Cass. Sez. III n. 39462 del 8 ottobre 2012 (Ud. 19 giu. 2012)
Pres. Mannino Est. Fiale Ric. Rullo
Urbanistica. Titoli abilitativi e poteri del giudice penale

Il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo edificatoria. Deve escludersi infatti che, qualora sussista difformità a previsioni normative statali o regionali ovvero a prescrizioni degli strumenti urbanistici, il giudice debba comunque concludere per la mancanza di illiceità penale qualora sia stata rilasciata concessione edilizia o permesso di costruire, in quanto detti provvedimenti non sono idonei a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell’opera realizzanda.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. MANNINO Saverio F. - Presidente - del 19/06/2012
Dott. FIALE Aldo - rel. Consigliere - SENTENZA
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 1714
Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 28322/2011
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) RULLO ANTONIO N. IL 17/12/1965;
avverso la sentenza n. 1524/2009 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 11/03/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/06/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO FIALE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Aldo Policastro, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto al reato di cui al capo m) - rigetto del ricorso nel resto.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con sentenza dell'11.3.2011, ha confermato la sentenza pronunziata il 21.7.2008 dal G.I.P. del Tribunale di quella città, in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato, che aveva affermato la responsabilità penale di Rullo Antonio in ordine ai reati di cui:
- al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (per avere realizzato - nella qualità di legate rappresentante della s.r.l. "Costruzioni Rullo" - la demolizione di un edificio ottocentesco a corte aperta, con forma planimetrica ad U, e la costruzione al suo posto di un complesso edilizio costituito da un piano cantinato adibito a garage esteso per una superficie di oltre 1.800 mq. e da due distinti fabbricati ciascuno di tre piani e sottotetto: attività edilizia posta in essere sulla base di un permesso di costruire (n. 17/2005 del 12.12.2005) illegittimo, in quanto rilasciato in contrasto con le norme e prescrizioni del regolamento edilizio e degli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Crispano - acc. in Crispano, via Lutraio, fino al 15.5.2007);
- all'art. 110 c.p., e art. 323 c.p., commi 1 e 2, per avere concorso con il responsabile dell'ufficio tecnico comunale di Crispano (architetto Minichino) al rilascio dell'anzidetto permesso di costruire in violazione delle prescrizioni del piano regolatore, procurandosi così Intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale e, riconosciute circostanze attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata per il delitto, unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. c.p., lo aveva condannato alla pena complessiva (condizionalmente sospesa) di anni uno di reclusione, con ordine di demolizione delle opere abusive. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Rullo, il quale ha eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione:
- la insussistenza di entrambi i reati, in quanto il permesso di costruire sarebbe stato rifasciato in conformità agli strumenti urbanistici vigenti;
- la insussistenza del ritenuto concorso nel reato di abuso di ufficio, anche sotto il profilo del dolo, perché nella condotta da lui posta in essere non sarebbe ravvisabile alcuna connivenza con il funzionario comunale che ebbe a rilasciare il permesso di costruire, nè l'esercizio di pressioni o istigazioni verso quel funzionario;
- la illegittimità della estensione della norma incriminatrice di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), alla fattispecie di costruzione con permesso di costruire illegittimo, in quanto ciò integrerebbe: analogia in malam partem non consentita nel diritto penale; "violazione del principio di stretta legalità, di precisione e di stretta interpretazione"; "violazione dei principi di accessibilità della norma violata, di prevedibilità della sanzione e di tassatività delle fattispecie penali".
