Consiglio di Stato Sez.IV n. 7884 del 1 ottobre 2024
Ambiente in genere.Valutazione impatto ambientale e discrezionalità della pubblica amministrazione
Le scelte effettuate con il giudizio di compatibilità ambientale hanno natura ampiamente discrezionale e sono giustificate alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti. Nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo.
Pubblicato il 01/10/2024
N. 07884/2024REG.PROV.COLL.
N. 05630/2023 REG.RIC.
N. 05665/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA NON DEFINITIVA
sul ricorso numero di registro generale 5630 del 2023, proposto dai signori Antonio Francesco Manunta, Walter Fiscaletti, Valentina Fiscaletti, Orazio Tonelli, Renzo Tronchin e Anna Christine Michel, rappresentati e difesi dall’avvocato Maria Raffaela Mazzi, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
contro
la Provincia di Pesaro, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Maria Beatrice Riminucci, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pasquale De Bellis, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
il Servizio 6-Pianificazione Territoriale-Urbanistica Edilizia Scolastica-Gestione Riserva Naturale Gola del Furlo, Responsabile del Procedimento e Dirigente del Servizio 6 della Provincia di Pesaro e Urbino Arch. Bartoli Maurizio, Servizio 4 – Viabilità Progettazione Opere Pubbliche – Rete Viaria della Provincia di Pesaro e Urbino, Ministero dello Sviluppo Economico, Mise-Responsabile pro tempore Giovanni De Mattei Divisione Xi Ispettorato Territoriale Marche-Umbria-Unità Organizzativa III, Ministero dei Beni Culturali dei Beni e delle Attività Culturali e per il Turismo, Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio delle Marche, Dirigente pro tempore Dipartimento Infrastruttura Territorio e Protezione Civile, Direzione Ambiente e Risorse Idriche, Responsabile del Procedimento Funzionario P.F. Bonifiche Fonti Energetiche Rifiuti Cave e Miniere della Regione Marche, Arpam, Arpam Servizio Territoriale Pesaro Urbino, Dirigente Ambientale pro tempore U.O. Controlli Ispezioni e Pareri Ambientali Dott. Barbara Boccaccino, Azienda Territoriale Sanitaria di Ancona, Azienda Territoriale Sanitaria Pesaro Urbino in persona del Legale Rappresentante pro tempore Già Asur Marche Area Vasta 1, Ministero dell'Interno, Ministero dell'Interno–Dipartimento dei Vigili del Fuoco del Soccorso Pubblico e della Difesa Civile Comando di Pu, Regione Marche Responsabile pro tempore Tutela del Territorio di Pesaro Urbino, Regione Marche Responsabile della P.O. Demanio Pubblico della P.G. Tutela del Territorio di Pesaro Urbino Dott. Tiziana, .Regione Marche Responsabile della P.O. Demanio Pubblico della P.G. Tutela del Territorio di Pesaro Urbino Dott. Fabrizi, Assemblea Territoriale di Ambito dell'Ato 1 Pesaro Urbino, Autorità Distrettuale di Bacino dell'Appennino Centrale Settore Sub Distrettuale per la Regione Marche, Comune di Terre Roveresche, Sindaco pro tempore del Comune di Terre Roveresche in Qualità di Autorità Sanitaria Locale, Comune di Mondavio, Comune di Fratterosa, Mise- Dir. Gen. Attività Territoriali Divisione Xi Ispettorato Territoriale Mrche-Umbria Unita’ Organizzativa Iii, non costituiti in giudizio;
nei confronti
della società Feronia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Storoni, Andrea Zoppini e Giorgio Vercillo, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
sul ricorso numero di registro generale 5665 del 2023, proposto dal Comune di Terre Roveresche (Pu), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Massimo Luciani, Piermassimo Chirulli e Patrizio Ivo D'Andrea, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Massimo Luciani in Roma, largo Tevere Raffaello Sanzio 9;
contro
la Provincia di Pesaro e Urbino, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Beatrice Riminucci, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Pasquale De Bellis, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
il Ministero della Cultura e il Ministero delle imprese e del made in Italy, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
della Società Feronia s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonella Storoni, Andrea Zoppini e Giorgio Vercillo, con domicilio digitale come da pec da registri di giustizia;
dell’Arpam - Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente delle Marche, Asur - Azienda Sanitaria Unica Regione Marche, non costituiti in giudizio;
per la riforma
quanto all’appello n. 5630 del 2023 e all’appello n. 5665 del 2023:
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per le Marche (sezione Prima) n. 238 del 15 aprile 2023, resa tra le parti.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Pesaro, della Regione Marche, del Ministero della Cultura e del Ministero delle Imprese e del made in Italy, nonché della società Feronia s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 febbraio 2024 il consigliere Michele Conforti e uditi per le parti gli avvocati come indicato nel verbale.
FATTO e DIRITTO
I. Il processo innanzi al Consiglio di Stato.
1. Giungono alla decisione del Consiglio di Stato gli appelli proposti dai signori Antonio Francesco Manunta, Renzo Tronchin, Orazio Tonelli, Walter Fiscaletti, Valentina Fiscaletti e Anna Christine Michel (appello n.r.g. 5630/2023), e dal Comune di Terre Roveresche (appello n.r.g. 5665/2023) avverso la sentenza del T.a.r. per le Marche n. 238 del 15 aprile 2023.
2. Il giudizio ha ad oggetto la legittimità del provvedimento unico ambientale regionale n. 752 del 7 luglio 2022, emanato dalla Provincia di Pesaro e Urbino (e degli atti presupposti) che ha autorizzato la realizzazione e la gestione del “progetto definitivo per la realizzazione e l’esercizio di un impianto di trattamento integrato anaerobico di rifiuti non pericolosi per la produzione di biometano ed ammendante compostato misto in loc. CA Rafaneto di Barchi Comune di Terre Roveresche.”, presentato dalla società Feronia s.r.l., da ubicarsi nel territorio del Comune di Terre Roveresche (nel prosieguo, “il Comune”).
II. I fatti rilevanti per la definizione del giudizio.
3. Il progetto autorizzato consiste in un impianto funzionale alla produzione di energia rinnovabile sotto forma di biometano, mediante la frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), per un quantitativo annuo pari a 40.000 ton/anno.
Il biometano non sarà immesso nella rete del gas, ma dovrà essere liquefatto e poi trasportato, mediante automezzi, nei punti di destinazione.
3.1. In data 22 gennaio 2020, la società Feronia s.r.l. (nel prosieguo, la società) ha presentato l’istanza alla Provincia di Pesaro e Urbino (nel prosieguo, anche solo “la Provincia”) per il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico di cui all’art. 27-bis del d.lgs n. 152 del 2006 (nel prosieguo, anche PUAR), per la realizzazione dell’impianto su indicato.
Con la nota prot. 4254 del 06 febbraio 2020, la Provincia ha chiesto alle altre amministrazioni coinvolte di effettuare una prima valutazione del progetto, convocando, a tal fine, un tavolo tecnico in data 13 febbraio 2020.
Con la nota prot. n. 14590 del 26 maggio 2020, la Provincia, a seguito dell’esame preliminare, ha domandato all’impresa proponente il deposito di documentazione integrativa.
Con la nota n. 17451 del 25 giugno 2020, l’impresa ha trasmesso la documentazione e, in data 8 luglio 2020, si è proceduto alla pubblicazione dell’avviso aggiornato.
Il procedimento risulta avviato con la pubblicazione dell’avviso di deposito negli albi pretori on-line della Provincia e del Comune di Terre Roveresche in data 16 luglio 2020 e la comunicazione Prot. n. 19439/2020 del 14 luglio 2020.
Con la nota prot. 28186 del 12 ottobre 2020, la Provincia ha domandato ulteriore documentazione all’impresa, tenuto conto delle osservazioni pervenute durante il periodo di pubblicazione.
