Cass. Sez. III n. 18895 del 14 maggio 2024 (CC 17 apr 2024)
Pres. Ramacci Est. Mengoni Ric. Pala
Urbanistica.Patteggiamento e ordine di demolizione
La novella introdotta nell’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. non si applica alla demolizione in esame, in quanto l’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 non costituisce espressione di una “disposizione di legge diversa da quella penale che equipara la sentenza di cui all’art. 444 cod. proc. pen. a quella di condanna”, ma l’esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30/11/2023, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia rigettava l’istanza con la quale Verina Pala aveva chiesto la revoca o l'annullamento dell'ordine di demolizione e ripristino disposto con riferimento alla sentenza emessa a suo carico il 3/10/2003 dallo stesso Ufficio, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.
2. Propone ricorso per cassazione la Pala, deducendo i seguenti motivi:
- mancanza di motivazione quanto al criterio di proporzionalità della demolizione. Richiamato l’iter amministrativo e giudiziario della vicenda, che al momento attesterebbe la sospensione dell'ordine di demolizione e del provvedimento del Comune di Fiumicino che ha rigettato la richiesta di condono edilizio, si contesta che l'ordinanza sarebbe totalmente carente di motivazione quanto al criterio della proporzionalità della misura, palesemente assente nel caso di specie a fronte di un unico immobile adibito ad uso abitativo di un nucleo familiare, di un minimo intervento edilizio ritenuto abusivo e del tentativo - pervicacemente protratto dalla ricorrente - di legalizzare la situazione di fatto;
- violazione di legge e vizio di motivazione per erronea applicazione dell’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. Premesso che l'ordine di demolizione sarebbe stato emesso non in relazione ad una specifica norma penale, ma solo per il richiamo operato dall'art. 31, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, secondo una logica di equiparazione della sentenza di applicazione della pena a quella di condanna, si evidenzia che l’art. 445, comma 1-bis richiamato, introdotto dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, impedirebbe questa equiparazione, così che l'ordine di demolizione conseguente alla sentenza di patteggiamento sarebbe non più attuale o, comunque, attuabile (come in materia di incandidabilità). Anche con riguardo a tale questione, l'ordinanza non conterrebbe alcun argomento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. Con riferimento alla prima censura, con la quale si denuncia l'omessa motivazione in punto di proporzionalità dell'ordine di demolizione, il Collegio osserva che la questione è posta in termini generici, oltre a richiamare numerosi elementi di fatto che nessun ingresso possono avere in sede di legittimità (nello specifico, le ragioni che avrebbero indotto la ricorrente a compiere l'abuso edilizio, il carattere asseritamente minimo dello stesso, il dedotto tentativo di “legalizzare la situazione di fatto”).
4.1. La doglianza, peraltro, muove da un presupposto indimostrato, ossia che l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza emessa dal G.i.p. del Tribunale di Civitavecchia il 3/10/2003 si riferisca all'intero immobile di proprietà della Pala e non soltanto alla sua parte abusiva definitivamente accertata; proprio quest'ultima circostanza, per contro, risulta dal dispositivo della stessa sentenza, che ha correttamente disposto la “demolizione delle opere abusive”, e soltanto di queste. Ne deriva, pertanto, la piena infondatezza di ogni questione attinente ad un'ipotetica sproporzione tra l'abuso riscontrato e l'ordine di demolizione emesso.
5. Alle stesse conclusioni, poi, la Corte perviene anche sul secondo motivo; per quanto, infatti, l'ordinanza impugnata non contenga motivazione sul punto (sollecitata con una memoria prodotta in sede di esecuzione), la questione risulta comunque palesemente infondata, così da non poter inficiare il provvedimento qui in esame.
5.1. In particolare, occorre evidenziare che il d. lgs. n. 150 del 2022 ha introdotto, all'interno dell'art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen., il seguente periodo: “se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall'articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna”; ebbene, contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, questa disposizione non si applica al caso della sentenza che abbia ordinato la demolizione dell’abuso edilizio, come peraltro già recentemente affermato da questa Corte (Sez. 3, n. 10699 del 21/12/2023, PG/Santomauro).
5.2. La demolizione, infatti, è disposta ai sensi dell’art. 31, comma 9, d.P.R. n. 380 del 2001, in forza del quale per le opere abusive il giudice, con la sentenza di condanna o ad essa equiparata (come nel caso di applicazione della pena su richiesta) per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita. Dal tenore della disposizione, per come costantemente interpretata, deriva dunque trattarsi di un provvedimento – privo di contenuto discrezionale - accessorio rispetto alla condanna principale, che costituisce esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale (per tutte, Sez. U, n. 15 del 1976/1996, Monterisi, Rv. 205336, a mente della quale l'ordine di demolizione adottato dal giudice ai sensi dell'art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, al pari delle altre statuizioni contenute nella sentenza definitiva, è soggetto all'esecuzione nelle forme previste da codice di procedura penale, avendo natura di provvedimento giurisdizionale, ancorché applicativo di sanzione amministrativa); trattasi, ancora, di una sanzione amministrativa di tipo ablatorio (non di una pena accessoria, né di una misura di sicurezza patrimoniale), caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale ne è attribuita l'applicazione, la cui catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla "sentenza di condanna" (vedi, in tal senso, Cass., Sez. U, Monterisi, cit.). Ancora le Sezioni Unite, poi, hanno sottolineato che “richiamato il suddetto ambito di operatività della misura della demolizione, che esclude poteri discrezionali tecnici da parte del giudice penale e quindi rischi di interferenza nella sfera della discrezionalità amministrativa, va osservato che, mentre il potere sanzionatorio attribuito al sindaco riceve dalla norma un'organica articolazione, - quanto a cogente adozione, ad ineludibile soggezione da parte del responsabile, a progressiva espansione delle conseguenze dannose per il privato (passando dalla demolizione dell'opera all'ablazione della proprietà dell'opera stessa, dell'area di sedime e di pertinenza urbanistica, nella prospettiva di una conservazione per prevalenti interessi pubblici), quanto a previsione dell'esercizio in via "sostitutiva" da parte del presidente della giunta regionale -, l'ordine di demolizione che il giudice penale ha il potere - dovere di emettere con la sentenza di condanna non trova altra condizione applicativa che l'attuale permanenza dell'opera abusiva. Il che trova ragione giuridica proprio nella sua accessività alla "sentenza di condanna" (art. 7 ult. comma), e quindi alla sua catalogazione fra i provvedimenti giurisdizionali.”
5.3. Alla luce di quanto precede, il Collegio conclude dunque che la novella introdotta nell’art. 445, comma 1-bis, cod. proc. pen. non si applica alla demolizione in esame, in quanto l’art. 31, d.P.R. n. 380 del 2001 non costituisce espressione di una “disposizione di legge diversa da quella penale che equipara la sentenza di cui all’art. 444 cod. proc. pen. a quella di condanna”, ma – come già riportato - l’esplicitazione di un potere sanzionatorio, non residuale o sostitutivo ma autonomo rispetto a quelli dell’autorità amministrativa, attribuito dalla legge al giudice penale.
6. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2024