L’assenza di pianificazione, non solo a Milano
di Massimo GRISANTI


Così scriveva il dott. Filippo Patroni Griffi, oggi giudice costituzionale, nella Circolare n. 1 del 25 gennaio 2013 quando rivestiva la funzione di Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione: “… il concetto di corruzione deve essere inteso in senso lato, come comprensivo delle varie situazioni in cui, nel corso dell’attività amministrativa, si riscontri l’abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al fine di ottenere vantaggi privati …”.
E il concetto di utilità è assai ampio, non necessariamente economico. Nell’epoca in cui i dipendenti pubblici vedono aumentare il loro stipendio, il loro potere, la loro considerazione nella società in cui operano in ragione del conferimento di posizioni di responsabilità più o meno elevate, occorre chiedersi se un processo complesso come quello della pianificazione del territorio e l’applicazione dei relativi strumenti possa rimanere estraneo alle indagini della Magistratura penale.
Perché alla fine di tutte le disamine si torna sempre lì: al territorio e al suo governo. Paolo Borsellino docet: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo”. E l’utilità è sempre stato lo strumento col quale il malaffare corrompe le buone politiche.
Per quanto consta dalle informazioni di stampa, il punctum dolens dell’inchiesta milanese appare essere quello di non aver esteso le indagini al più alto livello amministrativo: regionale e ministeriale. E che questo sia lo sviluppo temuto emerge in contro luce da varie frasi degli intervistati, l’ultima delle quali, in ordine di tempo, quella del neo vice sindaco di Milano Anna Scavuzzo sulle colonne del Corriere della Sera del 25 agosto ultimo scorso: “… D – Alla luce delle inchieste sull’urbanistica, il Modello Milano è da buttare o correggere? R – «Sicuramente abbiamo bisogno di ristabilire una postura di regia pubblica più chiara. Per quanto riguarda il metodo collaborativo, pubblico-privato, credo che non dovremmo fare passi indietro ma correggere alcune dinamiche che hanno portato a storture». D – Ad esempio? R – «Sicuramente occorre un riordino della materia urbanistica. La legge madre risale agli anni Quaranta. Per questo però continuo a ripetere che serve un intervento da Roma. Noi dobbiamo lavorare al nuovo Piano di governo del Territorio, sarà forse difficile arrivare entro la fine del mandato a completare tutto il percorso ma credo sia un impegno su cui non desistere» …”.
Risiedono nella Legge Urbanistica Nazionale, la n. 1150/1942 e nel suo decreto applicativo 1444/1968 sugli standard urbanistici e limiti edilizi, i pericoli per la classe politica nonché il livello essenziale della qualità di vita delle persone che abitano i luoghi.
Dal momento che l’amministrazione comunale di Milano dichiaratamente non vuole fare passi indietro, occorre abrogare/svuotare la LUN, da qui l’aiuto chiesto a Roma, per continuare ad espellere le persone che non possono permettersi il livello di vita che gli organi politici eletti del Comune e della Regione hanno voluto stabilire per un determinato territorio.
Perché tutto si può dire, men che l’attuale situazione di Milano, come di moltissimi altri luoghi di pregio, non sia voluta da chi detiene il potere amministrativo. Ha detto l’Arcivescovo Delpini l’8 agosto ultimo scorso sempre sulle colonne del Corriere della Sera: “… D – Al di là degli aspetti giudiziari, che idea si è fatto delle dinamiche immobiliari milanesi? R – «Non sono in grado di giudicare le scelte urbanistiche e le loro intenzioni, ma propongo una riflessione: quando una cosa promette di essere redditizia, chi ha risorse decide di investire e si aspetta che il suo investimento renda quanto più possibile. Forse la città si è messa sul mercato come “una cosa che promette di essere redditizia”, invece che presentarsi come una comunità in cui potrebbe essere desiderabile abitare. Il criterio del “maggior profitto possibile” può diventare come un idolo intrattabile che diventa sempre più avido e pretende che tutto sia a lui sacrificato: la vita della gente, il suolo, l’ambiente, le relazioni. Già in altre occasioni, in questi anni, ho sottolineato che Milano rischia di diventare una città molto attraente per turisti, uomini di affari, costruttori e fondi di investimento ma poco accessibile alla gente comune e con troppe disuguaglianze. Certo, le questioni sono complesse e le scelte difficili: se la città non attira investimenti, si condanna al declino; se la città attira investimenti dell’idolo avido di guadagnare, si condanna al deserto e alla disperazione» …”.