Il 9 aprile 2021, dopo aver richiesto la proroga del termine concesso, la società ha prodotto la documentazione richiesta.
Con la nota prot. 12423 del 27 aprile 2021, la Provincia convocava la prima riunione della conferenza di servizi sincrona per il giorno 12 maggio 2022.
In data 5 agosto 2021, la Società trasmetteva ulteriore documentazione integrativa che veniva pubblicata sugli Albi pretori degli Enti.
Il 26 ottobre 2021, la Provincia ha inviato il parere negativo relativamente alla viabilità.
In data 27 ottobre 2021, si teneva la seconda Conferenza dei servizi, all’esito della quale sono pervenuti alcuni pareri e osservazioni di tenore negativo sulla realizzazione del progetto.
Analogamente, anche i Comuni di Terre Roveresche, Mondavio e Fratte Rosse hanno ribadito i pareri negativi già espressi in precedenza.
In data 17 dicembre 2021, 11 gennaio 2022 e 21 gennaio 2022, la Società ha presentato ulteriore documentazione integrativa.
Il 24 gennaio 2022, l’ARPAM ha domandato alcuni approfondimenti sul rilascio del provvedimento di VIA.
Il 26 gennaio 2022, si è svolta la terza riunione della conferenza di servizi, nella quale la Provincia ha dichiarato superate le criticità precedentemente evidenziate, mentre il Comune ha confermato il parere negativo.
Il 17 marzo 2022 e il 31 marzo 2022, la società ha presentato ulteriori integrazioni e chiarimenti.
In data 24 maggio 2022, si è svolta la quarta riunione della conferenza di servizi nella quale l’impresa ha comunicato lo stralcio dell’uso del percolato dal progetto.
Con la nota 24 maggio 2022, prot. n. 17675, il Comune di Terre Roveresche ha formulato le sue osservazioni sulla documentazione integrativa fornita dalla Società.
In data 25 maggio 2022, la società ha integrato la documentazione progettuale, tenendo conto dell’eliminazione dal processo produttivo l’uso del percolato proveniente dalla vicina discarica di Ca’ Rafaneto.
Durante la conferenza di servizi del 15 giugno 2022, la società ha comunicato di aver rivisto il piano di dismissione dell’impianto, effettuando un nuovo computo metrico.
3.2. A conclusione della conferenza di servizi è stata adottata la determinazione provinciale n. 752 del 7 luglio 2022, pubblicata nell’Albo pretorio online della Provincia di Pesaro e Urbino con n. 2022/1095 dall’8 luglio 2022 al 23 luglio 2022, con la quale si è rilasciato il P.a.u.r. all’impresa.
III. Il giudizio innanzi al T.a.r. per le Marche.
4. Avverso il PAUR hanno proposto ricorso per annullamento innanzi al T.a.r. per le Marche sia il Comune di Terre Roveresche (n.r.g. 553/2022), nel cui territorio l’impianto sarà ubicato, sia alcune persone fisiche, dichiaratesi residenti nel Comune, e il Comitato “Cittadino a Difesa del Territorio” (ricorso n.r.g. 558/2022).
4.1. Nel giudizio n.r.g. 553/2022, il Comune di Terre Roveresche ha proposto otto motivi di ricorso, variamente articolati in più censure.
Si sono costituiti in giudizio, la Provincia, la Regione Marche, i Ministeri dell’interno, dello sviluppo economico e la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Ancona e Pesaro e Urbino, nonché la società Feronia s.r.l., per resistere al ricorso con eccezioni di rito e difese di merito.
4.2. Nel giudizio n.r.g. 558/2022, i ricorrenti hanno proposto diciassette motivi di ricorso, variamente articolati in più censure.
Si sono costituiti in giudizio, la Provincia, la Regione Marche, i Ministeri dell’interno, dello sviluppo economico e la Soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Ancona e Pesaro e Urbino, nonché la società Feronia s.r.l., per resistere al ricorso con eccezioni di rito e difese di merito.
4.3. Con la sentenza n. 238/2023, il T.a.r. per le Marche ha:
a) riunito i ricorsi ai sensi dell’art. 70 c.p.a.;
b) ha respinto le eccezioni pregiudiziali proposte dalle parti resistenti;
c) ha esaminato dapprima i motivi di impugnazione formulati dal Comune, respingendoli;
d) ha esaminato successivamente il ricorso proposto dai cittadini del Comune e dal Comitato, respingendoli;
e) ha dichiarato inammissibili per omessa notifica e per tardività le censure articolate dai cittadini del Comune e dal Comitato nella memoria conclusionale del 4 febbraio 2023;
f) ha compensato le spese del giudizio tra le parti.
IV. Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato.
5. I signori Antonio Francesco Manunta, Renzo Tronchin, Orazio Tonelli, Valentina Fiscaletti, Walter Fiscaletti, Anna Christine Michel hanno proposto appello avverso la sentenza del T.a.r. per le Marche, formulando nove motivi di appello (giudizio n.r.g. 5630/2023).
Non ha invece impugnato la sentenza il Comitato “Cittadino a difesa del Territorio”.
Si sono costituiti in giudizio, la Provincia, la Regione e la società, formulando eccezioni pregiudiziali e resistendo all’appello.
5.1. Il Comune di Terre Roveresche ha impugnato la sentenza di primo grado, formulando otto motivi di appello (giudizio n.r.g. 5665/2023).
Si sono costituiti in giudizio, la Provincia, la Regione, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero della cultura, e la società, formulando eccezioni pregiudiziali e resistendo all’appello.
5.2. All’udienza dell’8 febbraio 2024, le cause sono state chiamate per la discussione e sono state trattenute in decisione.
5.3. Va preliminarmente disposta la riunione del giudizio n.r.g. 5630/2023 e del giudizio n.r.g. 5665/2023, ai sensi dell’art. 96 c.p.a., in quanto le due impugnazioni sono state proposte avverso la medesima sentenza.
5.4. Per ragioni di ordine espositivo, il Collegio ritiene di esaminare separatamente le due impugnazioni, iniziando da quella cronologicamente antecedente.
V. Il giudizio n.r.g. 5630/2023, introdotto dal signor Manunta ed altri.
6. Può procedersi alla trattazione del giudizio n.r.g. 5630/2023, seguendo l’ordine logico delle questioni enucleabile dagli articoli 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. ed esaminando, pertanto, le eccezioni pregiudiziali formulate dalle parti appellate e resistenti (Ad. Plen. n. 4 del 2011 e ribadito da Ad. Plen. n. 10 del 2011 e n. 9 del 2014).
6.1. Con la memoria di costituzione in giudizio del 18 luglio 2023, la società Feronia ha eccepito dapprima l’irricevibilità dell’appello e ha poi riproposto ai sensi dell’art. 101 c.p.a. alcune eccezioni che ritiene essere state dichiarate assorbite in primo grado.
Con l’eccezione di irricevibilità, la controinteressata oppone che, dovendosi applicare l’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a., l’appellante non avrebbe rispettato il termine di trenta giorni per la notificazione dell’appello.
6.1.1. L’eccezione è infondata.
6.1.2. L’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a. dispone che sono disciplinate dal rito abbreviato “i provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità e i provvedimenti di espropriazione delle invenzioni adottati ai sensi del codice della proprietà industriale;”.
Il Collegio rileva che l’oggetto principale dell’odierna controversia è costituito dalla domanda di annullamento del P.u.a.r., che autorizza la realizzazione e la gestione di un impianto di produzione di biogas dall’impiego di F.o.r.s.u., e degli atti prodromici a questa autorizzazione. Il giudizio non risulta sussumibile, dunque, nella fattispecie indicata dall’appellata e l’appello risulta, pertanto, tempestivo.
6.2. Con la prima delle eccezioni riproposte, la società deduce l’inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, non essendo stato allegato e provato alcun interesse a ricorrere.
