Consiglio di Stato, Sez. V, n. 4518, del 5 settembre 2014
Urbanistica.Concessione edilizia in deroga, struttura alberghiera può rientrare in categoria: “edificio di interesse pubblico”
La giurisprudenza ha evidenziato che per “edificio di interesse pubblico” ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica, potendo in tale categoria ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo ampliamento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 04518/2014REG.PROV.COLL.
N. 06280/2002 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 6280 del 2002, proposto dai signori DE SIMONE RITA E MAZZER MARIO, successori a titolo particolare della Giugia s.a.s. di De Simone Rita e C., rappresentati e difesi dagli avvocati Guido Sartorato e Fabio Lorenzoni, con i quali sono elettivamente domiciliati presso l’avvocato Fabio Lorenzoni in Roma, via del Viminale, n. 43;
contro
COMUNE DI CONEGLIANO, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati. Luigi Manzi e Bruno Barel, con i quali è elettivamente domiciliato eletto presso l’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, n. 5;
REGIONE VENETO,in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
nei confronti di
I.T.A.V. S.N.C. DEI F.LLI CAPRARO E C., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difese dagli avvocati Nicoletta Steccanella, Salvatore Di Mattia e Elisa De Bartolis, con i quali è elettivamente domiciliata presso l’avvocato Salvatore Di Mattia in Roma, via F. Confalonieri, n. 5;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, Sez. II, n. 766 del 7 febbraio 2002, resa tra le parti, concernente il rilascio di una concessione edilizia per l’ampliamento di un edificio alberghiero;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Conegliano, della Regione Veneto e di I.t.a.v. s.n.c. dei F.Lli Capraro e C.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 aprile 2014 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti l’avvocato Lorenzoni, l’avvocato Mazzeo in dichiarata delega dell’avvocato Manzi, l’avvocato Palasciano in dichiarata delega dell’avvocato Marrone, e l’avvocato Botteon, per delega degli avvocati Steccanella e De Bartolis.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza n. 766 del 7 febbraio 2002, il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. II, ha riunito quattro separati ricorsi proposti da Giugia s.a.s. di Simone Evita e C., Grosso Rosanna e dal Condominio Ongaro 1/3, per l’annullamento:
a) della deliberazione del Consiglio Comunale di Conegliano n. 56 – 281 del 15 luglio 2997, recante la concessione della deroga urbanistica per l’ampliamento dell’albergo “Canon d’Oro” (ricorso n. 3327/97);
b) della deliberazione del Commissario straordinario n. 4/25 del 14 aprile 1998 e del decreto del Presidente della Giunta regionale n. 1503 del 4 agosto 1998, di sdemanializzazione di un tratto di strada comunale adibita a marciapiede (ricorso n. 2869/98);
c) della concessione edilizia in deroga n. 54887 del 12 gennaio 1999 rilasciata dal Comune di Conegliano per l’ampliamento dell’albergo “Canon d’oro” (ricorso n. 845/99);
d) del decreto del Presidente della Giunta regionale n. 1747 del 24 settembre 1999, di deroga alle norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche (ricorso n. 588/00).
Il TAR respingeva i primi tre ricorsi, ritenendo infondate le censure sollevate, e dichiarava irricevibile il quarto, essendo stato tardivamente impugnato il provvedimento, rispetto alla sua pubblicazione sul bollettino ufficiale n. 95 del 2 novembre 1999 della Regione Veneto.
2. Con atto notificato il 9 luglio 2002, i signori Rita De Simone e Mario Mazzer, nella dichiarata qualità di successori a titolo particolare della Giugia s.s. di De Simone Rita e C., hanno chiesto la riforma di tale sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e riproponendo sostanzialmente tutti i motivi di censura sollevati in primo grado, a loro avviso superficialmente esaminati e frettolosamente respinti con motivazione approssimativa, lacunosa, perplessa e affatto condivisibile.
Ha resistito all’appello il Comune di Conegliano, che ne ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza, illustrando con apposita memoria difensiva le proprie tesi.
