Consiglio di Stato Sez. VI n. 9694 del 13 novembre 2023
Urbanistica.Vicinitas ed interesse al ricorso

La dimostrazione della sussistenza della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere, che entrambi debbono sostenere la proposizione della domanda giudiziale a pena di inammissibilità della stessa, non discende dalla dimostrazione del rapporto di vicinitas, perché possa proporsi una domanda giudiziale in materia edilizia, in quanto il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, non può valere da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato ovvero dalla sostenuta illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione

Pubblicato il 13/11/2023

N. 09694/2023REG.PROV.COLL.

N. 09432/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9432 del 2020, proposto dalla signora Rosa Orsola Alampi, rappresentata e difesa dagli avvocati Raffaele Tommasini, Carmelo Moschella e Daniela Maria Alampi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;

contro

- il Comune di Reggio Calabria, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
- il signor Francesco Tarsia, rappresentato e difeso dall’avvocato Carmine Elia, con domicilio digitale come da PEC da Registri di giustizia;
- i signori Bartolomeo Bartolomeo e Lucia Concetta Tarsia, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, 14 febbraio 2020 n. 101 resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Vista la costituzione in giudizio del signor Francesco Tarsia e i documenti prodotti;

Esaminate le memorie e gli ulteriori documenti;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del 28 settembre 2023 il Cons. Stefano Toschei e udito, per la parte appellante, l’avvocato Carmelo Moschella, anche in dichiarata delega dell'avvocato Raffaele Tommasini;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. – Il presente giudizio in grado di appello ha ad oggetto la richiesta di riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, 14 febbraio 2020 n. 101 con la quale il predetto TAR ha accolto il ricorso (n. R.g. 302/2015) proposto dai signori Francesco Tarsia, Bartolomeo Fabio Tarsia e Lucia Concetta Tarsia al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento prot. n.191327 del 23 dicembre 2014, con il quale il dirigente del settore Urbanistica del Comune di Reggio Calabria, a seguito di accertamento d'inottemperanza all'ordine di demolizione n. 89/2013 del 22 marzo 2013, ha disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un cespite immobiliare di proprietà dei ricorrenti.

2. - La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti oggi controvertenti nei due gradi di giudizio nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:

- i signori Francesco Tarsia, Bartolomeo Fabio Tarsia e Lucia Concetta Tarsia sono comproprietari di un immobile nel territorio del Comune di Reggio Calabria;

- in data 19 dicembre 2012 hanno presentato al predetto comune istanza di accertamento di conformità di alcune opere realizzate in assenza di permesso di costruire e finalizzate alla costruzione di un muro di contenimento ed una rampa di accesso al loro fondo;

- con provvedimento prot. n. 16808 del 4 febbraio 2013 il dirigente del settore Urbanistica servizio edilizia pubblica e privata del Comune di Reggio Calabria ha respinto la predetta istanza di accertamento di conformità edilizia “per effetto dell'inammissibilità per il difetto del presupposto della legittimazione a proporla ai sensi dell'art. 11 del DPR 380/2001”;

- successivamente, con ordinanza n. 89 del 22 marzo 2013, veniva disposta dal comune la demolizione e lo sgombero di “un corpo di fabbrica in cemento armato, composto da fondazione armata, da muri di contenimento e da solaio destinato a rampa carrabile di accesso all'unità abitativa in adiacenza, avente a quota del solaio una superficie complessiva di mq. 248 circa, occupante la porzione dell'area a verde di pertinenza dell'edificio di civile abitazione a 3 elevazioni fuori terra, (…) porzione che fiancheggia per ml. 4,90 il confine verso nord con proprietà Quartuccio, per ml. 16,00 il confine verso est con proprietà Alampi e per ml. 23,60 il confine verso sud con proprietà Romeo. il cui perimetro in pianta e sagoma in elevazione risultano già rappresentati a mezzo degli elaborati progettuali, acquisiti in atti al fascicolo della pratica edilizia n. 470/12, aperto su istanza del 19.12.2012, prot. n. 187016, diretta al rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell'art. 36 T.U. Edilizia, denegato per provvedimento n. 16808 del 4.2.2013, notificato il 9.2.2013”;

- nei confronti del diniego di accertamento di conformità e nei confronti dell’ordinanza di demolizione hanno proposto ricorso dinanzi al TAR per la Calabria i signori Tarsia chiedendo l’annullamento dei suddetti provvedimenti giudizio definito con sentenza di rigetto sicché l’abuso è stato accertato dal giudice di primo grado;

- in pendenza del predetto giudizio (n. R.g. 257/2013) il Comune di Reggio Calabria, appurata, a seguito di sopralluogo del 26 settembre 2014, l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 89/2013 del 22 marzo 2013, adottava il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale prot. n.191327 del 23 dicembre 2014;

