Il divieto di somministrazione delle forniture agli immobili abusivi
di Luca RAMACCI
L’abusivismo edilizio, almeno a parole, è considerato una delle forme più gravi e diffuse di aggressione del territorio ma, nonostante ciò, viene sistematicamente sottovalutato, salvo poi prendere momentaneamente coscienza delle gravi conseguenze in occasione di fenomeni naturali i cui effetti sono, sovente, amplificati e resi maggiormente disastrosi proprio a causa della dissennata gestione del territorio.
Tale situazione, come è ben noto, è in gran parte determinata dall’inerzia delle amministrazioni comunali, cui spetta la vigilanza sulle attività urbanistiche ed edilizie, che, abdicando ai loro poteri, omettono sistematicamente di porre in essere le azioni necessarie per reprimere o, quanto meno, arginare il fenomeno.
E’ questa una situazione ormai risalente nel tempo, tanto che la Corte costituzionale, già nel 1995 (sentenza n. 416 del 28/7/1995), nel prendere in esame la legittimità costituzionale del condono edilizio del 1994, dava conto dell’entità dell’abusivismo edilizio e della persistenza delle relative costruzioni, definendone la diffusione sul territorio nazionale come “tutt'altro che isolata” (considerando il periodo compreso tra il 31 ottobre 1983 ed il 31 dicembre 1993) ed attribuendone la responsabilità al “difetto di una attività di polizia locale specializzata sul controllo del territorio, ma anche in conseguenza della scarsa (o quasi nulla in talune regioni) incisività e tempestività dell'azione di controllo e di repressione degli enti locali e delle regioni, che non è valsa ad impedire tempestivamente la suddetta attività abusiva o almeno a impedire il completamento e a rimuovere i relativi manufatti”.
Tale situazione, della quale il giudice delle leggi dava nuovamente atto in una successiva pronuncia (sent. 427 del 12 settembre 1995) non subiva mutamenti ed, anzi, veniva ulteriormente aggravata dalla previsione del successivo condono edilizio, il cui solo annuncio fece levitare in maniera esponenziale le costruzioni abusive, molte delle quali, peraltro, prive dei necessari requisiti di condonabilità.
Esaurita l’ondata degli abusi “da condono” si è tornati ad una condizione di sostanziale normalità, come tale intendendosi il quotidiano stillicidio di nuovi interventi edilizi abusivi nella sostanziale indifferenza, salvo lodevoli eccezioni, di chi dovrebbe salvaguardare l’ordinario sviluppo del territorio.
E’ peraltro singolare il fatto che, diversamente da quanto avviene con altre disposizioni di tutela ambientale, che spesso offrono armi spuntate agli organi di controllo, la disciplina urbanistica (unitamente a quella di tutela del paesaggio) mettono obiettivamente in condizione i soggetti preposti, se solo lo volessero, di operare in maniera incisiva per la repressione del fenomeno.
Basti pensare, ad esempio, ai poteri attribuiti dall’art. 27 del d.P.R. 380\01 al dirigente o al responsabile dell’ufficio comunale, alla procedura di acquisizione ex lege degli immobili abusivi a seguito dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, alla demolizione ordinata dal giudice all’esito del processo penale (anche se, in questo ultimo caso, vengono talvolta a frapporsi ulteriori ostacoli, quali la scarsa attenzione prestata dagli uffici giudiziari ai reati ambientali in genere, l’indiscriminato ricorso all’art. 131-bis cod. pen., specie riguardo a determinati reati ed uno scarso attivismo nell’esecuzione delle demolizioni disposte con sentenze ormai irrevocabili).
Tra le disposizioni di sicura efficacia offerte dal testo unico dell’edilizia, maggiormente disattese, come dimostra la casistica, sono quelle contemplate dall’art. 48.
Si tratta, in questo caso, del divieto di somministrazione delle forniture agli immobili abusivi imposto alle aziende erogatrici di servizi pubblici, che era originariamente previsto dall’art. 15, ultimo comma della legge 28 gennaio 1977, n. 10 ed è stato poi ribadito,in maniera più dettagliata, dall’art. 45 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
L’art. 48 del d.P.R. 380\01 attualmente stabilisce che dette aziende non possono somministrare i propri servizi (quali, dunque, energia elettrica, acqua, gas etc.) per l'esecuzione di opere prive di permesso di costruire, nonché per quelle in assenza di titolo iniziate dopo il 30 gennaio 1977 e per le quali non siano stati stipulati contratti di somministrazione anteriormente al 17 marzo 1985.
