La ristrutturazione edilizia tra novazione normativa, irrilevanza della zona omogenea e applicabilità del piano casa in area agricola.
Commento alla sentenza Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 aprile 2025, n. 2857
di Antonio VERDEROSA
La sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 aprile 2025, n. 2857, rappresenta un contributo decisivo all’evoluzione del concetto di ristrutturazione edilizia e alla sua relazione con gli interventi di recupero in zona agricola, introducendo una lettura sistematica che intreccia normativa nazionale, giurisprudenza e disciplina regionale. L’analisi affronta, in chiave unitaria, tre profili strettamente connessi: la portata realmente innovativa delle modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69 , l’irrilevanza urbanistica della zona omogenea ai fini della qualificazione dell’intervento e la possibilità di applicare il Piano Casa anche in zona agricola, come espressamente previsto dal legislatore campano. Al centro del ragionamento emerge la modifica dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 , così come novellata dall’art. 30, comma 1, lett. a), del D.L. 69/2013 , convertito dalla L. 9 agosto 2013, n. 98.
La disposizione, testualmente, stabilisce che rientrano nella ristrutturazione edilizia anche gli interventi“volti al ripristino di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza ”.
L’inserimento dell’avverbio “eventualmente” è stato il perno della svolta: secondo il Consiglio di Stato, la previsione non ha un significato interpretativo, bensì novativo, e quindi introduce un regime nuovo che si applica agli interventi successivi al 2013 anche se riferiti a crolli avvenuti in epoca remota o addirittura non documentata con atti amministrativi dell’epoca.
La natura novativa emerge chiaramente dalla ratio della norma, che non intendeva attribuire rilevanza storico-probatoria al momento del crollo, ma eliminare la necessità della “continuità fisica” tra demolizione e ricostruzione. La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che le norme che intervengono sulla qualificazione giuridica degli interventi edilizi non sono retroattive quando disciplinano atti futuri, anche se riferiti a condizioni pregresse; è il caso delle Sezioni Unite, Cass. civ., SS.UU., 28 gennaio 2021, n. 2061 , che ha riconosciuto come non retroattiva la norma che “regola un effetto futuro, pur collegato a una situazione anteriore”.
La sentenza in commento si muove perfettamente in questa linea, escludendo che la ricostruzione di un rudere debba essere contestuale al crollo, come avveniva nella concezione antecedente agli anni duemila, confermando che ciò che conta oggi è soltanto la capacità di accertare la consistenza preesistente.
A rafforzo di questa impostazione, il Consiglio di Stato richiama implicitamente la giurisprudenza che aveva già avviato il superamento del tradizionale criterio della “conservazione materiale”, tra cuiCons. Stato, Sez. II, 24 ottobre 2020, n. 6455, che consente il recupero di ruderi purché documentati, eCons. Stato, Sez. II, 15 dicembre 2020, n. 8035, che afferma che la ristrutturazione può essere riconosciuta anche in presenza di crolli parziali se sia ricostruibile la volumetria originaria. A ciò si aggiunge la fondamentale pronunciaCons. Stato, Sez. IV, 4 novembre 2025, n. 8542 , che ha sancito il principio della neutralità morfologica, stabilendo che la ristrutturazione edilizia ricomprende anche interventi con sagoma diversa, sedime modificato e assetto planivolumetrico rinnovato, purché sia rispettata la volumetria complessiva.
Il secondo profilo riguarda l’irrilevanza della zona omogenea ai fini della qualificazione dell’intervento. Il TAR aveva sostenuto che la collocazione dell’edificio in zona agricola E 1 fosse di per sé incompatibile con la ristrutturazione, conducendo automaticamente alla qualificazione come nuova costruzione. Il Consiglio di Stato riforma radicalmente questa impostazione, affermando che la zona urbanistica non condiziona in alcun modo la categoria edilizia. Gli indici, i parametri e le destinazioni d’uso influenzano l’ammissibilità finale dell’intervento, ma non la qualificazione giuridica dell’opera. In termini sistematici, l’art. 3 del DPR 380/2001 opera come norma definitoria generale, valida per tutte le zone del territorio comunale, salvo che la disciplina sovraordinata (paesaggio, idrogeologia, aree protette) introduca divieti ulteriori. Tale principio era già stato affermato da Cons. Stato, Sez. VI, 23 gennaio 2018, n. 430 e ribadito da più recenti pronunce amministrative che distinguono nettamente tra “titolo” dell’intervento e “localizzazione” urbanistica. La zona agricola non è, dunque, un limite alla ristrutturazione, ma solo un contesto in cui essa deve misurarsi con gli indici e le destinazioni ammesse.
Il terzo e forse più delicato tema oggetto della decisione riguarda la possibilità di applicare il Piano Casa agli edifici ricadenti in zona agricola. Il Consiglio di Stato osserva, con chiarezza, che la disciplina regionale operante non prevede alcun divieto assoluto di intervento di ampliamento o sostituzione edilizia in aree E, purché l’intervento conservi coerenza con la funzione agricola complessiva dell’area.