- anche tale provvedimento era impugnato dagli odierni appellati - senza evocare in giudizio come controinteressata l’attuale appellante che si limitava ad intervenire ad opponendum - con separato ricorso, dinanzi al TAR per la Calabria, che lo ha accolto con la sentenza 14 febbraio 2020 n. 101 condividendo la censura con la quale i ricorrenti hanno tacciato di illegittimità l’ordinanza di acquisizione al patrimonio comunale per travisamento dei fatti nella parte in cui detto atto reca nella motivazione le seguenti affermazioni: “accertato che avverso la predetta ordinanza di demolizione (la n. 89/2013 del 22.3.2013) non figura ad oggi pendente per la decisione alcun ricorso amministrativo, giurisdizionale o straordinario interposto nelle forme e termini di legge, restandone per l'effetto a tutt'oggi confermata la validità e l'efficacia sanzionatoria ai fini dell'acquisizione gratuita al patrimonio comunale e dell'esecuzione coattiva della demolizione, sempre che non ne venga ritenuta dall'organo consiliare comunale l'utilità pubblica al mantenimento, in assenza di rilevanti interessi urbanistici o ambientali contrastanti”;

- infatti essendo noto, al contrario di quanto indicato in motivazione dal comune procedente, che fosse pendente dinanzi al TAR per la Calabria un ricorso avverso il diniego di accertamento di conformità e la successiva ordinanza di demolizione delle opere ritenute abusive non ancora definito (segnalando che, peraltro, detto ricorso era chiamato alla stessa udienza di merito del 18 dicembre 2019 alla quale era chiamata in decisione la controversia avente ad oggetto l’ordinanza di acquisizione gratuita), il giudice di primo grado dichiarava illegittimo il provvedimento prot. n.191327 del 23 dicembre 2014 perché emessa sostanzialmente per errore nei presupposti.

3. – Nei confronti della sentenza del TAR per la Calabria n. 101/2020 insorge oggi la signora Rosa Orsola Alampi che aveva preso parte al giudizio di primo grado in veste di interveniente ad opponendum.

Riferisce l’odierna appellante di essere proprietaria di un immobile confinante con la proprietà Tarsia nella quale i signori Tarsia avrebbero realizzato numerosi abusi edilizi, tanto da condurre alla totale impraticabilità della strada di accesso al proprio fondo, di talché si è trovata costretta nel tempo a proporre alcuni esposti all’amministrazione comunale. Peraltro, in seguito ad una sua ulteriore iniziativa giudiziaria, il Tribunale di Reggio Calabria, con provvedimento del 21 gennaio 2013, aveva ordinato ai signori Tarsia “di eliminare lo sbancamento da loro realizzato al confine con la proprietà ALAMPI, ripristinando l’originario stato dei luoghi, con la relativa pendenza, ai sensi specificati in motivazione”, che è poi stato eseguito.

Quanto sopra dimostrerebbe la legittimazione e l’interesse dell’appellante a chiedere la riforma della sentenza di primo grado con la quale è stato erroneamente annullato il provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime per mancata ottemperanza all’ordine di demolizione n. 89/2013.

Nel merito l’appellante sostiene che il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del diniego di accertamento di conformità e dell’ordinanza di demolizione n. 89/2013, in quanto andava accolta l’eccezione sollevata dalla medesima appellante nel corso del giudizio di primo grado (in quel caso in veste di interveniente), fondata sulla circostanza che i signori Tarsia (allora ricorrenti) non avevano mai gravato l’ordinanza di sgombero, demolizione e ripristino n. 82 del 24 agosto 2012, in seguito alla quale era stata presentata la richiesta di accertamento di conformità edilizia poi denegata. La mancanza di impugnazione di tale prima ordinanza di demolizione avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado, ad avviso dell’appellante, a dichiarare l’insussistenza dell’interesse a chiedere l’annullamento degli atti della successiva sequenza procedimentale e provvedimentale.

In secondo luogo la valutazione operata dal TAR per la Calabria nella sentenza qui oggetto di appello, che ha condotto ha ritenere errata la motivazione contenuta nel provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile di proprietà Tarsia, non è corretta, dal momento che il ridetto provvedimento acquisitivo poggia comunque sull’accertata inottemperanza all’ordine di demolizione, di talché la conseguenza di tale comportamento mantenuto dai proprietari non poteva (e non può) che condurre a disporre l’acquisizione gratuita dell’area di sedime, in quanto “contiene l’accertamento previsto dalla legge dell’inottemperanza, atto con natura ed efficacia meramente dichiarativa, in quanto l’effetto traslativo del bene si verifica automaticamente a seguito del decorso del termini assegnato con l’ingiunzione medesima” (così, testualmente, alle pagg. 16 e 17 dell’atto di appello).