Si è costituita in giudizio anche la I.T.A.V. s.n.c. dei F.lli Capraro e C., proprietaria dell’albergo Canon d’oro, che ha anch’essa insistito per il rigetto dell’avverso gravame e per la conferma della impugnata sentenza.
4. Con l’ordinanza n. 3797 del 15 luglio 2013, è stata dichiarata l’interruzione del processo, ai sensi dell’art. 79, comma 2, c.p.a., per l’intervenuto decesso dei due difensori della controinteressata I.T.A.V. s.n.c.
5. Con atto notificato a mezzo del servizio postale il 26 settembre 2013, gli appellanti hanno ritualmente riassunto il processo e a seguito di ciò si è nuovamente costituita in giudizio la I.T.A.V. s.n.c.; ha resistito al gravame anche la Regione Veneto.
6. Le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive.
All’udienza pubblica del 29 aprile 2014, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
7. L’appello è infondato, potendo pertanto prescindersi dall’esame delle eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso di primo grado sollevate dall’amministrazione comunale di Conegliano, eccezioni assorbite dalla decisione impugnata, ma espressamente riproposte nel presente giudizio di appello.
7.1. Con riguardo alla delibera del Consiglio Comunale di Conegliano, n. 56 – 281 del 15 luglio 1997 (impugnata col primo ricorso n. 3327/97), con cui è stato espresso parere favorevole sulla richiesta di concessione edilizia in deroga presentata in data 4 luglio 1996 e 26 agosto 1996 (ed integrata in data 7 marzo 1997) dalla società I.T.A.V. s.n.c. dei F.lli Capraio per l’ampliamento dell’albergo Canon d’oro, la Sezione osserva che i tre motivi di gravame, imperniati sulla asserita violazione dell’articolo 80 della L.R. 25 giugno 1985, n. 61, e sull’eccesso di potere per carenza di motivazione e contraddittorietà, oltre che sulla violazione dell’art. 8, comma 1, del D.M. 2 aprile 1968, devono essere respinti.
7.1.1. E’ innanzitutto destituita di fondamento la tesi degli appellanti circa l’inammissibilità del rilascio della concessione edilizia in deroga per un albergo, in quanto quest’ultimo non potrebbe essere considerato un edificio o impianto pubblico o di interesse pubblico, mancando in tal senso qualsiasi adeguata motivazione.
La giurisprudenza ha invero avuto modo di evidenziare che per “edificio di interesse pubblico”, proprio ai fini del rilascio del titolo edilizio in deroga, deve intendersi ogni manufatto edilizio idoneo, per caratteristiche intrinseche o per destinazione funzionale, a soddisfare interessi di rilevanza pubblica (Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136), potendo in tale categoria ricomprendersi anche una struttura alberghiera ed il suo ampliamento (Cons. St., sez. IV, 29 ottobre 2002, n. 5913; 28 ottobre 1999, n. 1641; 15 luglio 1998, n. 1044).
D’altra parte, se è vero che la concessione edilizia in deroga alle previsioni degli strumenti urbanistici, quale espressione di un potere di natura eccezionale, necessita di un’adeguata e congrua motivazione (Cons. St., sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136; sez. IV, 23 luglio 1999, n. 4664; 3 febbraio 1981, n. 128), è altrettanto vero che nel caso di specie la lettura della impugnata delibera consiliare (ed in particolare il contenuto degli interventi svolti dai consiglieri comunali sullo specifico argomento all’ordine del giorno) esclude, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sussistenza del dedotto vizio di motivazione del predetto provvedimento, emergendo in modo chiaro ed in equivoco l’iter logico – giuridico che determinato la scelta dell’organo consiliare; tanto meno poi sono ictu oculi apprezzabili macroscopiche contraddittorietà della delibera in questione, esse non potendo coincidere con il soggettivo dissenso degli appellanti alla deroga concessa dall’amministrazione.
7.1.2. Neppure, sotto altro concorrente profilo, può condividersi l’assunto secondo cui la deroga non avrebbe riguardato le previsioni urbanistiche generali, bensì quelle contenute nel piano di recupero edilizio di iniziativa privata che disponeva l’obbligo di aderenza tra edifici ad una minore altezza, con sua conseguente illegittimità, manifestamente erronea essendo, sempre secondo gli appellanti, anche l’affermazione circa l’intervenuta scadenza del piano attuativo per decorso del termine decennale, tale scadenza riguardando esclusivamente gli interventi dichiarati di pubblica utilità.
