Cass. Sez. III n. 16178 del 18 aprile 2024 (CC 15 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Licciardi
Urbanistica.Legittimazione alla presentazione della domanda di condono
Premessa la diversa disciplina circa la legittimazione attiva, dettata in ordine alla richiesta di permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/01 - atteso che il primo comma del citato articolo 36 fissa un ambito di operatività della legittimazione alquanto peculiare quanto ai tempi di proponibilità della domanda di sanatoria e al novero dei soggetti interessati, essendo in proposito alternativamente inclusi sia il proprietario che il responsabile dell’abuso (solo fino alla scadenza del termine di cui agli artt. 31 comma 3, 33 comma 1 DPR 380/01 e comunque fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative) –, va osservato come incida sulla legittimazione di chi può proporre la diversa e distinta domanda di condono la titolarità del bene al momento della proposizione della medesima. Va al riguardo evidenziato che ai sensi dell’art. 32 comma 25 del D. L. 269/2003, convertito con legge 326/2003, per la disciplina del condono stabilita con tali previsioni normative (cd. terzo condono) si applicano, tra le altre, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni. Consegue che operano, in ordine ai soggetti che possono proporre domanda di condono, le indicazioni già elaborate dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al secondo condono (del 1994), secondo le quali legittimati alla presentazione dell'istanza di condono sono il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori, con esclusione dei figli del proprietario, salvo ipotesi di tipo successorio
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 settembre 2023, la Corte di appello di Palermo, adita quale giudice dell’esecuzione nell’interesse di Licciardi Santa e D’Alba Guglielmo per la sospensione e revoca dell’ingiunzione a demolire emessa dal Procuratore Generale della stessa Corte di appello, in esecuzione della sentenza della Corte stessa n. 712/2006 del 6.3.2006, divenuta irrevocabile il 23.5.2006, rigettava l’istanza.
2. Avverso la predetta ordinanza Licciardi Santa e D’Alba Guglielmo, tramite il rispettivo difensore di fiducia, hanno proposto ricorso per Cassazione.
3. Con un unico motivo, deducono il vizio di violazione di legge e il vizio di motivazione per travisamento della prova, in relazione al ritenuto artificioso frazionamento delle domande di sanatoria oltre che il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Vi sarebbe un’erronea valutazione della costruzione sanata e dei soggetti legittimati alle istanza di condono: in particolare, in relazione all’appartamento al piano terra risulterebbe un regolare provvedimento di condono rilasciato su domanda di D’Alba Antonino (e non di D’Alba Guglielmo come erroneamente ritenuto dai giudici); provvedimento che esulerebbe dalla ritenuta elusione dei limiti massimi di condonabilità relativi alle sanatorie edilizie chieste da D’Alba Guglielmo, siccome rilasciato su domanda di altro soggetto, diversamente titolato e per immobile distinto. Si aggiunge che D’Alba Antonino, attuale ricorrente, sarebbe risultato dall’origine proprietario di ½ dell’area di sedime dell’immobile di cui a particella 1383 n. 4, a seguito del decesso di D’Alba Antonino nato a Ficarazzi il 28.10.1931, giusta dichiarazione di successione del 10.2.2003 e, quindi, non sarebbe divenuto proprietario “anni dopo” la presentazione della domanda di condono come ritenuto in ordinanza. L’ulteriore metà della proprietà sarebbe stata ceduta da Licciardi Santa a D’Alba Antonino il 20.2.2014 . Quindi, la domanda di sanatoria sarebbe stata presentata correttamente da D’Alba Antonino (classe 1984) il 9.12.2004, quale proprietario della unità immobiliare sub 4, come indicato nella concessione edilizia n. 62. In tale quadro, risulterebbe la violazione della disciplina di condono laddove consente di proporre domande separate per un medesimo fabbricato , secondo l’indirizzo sancito dalla Corte Costituzionale pure richiamata in ricorso, con l’aggiunta per cui l’immobile di D’Alba Antonino integrerebbe un’autonoma struttura residenziale. Pertanto, la relativa pratica di condono non avrebbe dovuto essere cumulata con le altre riguardanti altri appartamenti del medesimo immobile.
Vi sarebbe, altresì, un errore, nel ritenere violati i limiti massimi di cubatura per gli altri appartamenti di cui alle concessioni di condono n. 60 (non oggetto di demolizione) e 61, siccome la complessiva cubatura sarebbe pari a 692 mc.
Inoltre, l’ordine di demolizione sarebbe incompatibile con i corretti provvedimenti comunali di condono rilasciati.
