Cass. Sez. III n. 16316 del 20 aprile 2015 (Ud 15 gen 2015)
Pres. Teresi Est. Aceto Ric. Curti ed altri
Urbanistica.Inamovibilità e temporaneità di opere edilizie
La oggettiva inamovibilità dell'opera (nel caso di specie addirittura assicurata da solide fondamenta in cemento armato) non può essere soverchiata dalla temporaneità delle esigenze che l'opera intende soddisfare. Quand'anche le esigenze siano temporanee, un'immobile saldamente ancorato al suolo e mai più rimosso non può certamente ritenersi sottratto a permesso di costruire. Vi ostano le caratteristiche strutturali che oggettivamente incidono in modo non reversibile sull'assetto del territorio e che lo stesso legislatore ha inteso valorizzare a tal fine (il non stabile ancoraggio al suolo di cui all'art. 3, comma 3, lett. e.5, la speculare necessità della effettiva rimozione dell'opera di cui all'art. 6, comma 2, lett. b, d.P.R. 380/2001).
RITENUTO IN FATTO
1. I sigg.ri C.L., C.M. e F.M. ricorrono per l'annullamento della sentenza del 04/11/2013 della Corte di appello di Milano che ha confermato la condanna alla pena di tre mesi di arresto ed Euro 10.800,00 inflitta il 20/02/2013 dal Tribunale di Como che li ha dichiarati responsabili del reato di cui all'art. 81 c.p., comma 1, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, artt. 142 e 181, e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), commesso in (OMISSIS), perchè, in concorso fra loro, nelle rispettive qualità di legali rappresentanti della società "La Punta S.r.l.", società committente dei lavori, i primi due, di esecutore dei lavori il terzo, avevano realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ed in assenza di qualsiasi titolo abilitativo, un plinto di calcestruzzo delle dimensioni di mt. 5x5, sul quale era stata montata una struttura prefabbricata, nonchè una struttura triangolare in legno e copertura con canne, adibita a barbecue.
1.1. Con il primo motivo eccepiscono che i manufatti realizzati costituiscono interventi di natura precaria, essendo oggettivamente destinati a soddisfare esigenze improvvise e transeunti.
Non rilevano, proseguono, la natura dei materiali adottati e la facile amovibilità dell'opera ma le esigenze, nel caso di specie stagionali, che quest'ultima soddisfa. Ai fini della qualificazione dell'opera come precaria, concludono, non ha rilevanza il dato strutturale, ma quello funzionale.
1.2. Con il secondo motivo eccepiscono mancanza di motivazione sotto il profilo della mancata risposta a censure decisive contenute nell'atto di appello circa le ragioni della mancata rimozione del manufatto a fine stagione.
La Corte di appello, deducono, ha totalmente travisato il dato documentale costituito dalla convenzione stipulata tra il Comune di Sorico ed il Consorzio Riserva Naturale Pian di Spagna e Lago di Mezzola per la gestione, in località La Punta del Comune di Sorico, di una struttura turistico-sportiva e ricettiva e secondo la quale la società "La Punta" era autorizzata a realizzare strutture precarie sulla spiaggia, ed ha altresì omesso di motivare sulle ragioni per le quali ha ritenuto inattendibile la testimonianza resa dalla testimone L. che aveva affermato che le opere venivano rimosse.
1.3. Con il terzo motivo, riprendendo i temi già tracciati con i primi due, eccepiscono vizio di motivazione avendo la Corte territoriale escluso la precarietà dell'opera perchè non rimossa a fine stagione, laddove tale mancata rimozione era dovuta a fattori oggettivi (il sequestro penale), ed avendo escluso la precarietà dell'opera (ed in particolare dei plinti in cemento) in virtù della sua non amovibilità e dunque per motivi strutturali, piuttosto che funzionali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2. I ricorsi sono inammissibili perchè manifestamente infondati.
3. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito, non contraddetta sul punto dai ricorrenti, la società "La Punta S.r.l." era stata autorizzata alla apposizione di una casetta in legno ad uso bar da lasciare provvisoriamente installata (primavera - estate) sulla spiaggia del lago, in zona tutelata da vincolo paesaggistico.
Di fatto, si era accertato che erano state realizzate fondamenta in calcestruzzo delle dimensioni di mt. 5x5, che la casetta (che poggiava su dette fondamenta) era presente anche durante il sopralluogo del 25/02/2010, che era stata realizzata una struttura fissa in cemento stabilmente ancorata al suolo utilizzata come forno- barbecue (mai autorizzata).