4. – Delle parti intimate nel presente giudizio di secondo grado si è costituito il solo signor Francesco Tarsia che ha contestato analiticamente le avverse deduzioni, confermando la correttezza delle ragioni che hanno indotto il giudice di primo grado ad accogliere il ricorso in quella sede proposto.

Pregiudizialmente l’appellato ha sottolineato come la signora Alampi, solo interveniente nel giudizio di primo grado, non sarebbe legittimata ad appellare la sentenza del TAR per la Calabria n. 101/2020 in quanto non è stata parte necessaria nel primo giudizio e quindi non vanta alcun autonomo interesse alla dichiarazione di legittimità del provvedimento di acquisizione gratuita al patrimonio comunale annullato con la predetta sentenza dal giudice di primo grado provvedimento che tocca solo l’interesse del Comune .

5. – Ad avviso del Collegio l’appello proposto dalla signora Alampi va dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione dell’appellante.

Come noto, la legittimazione e l'interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non è preordinata ad assicurare la generale legittimità dell'operato pubblico, bensì a tutelare la posizione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell'esercizio dell'azione autoritativa oggetto di censura. Qualsiasi ricorso deve, quindi, fondarsi su un interesse ad agire. L'esistenza di tale interesse presuppone che l'annullamento dell'atto impugnato possa, di per sé, procurare un beneficio al ricorrente e tale interesse deve essere esistente ed effettivo non potendo riguardare una situazione futura e ipotetica (cfr., sui temi appena affrontati, di recente, Cons. Stato, Sez. V, 30 agosto 2023 n. 8075).

Né è sempre ipotizzabile che la demolizione – unico interesse autonomo canonizzabile in capo all’appellante - consegua necessariamente all’acquisizione del bene abusivo in mano pubblica, potendo l’amministrazione decidere di utilizzare il bene per fini pubblico senza demolirlo mentre la parte privata odierna appellata continua ad essere tenuta alla demolizione (pena gli ulteriori atti repressivi).

Allo stesso modo è altrettanto noto che la legittimazione a proporre appello spetta solo alle parti necessarie del giudizio di primo grado, intendendosi per tali quelle che, pur se non formalmente contemplate nel provvedimento impugnato, devono necessariamente essere vocate in giudizio in quanto derivano dal provvedimento stesso vantaggi diretti e immediati; pertanto, ai fini dell'appello, non può assumere rilevanza la partecipazione al giudizio di primo grado nella veste di interventore, neppure ad opponendum, potendo quest'ultimo appellare la sentenza di primo grado – per la giurisprudenza tradizionale ante codice e di norma - solo nei capi che direttamente lo riguardano, e cioè nelle parti relative all'ammissibilità dell'intervento e delle spese. In definitiva, nell'ambito del processo amministrativo deve essere negata l'ammissibilità dell'appello proposto da chi sia stato interventore ad opponendum nel giudizio amministrativo di primo grado, senza essere stato litisconsorte necessario in quel giudizio (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. II, 18 novembre 2019 n. 7855).

Va detto che alla luce dell’art. 102 c.p.a., che legittima ad appellare l’interventore che sia titolare di una posizione giuridica autonoma, va affermato che la situazione dell’interventore ad opponendum non è sempre tale da essere solo dipendente da quella della parte resistente ( come nel caso dell’interventore ad adiuvandum ) ma occorre vedere se sia anche autonoma.

In particolare tale posizione si appalesa autonoma le quante volte l’interveniente ad opponendum sia un controinteressato occulto legittimato all’opposizione di terzo o a fronte di un interesse differenziato alla riforma della sentenza di accoglimento del ricorso pronunciata dal giudice di primo grado.

6. - L’odierna appellante nel corso del giudizio di primo grado, avente ad oggetto la richiesta di annullamento di un diniego di accertamento di conformità edilizia e di una ordinanza di demolizione di opere abusive, giudizio che non contempla, di regola, la presenza di parti controinteressate, ha rivestito la (diversa e distinta da quella di parte necessaria) posizione di interventore ad opponendum e ha assolto al dovere di precisare concretamente l’interesse che legittima l’intervento.