Si contesta, poi, che il G.E non abbia pronunziato in ordine alla avanzata richiesta di nominare un consulente tecnico di ufficio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile. Va premesso che tra le verifiche affidate al giudice dell’esecuzione in ordine alla legittimità del provvedimento di sanatoria (condono o permesso ex art. 36 DPR 380/01), rientra anche il profilo della legittimazione del beneficiario al rilascio dell’atto, al momento della presentazione della domanda. Questa corte infatti, a tale ultimo riguardo ha precisato che ai fini della revoca dell'ordine di demolizione di un immobile oggetto di condono edilizio, il giudice dell'esecuzione deve verificare la legittimità del sopravvenuto atto, sotto il profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione, dovendo in particolare verificare la disciplina normativa applicabile, la legittimazione di colui che abbia ottenuto il titolo in sanatoria, la tempestività della domanda, il rispetto dei requisiti strutturali e temporali per la sanabilità dell'opera e, ove l'immobile edificato ricada in zona vincolata, il tipo di vincolo esistente nonché la sussistenza dei requisiti volumetrici o di destinazione assentibili (cfr. Sez. 3, n. 37470 del 22/05/2019 Rv. 277668 – 01).
1.1. In proposito, premessa la diversa disciplina circa la legittimazione attiva, dettata in ordine alla richiesta di permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/01 - atteso che il primo comma del citato articolo 36 fissa un ambito di operatività della legittimazione alquanto peculiare quanto ai tempi di proponibilità della domanda di sanatoria e al novero dei soggetti interessati, essendo in proposito alternativamente inclusi sia il proprietario che il responsabile dell’abuso (solo fino alla scadenza del termine di cui agli artt. 31 comma 3, 33 comma 1 DPR 380/01 e comunque fino alla irrogazione delle sanzioni amministrative) –, va osservato come incida sulla legittimazione di chi può proporre la diversa e distinta domanda di condono la titolarità del bene al momento della proposizione della medesima. Va al riguardo evidenziato che ai sensi dell’art. 32 comma 25 del D. L. 269/2003, convertito con legge 326/2003, per la disciplina del condono stabilita con tali previsioni normative (cd. terzo condono) si applicano, tra le altre, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni. Consegue che operano, in ordine ai soggetti che possono proporre domanda di condono, le indicazioni già elaborate dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento al secondo condono (del 1994), secondo le quali legittimati alla presentazione dell'istanza di condono sono il proprietario della costruzione abusiva, il titolare della concessione edilizia, il committente delle opere, il costruttore ed il direttore dei lavori, con esclusione dei figli del proprietario, salvo ipotesi di tipo successorio (cfr. Sez. 3, n. 30059 del 16/05/2018 Rv. 273760 – 01 Quartucci).
1.2. Nel caso in esame, i giudici hanno osservato come i beneficiari dei due provvedimenti di condono in parola, rispettivamente nn. 61 e 62, sarebbero divenuti esclusivi proprietari dei corrispondenti immobili solo dopo la avvenuta proposizione delle domande di condono. In altri termini, alla luce di quanto si desume dalla ordinanza impugnata, al momento della presentazione delle domande non sussisteva già in capo a D’Alba Antonino (classe 84) e D’Alba Guglielmo una specifica e esclusiva titolarità degli appartamenti oggetto dei predetti atti di condono.
Con la conseguenza per cui, a fronte, deve ritenersi, di una proprietà indivisa dell’immobile o comunque non distinta ed esclusiva in capo agli istanti D’Alba Guglielmo e Antonino al momento delle domande di condono, rispetto agli immobili oggetto dei provvedimenti prima citati, appare corretto il rilievo dei giudici circa l’intervenuto, successivo e artificioso frazionamento dell’unitaria opera abusiva.
In proposito, questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che in tema di condono edilizio, nel caso di bene immobile in comproprietà, per il quale non sia stata operata alcuna divisione né costituito un distinto diritto di proprietà su una porzione dello stesso, la presentazione di distinte istanze di sanatoria da parte di diversi soggetti legittimati in forza degli artt. 6 e 38, comma 5, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamati dall'art. 39, comma 6, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, costituisce un frazionamento artificioso della domanda, da imputare ad un unico centro sostanziale di interesse onde non consentire l'elusione del limite legale di volumetria dell'opera per la concedibilità della sanatoria. (Fattispecie di presentazione di diverse istanze di condono, riferite ad altrettanti piani dell'immobile abusivo). (Sez. 3, n. 27977 del 04/04/2019 Rv. 276084 – 01)
Rispetto a tale preciso rilievo, i ricorrenti hanno opposto una asserita e non dimostrata tesi – in assenza di specifiche allegazioni - per cui, invece, D’Alba Antonino avrebbe acquisito la esclusiva titolarità dell’immobile di cui al provvedimento di condono n. 62 già al momento della domanda. Tale tesi, tuttavia, per le predette ragioni appare generica e non provata e come tale non in grado di scalfire il ragionamento della Corte di appello, allo stato degli atti corretto. Per non dire del riferimento all’ulteriore dato, certamente di interesse seppur non approfondito dai giudici, di cui a pagina 2 della ordinanza, secondo cui i grafici allegati alle domande non corrisponderebbero allo stato attuale dei luoghi come acclarato dal tecnico della Procura.
2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che i ricorrenti versino la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 15/02/2024.