6.2.1. L’eccezione è inammissibile.
6.2.2. Il T.a.r. ha infatti esaminato l’eccezione proposta “dalle parti resistenti in merito alla legittimazione e/o all’interesse a ricorrere”, statuendo che le persone fisiche che si sono tutte opposte alla realizzazione del biodigestore mediante la proposizione del ricorso risiedono “perlomeno alcuni di essi […] nella zona in cui deve essere ubicato l’impianto di Feronia” e potrebbero, perciò, subire le emissioni diffuse “non ultime quelle legate all’incremento del traffico dei veicoli utilizzati per trasportare la F.O.RSU. e il biometano prodotto dal digestore”.
Conseguentemente, per contestare le statuizioni della sentenza di primo grado, la società avrebbe dovuto impugnare il capo della sentenza proponendo appello incidentale.
6.3. Con l’eccezione successiva, la società ha dedotto l’inammissibilità del ricorso di primo grado per difetto di interesse e di legittimazione ad agire, in relazione alla posizione del Comitato.
6.3.1. L’eccezione è inammissibile per difetto di interesse ad agire, non avendo il Comitato proposto appello.
6.4. Di seguito la società ha formulato alcune eccezioni di inammissibilità: del “ricorso di primo grado e dei motivi ivi formulati” per violazione dell’art. 40, comma 1, lett. d.), c.p.a., che richiede la specificità dei motivi di ricorso (§. II.C); dei “motivi del ricorso di primo grado” in quanto “volti a censurare non manifeste illogicità o macroscopici difetti di istruttoria, ma la discrezionalità tecnica e amministrativa della P. A.” (§. II.D); del secondo e del dodicesimo motivo del ricorso di primo grado per genericità della loro formulazione.
6.4.1. Le eccezioni, per come articolate, sono inammissibili.
6.4.2. Il presente giudizio ha ad oggetto l’appello formulato avverso la sentenza di primo grado e, dunque, ai sensi dell’art. 101, il Collegio dovrà, anche d’ufficio, valutare l’ammissibilità dei motivi di appello, secondo il parametro di “specificità” posto dalla norma, mentre la specificità dei motivi di ricorso di primo grado assumerà un rilievo soltanto eventuale e indiretto, non potendo l’appellante colmare l’eventuale genericità delle censure formulate innanzi al T.a.r., ampliando il thema decidendum, ai sensi dell’art. 104 c.p.a..
L’eccezione, in quanto finalizzata a sollecitare un esame diretto dei motivi del ricorso introduttivo del giudizio, oggetto del processo di primo grado, e non dei motivi di appello, risulta pertanto inammissibile.
6.5. Con la memoria dell’8 gennaio 2024, la Provincia di Pesaro ha eccepito che gli appellanti non avrebbero indicato “il titolo che li legittimerebbe alla proposizione dell’azione, riferendosi frettolosamente al criterio della vicinitas (“residenti vicini all’impianto”), senza null’altro specificare e dimostrare”. Si evidenzia che il T.a.r. avrebbe pronunciato soltanto sull’aspetto relativo alla legittimazione ad agire e non sull’interesse ad agire.
6.5.1. L’eccezione è inammissibile per le medesime motivazioni che sono state esposte a sostegno del rigetto dell’eccezione formulata dalla società al §. 6.2.2., alle quali si rinvia ai sensi dell’art. 3 c.p.a., per ragioni di sinteticità, non risultando fondato che il T.a.r. si sia pronunciato soltanto sui profili relativi alla legittimazione ad agire, come invece affermato dalla Provincia.
7. Esaurita la disamina delle eccezioni pregiudiziali, può procedersi all’esame dei motivi di appello, iniziando dal primo motivo.
Con il primo motivo di appello, gli appellanti impugnano il capo della sentenza che ha respinto il secondo motivo di ricorso, formulato, secondo quanto scritto dall’appellante, “per violazione degli articoli 23, 27-bis e 29 del d.lgs. n. 152/2003 (sic)”.
Con la prima censura (estesa da pagina 24 a pagina 30), gli appellanti si dolgono che la sentenza non avrebbe considerato che la rinuncia all’uso del percolato nel processo produttivo costituirebbe una “modifica sostanziale” ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. l-bis), d.lgs. n. 152/2006, e avrebbe dovuto comportare la nuova valutazione del progetto e la nuova pubblicazione.
Con la seconda censura (estesa da pagina 30 a pagina 33), si impugna la sentenza di primo grado per non aver dichiarato il difetto di istruttoria degli atti impugnati, relativamente al deficit idrico di cui soffrirebbe l’impianto a causa della modifica progettuale consistente nella rinuncia all’impiego del percolato nel processo produttivo.
Con la terza censura (estesa da pagina 33 a pagina 35) si insiste sulla deduzione relativa al difetto di istruttoria relativamente all’aspetto dell’approvvigionamento idrico, evidenziandosi che i dati riportati nei vari progetti approvati non sarebbero aggiornati e non avrebbero tenuto conto della modifica progettuale.
Si lamenta che “con il venir meno del percolato i conti della copertura dei fabbisogni idrici dell’impianto non tornano”, sarebbe stata “autorizzata la realizzazione di un impianto senza che lo stesso abbia congruamente dimostrato l’autosufficienza dei bisogni idrici, in area priva di rete idrica…” e non si sarebbe neppure tenuto conto dei problemi di siccità che affliggono la Provincia di Pesaro e Urbino.
Con la quarta censura (estesa da pagina 35 a pagina 39), gli appellanti deducono l’erroneità della sentenza per aver statuito che non costituirebbe motivo di illegittimità la circostanza che fra gli elaborati progettuali dichiarati approvati e autorizzati dal PAUR ve ne sarebbero alcuni che implicherebbero ancora l’impiego del percolato nel processo produttivo.
7.1. Il primo motivo di appello è infondato.
7.1.1. Si procede all’esame della prima, della seconda, della terza e della quarta censura articolate con il primo motivo di appello, in ragione della loro connessione logica e in quanto le censure in esame devono essere dichiarate inammissibili nei limiti che si vanno ad indicare.
7.1.2. Si premette che “Nell’ambito di un giudizio amministrativo d'appello la parte processuale non può introdurre nuove domande processuali, caratterizzate da un nuovo o mutato petitum oppure da una nuova o mutata causa petendi che determinino una nuova o mutata richiesta giudiziale ovvero nuovi o mutati fatti costitutivi della pretesa azionata” (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2020, n. 714).
In applicazione del principio di diritto richiamato, va dichiarata l’inammissibilità di parte della prima censura, della seconda censura e della terza censura del primo motivo di appello che realizzano, in violazione dell’art. 104, comma 1, c.p.a. un inammissibile ampliamento del thema decidendum nella parte in cui allegano una serie di deduzioni relative all’approvvigionamento idrico, esponendo dati relativi a questo aspetto, che non risultano, però, essere stati allegati con l’equivalente censura di primo grado.
7.1.3. Per motivazioni in parte analoghe e parte differenti, va dichiarata l’inammissibilità della quarta censura.
In primo grado, gli odierni appellanti si sono limitati a stigmatizzare la discrasia fra gli elaborati “datati marzo 2022” e il P.u.a.r., lamentandosi, in particolare, da un lato, che “la Valutazione di impatto ambientale non è stata in alcun modo allineata alla modifica del progetto” e, dall’altro, che con “il PAUR è stato approvato un progetto diverso da quello voluto e non più attuale”, senza invece evidenziare quei profili di incidenza sostanziale messi in risalto soltanto con l’appello e, dunque, nel presente giudizio. Va affermata, pertanto, l’inammissibilità dei nuovi profili di censura allegati soltanto nel presente grado del giudizio.
Con la censura in esame, gli appellanti insistono, inoltre, sulla circostanza che il progetto sarebbe stato esaminato senza tenere conto della modifica relativa all’uso del percolato e all’incidenza sull’apporto idrico, e che si sarebbe autorizzato un progetto “diverso da quello emerso in conferenza dei servizi e contrario al parere negativo espresso da ARPAM”.