La medesima appellante peraltro, anche ad una superficiale lettura delle ragioni espresse nell’atto di appello, non ha dimostrato alcuno specifico, attuale e concreto interesse, giuridicamente rilevante, acché il Comune di Reggio Calabria acquisisca le opere abusive realizzate nella proprietà confinante. Del resto dalla lettura dell’atto di appello si evidenzia, al contrario, una prospettazione affatto attuale e concreta circa il vantaggio diretto ed effettivo che nell’immediatezza discenderebbe, con assoluta certezza, dalla dichiarazione della legittimità del provvedimento di demolizione impugnato in primo grado (la demolizione dalla quale discende l’acquisizione all’ente locale dell’immobile abusivo e della sua area di sedime come conseguenza ulteriore legata all’inosservanza dell’ordine di demolizione).

D’altronde, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella ormai nota sentenza 9 dicembre 2021 n. 22, h chiarito che il rapporto di vicinitas, ossia di stabile collegamento con l'area interessata dall'intervento contestato, è idoneo a fondare la legittimazione (ossia la titolarità di una posizione giuridica qualificata e differenziata) cui più spesso si lega, ma senza automatismi, anche l'interesse a ricorrere. Ciò vuol dire che la dimostrazione della sussistenza della legittimazione ad agire e dell’interesse a ricorrere, che entrambi debbono sostenere la proposizione della domanda giudiziale a pena di inammissibilità della stessa, non discende dalla dimostrazione del rapporto di vicinitas, perché possa proporsi una domanda giudiziale in materia edilizia, in quanto il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, non può valere da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato ovvero (come nel caso qui in esame) dalla sostenuta illegittimità dell’inerzia dell’amministrazione (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. VI, 14 luglio 2022 n. 6000).

Sebbene è vero che, per giurisprudenza ormai consolidata, sempre in ragione dello stesso interesse collegato alla vicinitas, si ammette che il proprietario di un'area confinante con un immobile abusivo sia titolato a sollecitare l'esercizio del potere demolitorio (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. II 5 maggio 2022 n. 3546), e su tale profilo sia costruibile una legittimazione ad appellare, la sollecitazione giudiziale, invece, sempre da parte del vicino, rivolta all’amministrazione al fine di procedere all’acquisizione gratuita dell’area di sedime (pur sussistendo la legittimazione a proporre la relativa domanda in sede giudiziale, in ossequio al criterio della vicinitas), non assistita da un interesse sostanziale concreto che sia precisato nell’atto di ricorso in appello, conduce alla carenza di legittimazione a proporre l’appello, per le ragioni sopra illustrate legate all’insufficienza della motivazioni addotte - legate al mero ripristino della legalità - a sostegno della proposizione del ricorso in appello (e alla sussistenza dell’interesse ad ottenere la decisione nelle modalità e forme espressamente richieste).

Il Collegio, in definitiva, non rinviene - nell’appello dell’interveniente ad opponendum in un ricorso di annullamento di un provvedimento di acquisizione accolto solo per vizio di motivazione - nemmeno in astratto la produzione di alcun effetto, attuale e concreto, favorevole per la sfera giuridica della parte odierna appellante, considerando che per essa, attualmente, è del tutto indifferente che i beni abusivi superstiti e la relativa area di sedime appartengano ad uno o ad altro soggetto, contando solo per l’appellante che la demolizione sia eseguita in futuro (e dovendo la vicenda essere seguita dalla esecuzione della demolizione da parte dei privati al fine di evitare l’acquisizione – così essendo la sentenza appellata capace di esaurire l’interesse che fondava l’intervento - o in mancanza di essa da un nuovo provvedimento di acquisizione non viziato sul piano motivatorio, essendo al più il mantenimento di tale provvedimento di acquisizione di interesse della parte appellante solo in presenza di una prova concreta – nella specie mancante - dell’esistenza di atti pubblici che abbiano già sciolto l’alternativa riservata alla decisione pubblica fra demolizione e riutilizzo del bene di talché l’interveniente potrebbe in tal caso dedurre che mantenendo l’acquisizione già disposta egli vedrebbe realizzata più celermente la demolizione).

7. – In ragione di quanto si è fin qui illustrato l’appello proposto va dichiarato inammissibile.

Il principio della soccombenza, di cui all’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a. impone di disporre la condanna al pagamento delle spese relative al presente giudizio di appello a carico della parte appellante e in favore del signor Francesco Tarsia, potendosi le stesse liquidarsi nella misura complessiva di € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge. Le spese del grado di appello vanno compensate con riferimento alle altre parti non costituite nel presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (n. R.g. 9432/2020), come indicato in epigrafe, lo dichiara inammissibile.

Condanna la signora Rosa Orsola Alampi, a rifondere le spese del grado di appello in favore del signor Francesco Tarsia, che liquida in complessivi € 3.000,00 (euro tremila/00), oltre accessori come per legge.

Spese del grado di appello compensate con riferimento alle altre parti in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 28 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Alessandro Maggio, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere

Stefano Toschei, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere