Cass. Sez. III n. 30243 del 29 luglio 2011 (Ud 14 lug. 2011)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. Palmisano
Urbanistica. Immobili interrati
E' necessario il permesso di costruire per la realizzazione di immobili in tutto o in parte interrati, trattandosi di opere per le quali l'autorità comunale deve svolgere il suo controllo diretto ad assicurare sia l'ordinato sviluppo dell'aggregato urbano, sia il rispetto delle norme urbanistiche ed anche l'osservanza delle regole tecniche di costruzione prescritte dalla legge
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CLAUDIA SQUASSONI
Dott. AMEDEO FRANCO
Dott. LUIGI MARINI
Dott. LUCA RAMACCI
Dott. ELISABETTA ROSI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) PALMISANO ANTONIA N. IL 26/09/1951
avverso la sentenza n. 145/2009 CORTE APPELLO SEZ. DIST. di TARANTO, del 11/11/2010
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/07/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’11 novembre 2010, la Corte d'Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto – Sezione Distaccata di Martina Franca, con la quale PALMISANO Antonia veniva condannata per il reato di cui all’articolo 44 lettera b) D.P.R. 380\01 relativamente alla costruzione di un manufatto seminterrato in assenza di permesso di costruire.
Avverso tale decisione la predetta proponeva ricorso per cassazione.
Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione, osservando che, stante il disposto del Regolamento Edilizio del Comune di Martina Franca e la normativa sub primaria approvata con delibera della Giunta Regionale della Puglia n. 6320 del 13\11\1989, la cubatura rilevante ai fini urbanistici ed edilizi era esclusivamente quella fuori terra e non anche quella interrata e che le opere erano state prese in considerazione senza tener conto della quota di imposta che sarebbe risultata a fine lavori i quali, secondo il progetto approvato, prevedevano il completo interramento.
Aggiungeva che nei motivi di appello era stato evidenziato che un teste aveva specificato la natura di volumi tecnici degli interventi realizzati e la loro destinazione pertinenziale rispetto al fabbricato principale.
Tali circostanze, lamentava, erano state del tutto disattese dalla Corte territoriale, la quale aveva errato anche nel quantificare la superficie complessiva delle opere realizzate e nel ritenere la illegittimità della sanatoria rilasciata, senza indicarne le ragioni e senza considerare la natura delle opere medesime.
Con un secondo motivo di ricorso deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla mancata declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Rilevava, a tale proposito, che la Corte territoriale non aveva tenuto conto del completamento delle opere al rustico in data antecedente a quella dell’accertamento e dell’assenza di ulteriori lavori e che, in presenza di un ragionevole dubbio sulla data di consumazione del reato, andava applicato il principio del favor rei .
Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente rilevare che l’articolo 3, lettera e1 del D.P.R. 380\01 indica i manufatti fuori terra ed interrati tra gli interventi di nuova costruzione (unitamente all’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma già in essere).
La giurisprudenza di questa Corte, pressoché unanime, ritiene quindi necessario il permesso di costruire per la realizzazione di immobili in tutto o in parte interrati, trattandosi di opere per le quali l'autorità comunale deve svolgere il suo controllo diretto ad assicurare sia l'ordinato sviluppo dell'aggregato urbano, sia il rispetto delle norme urbanistiche ed anche l'osservanza delle regole tecniche di costruzione prescritte dalla legge (Sez. III n. 24464, 21 giugno 2007 ed altre prec. tutte conformi).
Tale tipologia di intervento deve essere dunque computata ai fini volumetrici, perché, come osservato in altra articolata decisione (Sez. III n. 11011, 27 settembre 1999), detto calcolo deve essere effettuato, salvo che non viga un'espressa disposizione contraria, con riferimento all'opera in ogni suo elemento, ivi compresi gli ambienti seminterrati ed interrati funzionalmente asserviti, poiché nel concetto di costruzione rientra ogni intervento edilizio che abbia rilevanza urbanistica, in quanto incide sull'assetto del territorio ed aumenta il c.d. carico urbanistico e tali sono pure i piani interrati cioè sottostanti al livello stradale.
