Consiglio di Stato, Sez. V, n. 1942, del 16 aprile 2014
Urbanistica.P.A. e verifica del rispetto dei limiti privatistici gravanti sul fondo
In sede di rilascio di titoli ad edificare l’amministrazione è tenuta a verificare la disponibilità giuridica del richiedente, ma non le sono richieste complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà (o altro diritto reale), ritenendosi per contro sufficiente che l’istante esibisca un titolo che formalmente legittimi il rilascio del provvedimento abilitante in suo favore. In questa prospettiva, si afferma che l’obbligo per l’amministrazione di verificare che il richiedente rispetti i limiti privatistici gravanti sul fondo sul quale intende edificare è soddisfatto mediante semplice presa d’atto di detti limiti, in quanto effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, senza la necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).
N. 01942/2014REG.PROV.COLL.
N. 03994/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3994 del 2003, proposto da:
Soc. Zandonai Geom. Claudio & C., rappresentata e difesa dagli avv. Gabriele Pafundi e Flavio Maria Bonazza, con domicilio eletto presso il primo, in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;
contro
Comune di Villa Lagarina, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Dalla Fior e Paolo Stella Richter, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, viale Mazzini 11;
Zandonai Lucia in Radassao, Radassao Angelo;
per la riforma
della sentenza del TRIBUNALE REGIONALE DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA DELLA PROVINCIA – SEDE DI TRENTO n. 00108/2002, resa tra le parti, concernente concessione edilizia per la costruzione di un edificio unifamiliare
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del comune;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 marzo 2014 il Cons. Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Pafundi e Stella Richter;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La Società Zandonai geom. Claudio & C. s. appella la sentenza del Tribunale di giustizia amministrativa del Trentino Alto-Adige (sede di Trento), con cui è stata rigettata la sua impugnativa avverso la concessione edilizia n. 5 del 20 gennaio 1999, rilasciata dal Comune di Villa Lagarina in favore dei confinanti coniugi Angelo Radassao e Lucia Zandonai per la costruzione di un “edificio unifamiliare sulle pp.ff. 895/1 e 985/5 C.C. Pedersano”.
2. A sostegno della pretesa illegittimità del titolo edilizio impugnato, la società ricorrente aveva sostenuto che il progetto assentito avrebbe determinato uno sconfinamento su parte del terreno di sua proprietà (censito alla p.f. 894, ora frazionato nelle pp.ff. 894/1 e 894/2), in corrispondenza della strada d’accesso alla pubblica via ed ai sottostanti allacciamenti alla rete idrica, elettrica e fognaria, a suo dire ricavato in realtà utilizzando una striscia facente parte della particella di essa ricorrente.
3. Il Tribunale regionale adito negava tuttavia che tale circostanza si fosse realizzata, richiamando la sentenza del Tribunale di Rovereto n. 302 del 17 agosto 1998, resa nel giudizio civile di regolamento dei confini tra le due parti private, nella quale il confine era stato individuato in corrispondenza della recinzione ivi esistente ( “allineamento sul terreno costituito dal cancello – staccionata e dai paletti metallici collegati con filo di ferro”), anziché in base ai confini catastali. Riteneva inoltre esauriente l’istruttoria effettuata dall’amministrazione sull’istanza concessoria, oltre che in base alla predetta sentenza regolatrice dei confini, mediante documentazione fotografica relativa ai luoghi. Respingeva conseguentemente l’impugnativa.
4. Obietta la società Zandonai nel presente appello che la pronuncia del Tribunale di Rovereto, è stata riformata dalla Corte d’appello di Trento, con sentenza n. 361 dell’8 novembre 2000, passata in giudicato. Soggiunge che, malgrado quest’ultima sia sopravvenuta al rilascio del titolo edilizio, il Comune resistente non poteva nondimeno addurre a presupposto della contestata concessione ad edificare la pronuncia di primo grado del giudice civile: innanzitutto perché su di essa pendeva comunque il proprio appello, circostanza della quale l’amministrazione era stata tempestivamente informata; in secondo luogo perché dalla Ctu già disposta dal Tribunale era emersa la difformità tra la situazione di fatto dei fondi e quella di diritto risultante dalle planimetrie catastali, tali da escludere comunque che i controinteressati fossero muniti di “valido titolo” al quale l’art. 88 l. prov. n. 22/1991 ("Ordinamento urbanistico e tutela del territorio") subordina l’accoglimento della domanda concessoria; inoltre, perché la stessa pronuncia del Tribunale aveva in ogni caso escluso dalla proprietà di controparte, per attribuirlo alla Società Zandonai, una striscia di terreno che separava il confine di questa dalla pubblica via.
