Cass. Sez. III n. 888 del 12 gennaio 2018 (Ud 21 giu 2017)
Presidente: Fiale Estensore: Gai Imputato: Sartore ed altro
Urbanistica.Impianti fotovoltaici
La realizzazione in zona agricola di un impianto fotovoltaico in assenza di autorizzazione regionale e in difformità dei titoli autorizzatori integra il reato di cui all’art. 44 lett. b) d.P.R. 380 del 2001.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 8 aprile 2016, la Corte d’appello di Lecce, per quanto qui di rilievo, ha confermato la sentenza del Tribunale di Brindisi con la quale – tra gli altri – Sartore Domenico e Lo Vecchio Giuseppe erano stati condannati, alla pena sospesa di mesi sei di arresto e € 22.000 di ammenda ciascuno, in relazione al reato di cui agli artt. 81 comma 2, 110 cod.pen. e 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001, anche in relazione all’art. 12 comma 3 d.P.R. n. 387 del 2003. Agli imputati era contestato di avere realizzato, Sartore quale legale rappresentante di Solar Farm srl e poi della Agrisviluppo s.s. e Solan spa, Lo Vecchio quale direttore dei lavori, su un terreno, sito in Ostuni, opere edilizie consistite in recinzione con rete metallica ancorata al terreno, impianto di illuminazione dell’area con cavidotti, pozzetti e pali, struttura in acciaio zincato ancorata ad un basamento di cemento armato con posizionamento di n. 21 pannelli fotovoltaici, n. 2 cabine elettriche tipo prefabbricato in cemento armato, in difformità totale dai permessi di costruire n. 65 e 66 del 2009, rilasciati per la realizzazione di due impianti serricoli a copertura fotovoltaica per la coltivazione di prodotti agricoli, essendo stati realizzati due impianti fotovoltaici di 2 MW in assenza della prescritta autorizzazione regionale e proseguendo, altresì, i lavori nonostante l’ordine di sospensione degli stessi.
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorsi gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento deducendo quattro motivi di ricorso comuni ad entrambi.
2.1. Con il primo motivo deducono la violazione di legge in relazione agli artt. 44 lett. b) d.P.R. n. 380 del 2001, nonché il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza di primo grado erroneamente interpretando il disposto di cui all’art. 44 lett. b) e con travisamento delle prove, essendo fondato il suo convincimento su prove inesistenti e in parte su risultati di prove incontestabilmente diversi. Sostengono i ricorrenti che la corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto integrato il reato edilizio sulla scorta del mero diverso posizionamento delle strutture metalliche che, come è noto, non dà luogo a difformità essendo una mera variante al progetto. Anche la motivazione circa il convincimento che sarebbe stato realizzato un impianto fotovoltaico preordinato all’immissione in rete di energia da fonti rinnovabili, in luogo della realizzazione di serre a copertura fotovoltaica per il riscaldamento, sarebbe illogica e frutto del travisamento delle prove.
2.2. Con il secondo articolato motivo deducono la violazione di legge in relazione all’art. 12 d.lgs n. 387 del 2003 e al d.P.R. 12 aprile 1996, nonchè il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto di poter applicare l’art. 12 d.lgs n. 387 del 2003 e il d.P.R. 12 aprile 1996, norme concernenti la valutazione di impatto ambientale, non considerando che quanto realizzato non era soggetto a VIA perché l’impianto non era superiore a 1 MW, ed avrebbe, altresì, erroneamente ritenuto la violazione della legge regionale della Puglia rispetto ad una norma, l’art. 2 comma 1 lett. a) della legge regionale n. 31 del 2008, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 119 del 2010.
2.3. Con il terzo motivo deducono la violazione di legge in relazione agli artt. 42 e 43 cod.pen., nonché il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento soggettivo in capo agli imputati.
2.4. Con il quarto motivo deducono la violazione di legge in relazione agli artt. 132 e 133 cod.pen. nonché il vizio di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio non determinato nel minino edittale senza alcuna motivazione e argomentato con mere frasi si stile.
3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. I ricorsi appaiono inammissibili per la manifesta infondatezza dei motivi.
