nella stessa sentenza, che la materia in esame sarebbe particolarmente complessa, sì da non potersi ulteriormente muovere addebiti al ricorrente, che della stessa non avrebbe avuto alcuna cognizione. Quanto al profilo oggettivo delle contestazioni, inoltre, la Corte non avrebbe considerato che l’immobile in esame sarebbe davvero adibito ad uso agricolo (anche in ragione delle ridottissime dimensioni), ed i criteri indicati in sentenza in senso contrario risulterebbero del tutto illogici
Calabrese
• Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 24, d.P.R. n. 380 del 2001, 3 D.M. Sanità del 5/7/1975. La colpevolezza del ricorrente sarebbe stata riconosciuta in forza di un solo elemento, quale la non contiguità tra i fondi interessati dalla cessione di cubatura; non si sarebbe considerato, dunque, che l’accorpamento avrebbe interessato aree omogenee di terreni tipizzati allo stesso modo, con identici indici di fabbricabilità e distanti tra loro appena 500-600 metri. La destinazione dell’immobile ad esigenze abitative, inoltre, sarebbe stata tratta in modo illogico, senza peraltro considerare la disciplina (il citato d.m. del 1975) che stabilisce gli standard minimi di agibilità/abitabilità degli immobili, non presenti nel caso di specie;
• violazione dell’art. 429, n. 2, cod. proc. pen. Il ricorrente non sarebbe stato posto nelle condizioni di conoscere l’effettiva contestazione, quanto al delitto di cui all’art. 479 cod. pen., poi riqualificato ai sensi dell’art. 481 cod. pen. In particolare, la sentenza non indicherebbe quali sarebbero i dati falsi indicati dal ricorrente, confonderebbe i piani urbanistici e paesaggistici e, soprattutto, che le valutazioni effettuate dal progettista sugli stessi dati rimarrebbero tali, non potendo, dunque, esser lette nei termini del vero/falso;
• difetto assoluto di motivazione quanto all’elemento soggettivo del reato di falso, che non avrebbe trovato alcuna conferma e, anzi, sarebbe smentito dalla scarsa chiarezza delle norme di riferimento;
• erronea applicazione della L.R. n. 56 del 1980, art. 51. La sentenza avrebbe erroneamente ritenuto applicabile tale disciplina (che limiterebbe l’accorpamento alle sole aziende agricole), che tuttavia, pacificamente, avrebbe ormai perso efficacia, poiché in vigore fino all’entrata in vigore dei piani territoriali; con l’adozione del Piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio, dunque, si sarebbe verificata la clausola risolutiva espressa dell’efficacia della previsione di legge, come peraltro affermato dalla giurisprudenza di questa Corte;
• intervenuta prescrizione dei reati al 23/6/2019, quanto al delitto di cui al capo d), e al 23/8/2019 per le contravvenzioni.
Ricciardi-Pennetta
• mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; violazione dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001. La Corte di appello avrebbe sovvertito l’esito assolutorio del primo giudizio senza effettiva motivazione; la sentenza, in particolare, non considererebbe che nessun elemento indicherebbe il Ricciardi quale responsabile del procedimento con riguardo al permesso di costruire n. 122 del 2011 (rilasciato dal Pennetta), mentre l’autorizzazione paesaggistica n. 67 del 2011 sarebbe stata rilasciata dall’Unione dei Comuni, a firma dell’ing. Ferramosca. L’ipotetico – e non provato – ruolo di responsabile del procedimento, peraltro, non sarebbe sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità con riguardo alle contravvenzioni in rubrica, in assenza di ulteriori allegazioni a conferma di un qualche apporto concorsuale alle fattispecie, alle quali, dunque, il Ricciardi sarebbe del tutto estraneo;
• Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 44, d.P.R. n. 380 del 2001 e 181, d. lgs. n. 42 del 2004; vizio di motivazione. La sentenza avrebbe condannato tutti gli imputati, quanto alle contravvenzioni, senza distinguere le posizioni e le effettive responsabilità, individuandovi, dunque, impropriamente le fattispecie concorsuali;
• Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 25, comma 2, Cost., 44, lett. c), cit., 5, d.l. n. 70 del 2011, 51, let. G), l.r. n. 56 del 1980; violazione di principi di legalità, riserva di legge, prevedibilità e determinabilità della norma incriminatrice; vizio di motivazione. La Corte di appello avrebbe affermato la responsabilità del ricorrente (anzi, di tutti gli imputati) in ragione di un solo criterio, quale la non contiguità dei fondi oggetto di cessione di cubatura; criterio di creazione giurisprudenziale, come affermato nella stessa sentenza, e privo di ogni riferimento normativo, dunque insuscettibile di esser posto a fondamento di una pronuncia di condanna. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, infatti, avrebbe ben delineato i caratteri dell’istituto, evidenziandone l’ammissibilità in generale, e relegando ad eccezioni – da prevedersi espressamente – i limiti od i divieti; tali eccezioni, invero, non ricorrerebbero nel caso di specie, atteso che nessuna norma all’epoca vigente avrebbe imposto la contiguità dei fondi interessati dalla cessione, né questa sarebbe stata prevista dal d.l. n. 70/2011, che ha poi regolato l’istituto, sul presupposto che – all’interno della stessa zona omogenea e con uguale indice di fabbricabilità (come nella vicenda in oggetto) – non conterrebbe dove siano dislocati i terreni, ma soltanto il totale della volumetria realizzabile. Ragionare diversamente, peraltro in assenza di una qualunque prescrizione normativa, comporterebbe, inoltre, un’inammissibile integrazione del precetto penale (art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001) con il “formante giurisprudenziale”, così relegando la previsione ben al di sotto di quella soglia di determinatezza e prevedibilità richiesta dall’art. 25 Cost. Né, in senso contrario, potrebbero valere le numerose sentenze di questa Corte su altri interventi realizzati in Puglia, atteso che, in quei casi, l’accorpamento aveva interessato fondi con diversa destinazione urbanistica e differente indice edificatorio fondiario, quel che non ricorrerebbe nell’edificazione in esame;
• Le stesse censure sono poi mosse con riguardo all’elemento soggettivo del reato edilizio, che la Corte avrebbe riconosciuto con argomento errato e viziato. In particolare, l’esistenza di una consolidata prassi amministrativa favorevole e di un quadro normativo complesso avrebbero impedito di riconoscere anche solo la colpa nelle condotte contestate;
• Violazione di legge e vizio di motivazione sono poi contestate quanto al profilo oggettivo del reato paesaggistico, che sarebbe stato riconosciuto in sentenza in forza della sola, asserita violazione del precetto urbanistico, e senza alcuna valutazione specifica della materia. La Corte di appello, dunque, avrebbe impropriamente sovrapposto i parametri della compatibilità urbanistica e dell’autorizzazione paesaggistica, affermando – con argomento censurabile – che la violazione dei primi comporterebbe ex se anche la lesione degli altri;
• Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 480 cod. pen., 146, d. lgs. n. 42 del 2004; vizio di motivazione con riguardo al reato paesaggistico. Dalla costante giurisprudenza di legittimità emergerebbe che il falso ideologico in autorizzazione paesaggistica postula: a) la presenza di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi a carattere vincolante; b) che l’attestazione falsa investa una condizione giuridica del fondo che costituisce presupposto per il rilascio dell’autorizzazione; c) oppure, alternativamente, che la valutazione di compatibilità si risolva nella falsa attestazione della rispondenza della situazione di fatto ai detti parametri. Orbene, la sentenza impugnata non motiverebbe in ordine ad alcuno di questi profili, imponendosene quindi l’annullamento;
• La Corte di appello non avrebbe valutato che, agli atti, sarebbe presente il verbale di sequestro preventivo a data 30/3/2014, poi convalidato dal G.i.p.; tutti i reati in contestazione, dunque, sarebbero estinti per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. La sentenza impugnata deve essere annullata, nei termini che si indicheranno, limitatamente al ricorso Schirinzi; per contro, le impugnazioni di Calabrese, Pennetta e Ricciardi debbono essere dichiarate inammissibili.