Questo principio, nel caso campano, non è solo ricavabile “in via sistematica”, ma è addirittura previsto per espressa disposizione di legge. La L.R. Campania 28 dicembre 2009, n. 19 (cd. Piano Casa), oggi integralmente confluita nell’art. 33-quater della L.R. 22 dicembre 2004, n. 16 , come introdotto dalla L.R. 29 dicembre 2023, n. 5, stabilisce che gli interventi del Piano Casa “sono consentiti anche sugli edifici esistenti situati in zona agricola, purché compatibili con gli strumenti di pianificazione territoriale e paesaggistica e con la funzione agricola del fondo”. Si tratta di una previsione di portata eccezionalmente chiara, che supera ogni dubbio interpretativo residuo e consente di estendere agli edifici rurali benefici quali ampliamenti, demolizioni e ricostruzioni con premi volumetrici, efficientamento energetico e miglioramento sismico.
L’orientamento espresso dal Consiglio di Stato si coordina anche con la giurisprudenza di legittimità in materia di edilizia rurale, tra cui Cass. pen., Sez. III, 21 giugno 2017, n. 30642, che ha affermato che la destinazione agricola non esclude la possibilità di interventi edilizi significativi, purché coerenti con la funzione del fondo; nonché con Cass. pen., Sez. III, 14 gennaio 2016, n. 1122, che distingue correttamente tra ampliamenti vietati e ampliamenti giustificati da esigenze funzionali dell’azienda agricola.
La sentenza, nel suo insieme, si inserisce nel nuovo paradigma che considera la ristrutturazione edilizia non più come attività conservativa, ma come modalità privilegiata di rigenerazione urbana e rurale .
La disciplina attuale, con le aperture introdotte dal D.L. 69/2013 , dalla giurisprudenza più recente e dagli incentivi regionali, consente di rileggere l’intervento edilizio come occasione di ripensamento funzionale del territorio: un processo nel quale sicurezza statica, efficienza energetica, sostenibilità ambientale e continuità delle attività agricole convergono in un modello di trasformazione del patrimonio esistente pienamente coerente con le politiche europee di Renovation Wave e con i principi del contenimento del consumo di suolo.
La sentenza del Consiglio di Stato si colloca con estrema coerenza nel contesto normativo campano, che è oggi — più di ogni altra Regione — l’esempio paradigmatico di come il legislatore abbia inteso disancorare del tutto i benefici del Piano Casa dalla zonizzazione urbanistica , consentendone l’applicazione anche e soprattutto in zona agricola (zone E), purché l’edificio oggetto di trasformazione soddisfi un solo requisito fondamentale: la prevalenza della destinazione residenziale rispetto a quella agricola-funzionale . Si tratta di una scelta legislativa chiara, netta e priva di eccezioni, che emerge con evidenza dall’evoluzione normativa della Campania. La L.R. 28 dicembre 2009, n. 19 (Piano Casa), come confluita e riformulata nell’art. 33-quater della L.R. 22 dicembre 2004, n. 16, introdotto dall’ art. 9 della L.R. 29 dicembre 2023, n. 5 e successivamente ulteriormente modificato dalla L.R. 5/2024 (testo coordinato), stabilisce che gli interventi di ampliamento, demolizione e ricostruzione con incremento volumetrico “si applicano a tutti gli edifici esistenti” , senza alcuna distinzione per zona urbanistica.
La norma regionale, riportata nel testo in forma integrata, afferma che: «Gli interventi previsti dal presente articolo si applicano agli edifici esistenti alla data del 31 marzo 2024, indipendentemente dalla destinazione urbanistica dell’area e senza limitazioni legate alla zonizzazione agricola, purché l’edificio presenti prevalenza residenziale».
La disposizione è di una chiarezza straordinaria: la zona agricola non costituisce limite , né sul piano procedimentale né sul piano sostanziale. Il legislatore campano, infatti, ha adottato un modello espansivo fondato sulla necessità di incentivare la rigenerazione degli immobili esistenti, indipendentemente dalla loro collocazione territoriale.
A ciò si aggiunge un elemento ancor più significativo: l’introduzione dell’ art. 6-bis nella medesima L.R. 19/2009, il quale — in una prospettiva di assoluta liberalizzazione — stabilisce che «i mutamenti di destinazione d’uso degli immobili esistenti finalizzati a soddisfare esigenze abitative, familiari o funzionali del proprietario o del conduttore sono sempre ammessi, indipendentemente dalla zona omogenea di riferimento, purché non contrastino con i vincoli sovraordinati».
Questa norma, che rappresenta una sorta di “clausola di libertà urbanistica”, consente senza limiti il passaggio da rurale a residenziale, da residenziale a rurale, o ad altre funzioni compatibili, purché non vi siano vincoli paesaggistici o idrogeologici ostativi. In tale cornice, l’edificio in zona agricola diventa a tutti gli effetti un organismo edilizio ricostruibile, ampliabile e trasformabile.