5. E’ inammissibile è il primo motivo di ricorso con cui i ricorrenti prospettano, anche attraverso un generico travisamento della prova, una rivalutazione del compendio probatorio laddove la sentenza impugnata, in continuità con la sentenza del Tribunale, ha correttamente ritenuto la realizzazione di opere in totale difformità del permesso a costruire – quanto alla realizzazione di un impianto fotovoltaico per immissione in rete di energia rinnovabile in luogo di due impianti serricoli a copertura fotovoltaica – e in assenza di titolo abilitativo – quanto alla recinzione, impianto di illuminazione e costruzione di due cabine elettriche (cfr. pag. 4), con prosecuzione dei lavori anche dopo l’ordinanza di sospensione degli stessi da parte del Comune, con motivazione adeguata e aderente al dato probatorio. Segnatamente, la sentenza impugnata ha fondato l’affermazione della responsabilità sugli esiti delle testimonianze e sull’esame dei titoli abilitativi e delle relative domande, aventi ad oggetto la realizzazione di due impianti serricoli, per il riscaldamento dei prodotti agricoli, in agro di Ostuni in capo a due distinte società, Solarfarm, amministrata dal Sartore e Agrisviluppo, dapprima amministrata da Pesce Domenico poi dal Sartore, su due distinti terreni acquistati dalla stessa proprietà, evidenze che, sempre secondo la sentenza impugnata, erano dimostrative della volontà di violare la disciplina in materia facendo, dapprima, apparire la costruzione di due serre agricole con copertura fotovoltaica da 1 MW, salvo poi ricondurre, con il passaggio dell’amministrazione della Agrisviluppo in capo al Sartore, il tutto ad un'unica unità imprenditoriale di produzione di energia da fonte rinnovabile pari a 2 MW e ciò in assenza dell’autorizzazione regionale unica ai sensi degli artt. 12 d.lgs n. 387 del 2003 e degli artt. 2 e 4 della L.R. Puglia n. 31 del 2008, non essendo applicabile, contrariamente all’assunto difensivo, come ritenuto dalla sentenza, al caso in esame la VIA ai sensi della legge n. 13 del 2010.
Correttamente, la corte territoriale, ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 44 d.P.R. n, 380 del 2001 nel caso di realizzazione di distinti impianti fotovoltaici, riconducibili al medesimo centro di interessi ma artificiosamente frazionati allo scopo di eludere il rispetto dei limiti di potenza fino a 1MW previsti dalla legislazione statale (Sez. 3, n. 40361 del 25/06/2014, Buglisi, Rv. 260756) e dell’acquisizione di autorizzazione unica regionale (Sez. 3, n. 11981 del 05/02/2014, Di Gennaro, Rv. 258735; Sez. 3, n. 15988 del 06/03/2013, Rubino, Rv. 255480).
6. Ed ancora la sentenza impugnata, lungi dall’aver erroneamente applicato la legge di cui si deve tenere conto nell’applicazione della legge penale ( d.lgs n. 387 del 2003) concernente disposizione in materia di valutazione di impatto ambientale per gli impianti di produzione di energia superiore a 1MW, oggetto del secondo motivo di ricorso, ha ritenuto che le opere realizzate necessitassero dell’autorizzazione regionale in forza della legge regionale Puglia n. 32 del 2008, la cui dichiarazione di incostituzionalità, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 119 del 2010, è stata equivocata dalla difesa dei ricorrenti.
Invero, con la sentenza citata, il giudice delle leggi, dopo aver ricordato che “la costruzione e l’esercizio degli impianti da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse, sono soggetti all’autorizzazione unica, nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico (art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 387 del 2003)”, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 2 della legge regionale e del comma 3, nonché dell’art. 3 della legge medesima, mentre ha dichiarato inammissibile la questione con riferimento all’art. 4 cit.