In via preliminare, e quanto al secondo motivo del ricorso Calabrese, risulta manifestamente infondata l’eccezione di nullità della sentenza per violazione dell’art. 429, comma 2, cod. proc. pen., per indeterminatezza dell’imputazione; premesso che non è dato sapere se la stessa fosse stata presentata in primo grado, e rinnovata in appello, basti comunque qui osservare che il ricorrente non contesta, in realtà, che il decreto che dispone il giudizio fosse privo dell’enunciazione – in forma chiara e precisa – del fatto e delle sue circostanze, ma solo – e diversamente - che sarebbe stato condannato in forza di elementi che non integrerebbero alcun reato. Dal che, una censura che non concerne affatto la norma richiamata, ma il merito della responsabilità.
4. Proprio a questo riguardo, poi, si osserva che sono manifestamente infondate, in primo luogo, le questioni relative alla configurabilità, sotto il profilo oggettivo, della fattispecie di cui all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, esposte in vari ricorsi; doglianze in forza delle quali non vi sarebbe alcuna disposizione normativa da cui inferire la giuridica necessità - ai fini dell'aumento delle volumetrie assentibili sulla singola particella mediante "accorpamento" dei fondi - del requisito della "reciproca prossimità" tra gli stessi, almeno quando la cessione di cubatura avviene tra terreni aventi la stessa destinazione urbanistica e lo stesso indice di fabbricabilità, e che, comunque, una regola del genere, se anche esistente, poiché di "creazione giurisprudenziale", non sarebbe idonea ad integrare il precetto penale di cui all'art. 44 in esame.
4.1. Sul punto, risulta utile una premessa di carattere generale.
Innanzitutto, quanto alle modalità applicative dell'istituto della cessione di cubatura ed alla vigenza dell'articolo 51 della l.r. n. 56 del 1980, questa Corte ha da tempo chiarito che, essendo stato emanato, con delibera della Giunta regionale della Puglia n. 1748 del 15 dicembre 2000, il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il paesaggio (PUTT/P), si è verificata, una volta entrato in vigore quest'ultimo, la clausola risolutiva espressa dell'efficacia della predetta disposizione legislativa (così, tra altre, Sez. 3, n. 8635 del 18/9/2014, Manzo e aa., Rv. 262512; Sez. 3, 18/03/2017, n. 35166, non massimata; Sez. 3, n. 2281 del 24/11/2017, Siciliano e aa., Rv. 271770). Tanto premesso, la sentenza impugnata ha preso esplicita posizione sul punto, proprio in conformità con questo indirizzo ed in contrasto con il diverso assunto sostenuto dal Tribunale; la questione, tuttavia, risulta priva di effettivo rilievo, atteso che le conclusioni alle quali il Giudice di appello è pervenuto prescindono dalla perdurante vigenza o meno della stessa disciplina regionale (pag. 6).
4.2. Di seguito, si osserva che, ancora secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, condiviso dal Collegio, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565, e Sez. 3, n. 12389 del 21/02/2017, Minosi, Rv. 271170, ma anche Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra s.r.l., mass. per altro, contraddistinta da una ricostruzione estremamente approfondita, e, proprio in ordine alla violazione derivante da inappropriate cessioni di cubatura, Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, dep. 2015, Manzo, Rv. 262512, nonché, ancora, in precedenza, con riferimento all'art. 20, primo comma, lett. a), legge 28 febbraio 1985, n. 47, Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359).
4.3. Posta questa premessa, deve allora valutarsi se sia illegittima - per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia - l'opera di volumetria eccedente quella specificamente prevista per il singolo lotto interessato dall'edificazione, anche quando detta eccedenza sia giustificata sulla base dell'accorpamento di fondi omogenei per destinazione urbanistica ed indice di fabbricabilità, ma in difetto del requisito della "reciproca prossimità".
4.4. Ebbene, proprio a tale ultimo riguardo, centrale nella vicenda in esame, il Collegio condivide il costante insegnamento secondo cui la stessa "reciproca prossimità" tra i fondi è condizione in ogni caso necessaria per effettuare un legittimo "accorpamento" tra i medesimi ai fini dell'incremento di volumetria assentibile per uno di essi, anche in ipotesi di aree entrambe tipizzate come zona agricola ed aventi il medesimo indice di fabbricabilità (per tutte, Sez. 3, n. 12380 del 16/1/2020, Melcarne+2 e Sez. 3, n. 39337 del 9/7/2018, Renna, non massimate; tra le ultime, Sez. 3, n. 15767 del 14/2/2020, Denuccio+altri, non massimata, con ampio richiamo giurisprudenziale). Come più volte affermato, infatti, concludere diversamente, e quindi ammettere la cessione di cubatura tra terreni (solo) tra loro distanti, potrebbe determinare una situazione di "affollamento edilizio" nelle zone dove sono ubicati i fondi cessionari e una contrapposta situazione di carenza nei luoghi di insediamento dei fondi cedenti, con evidente pregiudizio per l'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici. Questo principio è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza penale di legittimità, sia in linea generale (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 46228 del 09/07/2018, S., Rv. 274673, e Sez. 3, n. 8635 del 18/09/2014, Manzo, Rv. 262512), sia proprio con riferimento alle opere edificate nel Comune di Castrignano del Capo (cfr., tra le tante: Sez. 3, n. 27758 del 17/05/2019, Sennhauser, non massimata; Sez. 3, n. 11519 del 23/01/2019, Micheli, non massimata; Sez. 3, n. 26714 del 14/01/2015, Tedoldi, non massimata). Si aggiunga, peraltro, che alcune pronunce affrontano in modo espresso il tema dell'assenza di un formale divieto e rilevano che ciò non impedisce, all'interprete e quindi al giudice, di individuare nel sistema il requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi quale condizione indispensabile per un valido "accorpamento" dei medesimi ai fini dell'incremento di volumetria di uno di essi; in particolare, si osserva che il presupposto indicato deve essere ricollegato all'esigenza di evitare che l'utilizzo dello strumento negoziale della cessione di cubatura «sia grossolanamente volto, appunto, alla elusione dei principi e delle regole in materia di pianificazione edilizia» (così Sez. 3, n. 26714 del 2015, Tedoldi, cit.).
4.5. Anche la giurisprudenza amministrativa, peraltro, ha ritenuto desumibile dal sistema il divieto di "accorpamento" di fondi non caratterizzati da contiguità, intesa nel senso che gli stessi, anche in assenza di continuità fisica tra tutte le particelle catastali interessate dalla nuova costruzione, devono pur sempre essere caratterizzati da una effettiva e significativa vicinanza (così C. St., Sez. V, n. 6734, 30 ottobre 2003; C. St., Sez. V, n. 400, 1 aprile 1998; più recentemente, TAR Campania -Salerno, Sez. H n. 1675 del 19/7/2016). In particolare, si è sottolineato che la contiguità dei fondi è requisito necessario per la legittimità dell’accorpamento, «in quanto, se così non fosse, nella zona in cui viene aggiunta cubatura potrebbe determinarsi un superamento della densità edilizia massima consentita dallo strumento urbanistico» (così Tar-Campania, n. 1675 del 2016, cit., e Tar-Sicilia, n. 1254 del 2018).
4.6. In definitiva sul punto, dunque, la giurisprudenza di legittimità e quella amministrativa affermano che la "cessione di cubatura" è legata a due condizioni: l'omogeneità dell'area territoriale entro la quale si trovano i due terreni (cedente e ricevente) e la contiguità dei due fondi, intesa non tanto come una condizione fisica (ossia contiguità territoriale) quanto come effettiva e significativa vicinanza. E con la precisazione che tale contiguità viene a mancare, in ogni caso, quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l'edificazione.
4.7. Tanto premesso in termini generali, si osserva che nel caso di specie – per come pacificamente riscontrato dalla Corte di merito - i terreni accorpati sono tra loro distanti circa 500-600 metri in linea d’aria; ancora, quello edificato (cessionario) si trova in zona paesaggisticamente vincolata e dichiarata di notevole interesse pubblico. Per ciò solo, dunque, l'accorpamento della volumetria non era consentito, in modo evidente, con conseguente illegittimità del permesso di costruire, posto che il lotto ove l'edificio è stato realizzato - si legge in imputazione, confermata dalla sentenza impugnata (pag. 4) - avrebbe consentito di esprimere 58,59 mc., ossia sensibilmente meno della cubatura di fatto realizzata (90,30 mc.).
4.8. Dal che, e ribadendo un indirizzo già affermato da questa Corte proprio in un caso relativo al medesimo Comune, il principio secondo cui la legittimità della cessione di cubatura tra fondi non contigui deve escludersi nei casi in cui gli stessi siano lontani (oppure esprimano diversi indici di fabbricabilità quando più elevato sia quello del fondo cedente, ovvero abbiano diversa destinazione urbanistica), anche laddove l'atto negoziale abbia consentito di realizzare una assai maggiore volumetria in un terreno paesaggisticamente vincolato (Sez. 3, n. 43253 del 19/9/2019, Ferilli+1, non massimata).
4.9. Quest'ultimo elemento – che, per quanto detto, incide sulla valutazione della legittimità della cessione di cubatura ai fini urbanistici e, dunque, sulla legittimità del permesso di costruire comunque rilasciato - consente poi di comprendere come risulti certamente compromessa anche la legittimità dell'accertamento di compatibilità paesaggistica, laddove (ciò che nella specie è avvenuto) lo stesso sia espresso sull'errato presupposto del rispetto degli standards urbanistici di zona quanto alla volumetria legittimamente edificabile.
5. Sotto altro profilo, poi, e come posto in rilievo dalla copiosa giurisprudenza di legittimità, un ulteriore elemento da valutare quanto alla sussistenza dell'elemento oggettivo delle contestate contravvenzioni, ed anche a prescindere dalla non più efficace disposizione di cui all'art. 51 l.r. 56/1980, è l'assenza della effettiva correlazione con l'attività agricola dell'immobile edificato in zona E1; nel caso di specie, infatti, l'imputazione contestava anche la mancanza di tale presupposto (il proprietario/committente pacificamente non svolgeva attività agricola), quale richiesto dall'art. 27 n. att. P.d.F. del comune di Castrignano del Capo, nonché la diversa destinazione del fabbricato (ampliamento del pergolato e del basamento antistante l’ingresso dell’abitazione, realizzazione di un piazzale di circa 25 mq. e di una cisterna innalzata dal piano di campagna anziché interrata, sostituzione di infissi esterni) rispetto a quella dichiarata nella richiesta delle autorizzazioni (fabbricato ad uso deposito attrezzi e prodotti agricoli). A tale riguardo, peraltro, la sentenza impugnata appare adeguatamente motivata, ben descrivendo le opere riscontrate, specie rispetto a quelle prospettate all’amministrazione, e la loro effettiva natura di “costruzione adibita a civile abitazione e non mero deposito di attrezzi agricoli o di olive raccolte”; e senza che, al riguardo, si possa accedere ad ulteriori valutazioni sulle caratteristiche dei lavori e sulla destinazione dell’immobile, come indicato nel ricorso Schirinzi, perché di puro merito e, dunque, non consentite alla Corte di legittimità.