Al riguardo va richiamata la giurisprudenza consolidata secondo cui il piano di recupero costituisce uno strumento attuativo delle previsioni urbanistiche contenute nel piano regolatore generale, equivalente ad un piano particolareggiato e di livello gerarchicamente subordinato (ex multis, sez. IV, 29 dicembre 2010, n. 9537; 29 luglio 2009, n. 4756; 5 marzo 2008, n. 922).
E’ pertanto inconciliabile, dal punto di vista logico – giuridico, ammettere la derogabilità del piano regolatore generale e l’inderogabilità di quello attuativo, per sua natura subordinato al primo, ciò senza contare che nel caso di specie, come correttamente rilevato dai primi giudici, le deroghe (che concernono il distacco dai fabbricati contermini, indicato in ml. 3,80, anziché in aderenza, e l’altezza massima, prevista in ml. 13, come peraltro già disciplinato dalle N.T.A., indipendentemente dalla sagoma dei fabbricati contermini) non attengono affatto al piano di recupero (attuativo), ma alle stesse previsioni del piano regolatore generale ed alla sua concreta e particolare attuazione quanto alla specifica area interessata dalla concessione edilizia in deroga.
Sul punto deve aggiungersi che risultano condivisibili le deduzioni difensive formulate dal Comune di Conegliano circa il sostanziale venir meno del piano di recupero Canon d’Oro (non tanto o non solo del termine decennale di efficacia, quanto piuttosto) perché approvato sull’erroneo presupposto della piena proprietà e disponibilità delle aree interessate al piano stesso da parte della I.T.A.V. s.n.c. (il che ha già reso impossibile l’esecuzione degli interventi ivi previsti), con conseguente inadempimento agli obblighi derivanti dalla relativa convenzione, e sull’entrata in vigore nel 1988 della variante al piano regolatore generale della zona “A Centro Storico” e della zona “B – Vecchio Centro”, variante in cui sono state inserite le disposizione derogate dalla deliberazione impugnata.
Quanto alla decadenza del piano di recupero, essa è stata poi espressamente dichiarata all’atto dell’effettivo rilascio della concessione edilizia in deroga (art. 1), oggetto di impugnativa del ricorso NRG. 845/1999 (su cui vedi infra sub. 7.3.): tale pronuncia di decadenza non risulta neppure essere stata ritualmente impugnata.
7.1.3. Quanto poi alla pretesa illegittimità della concessione edilizia in deroga per la violazione dell’art. 8, comma 1, punto 1, del D.M. 2 aprile 1968, va rilevato che la giurisprudenza (Cons. St., sez. V, 5 novembre 1999, n. 1841) ha affermato che, ferma restando l'inderogabilità, da parte della concessione edilizia, delle norme della l. 17 agosto 1942, n. 1150, l'art. 1 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, esclude espressamente che le disposizioni contenute nei successivi articoli si applichino direttamente e con immediata forza precettiva in assenza della necessaria mediazione rappresentata dal loro recepimento in uno strumento urbanistico o in un regolamento edilizio, cosa che implica la novazione della fonte regolatrice dei rapporti esterni tra pubblica amministrazione e privati o tra privati, che s'identifica nelle specifiche norme d'attuazione del piano regolatore, con la conseguenza che queste ultime, per la tipica natura di dettaglio (tale, cioè, da non involgere i criteri generali e le linee direttrici su cui il piano regolatore si basa), rientrano pacificamente tra le previsioni derogabili, ai sensi dell'art. 41 quater, l. n. 1150 del 1942 e dell'art. 3 l. 21 dicembre 1955, n. 1357, dalla pubblica amministrazione per assentire un intervento edilizio destinato al preminente soddisfacimento di un interesse pubblico o generale.