Va però rilevato che la rimanente parte della quarta censura consiste nella mera riproposizione della doglianza già esaminata e respinta dal T.a.r., che ha dichiarato, da un lato, che alcune incongruenze dipenderebbero dalle prescrizioni imposte dalle varie autorità competenti e, dall’altro, che il mancato aggiornamento degli elaborati progettuali costituirebbe un “modus procedendi” legittimo.
Su queste statuizioni della sentenza appellata, gli appellanti non formulano dunque alcuno “specifico” motivo di impugnazione, come richiesto dall’art. 101 c.p.a. (Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2021 n. 2698).
7.2. All’esito della declaratoria di inammissibilità, risulta pertanto ammissibile soltanto la prima censura del primo motivo di appello, limitatamente alla parte in cui deduce che le modifiche progettuali apportate in corso di procedimento avrebbero dovuto comportare la ripubblicazione e la rinnovazione del progetto.
7.2.1. La censura così perimetrata è tuttavia infondata.
7.2.2. L’art. 5, comma 1, lett. l-bis, del d.lgs. n. 152/2006, a cui fanno espresso riferimento gli appellanti sia nel ricorso introduttivo del giudizio che nella prima censura del primo motivo di appello, dispone che si definisce: “modifica sostanziale di un progetto, opera o di un impianto: la variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto, dell'opera o dell'infrastruttura o del progetto che, secondo l'autorità competente, producano effetti negativi e significativi sull'ambiente o sulla salute umana. In particolare, con riferimento alla disciplina dell'autorizzazione integrata ambientale, per ciascuna attività per la quale l'allegato VIII indica valori di soglia, è sostanziale una modifica all'installazione che dia luogo ad un incremento del valore di una delle grandezze, oggetto della soglia, pari o superiore al valore della soglia stessa”.
7.2.3. Affinché si possa qualificare una modifica come “sostanziale”, secondo il paradigma normativo indicato dagli appellanti quale parametro della (il)legittimità del P.u.a.r. (e degli atti prodromici), risulta necessario che la “variazione delle caratteristiche o del funzionamento ovvero un potenziamento dell'impianto” produca “effetti negativi e significativi sull'ambiente o sulla salute umana”.
7.2.3. Nel caso di specie, la V.i.a. ha dato atto della rinuncia al recupero del percolato proveniente dalla discarica di Cà Rafaneto (pag. 31 del parere di V.i.a.) e ha parimenti esaminato gli aspetti relativi al fabbisogno idrico (pag. 33 e 35 del parere di V.i.a.).
Quanto alla rinuncia al percolato, l’autorità competente non ha valutato che la modifica consistente nel mancato impiego del percolato nel processo produttivo determinasse impatti incidenti in maniera “negativa” e “significativa” sull’ambiente.
Quanto al fabbisogno idrico, l’autorità competente ha valutato che l’acqua contenuta nell’invaso che raccoglie le acque meteoriche dei piazzali sia sufficiente a soddisfare quanto necessario al ciclo produttivo, prescrivendo soltanto il monitoraggio settimanale del livello idrico dell’invaso utilizzato come riserva.
Gli appellanti, dal canto loro, si sono limitati a generiche affermazioni e non hanno compiutamente articolato alcuna censura e prova della sussistenza di impatti negativi e significativi scaturenti dalla modifica progettuale, benché questo onere incombesse su di loro (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2022, n. 5670, §. 12, laddove il principio è affermato con particolare riferimento all’imposizione delle prescrizioni ambientali).
7.2.4. La prima censura del primo motivo di appello, nella parte in cui è ammissibile, è dunque infondata e va respinta.
8. Con il secondo motivo di appello, gli appellanti impugnano il capo della sentenza che ha respinto il quinto motivo di ricorso, dove si è censurata l’illegittimità della V.i.a. relativamente alla valutazione delle “opzioni alternative e della opzione zero”.
Con la prima censura (estesa da pagina 39 a pagina 43), la società deduce che, in ragione della rinuncia all’impiego del percolato, sarebbe venuto meno “una delle principali, se non l’unica ragione della localizzazione dell’impianto in quest’area”. Questa circostanza non sarebbe stata accertata dalla sentenza impugnata che sarebbe incorsa, pertanto, in un errore di giudizio, in punto di illogicità e difetto di motivazione.
Analoghe considerazioni vengono svolte dagli appellanti con riferimento all’impegno della società proponente di realizzare il “capping” della discarica di Ca’ Rafaneto.
Con la seconda censura (estesa da pagina 43 a pagina 45), gli appellanti si dolgono della violazione dell’art. 216 del r.d. n. 1265/1934, che prevedrebbe, in capo al Sindaco del Comune, “un potere generale di vigilanza sulle industrie insalubri pericolose – come quella di specie – che può concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell’attività, volti a prevenire a tutela dell’igiene e della salute pubblica, situazione di inquinamento”.
Si evidenzia che la Provincia non avrebbe considerato “l’alternativa tecnologica” indicata dal Sindaco del Comune e consistente nell’eliminazione “della fase di liquefazione del gas con conseguente immissione in rete del gas prodotto”.
Con la terza censura (estesa da pagina 45 a pagina 46), gli appellanti, pur espressamente affermando che il capo della sentenza non è richiamato “a sostegno della reiezione del motivo di ricorso de quo”, censurano il punto della motivazione nel quale si dichiara l’idoneità dell’area prescelta per la localizzazione dell’impianto, evidenziando, di contro, che si tratterebbe di una scelta che viola i criteri dettati dal Piano regionale di gestione dei rifiuti sul “risparmio di suolo”, sul “riutilizzo e la riqualificazione di aree degradate e/o dismesse” e “senza contare che lo stesso paragrafo § 12.6 del PRGR Marche del 2015 introduce anche un ulteriore criterio per la localizzazione degli impianti diretto proprio ad evitare che in uno stesso territorio comunale vengano insediati a più riprese diversi impianti di smaltimento o trattamento dei rifiuti”.
Con la quarta censura (formulata a pagina 47), gli appellanti si dolgono del punto della motivazione ove il T.a.r. ha accertato che nella medesima porzione del territorio comunale dove dovrebbe sorgere l’impianto, il Comune di Terre Roveresche ha localizzato un impianto di biodigestione della FORSU, ritenendo pertanto tale pozione del territorio comunale idonea ad ospitare questi impianti.
Gli appellanti evidenziano in proposito che “la sentenza è viziata per errore avendo il Comune di Terre Roveresche previsto il piccolo biodigestore la cui capacità è limitata all’esigenze comunali, vicino al centro di raccolta attivo e dunque in sinergia con quello ( la discarica viceversa è inattiva ed in fase di ricomposizione ambientale) e ubicato in zona urbanistica-mente idonea, ovvero in area industriale, dove secondo le previsioni del PRG vigente, possono essere insediate gli impianti nocivi, e non in zona agricola dove, viceversa, sono vietati”.
8.1. Il secondo motivo di appello è infondato.
8.1.1. Relativamente alla prima censura, si evidenzia che la censura è infondata in fatto.
Diversamente da quanto sostenuto dagli appellanti, nel valutare l’alternativa localizzativa, il parere di V.i.a. evidenzia gli svantaggi collegati ad altre localizzazioni, affermando che è difficoltoso rinvenire nel territorio provinciale “l’estensione territoriale necessaria al progetto” e rilevando che altri siti implicano “la maggiore vicinanza a recettori sensibili agli impatti legati alle emissioni sonore ed odorigene rispetto alla localizzazione proposta”.
Soltanto in aggiunta a queste considerazioni (“inoltre”) e in via del tutto potenziale (“prevedere un possibile recupero”) viene contemplato il vantaggio derivante dal recupero del percolato e del biogas della discarica di Ca’ Rafaneto, mentre non viene per nulla valutato quale elemento significativo della scelta localizzativa l’offerta di realizzare il “capping” della vicina discarica (cfr. pagina 21 della V.i.a.).