6. Le conclusioni appena indicate, peraltro, non sono inficiate neppure dagli ulteriori rilievi dei ricorrenti, ivi compresi quelli concernenti il riconoscimento legislativo dell'istituto della cessione di cubatura, o i segnalati mutamenti della giurisprudenza amministrativa, o la violazione della riserva di legge in materia penale.
6.1. Quanto al primo profilo, si rileva che le osservazioni concernenti la previsione per legge dell'istituto della cessione di cubatura, recata dall'art. 5 d.l. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, non assumono concreta influenza ai fini in esame. Invero, questa disposizione si limita a prevedere, al comma 1, lett. c), la «tipizzazione di un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi: la "cessione di cubatura"», e, al comma 3, l'inserimento all'art. 2643 cod. civ., della lett. 2bis), nella quale si indicano «i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale». Ebbene, posto che le citate indicazioni normative nulla stabiliscono in ordine alle condizioni che legittimano il ricorso allo strumento negoziale in esame (non solo con riguardo al requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi), non sembra allora ragionevole ritenere che le stesse determinino il superamento di qualunque limite in materia e, quindi, la possibilità di utilizzare l'istituto della cessione di cubatura anche in pregiudizio dell'attuazione dei complessivi criteri di programmazione edilizia contenuti negli strumenti urbanistici.
6.2. Del tutto non condivisibili, ancora, sono i richiami ad un asserito, mutato orientamento interpretativo; al riguardo, si rinvia alle citate decisioni della giurisprudenza penale ed amministrativa, che hanno confermato l'esistenza del requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi come condizione per consentire un legittimo "accorpamento" degli stessi ed una valida cessione di cubatura. A ciò si aggiunga, peraltro, che anche la sentenza Cons. Stato, Sez. 6, n. 4861 del 21/11/2016, di cui ai ricorsi Ricciardi e Pennetta, non risulta del tutto pertinente; come emerge dal testo della motivazione, infatti, il giudice amministrativo di secondo grado si è preoccupato di precisare che la cessione di cubatura da esso valutata deve ritenersi legittima anche per la strettissima vicinanza dei fondi interessati, osservando, tra l'altro, che «dalla documentazione catastale (v. "visura catastale particelle validate", in atti) emerge che (…) gli immobili devono ritenersi tra di loro contigui per gli effetti urbanistici, essendo anche tali lotti ubicati nella medesima zona servita dalle medesime opere di urbanizzazione, e avendo gli stessi la medesima destinazione residenziale».
7. Da ultimo, ed ancora sotto il profilo oggettivo delle contravvenzioni, non risultano fondati neppure i rilievi concernenti la violazione della riserva di legge in materia penale e la prevedibilità e determinatezza della norma penale.
7.1. Si è già rilevato che, secondo l'insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione. Ebbene, nella specie viene in rilievo un permesso di costruire relativo a cubatura superiore a quella assentibile, la cui realizzazione è giustificata in forza di un asservimento di un fondo ad un altro in assenza dei requisiti necessari per assicurare il rispetto dei principi e delle regole di pianificazione del territorio. In altri termini, la condotta ritenuta penalmente illecita dalla sentenza impugnata è quella di aver edificato un volume non consentito per il lotto interessato, in forza delle previsioni di legge e degli strumenti urbanistici, con un superamento dei limiti che non può essere giustificato invocando una deroga per la quale non sussistono i presupposti, e precisamente per una cessione di cubatura effettuata in violazione dei principi di pianificazione del territorio. Deve quindi escludersi che la Corte d'appello, nella specie, abbia sottoposto a sanzione penale la violazione di una norma di matrice giurisprudenziale, come suggestivamente prospettato nei ricorsi di Ricciardi e Pennetta.
8. Manifestamente infondate, di seguito, sono anche le censure relative alla configurabilità dell’art. 44 in esame sotto il profilo soggettivo, esposte ancora negli atti da ultimo citati, i quali contestano l'affermazione della colpevolezza per l'opinabilità del quadro normativo e la diffusa prassi amministrativa.
8.1. La giurisprudenza di legittimità, con riferimento al reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, commesso mediante esecuzione di lavori sulla base di permesso di costruire illegittimo, ha precisato che la "macroscopica illegittimità" dello stesso titolo, da un lato, rappresenta un significativo indice sintomatico della sussistenza dell'elemento soggettivo dell'illecito, e, dall'altro, non costituisce nemmeno una condizione essenziale per l'oggettiva configurabilità del reato (così Sez. 3, n. 56678 del 21/09/2018, Iodice, Rv. 275565, nonché, in termini sostanzialmente identici, Sez. 3, n. 3979 del 21/09/2018, Cerra s.r.l., Rv. 275850).
8.2. Nella specie, la sentenza impugnata ha ravvisato la sussistenza dei reati edilizio (e paesaggistico) a fronte di una macroscopica violazione della disciplina, realizzata impiegando l’istituto della cessione di cubatura per eludere elementari principi in materia urbanistica e, in particolare, per incrementare la volumetria assentibile, in spregio dei vincoli, in zona di sicuro pregio ambientale (zona dichiarata di notevole interesse pubblico, proprio per le sue caratteristiche).
8.3. Ebbene, si tratta di una conclusione immune da vizi, a maggior ragione se si considera che l'illegittimità del ricorso all'istituto della cessione di cubatura, per difetto del requisito della "reciproca prossimità" tra i fondi, già all'epoca del rilascio del permesso di costruire (2011) era stata a più riprese affermata dalla giurisprudenza amministrativa (si richiamano le decisioni Cons. Stato, Sez. 5, n. 400 del 01/04/1998; Cons. Stato, Sez. 5, n. 1172 del 03/03/2003; Cons. Stato, Sez. 5, n. 6734 del 30/10/2003).