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato. 1. L'illiceità del permesso di costruire è stata ricondotta, nella fattispecie in esame, alle seguenti vantazioni:
- il titolo abitativo era stato rilasciato per un intervento di demolizione integrale e ricostruzione da eseguirsi in zona "A", individuata dal piano regolatore come "residenziale conservativa, vecchio centro, soggetta a piani di recupero";
- la relazione al PRG vigente aveva evidenziato che nel vecchio centro cittadino si imponeva la "ristrutturazione dell'intera zona per comparti mediante risanamento edilizio o demolizione e ricostruzione, secondo modalità e quantità da stabilire in sede di piano particolareggiato esecutivo (PPE)", in quanto erano "carenti ed inadeguate le infrastnitture primarie (fogne, acquedotto, strade) e secondarie", mancavano del tutto spazi di verde attrezzato per il gioco e lo sport, nonché parcheggi pubblici adeguati al numero degli abitanti ed erano insufficienti le attrezzature scolastiche e quelle di interesse comune;
- sempre secondo la relazione al PRG, gli strumenti urbanistici esecutivi dovevano essere redatti "net rispetto della volumetria complessiva preesistente, che si assume come tetto non superabile";
- la necessità del piano particolareggiato di esecuzione era ribadita anche dall'art. 7 delle norme tecniche di attuazione (NTA) del P.R.G., ove si stabiliva che, nelle more dell'adozione del PPE, erano consentiti esclusivamente interventi di manutenzione ordinaria e di risanamento igienico dei singoli edifici (comma 12). La difesa ha sostenuto - e ribadisce in ricorso - che non tutta l'edificazione della zona "A" sarebbe stata subordinata alla redazione di un piano attuativo, ma solo quella relativa agli immobili che nella grafica di lottizzazione ricadevano nel puntinato scuro; nella restante parte delta zona "A" (ove si trovava il fabbricato demolito) sarebbero stati realizzabili anche interventi di "sostituzione edilizia", ai sensi dell'art. 7, commi da 13 a 16, delle NTA, che consentivano anche la demolizione e ricostruzione con cubatura aggiuntiva.
Tali argomentazioni difensive sono state disattese dai giudici del merito, i quali hanno illustrato come i commi da ultimi citati - nel contesto di una complessiva disciplina che a priori escludeva l'implementazione edilizia della zona "A" senza un'adeguata ridefinizione delle opere urbanizzative primarie e secondarie - non potessero ritenersi razionalmente riferiti ad una possibilità di immediata realizzazione di nuove costruzioni, ma riguardassero piuttosto le disposizioni che avrebbero dovuto essere introdotte dai redigendi piani attuativi.
Trattasi di argomentazioni la cui logicità è inconfutabile e non risulta smentita dalla riproposizione, nei motivi di ricorso, delle eccezioni già ineccepibilmente respinte dalla Corte territoriale. Con valenza assorbente va evidenziato, inoltre, che - pure avendo il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, - lett. d), come modificato dal d.Lgs. n. 301/2002, esteso la nozione di "ristrutturazione edilizia" ricomprendendovi anche gli interventi ricostruttivi "consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica" - in ipotesi siffatte, comunque, volumetria e sagoma debbono rimanere identiche.
Nella vicenda in esame, al contrario, l'attività demolitorio - ricostruttiva autorizzata non coincide, nella volumetria e nella sagoma, con il manufatto precedente ed è stata permessa la realizzazione di un piano abitabile in più e di locali commerciali che prima non esistevano (con parziale mutamento della destinazione d'uso); ne consegue che l'intervento eseguito è stato esattamente qualificato come "nuova costruzione", e tale tipo di intervento edilizio sicuramente non era consentito nel centro storico dal PRG vigente nel Comune di Crispano.
2. Va poi ribadito il principio secondo il quale il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dai titolo abitativo edificatorio (vedi Cass., Sez. Un., 28.11.2001, Salvini).
Deve escludersi infatti che - qualora sussista difformità dell'opera edilizia rispetto a previsioni normative statali o regionali ovvero a prescrizioni degli strumenti urbanistici - il giudice debba comunque concludere per la mancanza di illiceità penale qualora sia stata rilasciata concessione edilizia o permesso di costruire, in quanto detti provvedimenti non sono idonei a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda. Nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative o regolamentari, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si configura una non consentita "disapplicazione", da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio (vedi Cass., Sez. Un., 12.11.1993, Borgia), in quanto lo stesso giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento dei privato da parte di un organo pubblico, non deve limitarsi a verifica re l'esistenza ontologica dell'atto o provvedimento amministrativo, ma deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale, "in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono organicamente, assumendo un significato descrittivo" (vedi Cass.: Sez. Un., 28.11.2001, Salvini; nonché Sez. 6^, 18.3.1998, n. 3396, Calisse).
Punto fermo è, dunque, che il reato di esecuzione di lavori edilizi in assenza di permesso di costruire può ravvisarsi anche in presenza di un titolo edilizio illegittimo (si vedano le ampie argomentazioni svolte in proposito da questa Sezione con la sentenza 21.3.2006, Di Mauro, che il Collegio Integralmente condivide).
