Cass. Sez. III n. 19616 del 26 aprile 2017 (Cc 7 feb 2017)
Presidente: Amoresano Estensore: Cerroni Imputato: Boriero
Urbanistica. Scadenza del termine di legge per contestare all'interessato la carenza dei presupposti e dei requisiti della d.i.a. (ora S.c.i.a.)
L'inutile scadenza del termine di legge per contestare all'interessato la carenza dei presupposti e dei requisiti per seguire la disciplina procedimentale della denunzia di inizio attività non configura un provvedimento implicito di silenzio-assenso, rimanendo impregiudicato il potere-dovere del Comune e dell'autorità giudiziaria di intervenire sul piano sanzionatorio nel caso in cui le opere realizzate a seguito della presentazione della D.I.A. risultino invece sottoposte alla disciplina del permesso di costruire
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza dell'8 settembre 2016 il Tribunale del riesame di Como ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo del 15 luglio 2016, disposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale nell'ambito delle indagini a carico di Gianpaolo Riccardo Boriero, Benedetta Boriero e Andrea Marconetti per il reato di cui all'art. 44, comma 1, lett. a) e b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
2. Avverso il predetto provvedimento gli interessati, tramite il proprio difensore, hanno proposto ricorsi per cassazione con un articolato motivo di impugnazione.
2.1. I ricorrenti hanno così in primo luogo lamentato violazione di legge per errata applicazione della legge 7 agosto 1990, n. 241 nonché per mancata o apparente motivazione dell'ordinanza del Giudice del riesame.
In particolare, è stata contestata l'affermata mancanza di buona fede dei ricorrenti, che non avrebbero correttamente rappresentato la tipologia di esercizio cui intendevano destinare l'immobile. Al contrario, il Comune di Novedrate aveva infine ordinato solo nel mese di novembre 2015 il ripristino dell'originaria destinazione dell'immobile, poi sequestrato, in artigianato di servizi, mentre i ricorrenti avevano proseguito ad allestire l'attività commerciale di pubblica ristorazione già debitamente comunicata nel mese di maggio 2015, ed inizialmente autorizzata (come si evinceva dalla procedura di autotutela intrapresa solo nel 2016 in relazione all'annullamento della SCIA, nonché dalla pregressa corrispondenza intrattenuta col Comune, ai fini del completamento dell'istruttoria cd. SCIA) dall'Amministrazione comunale.
Doveva pertanto ritenersi integrato il principio di affidamento espresso dalla legge 241 del 1990, stante il pedissequo seguito a tutte le richieste dell'ente pubblico nel corso dell'iter burocratico.
3. Il Procuratore Generale ha insistito per l'inammissibilità del ricorso, stante il mancato immediato rilievo della buona fede ed in considerazione della punibilità a titolo di mera colpa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Vero è, infatti, che in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d'uso senza opere è assoggettato a D.I.A. (ora SCIA), purché intervenga nell'ambito della stessa categoria urbanistica, mentre è richiesto il permesso di costruire per le modifiche di destinazione che comportino il passaggio di categoria o, se il cambio d'uso sia eseguito nei centri storici, anche all'interno di una stessa categoria omogenea (Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, Stellato, Rv. 267106). Del pari, il mutamento di destinazione d'uso giuridicamente rilevante è solo quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico, da individuarsi tenendo conto della destinazione indicata nell'ultimo titolo abilitativo relativo all'immobile ovvero della sua tipologia, nonché delle attitudini funzionali che il bene stesso viene ad acquisire in caso di esecuzione di nuovi lavori (Sez. 3, n. 38005 del 16/05/2013, Farieri, Rv. 257689).