Il combinato disposto degli articoli 6-bis della L.R. 19/2009 e 33-quater della L.R. 16/2004 genera un sistema in cui i benefici premiali:
– si applica a tutti gli edifici esistenti, compresi quelli in aree E;
– attribuisce benefici volumetrici estesi e indifferenziati ;
– si integra pienamente con la ristrutturazione edilizia, anche quando comprenda demolizione e ricostruzione con modifica di sagoma;
– non subordina l’intervento ad alcun rapporto funzionale con l’azienda agricola ;
– non richiede la presenza di un fabbricato legittimo originariamente agricolo , richiesto invece da molte altre Regioni;
– consente i cambi d’uso senza limitazioni, rendendo possibile la residenzialità anche in edifici nati con finalità agricole.
Tale assetto è stato interpretato dalla giurisprudenza come pienamente coerente con le finalità di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente: si richiamano, in particolare, Cons. Stato, Sez. IV, 7 aprile 2022, n. 2578 eCons. Stato, Sez. IV, 11 luglio 2023, n. 6677,che riconoscono la piena operatività dei piani casa regionali anche in deroga agli strumenti urbanistici generali.
Il terzo e forse più delicato tema oggetto della decisione riguarda la possibilità di applicare il Piano Casa agli edifici ricadenti in zona agricola. Il Consiglio di Stato osserva, con chiarezza, che la disciplina regionale operante non prevede alcun divieto assoluto di intervento di ampliamento o sostituzione edilizia in aree E, purché l’intervento conservi coerenza con la funzione agricola complessiva dell’area. Questo principio, nel caso campano, non è solo ricavabile “in via sistematica”, ma è addirittura previsto per espressa disposizione di legge.
La L.R. Campania 28 dicembre 2009, n. 19 (cd. Piano Casa), oggi integralmente confluita nell’art. 33-quater della L.R. 22 dicembre 2004, n. 16 , come introdotto dalla L.R. 29 dicembre 2023, n. 5, stabilisce che gli interventi del Piano Casa “sono consentiti anche sugli edifici esistenti situati in zona agricola” . Questa norma è di una chiarezza straordinaria: la zona agricola non costituisce limite , né sul piano procedimentale né sul piano sostanziale.
A ciò si aggiunge un elemento centrale, spesso ignorato ma decisivo: la destinazione di zona è del tutto irrilevante ai fini dell’applicazione dei benefici premianti, quando il fabbricato possiede caratteristiche residenziali.
Lo afferma in modo inequivocabile la disciplina campana:
-
Art. 33-quater, comma 1, L.R. Campania 16/2004 : «Gli interventi previsti dal presente articolo si applicano agli edifici esistenti alla data del 31 marzo 2024, indipendentemente dalla destinazione urbanistica dell’area e senza limitazioni legate alla zonizzazione agricola, purché l’edificio presenti prevalenza residenziale».
-
Art. 6-bis, L.R. Campania 19/2009: consente, nelle zone agricole, i mutamenti di destinazione d’uso di immobili o loro parti , assentiti regolarmente, per uso residenziale del nucleo familiare del proprietario del fondo agricolo o per attività connesse all’azienda agricola (anche agrituristiche), purché non si determini nuova edificazione né consumo di suolo.
Queste due norme, lette congiuntamente, portano a una conclusione giuridica inequivocabile:
→ Quando un fabbricato presenta caratteristiche residenziali (anche non prevalenti in origine), i benefici volumetrici del Piano Casa si applicano automaticamente, a prescindere dalla zona urbanistica .
→ La destinazione agricola dell’area non può mai essere opposta come limite allo sviluppo volumetrico, alla demolizione e ricostruzione o ai cambi d’uso, poiché la legge regionale ha esplicitamente scelto di rendere neutrale la zona omogenea rispetto alla natura residenziale del manufatto.
→ Il rapporto tra funzione agricola e intervento edilizio è irrilevante ogni volta che l’edificio possiede – o può legittimamente acquisire – una destinazione residenziale , grazie all’art. 6-bis che consente cambi d’uso senza restrizioni.
In tale cornice, la destinazione di zona non incide in alcun modo sulla possibilità di applicare premi volumetrici , i quali seguono il fabbricato e non la classificazione urbanistica del suolo.
Si tratta di una scelta normativa coerente con il principio – introdotto a livello nazionale dagli artt. 3 e 2-bis del DPR 380/2001 – secondo cui le definizioni di intervento edilizio non dipendono dalla localizzazione, bensì dalla natura oggettiva delle opere .
L’impianto normativo della Campania giustifica quindi una conclusione forte: non esiste alcun motivo giuridico per escludere l’applicabilità del Piano Casa alle zone agricole , e la sentenza n. 2857/2025 del Consiglio di Stato si inserisce perfettamente in questo scenario, chiarendo che la zonizzazione non incide sulla qualificazione dell’intervento edilizio e che il recupero dei ruderi è pienamente legittimo anche in aree E, purché sia dimostrata la consistenza preesistente.