Al fine evidente di consentire un adeguato controllo, colui che richiede il servizio deve allegare alla domanda una dichiarazione sostitutiva di atto notorio indicante gli estremi del permesso di costruire, o, per le opere abusive, gli estremi del permesso in sanatoria, ovvero copia della domanda di permesso in sanatoria corredata della prova del pagamento delle somme dovute a titolo di oblazione per intero nell'ipotesi dell'articolo 36 e limitatamente alle prime due rate, nell'ipotesi dell'articolo 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47.
Il contratto stipulato in difetto di tali dichiarazioni è nullo e il funzionario della azienda erogatrice, cui sia imputabile la stipulazione del contratto stesso, è soggetto ad una sanzione pecuniaria da 2582 a 7746 euro.
Per le opere che già usufruiscono di un servizio pubblico, in luogo della documentazione di cui si è detto può essere prodotta copia di una fattura, emessa dall'azienda erogante il servizio, dalla quale risulti che l'opera già usufruisce di un pubblico servizio, mentre per quelle iniziate anteriormente al 30 gennaio 1977, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, attestante che l'opera è stata iniziata in data anteriore al 30 gennaio 1977 (la dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso contratto, ovvero in documento separato da allegarsi al contratto medesimo).
Le medesime disposizioni si applicano anche agli interventi edilizi soggetti a SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) ai sensi dell'articolo 23, comma 1 del testo unico, eseguiti in assenza della stessa.
Infine, per agevolare la vigilanza sull'attività edilizia, le aziende erogatrici di servizi pubblici ed i funzionari cui sia imputabile la stipulazione dei relativi contratti di somministrazione devono comunicare al sindaco del comune ove è ubicato l'immobile le richieste di allaccio ai pubblici servizi effettuate, con indicazione della concessione edilizia, ovvero della autorizzazione, degli altri titoli abilitativi, della istanza di concessione in sanatoria presentata, corredata dalla prova del pagamento per intero delle somme dovute a titolo di oblazione. L'inosservanza dell’obbligo comporta, per ciascuna violazione, la sanzione pecuniaria da 10.000 a 50.000 euro nei confronti delle aziende erogatrici di servizi pubblici, nonché la sanzione pecuniaria da 2.582 a 7.746 euro nei confronti del funzionario della azienda erogatrice cui sia imputabile la stipulazione dei contratti.
La effettiva osservanza del divieto sembra, almeno a giudicare dalla casistica, un evento del tutto raro ed è infatti noto come la disposizione venga frequentemente aggirata mediante la stipulazione di contratti riferiti ad utilizzazioni diverse, quali, ad esempio, per l’energia elettrica, l’alimentazione di pompe di sollevamento a servizio di pozzi o di sistemi di apertura di cancelli, spesso con potenza e/o tensione contrattuale del tutto sproporzionata rispetto all’uso dichiarato ed, in quanto tale, immediatamente indicativa dell’esistenza di un possibile abuso edilizio.
A tali situazioni di palese illegalità potrebbe peraltro facilmente ovviarsi attraverso controlli da effettuarsi mediante il confronto di dati che la normativa in esame consente di avere a disposizione, dal momento che impone, come si è visto, a chi richiede l’attivazione del servizio, di documentare la regolarità dell’immobile cui si riferisce l’utenza ed all’azienda che eroga il servizio di comunicare al comune la richiesta di allaccio, indicando gli estremi della documentazione prodotta dal fruitore del servizio.
È da notare, peraltro, che l’art. 48 offre anche uno strumento di prevenzione dell’abusivismo edilizio, laddove, al primo comma, impone il divieto di somministrazione anche per l'esecuzione di opere prive di permesso di costruire, vietando, quindi, anche i c.d. allacci di cantiere.
Si tratta, in tutti questi casi, di dati che possono essere agevolmente elaborati mediante lo strumento informatico e che potrebbero essere utilizzati anche con finalità investigative, ad esempio attraverso il controllo effettivo dell’immobile previa estrapolazione di tutte le forniture che presentino caratteristiche anomale o, al contrario, verificando se gli immobili per i quali sia già nota l’assenza di titolo abilitativo usufruiscano di forniture, accertando altresì le modalità di attivazione, le quali, come vedremo, sono suscettibili di valutazione anche in sede penale.
Passando ad esaminare i rari arresti giurisprudenziali, può dirsi che non sono mai emersi particolari dubbi interpretativi sulla disposizione in esame, riconoscendo come pienamente legittima la cessazione della fornitura di energia elettrica da parte dell’ente erogatore ad un immobile abusivo, escludendo anche la sussistenza di un diritto a ricevere la fornitura che, pur considerata indubbiamente funzionale all'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti della persona fisica, non si è ritenuta assoluta, laddove si ponga in evidente conflitto con altri interessi di rilievo pubblico e costituzionale, oggetto di espressa disciplina e tutela da parte del legislatore, con espresso divieto di stipula del relativo contratto e comminatoria della sua nullità (così Trib. Civ. Roma Sez. IX 23/1/2004 in relazione all’art. 45 legge 47\1985. Nel provvedimento vengono richiamati, quali precedenti, Trib. Sassari 11/7/1998; Pret. Genova 24/2/1989, in Rass. giur. Enel 1989, pag. 1006 e Pret.Catania 2/9/1991, in Rass. giur. Enel 1992, pag. 1035).
Si è tuttavia precisato, sempre con riferimento all’art. 45 legge 47\1985, che l’obbligo, imposto alle aziende erogatrici di subordinare alla verifica della regolarità edilizia delle opere la prestazione del servizio richiesto, si sostanzia in un mero dovere di accertamento, da parte dei funzionari dell'azienda, dell'esistenza della prescritta dichiarazione del richiedente e non comporta un controllo dell'esistenza della concessione edilizia che si spinga al punto della disamina della conformità dell'opera o addirittura della legittimità della concessione (Cass. Civ., Sez. III n. 539 del 24/1/1996. Conf. Sez. III n.9594 del 12/5/2015). Nella stessa occasione, la Corte ha specificato che la sanzione di nullità, prevista dal secondo comma del citato art. 45 per i contratti stipulati "in difetto della dichiarazione prescritta", non può estendersi ai casi in cui la dichiarazione non sia rispondente al vero, perché manca la concessione o le opere eseguite sono difformi, a meno che ciò non risulti dalla documentazione che, in base alla legge, il richiedente è tenuto ad allegare alla domanda.
Va tuttavia segnalata un’autorevole opinione dissenziente in dottrina (FIALE A., FIALE E. Diritto urbanistico, Napoli, 215 pag. 971), espressa sulla base di quanto disposto dall’art. 1418, comma 1 cod. civ., trattandosi di contratto contrario a norma imperativa, tale essendo quella che vieta l’erogazione.
La giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Veneto, sez. II, n.1874 del 30/6/2008) ha invece ritenuto illegittimo il provvedimento con il quale un comune aveva ordinato ad una società erogatrice di energia elettrica la disattivazione della fornitura ad un impianto di telefonia sull'assunto che essa sarebbe divenuta abusiva, versandosi quindi nell'ipotesi contemplata dall'art. 48, d.P.R. n. 380\2001 giustamente distinguendo tra gli effetti del titolo abilitativo (nella fattispecie, denuncia di inizio attività) e quelli della convenzione-concessione per l'assegnazione del terreno ove l’impianto era ubicato, dando quindi atto dell'abusività dell'occupazione, pacifica e suscettibile di adozione di provvedimenti sanzionatori da parte del Comune, escludendo invece l'abusività dell'intervento edilizio, in forza della denuncia di inizio attività a suo tempo presentata.
Anche la giurisprudenza penale ha ritenuto l’erogazione di forniture pacificamente incompatibile con la natura abusiva dell’immobile che ne beneficia, riconoscendo l’abnormità del provvedimento con il quale il Tribunale, nell’ambito di un procedimento penale per violazione di norme urbanistiche e di tutela del paesaggio, autorizzava il custode di una struttura balneare posta sotto sequestro preventivo a rimuovere i sigilli e, riattivata la fornitura dell'acqua da parte del Comune, a consentire l'accesso agli addetti per la cura delle piante poste all’interno (Cass. Sez. III n. 36386 del 9/9/2015).
Va altresì segnalato che, in dottrina (FIALE A., FIALE E. op cit., pag. 970) si è osservato come il divieto di cui all’art. 48 d.P.R. 380\01 debba ritenersi applicabile anche con riferimento alle ipotesi di difformità totale dal permesso di costruire o in caso di annullamento o sospensione del permesso di costruire già rilasciato.
Come si è detto in precedenza, l’inosservanza del divieto comporta, sempre secondo il disposto dell’art. 48 d.P.R. 380\01, conseguenze diverse, quali la nullità dei contratti di somministrazione stipulati e l’applicazione, nei confronti del funzionario della azienda erogatrice, cui sia imputabile la stipulazione del contratto stesso, di una sanzione amministrativa pecuniaria. Parimenti, l’inosservanza dell’obbligo di comunicazione di cui al comma 3-ter comporta, per ciascuna violazione l’irrogazione di sanzioni pecuniarie tanto nei confronti dell’azienda erogatrice che del funzionario responsabile.