Nella sentenza si legge che “Sussiste una procedura autorizzativa semplificata in relazione agli impianti con una capacità di generazione inferiore rispetto alle soglie indicate (tabella A, allegata al medesimo decreto legislativo), diversificate per ciascuna fonte rinnovabile: agli impianti rientranti nelle suddette soglie si applica la disciplina della DIA, di cui agli articoli 22 e 23 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), da presentare al Comune competente per territorio. La norma regionale censurata – per alcune tipologie di impianti specificamente elencati, per la produzione di energia da fonti rinnovabili, non solo solare ed eolica, ma anche per impianti idraulici, a biomassa e a gas – ha previsto l’estensione della DIA anche per potenze elettriche nominali superiori (fino a 1 MWe) a quelle previste alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003. Riguardo alle ipotesi di applicabilità della procedura semplificata di DIA in alternativa all’autorizzazione unica, è riconoscibile l’esercizio della legislazione di principio dello Stato in materia di «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia», per via della chiamata in sussidiarietà dello Stato, per esigenze di uniformità, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale (sentenza n. 383 del 2005); ciò anche riguardo alla valutazione dell’entità delle trasformazioni che l’installazione dell’impianto determina, ai fini dell’eventuale adozione di procedure semplificate (in tal senso le sentenze n. 336 del 2005, in materia di comunicazioni elettroniche, e n. 62 del 2008 in materia di smaltimento rifiuti).
La norma regionale è allora illegittima, in quanto maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la disciplina della DIA possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente: la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3 va limitata ai commi 1 e 2”. Ed ancora “l’adozione, da parte delle Regioni, nelle more dell’approvazione delle linee guida previste dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, di una disciplina come quella oggetto di censura provoca l’impossibilità di realizzare impianti alimentati da energie rinnovabili in un determinato territorio, dal momento che l’emanazione delle linee guida nazionali per il corretto inserimento nel paesaggio di tali impianti è da ritenersi espressione della competenza statale di natura esclusiva in materia di tutela dell’ambiente”, “L’assenza delle linee guida nazionali non consente, dunque, alle Regioni di provvedere autonomamente alla individuazione di criteri per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti di energia alternativa”.
Ciò posto, l’intervento della Corte costituzionale non ha toccato l’art. 4 che disciplina l’autorizzazione regionale unica e gli adempimenti conseguenti, sicchè, come già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, con la sentenza di questa Sezione Terza, n. 17433 del 07/02/2012, Ancora, Rv. 252542, la realizzazione in zona agricola di un impianto fotovoltaico in assenza di autorizzazione regionale e in difformità dei titoli autorizzatori integra il reato di cui all’art. 44 lett. b) d.P.R. 380 del 2001. Da qui la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
7. Manifestamente infondato, e anche in parte generico, è il terzo motivo di ricorso con cui si deduce l’omessa e illogicità della motivazione sul dolo del reato. La sentenza impugnata ha con motivazione congrua e immune da rilievi sindacabili in questa sede argomentato l’elemento soggettivo del reato in capo ai ricorrenti (cfr. par. 5 del considerato in diritto), a fronte della quale i ricorrenti muovono critiche sostenendo nuovamente la tesi “del processo alle intenzioni” di cui non si può non rilevare la genericità della censura.
8. Di carattere generico è l’ultimo motivo di ricorso con cui si deduce la violazione di legge in merito al trattamento sanzionatorio per non avere, il Giudice del merito, argomentato in ordine all’applicazione di una sanzione non nel minimo edittale.
La sentenza impugnata ha ritenuto di non rivisitare il trattamento sanzionatorio ritenuto “congruo” a fronte della gravità dei fatti e alle “considerazioni esposte”.
Deve rammentarsi che l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata deve ritenersi sufficientemente osservato qualora il giudice dichiari di ritenere "adeguata" o "congrua" o "equa" la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto, la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall'art. 133 cod. pen., principio che deve essere riaffermato nel caso in cui, come quello in esame, la misura della pena irrogata (mesi sei di arresto e € 22.000 di ammenda) è al di sotto della misura media che consente di ritenere adeguata la motivazione mediante richiamo ad espressioni del tipo "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015,Scaramozzino,Rv. 265283; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, Pasquali, Rv. 258356).
Nel ribadire il principio secondo cui in tema di determinazione della pena, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen., la corte territoriale si è attenuta al principio di diritto, sicchè il motivo appare, anche, manifestamente infondato.
9. Il Collegio rileva che la prescrizione è maturata in epoca successiva alla deliberazione della sentenza impugnata pronunciata l’08/04/2016 essendo maturata al 1 maggio 2016 (tenuto conto del periodo di sospensione del processo per impedimento del difensore per giorni 29). La rilevata inammissibilità dei ricorsi per cassazione, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, "non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 cod.proc.pen." (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi), cosicché è preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturato dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).
10. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 21/06/2017