Secondo i giudici distrettuali tali fatti escludono la natura precaria dell'opera sia perchè stabilmente infissa al suolo mediante fondazioni in cemento armato, e dunque destinata a permanere per un lasso di tempo indeterminato, sia perchè mai rimossa e oggettivamente mai rimovibile.
Poichè i ricorrenti eccepiscono vari vizi di motivazione del provvedimento censurato, è bene evidenziare che la sentenza impugnata fornisce risposte coerenti alle censure sollevate alla sentenza di primo grado e ai fatti effettivamente accertati.
I ricorrenti avevano infatti da un lato eccepito che "restano esclusi (...) dal regime del permesso di costruire i manufatti di assoluta ed evidente precarietà, vale a dire destinati a soddisfare esigenze di carattere contingente e ad essere presto eliminati", dall'altro però sostenuto che la "precarietà di un manufatto non dipende dai materiali utilizzati o dal sistema di ancoraggio al suolo, bensì dall'uso al quale il manufatto stesso è destinato".
La Corte territoriale ha motivato la sua decisione ancorandola a dati oggettivi (non contestati, come detto) dai quali, in corretta applicazione della regola di diritto di cui oltre si dirà, ha confermato la sentenza impugnata.
Sicchè resta oscura la censura di travisamento della convenzione in virtù della quale era stata effettivamente autorizzata la apposizione di un chiosco da rimuovere alla fine di ogni stagione (lo affermano gli stessi ricorrenti) e più ancora quella di mancata valutazione della testimonianza della sig.ra L. che, in disparte la sua decisività (argomento nemmeno accennato nell'odierno ricorso), si scontra, nell'apparato motivazionale della sentenza impugnata, con il dato della natura dell'opera (che ne impediva oggettivamente la rimovibilità) e del fatto che nel febbraio 2010 essa non risultava rimossa. La struttura, cioè, non risultava rimossa de ben prima della data in cui (ottobre 2010) la stessa era stata sequestrata.
Sicchè, l'argomento del sequestro - quale fattore oggettivo che avrebbe impedito la rimozione dell'opera - è mal speso e, nell'economia della tesi difensiva, si scontra con quanto avrebbe riferito la testimone L., secondo la quale, invece, l'opera veniva effettivamente rimossa.
Alcun vizio di motivazione è dunque ravvisabile nella specie.
4.Sul piano del diritto, osserva il Collegio che certamente la natura precaria dell'opera edilizia non deriva dalla tipologia dei materiali impiegati per la sua realizzazione, tanto meno dalla sua facile amovibilità; quel che conta, infatti, è la oggettiva temporaneità e contingenza delle esigenze che l'opera è destinata a soddisfare e la sua effettiva rimozione al loro cessare (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b) .
Chiaro è, in tal senso, il dettato normativo che, nel definire gli interventi di nuova costruzione, per i quali è necessario il permesso di costruire o altro titolo equipollente (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10, comma 1, lett. a, e art. 22, comma 3, lett. b), individua - tra gli altri - i manufatti leggeri e le strutture di qualsiasi genere che siano utilizzati come depositi, magazzini e simili "che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee" (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, lett. e.5) e che non siano, quando consentito in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti, installati "con temporaneo ancoraggio al suolo" (cit. art. 3, comma 1, lett. e.5).
La natura oggettivamente temporanea e contingente delle esigenze da soddisfare è richiamata anche dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b, per individuare le opere che, previa mera comunicazione dell'inizio lavori, possono essere liberamente eseguite, purchè siano immediatamente rimosse al cessare delle necessità.
Si tratta di criterio che significativamente, sia pure ad altri fini, l'art. 812 c.c. utilizza per collocare nella categoria dei beni immobili gli edifici galleggianti saldamente ancorati alla riva o all'alveo e destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione, così diversificandoli dai galleggianti mobili adibiti alla navigazione o al traffico in acque marittime o interne, di cui all'art. 136 c.n. e che, a norma dell'art. 815 c.c., costituiscono, invece, beni mobili soggetti a registrazione.
La oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare bisogni non provvisori, la sua conseguente attitudine ad una utilizzazione non temporanea, nè contingente, è criterio da sempre utilizzato dalla giurisprudenza di questa Corte per distinguere l'opera assoggettabile a regime concessorio (oggi permesso di costruire) da quella realizzabile liberamente, a prescindere dall'incorporamento al suolo o dai materiali utilizzati (Sez. 3, Sentenza n. 9229 del 12/02/1976, Sez. 3, Sentenza n. 1927 del 23/11/1981, Sez. 3, Sentenza n. 5497 del 11/03/1983, Sez. 3, Sentenza n. 6172 del 23/03/1994, Sez. 3, Sentenza n. 12022 del 20/11/1997, Sez. 3, Sentenza n. 11839 del 12/07/1999, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009, quest'ultima con richiamo ad ulteriori precedenti conformi di questa Corte e del Consiglio di Stato).
Nemmeno il carattere stagionale dell'attività implica di per sè la precarietà dell'opera (Sez. 3, Sentenza n. 34763 del 21/06/2011, Sez. 3, Sentenza n. 13705 del 21/02/2006, Sez. 3, Sentenza n. 11880 del 19/02/2004, Sez. 3, Sentenza n. 22054 del 25/02/2009 cit.).
Si tratta di principio talmente consolidato da far ritenere, per esempio, di natura eccezionale e non applicabile oltre i casi in esse tassativamente previsti, le disposizioni introdotte dalle leggi della Regione Sicilia che, privilegiando il dato strutturale su quello funzionale, hanno ricondotto nell'ambito dell'attività edilizia libera la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie, la chiusura di verande o balconi con strutture precarie (così, da ultimo, la L.R. Sicilia n. 4 del 2003, art. 20 che definisce precarie le strutture realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione) (cfr., sul punto, Sez. 3, Sentenza n. 16492 del 16/03/2010 e Sez. 3, Sentenza n. 35011 del 26/04/2007 che hanno avuto modo di precisare che, in questi casi, la facile amovibilità delle strutture deve essere interpretata in senso assolutamente restrittivo).
Il riferimento alla temporaneità e alla contingenza dell'esigenza, piuttosto che alle caratteristiche strutturali dell'opera edilizia ed al materiale impiegato per la sua realizzazione, deriva dal fatto che nella riflessione dottrinaria e giurisprudenziale del secondo dopoguerra si è venuta consolidando la consapevolezza che il territorio non può più essere considerato strumento destinato al solo assetto ed incremento edilizio (L. n. 1150 del 1942, art. 1), ma come luogo sul quale convergono interessi di ben più ampio respiro che dalle modalità del suo utilizzo (o del suo non utilizzo) possono trovare giovamento o, al contrario, pregiudizio, sì che la sua trasformazione urbanistica ed edilizia (così la L. n. 10 del 1977, art. 1 che, si noti, operando un rivolgimento copernicano rispetto alla L. n. 1150 del 1942, art. 1, ha posto l'attività edilizia in secondo piano rispetto a quella urbanistica) costituisce oggetto di compiuta valutazione e comparazione degli interessi in gioco e, dunque, vera e propria attività di governo (così l'art. 117 Cost., comma 3), non sempre, e non solo, appannaggio esclusivo della collettività che lo abita.
Occorre però precisare che tali principi sono maturati, sono stati espressi e sono stati fatti propri dal legislatore nei termini indicati dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, per superare le obiezioni volte a identificare la precarietà dell'opera con la natura dei materiali utilizzati, con il fatto che l'opera non fosse stabilmente incorporata al suolo o con la natura stagionale del servizio cui essa è preposta.
Mai però è stato messo in discussione il principio (pure fatto palese delle definizioni legislative sopra riportate) secondo il quale la oggettiva inamovibilità dell'opera (nel caso di specie addirittura assicurata da solide fondamenta in cemento armato) potesse essere soverchiata dalla temporaneità delle esigenze che l'opera intende soddisfare. Quand'anche le esigenze siano temporanee, un'immobile saldamente ancorato al suolo e mai più rimosso non può certamente ritenersi sottratto a permesso di costruire. Vi ostano le caratteristiche strutturali che oggettivamente incidono in modo non reversibile sull'assetto del territorio e che lo stesso legislatore ha inteso valorizzare a tal fine (il non stabile ancoraggio al suolo di cui all'art. 3, comma 3, lett. e.5, la speculare necessità della effettiva rimozione dell'opera di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 6, comma 2, lett. b).
I ricorrenti, peraltro, confondono la temporaneità dell'esigenza con la sua stagionalità, che esprime un concetto ben diverso, che non vale a far ritenere precaria l'opera pur facilmente amovibile e mai rimossa.
5. I ricorsi sono dunque inammissibili.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2015.