8.1.2. Relativamente alla seconda censura, il Collegio evidenzia che la statuizione di rigetto del T.a.r. è in linea con l’orientamento di questo Consiglio (richiamato anche nel documento di A.i.a. del 7 luglio 2022, confluito nel P.u.a.r.), il quale ha affermato, all’esito di un’articolata ricostruzione, che il quadro normativo, composto dall’insieme degli articoli 29-quater del d.lgs. n. 152/2006, 216 e 217 del r.d. n. 1265/1934 e 14-quater legge n. 241/1990, “…non consente logicamente di ipotizzare come ancora applicabile un potere inibitorio del Sindaco, ammettendo solo eventuali poteri di richiedere prescrizioni e il riesame successivo dell’A.I.A. in caso di sopravvenienze e di emissioni ritenute insalubri che si discostino dai valori e dai parametri approvati.” (Cons. Stato, sez. I, 25 settembre 2019 n. 2534).
Nell’ambito del procedimento scrutinato, il Sindaco del Comune di Terre Roveresche, a dispetto del nomen juris attribuito ai suoi apporti procedimentali, non si è limitato a fornire prescrizioni ai sensi dell’art. 216 del r.d. n. 1265/1934, bensì ha testualmente espresso un “dissenso qualificato al rilascio dell’Autorizzazione Integrata Ambientale”, enunciandone i motivi e rendendosi disponibile ad un riesame del “dissenso” alle condizioni poi elencate. Queste “condizioni” non possono considerarsi prescrizioni ai sensi del richiamato art. 216 r.d., in quanto non sono finalizzate a “condizionare” la realizzazione dell’opera o la gestione dell’attività, ma costituiscono veri e propri presupposti, ulteriori a quelli di legge, a cui si subordina l’emanazione dell’assenso comunale all’eventuale rilascio del provvedimento di autorizzazione dell’opera, potere di cui il Sindaco non dispone.
Non rileva, invece, il precedente di questo Consiglio invocato dal Comune (Cons. Stato, sez. II, 11 maggio 2020 n. 2964), in quanto nella vicenda amministrativa decisa da quel giudizio (da come ricostruita nella sentenza), si evince che l’apporto del Sindaco del Comune coinvolto – peraltro espressamente qualificato come avente natura “consultiva ed endoprocedimentale” – si è inserito nell’ambito di un’istruttoria procedimentale in cui tutte le amministrazioni coinvolte, comprese quelle competenti ad esprimere gli apporti di natura tecnica e specialistica (in quella controversia, A.s.l. e A.r.p.a.v.), hanno espresso pareri o manifestato una volontà contraria alla realizzazione dell’opera.
8.1.3. Relativamente alla terza e alla quarta censura, esse sono inammissibili in quanto irrilevanti rispetto al capo della sentenza che ha respinto il quinto motivo di ricorso di primo grado, riproposto con il motivo di appello in esame.
Inoltre, la doglianza articolata nella terza censura risulta nuova rispetto a quelle articolate nel ricorso introduttivo del giudizio e, dunque, inammissibile anche per violazione dell’art. 104 c.p.a.
Quanto alle doglianze della quarta censura, gli appellanti non ne chiariscono l’incidenza rispetto al giudizio di legittimità del provvedimento e degli atti impugnati.
9. Con il terzo motivo di appello, gli appellanti impugnano il capo della sentenza che ha respinto il decimo motivo di ricorso di primo grado, articolando distinte censure.
Con la prima censura (estesa da pagina 48 a pagina 49), si impugna la sentenza del T.a.r. per aver affermato che sarebbe “del tutto normale che in presenza di vincoli il proponente “ritagli” il progetto in modo che l’impianto ricada al di fuori delle aree inedificabili ed in questo senso non può valere una sorta di proprietà transitiva, tale per cui anche le aree limitrofe a quelle vincolate siano di fatto assoggettate al medesimo regime: se così fosse, non avrebbe senso alcuno la perimetrazione delle aree vincolate”.
A tale riguardo, gli appellanti deducono che, in origine, l’opera avrebbe dovuto essere ubicata anche nell’area che il Piano per l’assetto idrogeologico (nel prosieguo, P.a.i.) aveva qualificato come “P3- a rischio elevato”, mentre, successivamente al rilievo di questa circostanza nel corso dell’istruttoria, l’impresa “ha proceduto a ritagliare in maniera chirurgica il progetto facendo coincidere il fabbricato con la linea della perimetrazione”.
L’istruttoria sarebbe viziata in quanto non avrebbe però tenuto conto che “l’opera continua a ricadere sul confine con la contigua area classificata P3 a rischio elevato” e questo avrebbe implicato, secondo la relazione tecnica di parte depositata in primo grado, che si prevedesse una fascia di rispetto dall’area a rischio elevato.
9.1. Relativamente alla censura in esame, il Collegio ritiene che per la decisione della censura dedotta da parte appellante si rende necessario lo svolgimento di una verificazione, secondo quanto disposto al §. 28 della presente sentenza.
9.2. Con la seconda censura (formulata a pagina 49), gli appellanti impugnano la sentenza per aver dichiarato legittima l’applicazione dell’art. 12 delle n.t.a. del P.a.i., in luogo dell’art. 13 delle n.t.a. del P.a.i., come è stato dedotto nella relativa censura di primo grado.
Si deduce, criticamente, che: “Nel caso di specie invero l’opera non è conforme al PRG e necessita di Variante. La Regione Marche richiamando il parere della Autorità di Bacino emesso prima che nel procedimento de quo emergesse la necessità della variante urbanistica e si operasse la relativa pubblicazione ha adottato l’art. 12 delle NTA con riguardo al punto 5. Pertanto sul punto la sentenza appare errata in fatto e del tutto illogica e contraddittoria”.
Con la terza censura (estesa da pagina 50 a pagina 51), gli appellanti censurano il capo della sentenza che ha affermato che sarebbe stato comunque rispettato anche l’art. 13 delle n.t.a. del P.a.i., in quanto il T.a.r. avrebbe “confuso” le “indagini svolte con la verifica di compatibilità idro-geologica prevista dall’art. 13 delle NTA con quella prevista dall’art. 12 punto 5 NTA” e non si sarebbe avveduto che la Provincia non si sarebbe “espressa” ai sensi dell’art. 13, comma 4, n.t.a. del P.a.i..
Con la quarta censura (estesa da pagina 51 a pagina 53), gli appellanti censurano la sentenza in quanto il parere ex art. 89 del d.P.R. n. 380/2001 atterrebbe ai soli aspetti sismici e non anche a quelli idrogeologici. Si ribadisce, nuovamente, la “violazione dell’art. 13 delle NTA le quali come sopra ricordato prevedono espressamente che la Provincia si esprima”. Si soggiunge, infine, che le indagini istruttorie compiute non sarebbero state “significative”.
9.2.1. La seconda, la terza e la quarta censura, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connesse, sono infondate.
9.2.2. Secondo gli appellanti, nel caso di specie, sarebbe mancata l’applicazione dell’art. 13 della legge del 2 febbraio 1974 n. 64, richiamata dall’art. 13, comma 4, n.t.a. del P.a.i.
La disposizione, rubricata “Parere delle sezioni a competenza statale degli uffici del genio civile sugli strumenti urbanistici”, dispone che: “Tutti i Comuni nei quali sono applicabili le norme di cui al titolo II della presente legge e quelli di cui al precedente articolo 2, devono richiedere il parere delle sezioni a competenza statale del competente ufficio del genio civile sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio.
Le sezioni a competenza statale degli uffici del genio civile devono pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta dell'amministrazione comunale”.
La disposizione è ora confluita nell’art. 89, rubricato “Parere sugli strumenti urbanistici”, del d.P.R. n. 380 del 2001 che dispone: “1. Tutti i Comuni nei quali sono applicabili le norme di cui alla presente sezione e quelli di cui all'articolo 61, devono richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati prima della delibera di adozione nonché sulle lottizzazioni convenzionate prima della delibera di approvazione, e loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio.