Ciò posto, nella fattispecie, risulta accertato in fatto e ritenuto dalla Corte territoriale che, alla data dell’accertamento, le opere risultavano in parte seminterrate e sopraelevate rispetto al piano di calpestio e che per tali opere era necessario il permesso di costruire.
La difesa contesta tale assunto, che ritiene errato in diritto e connotato da profili di illogicità, in quanto i volumi realizzati erano volumi tecnici e non dovevano essere comunque computati perché, ad intervento ultimato, sarebbero stati completamente interrati.
Le censure mosse alla decisione impugnata non risultano tuttavia fondate, poiché la stessa appare sorretta da idoneo apparato argomentativo e perfettamente coerente con le risultanze fattuali che non possono essere oggetto di valutazione in questa sede di legittimità.
Determinante appare la circostanza che le opere realizzate fossero in parte fuori terra e soggette al regime del permesso di costruire, come si desume dal fatto che la stessa amministrazione comunale competente abbia rilasciato, per gli interventi eseguiti, un permesso in sanatoria, altrimenti non necessario e che l’efficacia dello stesso fosse subordinata al successivo interramento dell’immobile.
Correttamente, poi, i giudici del merito hanno considerato la inefficacia del suddetto titolo abilitativo, poiché la consolidata giurisprudenza di questa Corte riconosce al giudice il potere dovere, anche in presenza di un provvedimento amministrativo di sanatoria, di valutarne l’efficacia, in quanto il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. III n. 23080, 10 giugno 2008, conf. Sez. III n. 27948, 8 luglio 2009; n. 12869, 24 marzo 2009; n. 31479, 29 luglio 2008; n. 26144, 1 luglio 2008). Così facendo, hanno evidenziato specifiche carenze quali la presenza della menzionata condizione, che la legge non ammette (Sez. III n. 23726, 8 giugno 2009 n. 41567, 12 novembre 2007; n. 48499, 18 dicembre 2003; n. 740, 13 gennaio 2003; n. 42927, 19/12/2002; n. 41669, 21 novembre 2001; n. 10601, 11 ottobre 2000) e la mancanza del necessario requisito della “doppia conformità”.
Tali circostanze, opportunamente considerate dalla Corte territoriale, rendevano superflua ogni ulteriore considerazione sulla effettiva destinazione delle opere e sulla applicabilità o meno delle menzionate disposizioni del Regolamento Edilizio e della normativa regionale.
Altrettanto infondato appare il rilievo circa la intervenuta prescrizione del reato.
Anche in questo caso la Corte territoriale, con accertamento in fatto immune da manifesti vizi logici e incensurabile in questa sede di legittimità, ha ritenuto che non vi era la prova che le opere fossero state “allo stato grezzo prima del dicembre 2005”.
Come è noto, l’ultimazione dei lavori, secondo costante giurisprudenza, coincide con la conclusione degli interventi di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (cfr. Sez. III n.32969, 7 settembre 2005 ed altre prec. conf. nella stessa richiamate).
Deve trattarsi, in altre parole, di un edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come si ricava dal disposto del primo comma dell’articolo 25 del TU, che fissa “entro quindici giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento” il termine per la presentazione allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità. La “ultimazione al grezzo” menzionata dall’articolo 31, comma secondo, L. 47\1985 e' invece funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di permesso di costruire (Sez. III n. 33013, 5 agosto 2003).
Ne consegue che, correttamente, la Corte territoriale non ha ritenuto maturato il termine di massimo prescrizione come individuabile ai sensi della disciplina vigente a seguito delle modifiche apportate con la Legge 5 dicembre 2005, n. 251.
Tale termine, avuto riguardo alla data di accertamento del reato ed ai periodi di sospensione, per complessivi mesi 6 e gg. 26 non risulta, ad oggi, maturato.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma il 14 luglio 2011
Il Consigliere Estensore Il Presidente
(Dott. Luca RAMACCI) (Dott. Claudia SQUASSONI)
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