9. Con riguardo, poi, alle posizioni dei singoli ricorrenti, queste conclusioni valgono per certo nei confronti di Calabrese, Pennetta e Ricciardi, tecnici esperti della materia (il primo quale progettista, il secondo come responsabile del procedimento ed il terzo come tecnico comunale che aveva rilasciato il permesso di costruire n. 122/2011). A questo proposito, peraltro, non possono essere ammesse le doglianze sollevate da Ricciardi e Pennetta con il primo motivo, nel quale sostengono di non aver ricoperto il ruolo di responsabile del procedimento edilizio (Ricciardi) o paesaggistico (Ricciardi e Pennetta), così come di non aver rilasciato il permesso di costruire (Ricciardi), né l’autorizzazione paesaggistica (Ricciardi e Pennetta); queste censure, infatti, si fondano su profili di puro merito, propri della sola fase della cognizione e non proponibili innanzi alla Corte di legittimità, specie in assenza di adeguata allegazione documentale. Deve ritenersi acquisito, dunque, il dato obiettivo riportato nella sentenza, in forza del quale il permesso di costruire illegittimo – documento cardine per la consumazione delle contravvenzioni ex capi A) e B) – era stato rilasciato dal Pennetta, all’esito di un procedimento del quale era stato responsabile il Ricciardi. Con riguardo a quest’ultimo, peraltro, non può accogliersi neppure la tesi secondo la quale, quand’anche riscontrata la carica formale, l’istruttoria non avrebbe comunque dimostrato alcun ruolo sostanziale nell’emissione del provvedimento; deve qui ribadirsi, infatti, che è configurabile il concorso nel reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 a carico del funzionario comunale nominato responsabile del procedimento che, procedendo ad istruire la pratica edilizia, abbia colposamente espresso parere favorevole al rilascio di un titolo abilitativo illegittimo, in tal modo apportando un contributo causale rilevante ai fini della determinazione dell'evento illecito (tra le altre, Sez. 3, n. 7765 del 7/11/2013, Benigni, Rv. 258300; Sez. 3, n. 8225 del 18/12/2020, Pettina+altri, non massimata). E che, nel caso di specie, il responsabile del procedimento Ricciardi avesse espresso parere favorevole, il 19/10/2010, lo afferma lo stesso ricorso (pag. 5).
9.1. Analoghe conclusioni in punto di responsabilità, diversamente, non possono esser sostenute con riguardo al proprietario/committente Schirinzi; la sentenza impugnata, al riguardo, evidenzia infatti una palese carenza motivazionale, nella parte in cui – trattate le posizioni dei coimputati, tutti tecnici – si limita ad affermare che “medesime considerazioni devono farsi per (…) Schirinzi (nel cui interesse si procedeva a tale illecita operazione di accorpamento)”, senza ulteriori passaggi argomentativi. Neppure una considerazione, dunque, quanto alle diffuse doglianze in tema di profilo soggettivo, sollevate con il gravame e reiterate con il presente ricorso (anche in ordine al dedotto affidamento incolpevole ai propri tecnici), che ben avrebbero meritato valutazione e pronuncia. (Questo stesso argomento – si anticipa – varrà anche con riguardo alle ulteriori contestazioni, in ordine alle quali la motivazione della sentenza impugnata non si è discostata dai carenti ed apodittici argomenti appena richiamati).
9.3. La sentenza in esame, pertanto, deve essere annullata quanto al capo A), limitatamente al ricorrente Schirinzi, con rinvio alla Corte di appello di Lecce. A tale proposito, peraltro, non può procedersi alla declaratoria di estinzione per prescrizione della stessa fattispecie, come invocato da diversi ricorrenti, atteso che – pacifica la mancata ultimazione delle opere al momento del sopralluogo del 30/3/2014 (v. pag. 5) – non è dato sapere se le stesse fossero state sequestrate, ed eventualmente in quale data, o se poi fossero state comunque ultimate; in mancanza di qualunque indicazione sul punto, e nulla conoscendosi quanto alla cessazione dell’attività illecita, il termine prescrizionale deve dunque esser fatto muovere dalla sentenza di primo grado (7/11/2017), così da risultare – oggi - non ancora maturato. Ad un più preciso accertamento sul punto, quindi, dovrà procedere il Giudice del rinvio, peraltro tenendo in considerazione anche la sospensione ex art. 159 cod. pen. disposta in primo grado, dal 2/5/2017 al 26/9/2017, per un totale di 147 giorni; con la conseguenza che, qualora si accertasse poi l’avvenuto sequestro dell’immobile il 30/3/2014, la contravvenzione si sarebbe comunque estinta il 24/8/2019, ossia successivamente alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
10. Manifestamente infondate, di seguito, sono anche le censure relative alla configurabilità, sotto il profilo oggettivo, della fattispecie di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, sul rilievo che le valutazioni di conformità paesaggistica (presupposto dell’autorizzazione) sarebbero del tutto indipendenti da eventuali violazioni urbanistiche.
11. Al riguardo, appare opportuno muovere da alcuni punti fermi – frutto dell’elaborazione giurisprudenziale - in ordine al reato di opere eseguite in assenza di autorizzazione paesaggistica o in difformità da essa.
11.1. In primo luogo, costituisce principio consolidato, condiviso dal Collegio anche per la sua immediata aderenza al dettato normativo, quello in forza del quale la violazione dell'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, è integrata da lavori di qualsiasi genere, eseguiti sui beni muniti di tutela paesaggistica, in assenza della prescritta autorizzazione o in difformità da essa, senza che assuma rilievo la distinzione tra le ipotesi di difformità parziale o totale, rilevante, invece, nella disciplina urbanistica (cfr., tra le tante, Sez. 3, n. 31287 del 11/04/2019, Maniaci, Rv. 276593, e Sez. 3, n, 3655 del 17/12/2013, dep. 2014, Alimonti, Rv. 258491).
11.2. In secondo luogo, poi, altrettanto consolidato è l'insegnamento secondo cui, tra le contravvenzioni previste dall'art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001 e dall'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004 è configurabile un'ipotesi di concorso formale di reati, con la conseguente inapplicabilità del divieto del bis in idem stabilito dall'art. 649 cod. proc. pen., attesa la diversa obiettività giuridica e la diversa condotta punita; questa, infatti, va individuata, nel reato edilizio, nella esecuzione di un'opera senza permesso di costruire posta a prevalente tutela dell'assetto urbanistico e, nel secondo, senza la autorizzazione della competente sovrintendenza prevista a tutela, prevalentemente, del patrimonio artistico, storico e archeologico (così, ad esempio, Sez. 3, n. 18494 del 08/03/2016, Pepe, Rv. 266942, e Sez. 3, n. 50620 del 18/06/2014, Urso, Rv 261914-01).