L’antidoto alla cattive politiche di governo del territorio si trova lì, nell’articolo 41 quinquies LUN e precisamente nelle norme del decreto attuativo interministeriale 1444/1968, rivolto ai Comuni per la formazione degli strumenti urbanistici, e si chiama ANAGRAFE EDILIZIA. Senza la quale non è possibile stabilire l’effettivo fabbisogno di insediamenti privati e pubblici nonché di un sistema pubblico di trasporti per gli spostamenti nelle varie aree territoriali: in parole semplici, l’effettivo rispetto del livello essenziale della qualità della vita degli insediati e insediabili. L’assenza dell’anagrafe edilizia rende impossibile l’approvazione da parte della competente autorità amministrativa regionale a cui la LUN e il d.P.R. 8/1972 di trasferimento delle funzioni demandano il compito di assicurare l’effettivo rispetto dei livelli essenziali della qualità della vita urbana.
Il PGT di Milano è privo dell’ANAGRAFE EDILIZIA, la quale deve comprendere pure i fabbricati abusivi (cfr. Cons. Stato, Ad. plenaria, n. 3/2009). Cosicché il Comune di Milano e la Regione Lombardia non conoscono l’effettivo elemento primario (insediamenti residenziali, commerciali, artigianali, industriali) gravante sul territorio. Inoltre, non avendo dimostrato l’effettiva rispondenza degli spazi pubblici esistenti sussumibili nelle urbanizzazioni primarie (verde e parcheggi) alle prescrizioni del decreto 1444/1968 (il verde deve essere attrezzabile e attrezzato per il gioco e lo sport) e delle norme in materia di circolazione stradale (non costituiscono parcheggi gli stalli ricavati nelle vie pubbliche), anche in ragione dell’assenza dell’anagrafe edilizia non sanno se hanno effettivamente rispettato gli standard della qualità delle vita urbana fissati nel d.m. in parola.
Il Comune di Milano e la Regione Lombardia hanno fatto prima: hanno disapplicato la LUN e il d.m. 1444/1968, tanto che nemmeno si sono preoccupati di suddividere il territorio comunale nelle zone territoriali omogenee A, B, C, D, E prescritte dall’art. 2 decreto in guisa da dimostrare ex articolo 6 l’impossibilità di soddisfare gli standard urbanistici ai fini della successiva approvazione dello strumento urbanistico da parte della Regione (obbligo sempre esistente ex art. 118 Costituzione e in ragione della mai intervenuta abrogazione di tale principio fondamentale contenuto nella LUN, del cui rispetto il Ministero delle Infrastrutture è garante ex art. 9 d.P.R. 8/1972).
Citando Luigi Einaudi, chiedo retoricamente al Sindaco Giuseppe Sala: Come si può deliberare senza conoscere (alias senza anagrafe edilizia)? Non è che se avreste conosciuto, non sarebbe stato possibile far fare le operazioni attenzionate dalla Procura della Repubblica?
È l’omessa applicazione delle norme per la formazione degli strumenti urbanistici contenute nel d.m. 1444/1968 il vulnus di quella condizione sociale in cui versa Milano denunciata dall’Arcivescovo Delpini.
Il Procuratore della Repubblica di Milano dott.ssa Tiziana Siciliano ha affermato in più interviste che loro (i procuratori) andranno avanti perché glielo impone la legge. Bene. A quando il salto delle indagini al livello delle responsabilità amministrative superiori?
Scritto il 29.8.2025