Tali sanzioni, considerato il tenore letterale della disposizione, presuppongono, per la loro applicazione, la mera stipulazione del contratto, indipendentemente dalla erogazione effettiva della fornitura, il che appare pienamente condivisibile, atteso il tenore letterale della disposizione. Si è tuttavia precisato (FIALE A., FIALE E., op. cit. pag. 971) che fa eccezione il caso in cui il contratto sia redatto su moduli di richiesta sottoscritti soltanto da colui che richiede il servizio e non anche dai legali rappresentanti dell’azienda somministrante poiché, in tal caso, il contratto si perfeziona, ai sensi dell’art. 1327 cod. civ., nel tempo e nel luogo in cui ha inizio la somministrazione.
Quanto alla competenza per l’irrogazione delle sanzioni, si ritiene (v., ad es., FIALE A., FIALE E., op. cit. pag. 971; E. LEQUAGLIE, M. MIGUIDI, Testo unico dell'edilizia e norme collegate, Rimini, 2008, pag. 598) che essa spetti al dirigente o al responsabile dell’ufficio tecnico comunale, tenendo conto di quanto disposto dall’art. 43 del d.P.R. 380\02001.
L’inosservanza della disposizione in rassegna comporta, come si è detto, anche conseguenza di carattere penale.
In particolare, essa fa ripetutamente riferimento alla dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 47 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, recante il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa e la giurisprudenza penale ha da tempo chiarito come integri il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), la condotta di colui che - in sede di dichiarazione allegata al contratto di fornitura di energia elettrica, stipulato con l'ENEL - attesti di adibire l'energia ad un uso diverso da quello reale (Cass. Sez. V, n. 23211 del 9/6/2011. Nella fattispecie, si trattava di utenza asseritamente destinata ad irrigazione agricola utilizzata invece all'interno di immobili abusivi).
In tale occasione la Corte precisava anche che il funzionario dell’ente erogatore di energia elettrica riveste la qualifica di pubblico ufficiale sulla base del fatto che, a tale fine, non rileva il rapporto di dipendenza del soggetto rispetto allo Stato o ad altro ente pubblico, essendo soltanto richiesto l'esercizio effettivo di una pubblica funzione, quale essere considerata l'attività consistente nella acquisizione della prova di un fatto, imposta dall'ordinamento, come condizione necessaria per l'erogazione di un pubblico servizio, così richiamando una precedente pronuncia (Sez. V, n. 2036 del 5/3/1997).
Il principio è stato successivamente ribadito (Sez. V n. 2956 del 24/01/2012), con l’ulteriore precisazione che non rileva la natura privatistica dell’azienda erogatrice, stante, in primo luogo, la riconosciuta qualifica di pubblico ufficiale rivestita dal funzionario ed, inoltre, considerato che non difetterebbe, in tal caso, neppure il requisito dell'"atto pubblico", nel quale la dichiarazione del privato sia destinata ad essere riportata. Ciò in quanto tanto la giurisprudenza che la dottrina hanno specificato che la nozione di atto pubblico, per ciò che rileva in tali casi, non è solo quella ristretta derivante dalla lettura degli artt. 2699 e 2700 cod. civ., dovendosi fare riferimento ad una nozione in senso più ampio, comprensiva di tutti i documenti compilati dai pubblici ufficiali e dagli altri soggetti previsti dalla legge, nell'esercizio delle loro funzioni e attribuzioni (venivano richiamate, a tale proposito, Sez. 5, n. 3552 del 18/3/1999 e Sez. 5, n. 9702 del 3/3/2009).
L’inosservanza del divieto potrebbe inoltre, in teoria, assumere rilievo, ad esempio nel caso di indebita fornitura di utenze per l'esecuzione di opere in assenza di titolo edilizio, quale concorso nel reato di cui all’art. 44 lett. B), ovvero, nel caso in cui sia volontariamente assicurata la somministrazione di forniture per un immobile abusivo già ultimato, consentendone così l’utilizzazione da parte di chi lo ha realizzato, quale ipotesi di favoreggiamento reale (art. 379 cod. pen.).
Come dunque si è visto, l’art. 48 d.P.R. 380\01, offre, come peraltro altre disposizioni del medesimo TU, una pluralità di strumenti di indubbia efficacia per contrastare l’abusivismo edilizio che potrebbero essere attivati con un minimo impegno, essendo sufficiente che ogni soggetto coinvolto svolga la sua parte.
L’assenza di forniture di luce, acqua, gas e telefono fisso, rende di fatto difficilmente utilizzabile un immobile abusivo, sicché una diffusa ed effettiva applicazione del divieto di erogazione delle forniture potrebbe costituire un efficace deterrente. Tale divieto dovrebbe poi trovare applicazione immediata con riferimento agli immobili da demolire, la cui realizzazione in assenza di titolo abilitativo sia stata accertata con sentenza ormai definitiva o a quelli per i quali sia ormai completata la procedura di acquisizione ex lege al patrimonio del comune, non essendovi alcun motivo per consentire l’utilizzazione di immobili inevitabilmente destinati ad essere demoliti.