11.3. Ancora, si è detto in precedenza che, in tema di reati edilizi, la contravvenzione di esecuzione di lavori sine titulo sussiste anche nel caso in cui il permesso di costruire, pur apparentemente formato, sia illegittimo per contrasto con la disciplina urbanistico-edilizia di fonte normativa o risultante dalla pianificazione. Ebbene, lo stesso principio è stato poi affermato anche con riferimento al reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, evidenziandosi che, in tema di reati paesaggistici, «analogamente a quanto si ritiene per i reati urbanistici», il giudice penale ha il potere-dovere di verificare in via incidentale la legittimità della autorizzazione paesaggistica, senza che ciò comporti l'eventuale "disapplicazione" dell'atto amministrativo ai sensi dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato E, in quanto il suo esame riguarda solo l'integrazione o meno della fattispecie penale con riferimento all'interesse sostanziale tutelato, e rispetto a tale fattispecie «gli elementi di natura extra-penale convergono organicamente, assumendo una valenza descrittiva» (così, tra le altre, Sez. 3, n. 38856 del 04/12/2017, Schneider, Rv. 273703).
12. Tanto premesso, occorre allora sostenere la configurabilità del reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, allorquando l'autorizzazione paesaggistica sia stata rilasciata per un intervento edilizio la cui realizzazione determina – in modo macroscopico - un volume superiore a quello consentito dalla disciplina urbanistica.
12.1. Invero, da un lato (e come già richiamato), appare del tutto persuasivo ritenere che il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, analogamente a quello di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, è configurabile non solo quando i lavori sono eseguiti senza autorizzazione paesaggistica, ma pure quando sono realizzati sulla base di un'autorizzazione paesaggistica illegittima.
12.2. D’altro lato, poi, risulta corretto affermare che è tale anche quella che permette di realizzare, su beni paesaggistici, opere che non potrebbero essere consentite neppure sotto il profilo edilizio ed urbanistico, come, appunto, avviene nel caso di edificazione di immobili caratterizzati da volumi assentibili solo in conseguenza di un illegittimo "accorpamento" di fondi. Ed infatti, se l'art. 146, comma 7, d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che «l'amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell'intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici», l'art. 145 del medesimo d.lgs. stabilisce lo stretto coordinamento tra la pianificazione paesaggistica e quella urbanistica, con prevalenza cogente della prima sulla seconda in caso di eventuale difformità, così attribuendo anche a quest'ultima una funzione di tutela del paesaggio.
13. Manifestamente infondate, di seguito, sono peraltro anche le censure riguardanti il concorso dei pubblici ufficiali nel reato edilizio e nel reato paesaggistico, esposte nei ricorsi Ricciardi e Pennetta, che contestano sia la configurabilità della responsabilità concorsuale per detti reati a carico dei soggetti responsabili del rilascio del permesso di costruire, sia l'affermazione della persistenza della condotta illecita dei medesimi anche dopo il momento del rilascio di tale titolo autorizzatorio.
13.1. In primo luogo, occorre evidenziare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è sicuramente configurabile il concorso del pubblico ufficiale che emette il provvedimento amministrativo illegittimo nel reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001.
13.2. In effetti, è controverso se sia ammissibile, nel caso di rilascio di un permesso di costruire illegittimo, una responsabilità ex art. 40 cod. pen. per il reato edilizio di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in capo al dirigente o responsabile dell'ufficio urbanistica del Comune, in quanto titolare di una posizione di garanzia e dunque dell'obbligo di impedire l'evento (cfr., per la soluzione affermativa, Sez. 3, n. 4911 del 14/07/2016, Scarpa, Rv. 269260, e Sez. 3, n. 19566 del 25/03/2004, D'Ascanio, Rv. 228888, nonché, per la tesi opposta, Sez. 3, n. 5439 del 25/10/2016, Colasante, Rv. 269247, e Sez. 3, n. 9281 del 26/01/2011, Bucolo, Rv. 249785).
13.3. Tuttavia, anche le decisioni contrarie alla configurabilità di una responsabilità omissiva del dirigente o responsabile dell'ufficio urbanistica del Comune ritengono giuridicamente corretta l'ipotesi del concorso commissivo del medesimo pubblico ufficiale nella fattispecie di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, qualora si accerti che «l'extraneus abbia apportato, nella realizzazione dell'evento, un contributo causale rilevante e consapevole (sotto il profilo del dolo o della colpa)», come accertato nel caso in esame (così, testualmente, sia Sez. 3, n. 5439 del 2017, Colasante, cit., sia Sez. 3, n. 9281 del 2011, Bucolo, cit.; cfr. ancora, nel senso della configurabilità del concorso commissivo del pubblico ufficiale nel reato "proprio" di cui all'art. 44 d.P.R. n. 380 del 2001, Sez. 3, n. 42105 del 19/06/2019, D'Alterio, con riferimento ad un componente della commissione edilizia).
13.4. In secondo luogo, poi, deve ritenersi corretta anche l'affermazione della permanenza del concorso del pubblico ufficiale nel reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. b) e c), d.P.R. n. 380 del 2001, fino al compimento dell'attività edificatoria. A tal fine, va premesso che, secondo un principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la permanenza del reato urbanistico cessa con l'ultimazione dei lavori del manufatto, in essa essendo comprese le rifiniture, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi, da dimostrare in base a dati obiettivi ed univoci (così, tra le tante, Sez. 3, n. 13607 del 08/02/2019, Martina, Rv. 275900, e Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, Sullo, Rv. 260498).
13.5. Va poi rilevato che il concorrente nel reato permanente, almeno quando dà impulso alla commissione della fattispecie, risponde dell'intero fatto costituente l'illecito penale, posto che la responsabilità concorsuale, a norma dell'art. 110 cod. pen., è fondata sul principio di causalità. Significativamente, infatti, la Relazione al progetto definitivo del codice penale prevede: «Anche nell'ipotesi che il fatto sia oggetto dell'attività di più persone, l'evento deve essere messo a carico di tutti i concorrenti che con la propria azione contribuirono a determinarlo: il legame, invero, che avvince l'attività dei vari concorrenti, si realizza in una associazione di cause coscienti, alle quali è dovuto l'evento e, perciò, a ciascuno dei compartecipi deve essere attribuita la responsabilità dell'intero».