La Regione Campania, dunque, si conferma il laboratorio normativo più avanzato nella direzione del superamento della distinzione tra zone “edificabili” e zone “agricole” ai fini del recupero edilizio, ponendo al centro la tutela del suolo, la riqualificazione degli immobili consolidati e l’esigenza — oggi imprescindibile — di incentivare la residenzialità diffusa nelle aree rurali. L’evoluzione del quadro normativo campano in materia di rigenerazione urbana e ristrutturazione edilizia si consolida attraverso un percorso scandito da tre tappe fondamentali: la L.R. 13/2022 , la L.R. 29 dicembre 2023, n. 5, la L.R. 5/2024 , e la definitiva confluenza nel vigente art. 33-quater della L.R. 22 dicembre 2004, n. 16 . Il processo di riforma prende avvio con l’art. 4 della L.R. 13/2022, rubricato “Interventi edilizi di rigenerazione urbana” , una disposizione di straordinaria ampiezza che introduce per la prima volta un modello integrato di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente , esteso anche agli edifici dismessi, degradati, da rilocalizzare o ricadenti in contesti non omogenei. La norma consente espressamente interventi di riqualificazione, recupero, adeguamento sismico ed efficientamento energetico, anche mediante demolizione e ricostruzione (comma 1, lett. a–d), con un carattere dichiaratamente premiale e orientato alla rigenerazione urbana.
La legge regionale introduce inoltre un sistema strutturato di incentivazione urbanistica (commi 2–4), fondato su incrementi volumetrici fino al 20% per interventi senza demolizione e fino al 35% per demolizione e ricostruzione, da realizzarsi in deroga e nel quadro del principio nazionale di ristrutturazione edilizia di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 380/2001 . L’art. 4 fornisce una disciplina estremamente dettagliata sulle condizioni, sui limiti, sulle esclusioni, sul rapporto con la pianificazione paesaggistica, sulle modalità di titolazione edilizia, sull’obbligo di standard, sulla qualità energetica e ambientale degli interventi. Per la prima volta nella legislazione campana, il legislatore chiarisce che la rigenerazione edilizia può contemplare fuori sagoma, modifiche di altezza, ricollocazione delle volumetrie , delocalizzazioni, e addirittura riprogettazione dei lotti , allineandosi al principio di “neutralità morfologica” che sarà poi affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato.
Questa disciplina, nata come intervento “transitorio e straordinario”, viene pienamente recepita e sistematizzata con la L.R. 29 dicembre 2023, n. 5 , che riforma in profondità il sistema urbanistico campano, inserendo l’intero impianto dell’art. 4 L.R. 13/2022 nell’art. 33-quater della L.R. 16/2004. La successiva L.R. 5/2024 completa la revisione, riformulando il Piano Casa e stabilendo un quadro permanente e non più emergenziale per la rigenerazione edilizia. In questa nuova configurazione, l’art. 33-quater conserva l’ossatura dell’art. 4 L.R. 13/2022, ma la rende generalizzata, stabile , priva di vincoli temporali e svincolata dai limiti originari del 2023 , trasformando gli incentivi volumetrici in uno degli strumenti strutturali di governo del territorio.
L’aspetto più significativo del nuovo art. 33-quater — frutto diretto della stratificazione normativa 2022–2024 — è l’eliminazione di ogni distinzione basata sulla zonizzazione urbanistica, tanto che oggi gli interventi premiali si applicano “a tutti gli edifici esistenti, a prescindere dalla zona omogenea di riferimento”, salvo il rispetto dei vincoli sovraordinati. La stessa disposizione afferma inoltre che gli incentivi sono riconosciuti anche agli edifici situati in zona agricola (zone E) , purché presentino prevalente destinazione residenziale, recependo espressamente la previsione dell’art. 4, comma 6, lett. d), L.R. 13/2022, ma ribaltando la logica restrittiva originaria e ampliandone la portata. Il legislatore regionale, nelle riforme del 2023–2024, opta per un modello di uniformità applicativa che supera la tradizionale separazione tra urbanizzato e non urbanizzato e consente la rigenerazione anche nei contesti rurali consolidati.
Sul piano sistematico, l’art. 33-quater — nella versione modificata dalla L.R. 5/2024 — integra anche il contenuto dell’art. 6-bis L.R. 19/2009, disposizione cardine della liberalizzazione dei mutamenti di destinazione d’uso. Quest’ultima norma, infatti, consente la conversione degli immobili esistenti per esigenze abitative, familiari o funzionali del proprietario, indipendentemente dalla zona urbanistica di riferimento, purché in assenza di vincoli sovraordinati. La fusione dei due sistemi (33-quater e 6-bis) determina un impianto legislativo coerente e profondamente innovativo: gli edifici in zona agricola non solo possono essere recuperati, ampliati e ricostruiti con premi volumetrici, ma possono anche mutare destinazione d’uso a residenziale senza restrizioni.
In definitiva, l’evoluzione normativa che dalla L.R. 13/2022 conduce alla Legge Regionale n. 5 del 29.04.2024
“Modifiche alla legge regionale 22 dicembre 2004, n. 16 recante Norme sul Governo del territorio” e al vigente art. 33-quater L.R. 16/2004 segna il passaggio da un modello di pianificazione basato sul controllo della crescita edilizia a un modello di rigenerazione diffusa, in cui la ristrutturazione edilizia — anche con demolizione e ricostruzione, anche con modifica di sagoma, anche in zona agricola — diventa il principale strumento di recupero del patrimonio costruito e di contenimento del consumo di suolo. Il sistema attuale non solo recepisce i principi nazionali di semplificazione (art. 2-bis D.P.R. 380/2001) e ampliamento della ristrutturazione (D.L. 69/2013), ma li estende ben oltre, ponendo la Campania come laboratorio normativo avanzato nella direzione della rigenerazione sostenibile, della flessibilità edilizia e della coerenza con le politiche europee della “Renovation Wave”. Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale ricostruito, può affermarsi con chiarezza che la ristrutturazione edilizia rappresenta oggi la categoria edilizia più ampia e flessibile dell’intero ordinamento, capace di ricomprendere non solo il recupero degli edifici esistenti, ma anche la completa ricostruzione di manufatti crollati o demoliti, purché sia possibile accertarne con sufficiente attendibilità la consistenza originaria. Tale principio, cristallizzato nella formulazione dell’art. 3, comma 1, lett. d), del DPR 380/2001a seguito della riforma introdotta dalD.L. 69/2013 , ha definitivamente superato l’antico dogma della continuità fisica e temporale tra demolizione e ricostruzione: non occorre più che l’edificio preesista materialmente, ma solo che ne sia documentabile la volumetria legittima. La ristrutturazione edilizia, pertanto, non solo è possibile su fabbricati crollati, ma proprio il recupero dei ruderi costituisce uno degli ambiti in cui l’istituto raggiunge la sua massima espressività, come confermato da Cons. Stato, IV, n. 2857/2025.
Parallelamente, la disciplina non pone alcuna limitazione legata alla zonizzazione urbanistica: anche in zona agricola (zone E), la ristrutturazione è pienamente ammissibile e può essere accompagnata da ampliamenti volumetrici in applicazione del Piano Casa, come previsto dall’art. 33-quater della L.R. Campania 16/2004 e come costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza. L’unico vero parametro da rispettare non è più la sagoma preesistente, né la fedeltà al sedime originario, ma l’ingombro volumetrico complessivo, fermo restando che la volumetria aggiuntiva consentita dalla legislazione regionale può legittimamente alterare sagoma, profilo e conformazione planivolumetrica dell’edificio, senza che ciò comporti il passaggio nella categoria della nuova costruzione.
Questa impostazione è oggi consolidata anche grazie al ruolo evolutivo dell’art. 2-bis del DPR 380/2001, introdotto dall’art. 17, comma 1, lett. d), della L. 164/2014 e successivamente modificato dal D.L. 76/2020 . Tale articolo — vero cardine delle politiche di rigenerazione urbana — ha affermato che«le disposizioni dei regolamenti edilizi e degli strumenti urbanistici devono essere interpretate e applicate in modo da consentire la massima semplificazione degli interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente, in conformità ai principi di proporzionalità e ragionevolezza», e soprattutto ha introdotto il principio per cui«gli interventi di ristrutturazione edilizia possono comportare modifiche della sagoma, del sedime e della volumetria quando necessari per esigenze tecnico-costruttive o di adeguamento sismico ed energetico» .
È proprio questa norma che ha aperto la strada al definitivo abbandono del criterio tradizionale della sagoma quale limite invalicabile, anticipando il principio della “neutralità morfologica” codificato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 8542/2025. Ne deriva che la ristrutturazione edilizia può oggi comprendere ricostruzioni con sagoma modificata, con assetto progettuale completamente rinnovato e persino con sedime parzialmente diverso, purché sia preservata la volumetria preesistente — salvo i casi, come in Campania, in cui la legge regionale consente esplicitamente incrementi volumetrici premiali.
In conclusione, l’istituto della ristrutturazione edilizia ha ormai assunto carattere espansivo: è consentito sugli edifici crollati, è praticabile in zona agricola anche con ampliamenti, può includere modifiche di sagoma e sedime, ed è pienamente compatibile con gli incentivi regionali alla rigenerazione.
La combinazione tra art. 3 e art. 2-bis del DPR 380/2001 , le aperture interpretative della giurisprudenza più recente e gli strumenti regionali come il Piano Casa fanno della ristrutturazione edilizia non solo una categoria edilizia, ma la vera infrastruttura normativa della rigenerazione del patrimonio costruito nel territorio italiano contemporaneo.
----------------------------------------------------------------------------
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6332 del 2024, proposto da
Elisabetta Bentivoglio, rappresentata e difesa dall'avvocato Massimiliano Musio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
contro
Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Comune di Castrignano del Capo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Pedone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia.