Vanno ribaditi altresì i principi (enunciati già da Cass., Sez. 3^, 28.9.2006, Consiglio) secondo i quali:
a) Il giudice penale, allorquando accerta profili di illegittimità sostanziale di un titolo abitativo edilizio, procede ad una identificazione in concreto della fattispecie sanzionata e non pone in essere alcuna "disapplicazione" riconducibile alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, allegato E), ne' incide, con indebita ingerenza, sulla sfera riservata alla Pubblica Amministrazione, poiché esercita un potere che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice;
b) la non - conformità dell'atto amministrativo alla normativa che ne regola l'emanazione, alle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico - edilizia ed alle previsioni degli strumenti urbanistici può essere rilevata non soltanto se l'atto medesimo sia illecito, cioè frutto di attività criminosa, ed a prescindere da eventuali collusioni dolose del soggetto privato interessato con organi dell'amministrazione. Il sindacato del giudice penale, al contrario, è possibile tanto nelle ipotesi in cui l'emanazione dell'atto sia espressamente vietata in mancanza delle condizioni previste dalla legge quanto in quelle di mancato rispetto delle norme che regolano l'esercizio del potere.
3. Quanto al delitto di abuso d'ufficio, ribadisce il Collegio che il permesso di costruire, per essere legittimo, deve conformarsi - ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 12, comma 1, - "alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico - edilizia vigente".
3.1 Dall'espresso rinvio della norma agli strumenti urbanistici discende che il titolo abitativo edilizio rilasciato senza rispetto del piano regolatore integra, certamente, una "violazione di legge", rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 323 c.p..
È chiaro però che, a tal fine, occorre verificare se detta "violazione di legge" non violi il principio di "stretta legalità", secondo i contenuti delineati, in materia penale, dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 282/90.
Tale principio, infatti, può ritenersi soddisfatto, sotto il profilo delta riserva di legge, allorquando la legge determini, con sufficiente specificazione, il fatto cui la sanzione penale è riferita, essendo necessario che la stessa legge consenta di poter distinguere la sfera del lecito da quella dell'illecito, ponendo ai riguardo un'indicazione normativa sufficiente a poter orientare la condotta degli agenti.
Il Giudice delle leggi testualmente ha rilevato che: "non contrasta, perciò, con il principio della riserva, sia la funzione integrativa svolta da un provvedimento amministrativo, rispetto ad elementi normativi del fatto, sottratti alla possibilità di un'anticipata individuazione particolareggiata da parte della legge, sia l'ipotesi in cui il precetto penale assume una funzione latu sensu sanzionatoria, rispetto a provvedimenti emanati dall'autorità amministrativa, ove sia la legge ad indicarne i presupposti, contenuti, caratteri e limiti, in modo che il precetto penale riceva intera la sua enunciazione con la imposizione dei divieto". Ciò posto - e ribadito che la norma di cui all'art. 323 c.p., richiede, per la sanzionabilità della condotta del pubblico ufficiale, che la stessa sia caratterizzata da sostanziale e non solo formale o meramente procedimentale inosservanza di norme introdotte da leggi o da regolamenti, in rapporto di necessario nesso causale con l'ingiusto vantaggio patrimoniale (che, nella specie, emerge motivatamente evidente dal testo della impugnata sentenza) - nel caso di specie, avuto riguardo agli univoci termini della contestazione ed agli accertamenti in fatto compiuti dai giudici del merito, non vi è dubbio della sussistenza del reato contestato di abuso di ufficio. Infatti, per disposizione di legge, in senso proprio, a fronte del dovere di chi voglia edificare di munirsi del permesso di costruire, sussiste il dovere della competente autorità amministrativa di provvedere D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 13, secondo te procedure e con gli effetti di cui al successivi art. 20.