Ciò posto, è stato altresì ad es. annotato che non ricorrono gli estremi della buona fede, idonea ad integrare la condizione soggettiva d'ignoranza inevitabile della legge penale, quando l'imputato abbia eseguito un intervento edilizio in assenza del necessario permesso di costruire in conseguenza di una erronea interpretazione di una pur chiara disposizione di legge ed omettendo di consultare il competente ufficio, formando il suo convincimento personale sull'insussistenza dell'obbligo di munirsi di apposito titolo abilitativo sulla base di un provvedimento della P.A. riguardante un diverso manufatto rispetto a quello abusivamente realizzato (in specie l'imputato aveva costruito un piazzale su una porzione di fondo agricolo ritenendo superfluo il rilascio del permesso di costruire perché il Comune aveva comunicato che non era necessario alcun titolo abilitativo per la realizzazione di una recinzione sul medesimo terreno)(Sez. 3, n. 36852 del 10/06/2014, Messina, P.v. 259950).
In specie, gli odierni ricorrenti hanno evidenziato la loro pretesa buona fede indotta anche dal comportamento dell'Amministrazione comunale, che aveva fatto trascorrere inutilmente i tempi di consolidamento del titolo collegato alla cd. SCIA senza assumere alcuna contraria determinazione, benché fosse stata a suo tempo specificata l'attività di "ristorazione pubblica bar ristoranti".
Al riguardo, peraltro, è stato affermato il principio, che la Corte condivide ed al quale intende dare seguito, che l'inutile scadenza del termine di legge per contestare all'interessato la carenza dei presupposti e dei requisiti per seguire la disciplina procedimentale della denunzia di inizio attività non configura un provvedimento implicito di silenzio-assenso, rimanendo impregiudicato il poteredovere del Comune e dell'autorità giudiziaria di intervenire sul piano sanzionatorio nel caso in cui le opere realizzate a seguito della presentazione della D.I.A. risultino invece sottoposte alla disciplina del permesso di costruire (Sez. 3, n. 10740 del 25/11/2014, dep. 2015, Albani, Rv. 262653).
Ivi è stato infatti rilevato che l'art. 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241, prevede che alla d.i.a., conformemente alla logica delle liberalizzazioni delle attività private al cui modello essa risponde, debba riconoscersi la natura di atto privato e non di provvedimento amministrativo, in quanto non è espressione di una potestà pubblicistica, con la conseguenza che l'esercizio di poteri inibitori, scaduto il termine di trenta giorni dalla comunicazione di avvio, deve ritenersi ammissibile nei limiti di cui agli art. 21 -quinquies e nonies della predetta legge (Consiglio di Stato, sez. VI n. 717 del 09/02/2009). Ne consegue che, a maggior ragione, il termine di trenta giorni non impedisce l'esercizio dell'ordinario potere sanzionatorio-repressivo per ogni trasformazione edilizia contrastante con la disciplina urbanistica (così complessivamente, in motivazione, Sez. 3 n. 10740 cit.).
4.2. Alla stregua di quanto fin qui osservato, va solamente ricordato che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l'art. 325 cod. proc. pen. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di "violazione di legge" rientrano, in particolare, gli errores in iudicando o in procedendo, al pari dei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093; v. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893); per contro, non può esser dedotta l'illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell'art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
Ciò posto, e proprio alla luce dei richiamati principi, correttamente il Procuratore generale ha rilevato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benché gli sia precluso l'accertamento del merito dell'azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del fumus del reato ipotizzato, con riferimento anche all'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purché di immediato rilievo.
Al riguardo, quindi, il provvedimento impugnato appare esente da censura, proprio in quanto la motivazione addotta non appare certamente apparente, quanto ai rilievi circa la non immediata percepibilità della buona fede nella condotta degli odierni ricorrenti siccome anche da costoro prospettata (fermo il contrasto pacificamente ricorrente in astratto tra destinazione d'uso a ristorante pizzeria, in tesi esistente, rispetto alle previsioni del vigente PGT comunale).
Né, infine e per quanto possa rilevare, l'intervento dell'Amministrazione comunale appare inottemperante rispetto alla generale previsione del "tempo ragionevole", siccome previsto dall'art. 21-nonies cit. nel testo all'epoca vigente.
5. In definitiva, quindi, i ricorsi siccome proposti non superano il vaglio dell'ammissibilità, tenuto conto dei principi siccome ricordati.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l'onere delle spese del procedimento nonché quello 4 Il Consigliere estensore Claudio Cerroni del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 07/02/2017