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 847 del 2024.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e del Comune di Castrignano del Capo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2025 il Cons. Maurizio Santise e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente giudizio ha ad oggetto l’impugnazione da parte della sig.ra Bentivoglio del provvedimento prot. n. 15567 del 23 ottobre 2023, emesso dal Dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale - Settore IV- Urbanistica ed Assetto del Territorio del Comune di Castrignano del Capo, con cui è stata respinta l’istanza dell’appellante volta ad ottenere il rilascio del permesso di costruire relativo ai lavori di “risanamento conservativo, abbattimento barriere architettoniche e recupero
funzionale masseria Balsamo- Leuca”, interessanti l’immobile di proprietà della medesima, sito nel Comune di Castrignano del Capo.
Il T.a.r., con sentenza n. 847 del 2024, ha respinto il ricorso.
La ricorrente ha dunque impugnato la sentenza del T.a.r., deducendo i seguenti motivi di appello:
I. Eccesso di potere per erronea presupposizione in fatto e in diritto. violazione ed erronea applicazione art. 30 co. 6 d.l. n. 69/2013. art. 3 co. 1 lett d) dpr n. 380/2001. Carenza istruttoria e motivazionale;
II. Eccesso di potere per erronea presupposizione in diritto, illogicità manifesta, carenza di istruttoria e di analisi;
III. Eccesso di potere per illogicità manifesta sotto altro profilo, carenza di istruttoria sotto altro profilo;
IV. Eccesso di potere per illogicità manifesta sotto altro profilo, carenza istruttoria sotto altro profilo.
Il Ministero della Cultura e il Comune di Castrignano del Capo si sono costituiti regolarmente in giudizio, contestando l’avverso appello e chiedendone il rigetto.
Alla pubblica udienza del 16 gennaio 2025 la causa è stata trattenuta in decisione.
2. Oggetto del presente giudizio è rappresentato dalla contestazione dei presupposti giuridici affinché possa configurarsi la nozione di ristrutturazione edilizia, come prevista dall’art. 3 co. 1 lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001, modificato dall’art. 30 co. 1 lett a) del d.l. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla l. 9 agosto 2013, n. 98, secondo cui “Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
Secondo un orientamento giurisprudenziale, che ha ispirato il provvedimento del Comune e al quale si è attenuto anche il T.a.r. nell’impugnata sentenza, l’art. 30 del d.l. n. 69 del 2013, in quanto norma irretroattiva, si applica per il futuro “se in ed in quanto i fatti presupposti si siano inverati, tutti, nel vigore delle nuove disposizioni. Di conseguenza, deve ritenersi che solo in relazione ad edifici crollati o demoliti in epoca successiva alla entrata in vigore della legge n. 98/2013, di conversione del D.L. n. 69/2013, sarebbe possibile che ne sia assentita la ricostruzione (non contestuale) come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 380/2001, come modificato dall’art. 30, comma 1, lett. a) del D.L. n. 69/2013” (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 616 dell’8 gennaio 2023).
3. Ritiene invero la Sezione che la riferita impostazione ermeneutica non possa essere condivisa, in quanto l’art. 30 del d.l. n. 69 del 2013 (che ha modificato l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380 del 2001) non si applica necessariamente agli edifici crollati o demoliti in epoca successiva alla entrata in vigore della norma.
Come precisato anche dalla Corte di Cassazione (cfr. Sezioni Unite 28 gennaio 2021, n. 2061) la “retroattività normativa, infatti, è da apprezzarsi come sussistente allorquando una disposizione di legge introduca, sulla base di una nuova qualificazione giuridica di fatti e rapporti già assoggettati all'imperio di una legge precedente, una nuova disciplina degli effetti che si sono già esauriti sotto la legge precedente, ovvero una nuova disciplina di tutti gli effetti di un rapporto posto in essere prima dell'entrata in vigore della nuova norma, senza distinzione tra effetti verificatisi anteriormente o posteriormente alla nuova disposizione, pur essendo possibile separare ontologicamente gli uni dagli altri e non sussistendo tra i medesimi un rapporto di inerenza o dipendenza. Non è dato, invece, ravvisare la retroattività di una norma allorché essa disciplini status, situazioni e rapporti che, pur costituendo lato sensu effetti di un pregresso fatto generatore (previsti e considerati nel quadro di una diversa normazione), siano distinti ontologicamente e funzionalmente (indipendentemente dal loro collegamento con detto fatto generatore), in quanto suscettibili di una nuova regolamentazione mediante l'esercizio di poteri e facoltà non consumati sotto la precedente disciplina”.
Nel caso di specie, la norma è intervenuta sulla qualificazione di un intervento edilizio, quello di ristrutturazione edilizia, applicabile a tutte le condotte, facoltà e poteri che non si sono ancora consumati integralmente sotto la precedente disciplina.
Ne consegue che la norma si applicherà sia agli edifici (già) crollati o demoliti alla data di entrata in vigore della norma, sia a quelli crollati o demoliti successivamente all’entrata in vigore della norma medesima, sempre che, dopo l’entrata in vigore di quest’ultima, vengano posti in essere gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Non assume alcun rilievo, ai fini della retroattività della norma, la considerazione che prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 69 del 2013, la ristrutturazione edilizia presupponeva una particolare relazione di continuità tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla ristrutturazione, in maniera tale che le due operazioni, cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto.