13.6. In questo senso, del resto, è orientata, in linea generale, la giurisprudenza di legittimità, come si evince, paradigmaticamente, dalle soluzioni accolte con riguardo alla fattispecie di lottizzazione abusiva. Secondo l'indirizzo più rigoroso, il momento consumativo della lottizzazione abusiva "mista" si individua, per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato, nel compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione o nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento; con la conseguenza, per tutti i concorrenti, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, della irrilevanza del momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, e della rilevanza, invece, di quello di consumazione del reato, pur potendo quest'ultimo intervenire anche a notevole distanza di tempo (Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone, Rv. 271330, e Sez. 3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani, Rv. 248483). Anche secondo la tesi opposta, peraltro, il concorso del venditore lottizzatore permane sino a quando continua l'attività edificatoria eseguita dagli acquirenti nei singoli lotti, siccome lo stesso, avendo dato causa alla condotta edificatoria dei concorrenti, risponde, a norma dell'art. 41 cod. pen., dell'evento, e soltanto per i singoli acquirenti che non hanno dato causa alla lottizzazione la permanenza cessa con la conclusione della attività da ognuno di essi posta in essere sul proprio lotto (cfr. in questo senso, in particolare, Sez. 3, n. 20671 del 20/03/2012, D'Alessandro, Rv. 252914, e Sez. 3, n. 1966 del 05/12/2001, Venuti, Rv. 220853).
Di conseguenza, ove si ravvisi il concorso commissivo del pubblico ufficiale nel reato edilizio, per aver dato colpevolmente causa all'attività edificatoria con il rilascio di un permesso di costruire illegittimo, è ragionevole affermare che anche nei suoi confronti la consumazione del reato si verificherà alla data dell'ultimazione dei lavori indebitamente assentiti, ovvero al momento della desistenza definitiva dagli stessi.
14. In terzo luogo, ancora, identiche conclusioni sono da affermare in relazione al concorso del pubblico ufficiale nel reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004.
14.1. Innanzitutto, non sembra vi siano ostacoli alla configurabilità del concorso del pubblico ufficiale che emette colpevolmente atti amministrativi illegittimi, costituenti antecedente causale della valutazione di conformità paesaggistica nel reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Anche in questo caso, infatti, quando si accerta che il soggetto, sebbene extraneus rispetto al reato, abbia apportato, nella realizzazione dell'evento, un contributo causale rilevante e consapevole, sotto il profilo del dolo o della colpa, sono applicabili gli ordinari principi in tema di responsabilità concorsuale.
14.2. Va poi osservato che anche il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004, secondo l'assolutamente consolidata giurisprudenza di legittimità, ha natura permanente e si consuma con l'esaurimento della condotta, o con il sequestro del bene ovvero, in mancanza, con la sentenza di primo grado, quando la contestazione è di natura "aperta" (cfr., tra le tantissime, Sez. 3, n. 43173 del 05/07/2017, Zanella, Rv. 271336, e Sez. 3, n. 30130 del 30/03/2017, Dinnella, Rv. 270254).
14.3. Con la conclusione che, anche con riferimento a questa contravvenzione, non vi sono ragioni per derogare al principio generale secondo cui il concorrente nel reato permanente, almeno quando dà impulso alla commissione della fattispecie, risponde dell'intero fatto costituente l'illecito penale.
14.4. Facendo applicazione dei canoni indicati, risulta dunque corretta l'affermazione di responsabilità penale di Ricciardi, Pennetta e Calabrese anche per il reato di cui all'art. 181, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004. Quanto, invece, a Schirinzi, si richiamano le stesse considerazioni già espresse in ordine alla contravvenzione sub A), non riscontrandosi una diversa o più approfondita motivazione sulla diversa fattispecie paesaggistica.
15. Del tutto infondate, infine, sono le censure che attengono alla configurabilità, sotto il profilo oggettivo, del reato di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità, di cui all’art. 481 cod. pen., per come riqualificata l’originaria imputazione di cui all’art. 479 cod. pen.
15.1. Il reato di falso ideologico è stato ritenuto sussistente dai Giudici del merito in relazione al permesso a costruire, rilasciato da Ricciardi e Pennetta nei termini richiamati, laddove questi hanno attestato la compatibilità paesaggistica dell'intervento edilizio - descritto nella relazione paesaggistica, allegata all'istanza redatta dal tecnico Calabrese (e recepita nel permesso di costruire) - per effetto dell'illegittimo accorpamento di fondi non contigui e, dunque, atti ideologicamente falsi perché fondati su falsi presupposti per la sua emanazione.
15.2. Sul tema della configurazione del reato di falso, con riguardo ad atti implicanti valutazioni in un contesto nel quale si deve avere riguardo l'accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato (Sez.3 n.46239 del 12/07/2018, Rv.274207; Sez. 3, n. 38838 del 09/07/2018, Morciano, non mass.; Sez. 3, n. 28713 del 19/4/2017, Colella ed altri, non massimata, Sez. 3, n. 42064 del 30/6/2016, Quaranta e altri, Rv. 268083; Sez. 5, n. 35556 del 26/4/2016, Renna, Rv. 267953), che lo stesso si configura con il rilascio di autorizzazione paesaggistica, da parte del responsabile dell'ufficio tecnico competente, nella consapevolezza della falsità di quanto attestato dal richiedente circa la sussistenza dei presupposti giuridico-fattuali per l'accoglimento della relativa domanda, essendo l'organo competente obbligato a svolgere in qualunque modo, e non necessariamente con un sopralluogo, le necessarie preventive verifiche in merito alla sussistenza delle relative condizioni. Su questa linea interpretativa, dunque, si è affermato il principio secondo il quale è configurabile il delitto di falso ideologico nella valutazione tecnica formulata in un contesto implicante l'accettazione di parametri normativamente predeterminati o tecnicamente indiscussi (Sez. 3, n. 56085 del 18/10/2017, Morciano e altri, non mass.; Sez. 3, n. 52605 del 04/10/2017, Renna, non mass.; Sez. 3, n. 41373 del 17/7/2014, P.M in proc. Pasteris e altri, Rv. 260968, non massimata sul punto, che a sua volta richiama Sez. 1, n. 45373 del 10/6/2013, Capogrosso e altro, Rv. 257895). In altri termini, se pure è vero che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia libero nella scelta dei criteri di valutazione, la sua attività è assolutamente discrezionale e, come tale, il documento che contiene il giudizio non è destinato a provare la verità di alcun fatto, tuttavia, se l'atto da compiere fa riferimento, come è nel caso di specie, a previsioni normative che dettano criteri di valutazione, si è in presenza di un esercizio di discrezionalità tecnica, che vincola la valutazione ad una verifica di conformità della situazione fattuale a parametri predeterminati, con conseguente integrazione della falsità se detto giudizio di conformità non sia rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (cfr. anche Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, p.c. in proc. Platamone e altro, Rv. 254305; si vedano anche Sez. 5, n. 39360 del 15/07/2011, Gulino, Rv. 251533; Sez. 5, n. 14486 del 21/02/2011, Marini e altro, Rv. 249858). Come peraltro è stato evidenziato in una vicenda del tutto simile (Sez. 3, n. 8844 del 18/1/2018, Renna ed altro, non massimata, la quale a sua volta richiama Sez. 3, n. 57108 del 17/5/2017, Renna, cit. e Sez. 3, n. 8852 del 18/1/2018, Dilonardo ed altri, non massimata), nell'autorizzazione paesaggistica vengono attestate la conformità urbanistica e la compatibilità ambientale delle opere da edificare, esprimendosi, quindi, un giudizio in base alla rispondenza dell'intervento edilizio ad oggettivi e preesistenti criteri normativi, in quanto tale non caratterizzato da mera discrezionalità tecnica quanto, piuttosto, da una verifica oggettiva.