4.1. L’appellante deduce un ulteriore errore della sentenza di primo grado, consistente nella sua contraddittorietà rispetto a quanto dallo stesso TRGA di Trento affermato in un precedente contenzioso già svoltosi tra le stesse pari (r.g. n. 80/1996), sempre su una precedente concessione edilizia nei confronti dei medesimi controinteressati (n. 14/1995). In quest’ultimo, il Tribunale regionale trentino aveva affermato la rilevanza della decisione del giudice civile sulla delimitazione delle rispettive proprietà confinanti ai fini del rilascio del titolo ad edificare (sentenza interlocutoria n. 219/1997). La Società Zandonai si duole della mancata considerazione di questo precedente non solo da parte del TRGA ma anche da parte del Comune di Villa Lagarina, che sarebbe così incorso in eccesso di potere per istruttoria carente.
5. Infine, reitera la domanda di risarcimento danni.
6. Si è costituito in resistenza il solo Comune di Villa Lagarina.
DIRITTO
1. Così riassunte le censure contenute nell’appello, occorre innanzitutto dichiarare inammissibile quella relativa al contrasto tra il provvedimento impugnato e la sentenza interlocutoria resa in un precedente giudizio tra le medesime parti davanti al Tribunale Regionale di Trento.
Si tratta innanzitutto una censura dedotta per la prima volta in appello, in violazione dell’art. 345, comma 1, cod. proc. civ., allora applicabile (ora art. 104, comma 1, cod. proc. amm.).
Nel ricorso di primo grado la Società Zandonai aveva dedotto tale vizio, ma con riferimento esclusivo alla situazione di fatto dei fondi a suo dire erroneamente apprezzata dal Comune di Villa Lagarina in sede di rilascio della concessione edilizia in favore dei coniugi controinteressati.
2. Il medesimo contrasto è inoltre dedotto tra la predetta sentenza parziale e quella oggetto del presente appello, donde il riflesso, a dire dell’appellante, sulla concessione edilizia avversata.
Questa censura è infondata nel merito.
L’ordinamento processuale amministrativo, come quello generale processualcivilistico, non attribuisce di regola alcuna efficacia panprocessuale a pronunce rese in separati giudizi. Le uniche eccezioni a questa regola sono tassative (ad es. art. 99, comma 3, cod. proc. amm.) e non sono certo ravvisabili nel caso di pronunce rese dallo stesso organo giurisdizionale.
3. Può dunque passarsi all’esame delle altre censure.
Al fine di risolvere le questioni giuridiche poste da queste ultime, occorre innanzitutto ricordare che per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato in sede di rilascio di titoli ad edificare l’amministrazione è tenuta a verificare la disponibilità giuridica del richiedente, ma non le sono richieste complesse ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà (o altro diritto reale), ritenendosi per contro sufficiente che l’istante esibisca un titolo che formalmente legittimi il rilascio del provvedimento abilitante in suo favore (Sez. III, 22 aprile 2013, n. 2238; Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6165, 22 novembre 2013, n. 5563, 4 aprile 2012, n. 1990). In questa prospettiva, si afferma che l’obbligo per l’amministrazione di verificare che il richiedente rispetti i limiti privatistici gravanti sul fondo sul quale intende edificare è soddisfatto mediante semplice presa d’atto di detti limiti, in quanto effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili o non contestati, senza la necessità di procedere ad un’accurata e approfondita disanima dei rapporti civilistici (Sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4255; Sez. VI, 28 settembre 2012 n. 5128).
4. Nella medesima linea si colloca anche il precedente invocato dall’appellante (Sez. IV, 4 aprile 2012, n. 1990, sopra citato), nel quale si è ribadito che“la questione della titolarità del bene in ordine al quale viene chiesto titolo abilitativo al Comune, è questione incidentale che non può farsi coincidere del tutto con l’accertamento della titolarità reale, che non compete funditus né all’adito giudice amministrativo, né alla amministrazione competente in materia edilizia. Ai fini del rilascio del permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio: cioè l'astratta proprietà desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali. Nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, l'amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, costituendo tale verifica un'attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.”.