7.1.4. In definitiva deve essere confermata la legittimità della ricordata delibera consiliare.
7.2. Ad analoghe conclusioni deve giungersi anche con riguardo all’impugnazione della delibera (ex art. 32 della l. n. 142 del 1990) del Commissario Straordinario del Comune di Conegliano n. 4 – 25 del 14 aprile 1998 (avente ad oggetto “Sdemanializzazione parziale tratto di marciapiede in via XX settembre con salvezza dell’uso pubblico dello stesso e realizzazione a cura e spese della parte privata di un portico: integrazione del. CC. N. 56 – 281 del 15.7.1997. Approvazione) e del decreto del Presidente della Giunta regionale del Veneto n. 1503 del 4 agosto 1998 (recante “Comune di Conegliano TV – Declassificazione di un tratto di strada adibito a marciapiede sito lungo Via XX Settembre. D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 – D. Lgs. 10 settembre 1993, n. 360”), oggetto del ricorso NRG. 2869/1998.
7.2.1. Invero, diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, la delibera del Commissario Straordinario del Comune di Conegliano motiva puntualmente ed esaustivamente, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sdemanializzazione di parte del marciapiede di via XX settembre, facente parte del demanio stradale in quanto via pubblica (e quindi perciò stesso la sua sottrazione all’uso pubblico generale), proprio con lo stesso interesse pubblico sotteso all’ampliamento dell’albergo Canon d’Oro che ha anche giustificato il rilascio della concessione edilizia in deroga, come correttamente sottolineato dai primi giudici.
D’altra parte dalla lettura di quel provvedimento si evince inequivocamente la corretta preoccupazione dell’amministrazione di limitare allo stretto indispensabile il sacrificio dell’interesse pubblico, laddove si sottolinea che risponde “…all’interesse pubblico utilizzare il bene in discorso, in modo tale da garantire due obiettivi, tra di loro compatibili, ossia l’uso come marciapiede pubblico e, al contempo, l’uso edificatorio, con salvezza peraltro del predetto marciapiede”: sotto tale profilo l’uso pubblico del marciapiede – portico, lungi poi dal costituire un indizione della insussistenza della sdemanializzazione, come suggestivamente prospettato dagli appellanti, prova piuttosto che, come già sottolineato in precedenza, l’amministrazione ha cercato di contemperare gli interessi in conflitto, garantendo il massimo uso pubblico possibile del marciapiede.
7.2.2. Posto poi che la predetta sdemanializzazione di parte del marciapiede di via XX Settembre ha costituito un sacrificio indispensabile per perseguire l’altro interesse pubblico collegato alla realizzazione degli interventi di ampliamento dell’albergo Canon d’Oro (interesse pubblico che ha giustificato il rilascio della concessione edilizia in deroga), correttamente i primi giudici hanno escluso la fondatezza delle censure relative rispettivamente alla pretesa violazione delle garanzie partecipative ed all’immotivata cessione a trattativa privata del bene sdemanializzato: non è dato infatti comprendere a che titolo gli appellanti avrebbero dovuto ricevere la comunicazione dell’avvio del procedimento di sdemanializzazione, né gli stessi vantavano (né hanno provato di vantare) un eventuale titolo per rendersi quanto meno potenziali cessionari del bene stesso.
7.3. Non sussistono neppure i vizi di legittimità dedotti nei confronti della concessione edilizia in deroga prot. n. 54887/Urb. del 12 gennaio 1999, impugnata col ricorso NRG 845/1999, come già correttamente rilevato dai primi giudici.
7.3.1. Quanto alle censure di illegittimità derivata rispetto agli atti presupposti (ed in particolare alla delibera consiliare n. 56 – 281 del 15 luglio 1997), si rinvia a quanto già osservato sub 7.1.1., 7.1.2. e 7.1.3., sottolineando peraltro che l’art. 1 di tale titolo edilizio contiene la espressa declaratoria di decadenza del piano di recupero di iniziativa privata di cui alla convenzione n. 746/85 “come già precisato nel contesto della delibera di Consiglio Comunale n. 56 – 281 del 15.07.1997”.