Ed è proprio sulla base di tali dati normativi che il principio discriminante la condotta lecita da quella illecita è fissato con precisione tale da non essere soggetta ad interpretazioni ambigue o incerte. Detto principio deriva dalla impostazione della volontà statuale a mezzo dello strumento della legge e, quanto alla norma di mediazione, sempre nella legge tale principio fa riferimento agli elementi descrittivi dell'obbligo di comportamento con rinvio di quest'ultimo proprio agli strumenti urbanistici esistenti. Si deve, dunque, ritenere che gli strumenti della pianificazione comunale partecipino soltanto a determinare il contesto applicativo materiale dell'attività del pubblico ufficiale, pienamente descritta, sotto il profilo della doverosità della condotta, da specifica disposizione di legge, la quale soltanto costituisce oggetto della violazione contemplata dall'art. 323 c.p., ai fini della sussistenza dell'elemento materiale del reato. Ne consegue che, come già affermato da questa Corte (cfr. Cass., Sez. 6^, 2.5.1999, n. 7581, Fravili), "consumandosi la mediazione dell'elemento normativo, fissato dalla legge per le concessioni edilizie, all'interno di un circuito normativo di fonti primarie, l'apparato prescrittivo degli strumenti urbanistici si definisce in funzione di presupposto di fatto della norma di legge violata, che delimita la possibilità di concessione edilizia" alla conformità di questa alle previsioni degli strumenti urbanistici anzidetto di guisa da impedire possibili, residui margini di incertezza sulla individuazione della condotta cantra legem.
3.2 Nella vicenda che ci occupa, ove si riscontra una decisione dei giudici della Corte territoriale sostanzialmente corretta alla stregua dei rilievi e principi di diritto innanzi tracciati, le contrarie deduzioni articolate con i motivi di gravame sono infondate.
Nè è dato cogliere - a fronte di una puntuale motivazione attinente gli elementi, anche in punto di logica, supportanti la sussistenza pure dell'elemento psicologico del reato de quo - la fondatezza dell'asserita buona fede nella condotta del ricorrente medesimo. 3.3 Ai fini dell'integrazione del reato di abuso d'ufficio è necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia - nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia (vedi, ex multis, Sez. 6^, n. 35381 del 27.6.2006; Sez. 5^, n. 16895 del 2.12.2008, dep. il 21.4.2009) - mentre nessuna intesa preventiva è richiesta tra l'agente ed il beneficiano dell'illecita condotta, dovendosi ritenere sufficiente, al riguardo, che il beneficiario stesso sia specificamente individuato (Sez. 6^, n. 21085 del 28.1.2004).
La sussistenza di entrambi tali elementi, nella specie, è stata correttamente illustrata dai giudici del merito e, allo stesso modo, congruamente motivato ed esente da censure deve ritenersi l'apprezzamento della Corte territoriale in ordine al requisito della intenzionalità del dolo, desunto dal succedersi di evidenti anomalie procedimentali: assunzione, da parte dell'architetto Minichino, della doppia funzione di istruttore della pratica e di firmatario del permesso di costruire; presenza di un parere favorevole al rifascio del permesso di costruire rilasciato da un responsabile del procedimento mai nominato; tempi inusitatamente brevi di svolgimento e conclusione della procedura.
Anche al riguardo, pertanto, l'impugnata pronuncia si è doverosamente attenuta al quadro dei principi fissati da questa Suprema Corte, secondo i quali: - in tema di elemento soggettivo del defitto di abuso di ufficio, il dolo intenzionale riguarda soltanto l'evento del reato, mentre gli altri elementi della fattispecie sono oggetto di dolo generico (vedi Cass., Sez. 6^, 20.4.2011, n. 34116);
- la prova del dolo intenzionale, che qualifica (a fattispecie criminosa dell'abuso d'ufficio, non richiede l'accertamento dell'accordo collusivo con la persona che si intende favorire, perché l'intenzionalità del vantaggio, voluto dall'agente e non semplicemente previsto ed accettato come possibile conseguenza della propria condotta, ben può prescindere dalla volontà di favorire specificamente quel privato interessato alla singola vicenda amministrativa (vedi Cass., Sez. feriale, n, 38133 del 25.8.2011);
- il dolo intenzionale del delitto di abuso d'ufficio non è escluso dalla mera compresenza di una finalità pubblicistica nella condotta del pubblico ufficiale, essendo necessario, per ritenere insussistente l'elemento soggettivo, erte il perseguimento del pubblico interesse costituisca il fine primario dell'agente (vedi Cass., Sez. 3^, 24.2.2011, n. 18895).
4. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2012