2. Il competente ufficio tecnico regionale deve pronunciarsi entro sessanta giorni dal ricevimento della richiesta dell'amministrazione comunale.
3. In caso di mancato riscontro entro il termine di cui al comma 2 il parere deve intendersi reso in senso negativo”.
9.2.3. Risulta pacifico che il parere ora prescritto dall’art. 89 d.P.R. n. 380/2001 (e in origine dalla legge n. 64/1974) sia stato fornito dal competente ufficio regionale, sicché la dedotta violazione dell’art. 13 n.t.a. del PAI, a prescindere dai profili di applicabilità o meno alla vicenda in esame, è manifestamente insussistente.
9.2.4. Parimenti infondata è la deduzione secondo cui il suddetto parere “attiene agli aspetti sismici e non agli aspetti idrogeologici”, in quanto tale circostanza è smentita per tabulas: il parere si è soffermato anche sugli aspetti idrogeologici.
9.3. Con la quinta censura (estesa da pagina 53 a pagina 54), gli appellanti deducono che il T.a.r. avrebbe errato nel dichiarare che “non si può tenere conto delle nuove censure contenute nelle perizie di parte depositate in vista dell’udienza di trattazione del merito”, in quanto le osservazioni in esse contenute costituirebbero, in realtà, null’altro che la confutazione tecnica di quanto “sostenuto dalla Regione Marche nelle note per l’udienza di sospensiva nonché a quanto sostenuto dalla difesa di Feronia sempre nella memoria depositata per l’udienza cautelare”.
Si ripropone pertanto quanto allegato “nel motivo n. 10 a pag. 21 e ss - che ad ogni effetto con il presente atto espressamente si ripropone ex art. 101 2° comma cpa”.
9.3.1. La quinta censura deve essere respinta.
9.3.2. Per ragioni di economia processuale e di sintesi, il Collegio ritiene irrilevante verificare se il T.a.r. abbia errato o meno a dichiarare inammissibili le deduzioni di parte, in considerazione della manifesta inammissibilità della doglianza che, in tesi, si assume non essere stata valutata dal T.a.r.
Con la suddetta censura, che si riproduce testualmente ed integralmente, gli appellanti hanno dedotto in primo grado “come il giudizio di compatibilità delle opere con le caratteristiche e l’assetto geomorfologico della zona è un’affermazione che, come anche evidenziato nella relazione del geologo Longhini (doc. n. 21) poi depositata in data 08.10.2022, contrasta con quanto emerge dalla documentazione ufficiale esistente (PAI, IFFI, MS1, Studio Di Micronizzazione Sismica Di Livello 2) e per certi aspetti si reggono sull’acquisizione di dati non significativi (sia con riguardo alla loro durata considerata modesta dallo stesso parere regionale, sia con riguardo al periodo non particolarmente piovoso e privo di precipitazioni nevose) sia per il fatto che in un terreno così disomogeneo, come riconosciuto dalla stessa sentenza, non potevano i dati assunti su un punto essere assunti a valutazione dell’intera area.” (cfr. pagina 54 dell’appello).
9.3.3. Il Collegio rileva che costituisca espressione di un orientamento consolidato il principio di diritto che àncora il sindacato dei fatti complessi richiedenti particolari competenze (c.d. «discrezionalità tecnica») all’onere di “dimostrare che il giudizio di valore espresso dall’Amministrazione sia scientificamente inaccettabile, mentre, fino a quando si fronteggiano opinioni divergenti, tutte parimenti argomentabili, il giudice deve dare prevalenza alla posizione espressa dall’organo istituzionalmente investito (dalle fonti del diritto e, quindi, nelle forme democratiche) della competenza ad adottare decisione collettive, rispetto alla posizione ‘individuale’ dell’interessato” (Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2023, n. 4686 §. 4.3.; sez. IV, 21 marzo 2023 n. 2836).
Nel caso di specie, la censura di parte non evidenzia con sufficiente compiutezza i profili di inattendibilità delle valutazioni compiute dall’amministrazione, limitandosi a generiche contestazioni che prospettano una “diversa” valutazione dei fatti e non la commissione di errori dell’amministrazione nella scelta dei criteri tecnico-specialistici da applicare ai fatti da valutare oppure nell’applicazione dei criteri tecnico-specialistici correttamente individuati ai fatti da valutare.
9.4. Con la sesta censura (formulata a pagina 55), si impugna la sentenza per aver ritenuto legittime le prescrizioni impartite nella fase di realizzazione dell’impianto e per aver affermato che “a) nulla vieta all’autorità decidente di impartire prescrizione anche più gravose di quelle che sarebbero dovute in base alla classificazione della zona in cui debbano essere eseguiti i lavori ( fermo restando che il proponente può impugnare tali prescrizioni se le ritiene sproporzionate) b) l’area è comunque classificata P2 e dunque la cautela della Provincia è giustificata; c) tali prescrizioni vengono comunque incontro alle preoccupazioni del Comune e dei residenti della zona, per cui non si comprende perché l’operato della Provincia venga da essi criticato sullo specifico punto”.
Con la doglianza in esame, che si riproduce testualmente ed integralmente, gli appellanti deducono: “È evidente l’illogicità e la carenza di motivazione nonché l’errato presupposto in fatto di cui è viziata sul punto la impugnata sentenza. Non si può, invero, logicamente, posticipare ad una fase successiva elementi conoscitivi da valutarsi necessariamente ex ante. In altri termini non si possono tradurre in prescrizioni approfondimenti di indagini che avrebbero dovuto essere svolti prima”.
9.4.1. La censura è inammissibile e infondata.
9.4.2. La censura risulta inammissibile perché viola l’art. 101, comma 1, c.p.a., in quanto non sviluppa una critica argomentata alle plurime motivazioni poste dal T.a.r. a sostegno del rigetto della relativa censura di primo grado, risolvendosi in una contestazione apodittica e indimostrata (Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2021 n. 2698 e ivi ulteriore giurisprudenza).
9.4.3. La censura risulta altresì infondata in diritto, tenuto conto che la disciplina della V.i.a. e dell’A.i.a. ammettono espressamente la possibilità di un provvedimento condizionato (Cons. Stato, sez. IV 7 luglio 2022 n. 5670, §§. 11.3. e 11.4.) e, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, “…una valutazione condizionata di impatto costituisce un giudizio, allo stato degli atti, integrato dall'indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le ragioni del possibile dissenso, in ossequio ai principi di economicità dell'azione amministrativa e di collaborazione tra i soggetti del procedimento” (Cons. Stato, sez. IV, 16 giugno 2020, n. 3869; sez. IV, 27 marzo 2017 n. 1392), oltre che “un’evenienza del tutto fisiologica” (Cons. Stato, n. 5670 del 2022, cit.).
9.5. Con la settima censura (estesa da pagina 55 a pagina 56), si impugna la sentenza per aver respinto la doglianza inerente alla “violazione della delibera della Provincia di Pesaro in ordine ai criteri localizzativi degli impianti di trattamento rifiuti”, deducendosi che la Provincia non avrebbe valutato la “non provata stabilità dell’area” e il “rischio connesso alla realizzazione su un’area P2 di un impianto così impattante con notevoli sbancamenti e riporti.”.
Si deduce, testualmente, che: “È vero che la citata DCP n. 2/2018 detta elementi penalizzanti, ma è pur vero che come da noi censurato a pag. 39 del documento istruttorio di VIA (doc. n.4 - FERONIA) si legge che: la condizione penalizzante per la localizzazione di impianti id gestione dei rifiuti, determinata dalla presenza di un’area classificata dal PAI a pericolosità P2 è stata superata dalla valutazione di compatibilità idrogeologica con monitoraggio di diversi inclinometri e con le verifiche che hanno dato coefficienti di sicurezza maggiore dell’unità”. Circostanze come sopra illustrato non corrette non essendo risultati i dati significativi. Dunque anche sul punto la sentenza appare inficiata dai medesimi vizi sopra illustrati.”