La circostanza che l’art. 30, comma 1, lett. a) del d.l. n. 69 del 2013 abbia inciso sul requisito della continuità tra crollo/demolizione e ripristino, anche consentendo di realizzare, come ristrutturazione edilizia “gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”, cioè quegli interventi in cui la ricostruzione/ripristino non è necessariamente già programmata al momento in cui l’edificio preesistente viene demolito o crolla, non impedisce di applicare la citata norma anche agli edifici già crollati o demoliti al momento dell’entrata in vigore della norma medesima.
4. La ristrutturazione edilizia riguarda, infatti, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e tra questi interventi si annoverano anche quelli di ripristino di un edificio attraverso la sua ricostruzione, indipendentemente dalla circostanza temporale, irrilevante ai fini dell’applicazione della norma, che l’edificio non sia ancora crollato al momento della entrata in vigore della norma medesima.
Ciò che conta è che l’intervento di ripristino dell’edificio avvenga dopo l’entrata in vigore della norma, restando irrilevante la circostanza che riguardi edifici “eventualmente [già] crollati o demoliti”. L’utilizzo dell’avverbio “eventualmente” conferma che il crollo o la demolizione dell’edificio possono anche essere già avvenuti al momento dell’entrata in vigore della norma, ma tale aspetto non rappresenta un profilo dirimente per l’operatività della nuova nozione di ristrutturazione edilizia.
La ratio dell’intervento normativo del 2013 è, del resto, quella di allargare l’ambito applicativo della nozione di ristrutturazione edilizia, ricomprendendovi tutti gli interventi di ripristino di edifici o parti di essi:
a) già crollati o demoliti all’atto dell’entrata in vigore della norma;
b) crollati o demoliti successivamente all’entrata in vigore della norma;
c) non necessariamente crollati o demoliti.
5. Peraltro, l’elemento che distingue la ristrutturazione edilizia dalla nuova costruzione è la preesistenza del manufatto e la possibilità di pervenire ad un organismo in tutto o in parte diverso da ciò che già esiste, elementi che sussistono anche in relazione agli edifici crollati o demoliti prima dell’entrata in vigore della norma, purché, come precisa la norma, sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
L’essenza della nozione di ristrutturazione edilizia è che l’intervento deve agire sull’edificio preesistente al fine di dare continuità all’immobile pregresso, crollato o demolito. In altre parole la ristrutturazione edilizia non può mai prescindere dall’obiettivo di recupero del singolo immobile che ne costituisce oggetto. Anche la giurisprudenza amministrativa, nel definire il concetto di ristrutturazione edilizia, ha costantemente ribadito che gli interventi descritti dall'art. 3, lettera d) devono iscriversi pur sempre in un'attività di recupero sul patrimonio edilizio "esistente", il cui limite è segnato appunto dalla preesistenza di un manufatto da ristrutturare o risanare, ossia di un "organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura" (Cons. Stato, Sez. II, 15 dicembre 2020, n. 8035). La finalità "conservativa" sottesa al concetto di ristrutturazione postula, pertanto, la possibilità di individuazione del manufatto preesistente come identità strutturale, già presente nella realtà materiale quale specifica entità urbanistico- edilizia esistente nella attualità. Deve, cioè, trattarsi di un manufatto che, a prescindere dalla circostanza che sia abitato o abitabile, possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 24 ottobre 2020, n. 6455). Solo nella nuova costruzione vi è, quindi, un quid novi rappresentato da un manufatto dapprima non esistente. Sempre di nuova costruzione e non di ristrutturazione si dovrà parlare qualora la ricostruzione di un intero fabbricato, diruto da lungo tempo e del quale residuavano, al momento della presentazione dell'istanza del privato, solo piccole frazioni dei muri, di per sé inidonee a definire l'esatta volumetria della preesistenza, in quanto l'effetto ricostruttivo così perseguito mira non a conservare o, se del caso, a consolidare un edificio comunque definito nelle sue dimensioni, né alla sua demolizione e fedele ricostruzione, bensì a realizzarne uno del tutto nuovo e diverso. In buona sostanza, il rilascio di un titolo edilizio per procedere alla ristrutturazione è subordinato alla possibilità di individuare, in maniera pressoché certa, l'esatta cubatura e sagoma d'ingombro del fabbricato su cui intervenire; solo se è chiara la base di partenza, è possibile discutere l'entità e la qualità delle modifiche apportabili (Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 2000, n. 1906).
6. La diversa ricostruzione sposata dal T.a.r. si presterebbe, peraltro, ad un giudizio di irragionevolezza, perché tratterebbe situazioni sostanzialmente sovrapponibili in maniera differente: a edifici crollati prima dell’entrata in vigore della norma non potrebbe applicarsi la disciplina introdotta nel 2013, che riguarda proprio le ipotesi di ristrutturazione edilizia di edifici crollati o demoliti. Irragionevolezza che sarebbe ancora più evidente qualora si trattassero in maniera differente gli interventi di ripristino di edifici crollati a ridosso dell’entrata in vigore della norma e edifici crollati poco dopo.