7.3.2. Ad avviso degli appellanti, poi, i primi giudici avrebbero inopinatamente ritenuto legittimo il titolo edilizio in questione, sebbene quest’ultimo avesse inammissibilmente previsto, per un breve tratto dell’intervento edilizio assentito, una distanza tra l’edificio di loro proprietà inferiore a ml. 3,80, indicato nella deroga concessa.
Sennonché, indipendentemente da ogni altra considerazione, la Sezione osserva che sul punto sono ragionevoli e condivisibili le deduzioni difensive svolte dall’amministrazione comunale, a tenore delle quali il parere favorevole espresso con la delibera consiliare n. 56 – 281 del 15 luglio 1997 riguardava la corrispondenza della deroga all’interesse pubblico relativamente alla norma che prevedeva la costruzione in aderenza, senza tuttavia disporre direttamente ed in modo fisso un’effettiva distanza minima: ciò consente di escludere la ricorrenza di un autonomo vizio di illegittimità per il fatto che per un breve tratto tra i due edifici esista una distanza (m. 3,23) inferiore a m. 3,80, tanto più che, anche al di là della minima entità di tale differenza, come dedotto dall’amministrazione (e non contestato), ciò si verifica solo in quel tratto in cui dal condominio degli stessi appellanti sporge una vecchia canna fumaria.
7.4. Risulta infine condivisibile la sentenza impugnata anche nella parte in cui ha dichiarato irricevibile il quarto ricorso proposto in primo grado (NRG. 588/2000), per essere stato impugnato tardivamente il decreto del Presidente della Giunta regionale del Veneto n. 1747 del 24 settembre 1999, avente ad oggetto “I.T.A.V. s.n.c. dei F.lli Capraio & C. – Intervento di ampliamento di fabbricato ad uso alberghiero in Comune di Conegliano. Richiesta di deroga ai sensi dell’art. 12 della legge 2/2/1974, n. 64 – Norme per la costruzione in zone antisismiche”, oltre il termine di 60 giorni decorrente dalla pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 95 del 2 novembre 1999.
Anche a prescindere dalla considerazione che lo stesso decreto prevedeva espressamente, come sua specifica forma di conoscenza (art. 2), la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Veneto, secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, dal quale non vi è motivo di discostarsi, la pubblicazione di un atto amministrativo sul bollettino ufficiale della regione risponde ad un’esigenza di ordine generale dell’ordinamento in ordine alla legale conoscenza degli atti normativi e a carattere generale rileva anche ai fini della decorrenza dei termini per proporre azione giurisdizionale (Cons. St., sez. VI, 4 giugno 2007, n. 2934).
Tale indirizzo è pienamente applicabile al caso di specie, in quanto il decreto impugnato, riguardando la deroga all’osservanza delle norme contenute nell’art. 12 della legge 2 febbraio 1974, n. 64 (“Norme per la costruzione in zone sismiche”) per l’ampliamento dell’albergo Canon d’Oro, aveva come unica diretta destinataria l’I.T.A.V. s.n.c. dei F.lli Capraio & C., proprietaria dell’immobile, così che la forma di pubblicazione sul bollettino ufficiale ha assicurato la necessaria adeguata forma di conoscenza per ogni eventuale soggetto interessato alla relativa contestazione anche in sede giurisdizionale, così coordinando l’esercizio del diritto di azione e di difesa (art. 24 Cost.) e quello alla definitiva certezza dei rapporti giuridici derivanti dall’attività della pubblica amministrazione (non essendo più impugnabili gli atti decorsi sessanta giorni dalla loro conoscenza, presunta iuris et de iure nel caso di specie per effetto della pubblicazione sul bollettino ufficiale regionale).
8. In conclusione l’appello deve essere respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello proposto dai signori Rita De Simone e Mario Mazzer avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, sez. II, n. 766 del 7 febbraio 2002, lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento in favore del Comune di Conegliano, della I.T.A.V. s.n.c. dei F.lli Caprai e C. e della Regione Veneto delle spese del presente grado di giudizio che liquida complessivamente in €. 7.500,00 (settemilacinquecento), €. 2.500,00 (duemilacinquecento) ciascuno, oltre I.V.A., C.P.A. ed altri oneri di legge, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/09/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)