9.5.1. La settima censura è inammissibile e infondata.
9.5.2. Quanto all’inammissibilità, il Collegio evidenzia che essa discende dalla violazione dell’art. 104 c.p.a., che fa divieto di ampliare il thema decidendum nel giudizio di impugnazione.
A tale riguardo, si evidenzia che in primo grado la parte si è limitata ad allegare, testualmente ed integralmente, che: “Sotto altro e diverso profilo si evidenzia che dovrà essere considerata inficiata dai medesimi vizi sopra detti il parere di compatibilità ambientale, laddove ha ritenuto non ricorrere e superata [“]la condizione penalizzante per la localizzazione di impianti di gestione dei rifiuti, determinata dalla presenza di un’area classificata dal PAI a pericolosità P2[”] e dunque palese è la violazione della Piano Regionale di Rifiuti e della delibera della stessa Provincia di Pesaro n.2 del 30.01.2018 di individuazione delle aree non idonee all’insediamento di tali impianti”.
Soltanto nel presente giudizio, la parte ha specificato che la “violazione” deriverebbe dalla “non provata stabilità dell’area” e dal “rischio connesso alla realizzazione su un’area P2 di un impianto così impattante con notevoli sbancamenti e riporti”, e sarebbe correlata con la non significatività dei dati istruttori adoperati per rendere il parere di compatibilità ambientale.
9.5.3. Quanto all’infondatezza della doglianza, il Collegio ritiene utile ribadire i principi che questo Consiglio ha più volte affermato sulla natura del potere e sull’ampia latitudine della discrezionalità esercitata dall’amministrazione nel giudizio di V.i.a.
Dalla disamina della giurisprudenza (internazionale e nazionale) emerge, infatti, la natura ampiamente discrezionale delle scelte effettuate con il giudizio di compatibilità ambientale, giustificate alla luce dei valori primari ed assoluti coinvolti (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2022, n. 1761; Corte giust., 25 luglio 2008, c-142/07; Corte cost., 7 novembre 2007, n. 367, cui si rinvia a mente del combinato disposto degli artt. 74, co.1, e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
È stato chiarito che nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita un’amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo.
9.5.4. Facendo applicazione dei suesposti principi alla vicenda per cui è causa, va rilevato come la censura in esame, per come concretamente formulata, non faccia emergere con la necessaria specificità i profili di illogicità, di incongruità, di travisamento dei fatti costituenti i presupposti dell’esercizio del potere, di oggettivo difetto di istruttoria ovvero la carenza di idonee motivazioni, nell’applicazione dei criteri di localizzazioni posti dalla delibera della Provincia, risolvendosi nell’apodittica affermazione della “non provata stabilità dell’area”, del “rischio connesso alla realizzazione su un’area P2 di un impianto così impattante con notevoli sbancamenti e riporti” e della non correttezza della valutazione della Provincia “non essendo risultati i dati significativi” (sul sindacato sul giudizio di compatibilità ambientale, ex multis, Cons. Stato, 28 febbraio 2018, n. 1240 ed ivi ulteriore giurisprudenza, specialmente ai §§. 12.1., 12.2. e 12.3.; sez. IV, n. 1392 del 2017).
9.6. Con l’ottava censura (estesa da pagina 56 a pagina 57), si deduce l’erroneità della sentenza laddove afferma che “quella dell’A.d.B. [Autorità di bacino] non è affatto un comportamento pilatesco in quanto l’Autorità una volta acclarato che l’intervento di Feronia non insiste su aree classificate a rischio P3 non era tenuta ad esprimere alcun parere”, in quanto, secondo l’appellante, l’autorità di bacino avrebbe potuto non rendere il parere “una volta acclarato ed escluso qualsiasi interferenza tra il progetto e l’area P3 ovvero una volta che vi fosse stata uno studio anche su quest’area, come intorno significativo, ma così non è stato”.
9.6.1. L’ottava censura è infondata.
9.6.2. L’art. 12 delle n.t.a. del P.a.i. che costituisce il parametro normativo invocato dagli appellanti dispone, al comma 3, che nelle “aree di versante a rischio frana con livello di pericolosità elevata, AVD_P3” sono consentiti gli interventi di “realizzazione ed ampliamento di infrastrutture tecnologiche o viarie, pubbliche o di interesse pubblico”, soltanto previo parere vincolante dell’Autorità di bacino.
Per le aree “a pericolosità AVD_P1 e AVD_P2”, la medesima disposizione, al comma 2, non prevede un analogo presupposto di legittimità.
Risulta pertanto corretta la motivazione del T.a.r. e infondata la doglianza di parte.
9.7. In conclusione, le censure dalla seconda all’ottava del terzo motivo di appello vanno respinte, mentre sulla prima censura, il Collegio riserva ogni valutazione all’esito dello svolgimento degli incombenti istruttori disposti al §. 28.
10. Con il quarto motivo, gli appellanti impugnano il capo della sentenza che ha respinto il dodicesimo motivo di ricorso, nel quale si è dedotta la violazione del d.lgs. n. 105/2015 e della direttiva c.d. “Seveso”.
Gli appellanti deducono che:
a) l’amministrazione avrebbe valutato “unicamente lo stoccaggio del biogas ma non anche delle altre sostanze detenute” e non anche “le sostanze che si trovano stoccate all’interno degli impianti di upgranding di liquefazione e, in generale di tutte le canalizzazioni impianti…”;
b) la Direttiva avrebbe dovuto “trovare applicazione fin dall’origine” e sussisterebbe pertanto il difetto di istruttoria “perché i Vigili del Fuoco si sono fermati alle mere dichiarazioni della ditta e non hanno inteso operare un controllo sui dati dalla stessa forniti”;
c) sarebbe illogica la sentenza “laddove afferma di non condividere la tesi dei ricorrenti sostenendo che sarebbero state rispettate le distanze elemento, tuttavia, che non rileva ai fini dell’effetto domino ex legge Seveso III, valendo le stesse solo ai fini incendio”.
d) la sentenza sarebbe errata “In ordine alla pretesa inammissibilità delle censure sulla Normativa Seveso II che sarebbero tardive”, in quanto si tratterebbe di censure che “sono state sollevate già con il ricorso introduttivo motivo n. 12 (pag. 27 ss)”.
10.1. Il quarto motivo di appello è inammissibile.
10.1.1. Con il motivo di appello in esame, gli appellanti ripropongono sostanzialmente le censure già decise in primo grado, senza censurare le rationes decidendi che il T.a.r. ha posto a fondamento della declaratoria di infondatezza del dodicesimo motivo di ricorso.
10.1.2. In particolare, quanto alle deduzioni innanzi riportate alle lettere “a” e “b”, risulta corretta la statuizione del T.a.r. secondo cui la normativa in esame e, in particolare, l’art. 13, commi 1 e 2 lett. d), del d.lgs. n. 105/2015 obbliga il gestore di un nuovo impianto unicamente “a trasmettere, con le modalità di cui al comma 5,” le “informazioni che consentano di individuare le sostanze pericolose e la categoria di sostanze pericolose presenti o che possono essere presenti” e che tale obbligo, nel caso di specie, è stato adempiuto.
Si aggiunge, rispetto a quanto affermato dal T.a.r., che la suddetta notifica viene “sottoscritta nelle forme dell'autocertificazione secondo quanto stabilito dalla disciplina vigente” e risulta pertanto presidiata dalla sanzione penale di cui all’art. 76 d.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000.
Rispetto all’attività di controllo, essa risulta disciplinata dall’art. 27 del d.lgs. n. 105/2015 che non prevede che, rispetto alla soglia dichiarata, l’autorità amministrativa abbia un obbligo di immediata verifica.