La pronuncia in esame ha quindi soggiunto che se l’amministrazione “ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente la concessione edilizia e ora il permesso di costruire, accertando che sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria”, nondimeno “non incombe, però, alla p.a. l’onere di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà depositato dal richiedente” (in termini simili anche la pronuncia della IV Sez. n. 3508 dell’8 giugno 2011, parimenti invocata dalla Società Zandonai).
5. Tanto precisato, il TRGA si è pienamente attenuto a questo indirizzo, rilevando che l’amministrazione resistente aveva basato il rilascio del titolo ad edificare contestato sulle convergenti risultanze istruttorie costituite dalla documentazione fotografica raffigurante lo stato dei luoghi sin dal 1983, dalla quale emergeva in particolare l’esistenza di un cancello e di una recinzione posti a delimitazione delle due proprietà e dalla sentenza del Tribunale di Rovereto che aveva regolato il confine in corrispondenza di tale manufatto.
Contro questa ratio decidendi si infrange anche la censura di eccesso di potere per difetto di istruttoria sulla situazione dei luoghi ed in particolare dei fondi interessati dall’edificazione.
6. A confutazione della controeccezione della ricorrente, la quale ha riferito di avere segnalato all’amministrazione l’appello nei confronti di detta pronuncia, il giudice di primo grado ha affermato che: “vi era dunque, se non la assoluta certezza, certamente una forte apparenza della titolarità della richiedente (…) mancavano al momento della conclusione del procedimento, adeguati elementi istruttori per negare la concessione”.
Il giudice di primo grado non ha quindi mancato di evidenziare che, la circostanza, pur nota all’amministrazione, che la sentenza del Tribunale di Rovereto era stata appellata, non poteva indurre quest’ultima a soprassedere dal rilasciare la concessione, a causa della necessità di non aggravare il procedimento che sulla base delle suddette emergenze documentali poteva già all’epoca ritenersi sufficientemente istruito.
Nessuna critica può dunque essere rivolta per questa parte alla decisione qui appellata.
7. Erra poi l’appellante a negare rilievo di prova in sede procedimentale amministrativa ad una sentenza civile non passata in giudicato.
In assenza di prove legali e di divieti di legge, nessun dubbio può nutrirsi sul fatto che anche quest’ultima possa essere impiegata dall’amministrazione come fonte di convincimento per l’esercizio di poteri di sua competenza.
I principi di efficienza ed efficacia che reggono l’azione amministrativa (art. 1 l. n. 241/1990) non consentono di attendere i tempi, notoriamente lunghi, per ottenere l’incontrovertibilità propria del giudicato. Più in generale, il grado di certezza dei fatti rilevanti per l’esercizio del potere amministrativo preteso dall’ordinamento è relativo, potendo in altri ambiti essere acquisiti elementi di conoscitivi fondati su mere attestazioni dei privati istanti (le autocertificazioni), la cui efficacia probatoria riposa sul principio di autoresponsabilità del dichiarante e sulle verifiche campionarie successive. A fortiori dunque deve ritenersi consentito all’amministrazione di impiegare pronunce giurisdizionali non ancora definitive.
8. In memoria conclusionale la società appellante si sofferma poi sull’efficacia delle sentenze civili nel giudizio amministrativo, traendo dall’indirizzo giurisprudenziale che riconosce l’utilizzabilità delle prime ai fini di prova dei fatti controversi nel secondo argomenti a sostegno delle proprie doglianze, come finora esaminate. Sostiene al riguardo la Società Zandonai che, l’accertamento, con efficacia di giudicato, contenuto nella Corte d’appello di Trento accertato secondo cui “il confine tra le pp.ff 894 (ora 894/1 e 894/2) e 895/1 C.C. Pedersano si identifica con il confine catastale di cui al grafico 2 della c.t.u.”, avrebbe fatto venire meno i presupposti fondanti il rilascio della concessione edilizia impugnata.