7. Nel caso di specie, il Comune ha erroneamente respinto l’istanza dell’appellante sulla base della considerazione che la nozione di ristrutturazione edilizia, come modificata nel 2013, non si applicasse agli edifici già crollati o demoliti.
Ne consegue, pertanto, che il primo motivo di appello va accolto.
8. L’accoglimento del primo motivo di appello conduce all’accoglimento anche del III motivo di appello strettamente dipendente dal primo, con cui parte appellante contesta:
(i) il mancato rispetto dell’indice e dei parametri legati alla realizzazione di nuove
costruzioni e nello specifico (come chiarito nel preavviso di diniego) alla incapienza
volumetrica del lotto, rispetto alla cubatura espressa dalla parte di immobile oggetto dei
lavori;
(ii) la circostanza che la legge regionale istitutiva del perimetro dell’area parco “Otranto Santa Maria di Leuca”, n. 30/2006, in cui ricade il manufatto, all’art. 4 co. 2 esclude dall’elenco degli
ammessi le “nuove Costruzioni”.
L’aver escluso l’intervento edilizio in argomento dalla categoria della “nuova costruzione” comporta il conseguenziale rigetto del terzo motivo di appello fondato sul presupposto erroneo che l’intervento in questione rappresenta una nuova costruzione.
9. Residua, infine, l’esame del secondo e del quarto motivo di appello.
9.1. Il secondo motivo di appello è fondato perché parte appellante ha dimostrato di aver presentato istanza di autorizzazione paesaggistica per l’intervento richiesto, perché lo stesso è ricadente all’interno dell’area “Parco Otranto Santa Maria di Leuca”. In ogni caso dal provvedimento impugnato non emerge alcun riferimento alla mancata presentazione dell’istanza di autorizzazione paesaggistica.
9.2. E’ fondato anche il quarto motivo di appello con cui parte appellante contesta la sentenza di primo grado (e il provvedimento impugnato) per aver ritenuto sussistente una parziale incompatibilità funzionale, inerente la sola porzione di immobile adibita a piccolo ristoro.
Secondo il T.a.r. “Le NTA per aree agricole tipizzate come zona E1 - verde agricolo produttivo -
quale è l’area di proprietà della ricorrente - consentono solamente interventi funzionali allo svolgimento dell’attività agricola. A nulla rileva, in senso contrario, l’eventuale ed ipotetica assentibilità di singoli interventi per l’evidente considerazione che il progetto edilizio va valutato nella sua interezza e non è scindibile in parti singole e autonome”.
Nel provvedimento impugnato, tuttavia, si riconosce “la congruità con le attività agricole ammissibili nella zona d’intervento della MASSERIA DIDATTICA””, ma si esclude, in maniera illogica e irragionevole, analoga compatibilità per la porzione di immobile adibito a caffetteria che ha una chiara funzione servente dell’attività agricola e didattica che si svolge in masseria.
Proprio la considerazione del giudice di primo grado, secondo cui l’intervento va valutato nella sua interezza, giustifica e legittima il piccolo ristoro che, rapportato alle dimensioni complessive della struttura, appare realmente funzionale all’attività in essa svolta. Tanto è, peraltro, confermato anche dalle ridotte dimensioni (si tratta di una porzione di immobile di 2 vani per una superficie di circa mq 41 mq, a fronte di un progetto che investe complessivamente 8 vani per un totale di mq 269) e dalla finalità ristorativa del piccolo ristoro che non possono essere considerate incompatibili con l’attività agricola e didattica che si svolgerà all’interno della masseria.
Come, peraltro, si legge nella relazione tecnica allegata all’istanza di parte appellante, verrà realizzata “una masseria didattica finalizzata al recupero delle colture vegetazionali minori tipiche del sito ed oggi a rischio di estinzione. Gli ambienti interni, nell’ottica di realizzare un ambente didattico rurale, verrà destinato ai diversi servizi necessari ad accogliere i visitatori del bene e quindi saranno attrezzate sale per conferenze, laboratori didattici, una sala caffetteria e naturalmente i servizi igienici per gli avventori”.
Ne consegue che l’area ristoro, alla luce della specifica finalità per cui è stata progettata la masseria, non può essere considerata incompatibile con le NTA per aree agricole tipizzate come zona E1 verde - agricolo produttivo.
10. L’appello va, pertanto, accolto e la sentenza di primo grado va riformata, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado e annullamento del provvedimento impugnato (prot. n. 15567 del 23 ottobre 2023) emesso dal Comune di Castrignano del Capo.
Le ragioni che hanno condotto alla presente decisione giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza di primo grado, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento prot. n. 15567 del 23 ottobre 2023 emesso dal Comune di Castrignano del Capo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2025 con l'intervento dei magistrati:
Gerardo Mastrandrea, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere
Luca Monteferrante, Consigliere
Maurizio Santise, Consigliere, Estensore