15.3. Tanto premesso in generale, la Corte territoriale ha condiviso e seguito l'indirizzo qui riportato, così ritenendo che il provvedimento edilizio rilasciato da Ricciardi e Pennetta fosse fondato su presupposti paesaggistici falsi, contenuti nella relazione redatta dal Calabrese, come tale anch'essa falsa.
15.4. In particolare, il Giudice di appello ha verificato che gli imputati avevano attestato la compatibilità ambientale di un intervento avente una volumetria superiore a quella sviluppabile dal fondo interessato all'edificazione, senza alcun riferimento alla sussistenza dei presupposti legittimanti l'accorpamento di fondi, sebbene non contigui, anzi avallando esplicitamente la piena legittimità dell'applicazione dell'istituto al fine di conseguire l'aumento geometrico della volumetria assentibile nell'area interessata all'edificazione. Consegue, sempre secondo la sentenza impugnata, che proprio l'omessa considerazione in tutti gli atti della pratica edilizia, sia riconducibili al tecnico “privato” sia a quello comunale, delle condizioni di legittimità dell'accorpamento ed anzi l'esplicito avallo della legittimità di tale istituto era compatibile esclusivamente con la scelta, preordinata consapevole e condivisa, di realizzare l'opera in zona agricola con l'indicazione di dati ed informazioni apparentemente veridiche ma, in realtà, frutto di mistificazione degli elementi fattuali al fine di esprimere valutazioni conclusiva platealmente false.
15.5. E' dunque evidente che la valutazione di compatibilità ambientale espressa nell'autorizzazione paesaggistica era fondata su presupposti contrastanti con i parametri normativi, giacché si rappresentava un intervento edilizio realizzato, previa cessione di cubatura in favore di un fondo agricolo su fascia costiera, illegittimo non essendo i fondi contigui, parametro che viene in rilievo sia ai fini del rispetto degli strumenti urbanistici che ai fini ambientali e sul giudizio di valorizzazione del sito.
15.6. La maggior volumetria del manufatto da realizzare in zona agricola e di pregio, per effetto dell'illegittimo accorpamento di fondi non confinanti, l'assenza di un intervento volto alla realizzazione di aziende agricole e finalizzato allo sviluppo e al recupero del patrimonio produttivo, la realizzazione di una civile abitazione, costituivano i dati maggiormente significativi sulla scorta dei quali doveva essere formulato il giudizio di compatibilità (anche) paesaggistica, di tal ché debbono ritenersi falsi i provvedimenti che si esprimono su tali basi in contrasto con i parametri normativi. Sia l'attestazione paesaggistica che il permesso a costruire erano, così, la diretta conseguenza dei falsi parametri contenuti nella relazione paesaggistica redatta dal Calabrese, e come tale anch'essa falsa.
15.7. La motivazione della sentenza è, pertanto, congrua e logica ed in linea con il suesposto principio di diritto e si sottrae, pertanto, al sindacato di legittimità.
15.8. Del pari congrua, scevra da profili di illogicità e corretta è poi la motivazione con riferimento al dolo del reato, oggetto di censura dei ricorrenti, ritenuto in capo ai pubblici ufficiali Ricciardi e Pennetta e nel progettista Calabrese che, in ragione della perfetta conoscenza della normativa di riferimento, per essere tecnici e professionisti del settore, hanno consapevolmente e volontariamente falsificato il permesso a costruire ed il parere prodromico al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica nei termini sopra descritti, per come congruamente ritenuto in sentenza.
15.9. Questa valutazione, peraltro, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, che ha sempre attribuito decisivo rilievo alla piena conoscenza della normativa di settore, da parte dei soggetti coinvolti - trattandosi di tecnici e ritenuta la insostenibilità della tesi difensiva incentrata sulla difficoltà della normativa edilizia riferita alle zone agricole e del fatto che la procedura seguita rientrasse in una "prassi" seguita dagli uffici comunali (Sez. 3, n. 35166 del 28/3/2017, Nespoli ed altri) - ed alla sistematicità del meccanismo ideato per aggirare la disciplina urbanistica e paesaggistica.
15.10. Quanto allo Schirinzi, invece, varrebbero ancora le considerazioni espresse in ordine alle contravvenzioni di cui ai capi A) e B); la fattispecie delittuosa in esame, contestata al 29/7/2011, è tuttavia ormai estinta per prescrizione (29/1/2019+147 giorni), dovendosi quindi pronunciare una sentenza di annullamento senza rinvio.
16. I ricorsi di Calabrese, Pennetta e Ricciardi, pertanto e conclusivamente, debbono essere dichiarati inammissibili, con conseguente irrilevanza della prescrizione maturata successivamente alla sentenza di secondo grado. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Schirinzi Luigi, senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo D) in quanto estinto per prescrizione, e, quanto agli altri reati, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Calabrese Andrea, Ricciardi Lucio e Pennetta Walter Cosimo, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 23 aprile 2021