La deduzione è tuttavia inconferente ai fini dello scrutinio di detta doglianza. L’errato apprezzamento dei presupposti fattuali e giuridici rilevanti per l’esercizio di un potere attiene alla questione della legittimità del provvedimento impugnato, che il giudice di primo grado ha apprezzato come finora detto, mentre i rapporti tra sentenze di diversi ordini giurisdizionali concernono la diversa questione della prova dei fatti controversi nell’ambito del giudizio amministrativo.
Come sopra detto il TAR è giunto alla conclusione che l’amministrazione abbia effettuato una valutazione di detti presupposti non inficiata da errori in base alle risultanze istruttorie in suo possesso e che non fosse necessario attendere l’esito del giudizio civile, onde non aggravare il procedimento. La Società Zandonai si duole per contro che la situazione di fatto rappresentatasi dal Comune di Lagaranina sia stata a posteriori smentita dalla sentenza d’appello del giudizio di regolamento dei confini.
Che ciò sia avvenuto non è contestabile, ma che l’operato dell’amministrazione sia del pari stato rispettoso dei canoni generali dell’agire amministrativo sotto i profili, qui contestati, dell’errato apprezzamento dei fatti e del difetto di istruttoria, oltre che di non aggravamento del procedimento, è altrettanto pacifico, alla luce di quanto finora osservato.
9. Residua allora l’esame della censura concernente l’erronea valutazione da parte dell’amministrazione concedente della pronuncia del Tribunale di Rovereto, la quale, ancorché abbia individuato il confine tra le due proprietà in corrispondenza della recinzione eretta dai controinteressati, ha comunque accertato l’interclusione del fondo di questi ultimi a causa della presenza di una striscia di terreno di proprietà dell’appellante interposto tra il primo e la pubblica via, sulla quale si sarebbe verificato lo sconfinamento del progetto assentito con la contestata concessione edilizia.
La Società Zandonai ribadisce nella presente impugnativa che “tale lembo di terra acquistava importanza fondamentale alla luce del progetto edilizio licenziato, proprio perché su tale realità – di proprietà dei ricorrenti – era previsto l’accesso ai fondi oggetto di autorizzazione edilizia, oltreché il passaggio di condutture per i servizi necessari al realizzo dell’edificio, quali opere di urbanizzazione necessarie” (pag. 4 dell’atto di appello). Ancora, deduce che tale sconfinamento era stato rilevato dal Ctu nominato nel giudizio civile, geom. Silvano Contrini attraverso la sovrapposizione della planimetria reale con quella catastale, “in corrispondenza dell’angolo sud – ovest”, dove cioè è posizionata la recinzione che il Tribunale ha stabilito fissare il confine tra i fondi (pag. 14 dell’atto di appello).
10. Anche questa doglianze deve essere disattesa.
Può nuovamente ribadirsi quanto finora osservato e cioè che l’amministrazione ha accertato l’estensione del fondo in base alle concordanti emergenze procedimentali costituite dalla sentenza del Tribunale di Rovereto e dalla documentazione fotografica relativa al terreno dei coniugi richiedenti. Si trova affermato in detta pronuncia che: “lo stato reale dei fondi si presenta con le medesime caratteristiche da lunga data, e che gli stessi sono in fatto delimitati dalla linea, materializzata sul terreno, consistente nel cancello-staccionata e nei seguenti paletti in ferro con fili di collegamento”.
Per contro, il fatto che il consulente tecnico abbia rilevato una situazione diversa non trova conferma dalla lettura della decisione.
Come infatti già accertato dal TRGA trentino nel respingere la censura, il cancello in questione risulta comunque posto nella sostanza sul confine tra il fondo dei controinteressati con la pubblica via, salva l’esistenza di una “piccolissima porzione di terreno”, la cui effettiva appartenenza ad uno dei due fondi confinanti non era agevolmente riscontrabile all’epoca dell’emissione del titolo ad edificare.
11. In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate per la complessità in fatto delle questioni controverse.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese di causa compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 marzo 2014 con l'intervento dei magistrati:
Vito Poli, Presidente FF
Fulvio Rocco, Consigliere
Doris Durante, Consigliere
Nicola Gaviano, Consigliere
Fabio Franconiero, Consigliere, Estensore
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 16/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)