Secondo il comma 2 della suddetta disposizione: “Le ispezioni sono pianificate, programmate ed effettuate sulla base dei criteri e delle modalità di cui allegato H.” e gli appellanti non hanno dedotto la violazione di alcuno di questi criteri di pianificazione e programmazione.
10.1.3. Quanto alle deduzioni innanzi riportate alla lettera “c”, essa è inammissibile.
La parte deduce che il rispetto delle distanze costituirebbe un elemento che non rileva ai fini dell’effetto domino previsto dalla d.lgs. n. 105/2015, in quanto le distanze costituirebbero invece un elemento rilevante “solo ai fini incendio”. Per argomentare questa asserzione, gli appellanti deducono che: “Non potrà invero non rilevarsi che infatti nella relazione depositata gli stessi Vigili non riconoscono che lo stesso non possa ricorrere e che la non applicabilità dell’art. 19 della Legge Seveso. Pertanto sul punto la sentenza si pone in palese violazione dell’art. 19 richiamato”.
In proposito, il T.a.r. ha affermato che “…anche in questo caso la valutazione dei rischi è a carico del proponente (che l’ha regolarmente svolta, come emerge dal doc. allegato n. 41 al deposito di Feronia del 26 gennaio 2023)”.
Dalla lettura della contestazione sopra integralmente riportata, risulta che la suddetta statuizione della sentenza di primo grado non risulta impugnata e, pertanto, risulta essere passata in giudicato.
Ad ogni modo, la censura non consente di cogliere con specificità e chiarezza le motivazioni per le quali l’art. 19 d.lgs. n. 105/2015 risulterebbe violato nel caso di specie, non fornendo gli elementi in fatto e in diritto per potere apprezzare la suddetta violazione (sull’onere di chiarezza dei motivi di appello, Cons. Stato, sez. IV, 9 gennaio 2023 n. 280, §. 10.1 e ivi ulteriore giurisprudenza).
10.1.4. Con riferimento, infine, all’impugnazione della declaratoria di inammissibilità, proposta nell’ultimo periodo del motivo in esame, il Collegio ne rileva l’inammissibilità, non avendo la parte né indicato quali sarebbero le censure dichiarate tardive (nella sentenza peraltro la declaratoria di inammissibilità viene espressamente riferita alle censure proposte dal Comune di Terre Roveresche) né espressamente riproposto le stesse limitandosi ad un rinvio per relationem che, in quanto tale, è inammissibile (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 2 aprile 2020, n. 2216; Sez. IV, 24 gennaio 2020, n. 572).
11. Con il quinto motivo, gli appellanti impugnano il capo della sentenza che ha respinto il sedicesimo motivo di ricorso, con il quale si è lamentata l’erroneità dei provvedimenti impugnati nella parte in cui non viene individuata con esattezza la porzione delle aree in proprietà di Feronia interessate dalla variante urbanistica.
Con il motivo di appello in esame, gli appellanti insistono, in particolare, nel ritenere che il progetto autorizzato ricomprenderebbe ancora l’area dove è ubicato l’edificio rurale da adibire ad uffici e l’area interessata dalle infrastrutture di viabilità funzionali allo stabilimento e che, dunque, la variante urbanistica determinata dall’approvazione del progetto avrebbe interessato anche queste aree, le quali tuttavia sono ricomprese in quelle per le quali l’art. 30 del Piano paesistico ambientale regionale (PPAR) delle Marche del 2015, richiamato dal Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti (PRGR), prescrive la tutela integrale dei crinali con divieto di localizzazione di qualsiasi impianto di gestione dei rifiuti.
Rispetto alla viabilità si deduce che la strada a servizio dello stabilimento non potrebbe essere ubicata in zona agricola, in quanto, contrariamente a quanto rilevato dal T.a.r., ciò violerebbe l’art. 3, comma 1, lett. c), della legge della Regione Marche n. 13 dell’8 marzo 1990.
Si deduce altresì che risulta “Evidente anche la violazione dell’art. 30 delle NTA”.
La Provincia e la società appellata contestano la prospettazione di parte appellante rilevando, in particolare, che la “sistemazione ad uffici del fabbricato rurale esterno alla recinzione è stata stralciata dal progetto e non costituisce più oggetto della relativa richiesta di permesso di costruire e che gli appellanti avrebbero preso come riferimento elaborati tecnici superati nel corso del procedimento” (così, in particolare, la memoria dell’8 gennaio 2024 della società Feronia, a pag. 29).
11.1. Relativamente al motivo di appello in esame, il Collegio ritiene che per la decisione delle questioni dedotte da parte appellante si renda necessario lo svolgimento della verificazione, disposta al §. 28.
12. Con il sesto motivo di appello (erroneamente indicato, nuovamente, come quinto), gli appellanti impugnano i §§. 5.1.1. e 24. della sentenza che hanno respinto il quattordicesimo motivo di ricorso, relativo alla violazione dell’art. 83 del regolamento edilizio comunale (R.e.c.) che prescriverebbe il necessario collegamento alla rete acquedottistica degli edifici.
Si evidenzia che l’art. 83 R.e.c. contiene una previsione generale, di rango normativo regolamentare, la cui unica eccezione, rispetto alla regola dell’allacciamento alla rete idraulica, sarebbe costituita dall’approvvigionamento mediante pozzi.
12.1. Il sesto motivo di appello è inammissibile e infondato.
12.1.1. Il sesto motivo di appello è inammissibile per violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a., in quanto si concreta nella sostanziale riproposizione delle censure di primo grado e non articola alcuna argomentata censura di carattere critico alla sentenza del T.a.r., che ha statuito che “l’impianto di Feronia non è destinato alla residenza delle persone e dunque il fabbisogno di acqua potabile è contenuto. Né viene giustificata l’affermazione apodittica per cui il rifornimento a mezzo di autobotti amplifica il danno ambientale.” (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 16 dicembre 2021 n. 2698 e ivi ulteriore giurisprudenza).
12.1.2. Il motivo in esame è, ad ogni modo, infondato per quanto statuito dal T.a.r.
L’art. 83, commi 1 e 2, del R.e.c. dispone che: “1. Ogni fabbricato deve essere provvisto di acqua potabile proveniente dall'acquedotto comunale, distribuita in modo proporzionale al numero dei locali abitabili, in modo da garantire il regolare rifornimento di ogni alloggio.
2. Nelle zone prive di acquedotto comunale, l'acqua per uso domestico può essere prelevata dai pozzi privati, ma, in tal caso, deve risultare potabile dall'analisi dei competenti servizi sanitari ed il suo uso deve essere consentito dai servizi stessi.”.
Il riferimento testuale ed espresso “all’uso domestico” e al “rifornimento di ogni alloggio” (id est, secondo il significato proprio del termine “alloggio”, la “dimora” o l’“abitazione”), contenuto nelle norme richiamate, depone per l’applicabilità dell’art. 83 del R.e.c. alle sole abitazioni, come correttamente statuito dal T.a.r..
13. Con il settimo motivo di appello (erroneamente indicato come sesto), gli appellanti impugnano il §. 17 della sentenza che ha respinto il settimo motivo del ricorso, relativo alla viabilità, articolando plurime censure.
Con la prima censura (estesa da pagina 64 a pagina 65), si deduce che la sentenza sarebbe “illogica” e in contrasto con la normativa sulla V.i.a., in quanto avrebbe ritenuto legittima la soluzione relativa alla viabilità, proposta dalla ditta, che addosserebbe alla collettività i costi della manutenzione stradale e, in definitiva, “i costi di un’attività economica che ben può essere collocata in altro sito con infrastrutture idonee”.
Con la seconda censura (estesa da pagina 65 a pagina 67) si deduce che sarebbe ininfluente (e comunque, di fatto, inadeguato) l’assunzione dell’obbligo della manutenzione a fronte di criticità collegate alla sicurezza stradale (parere negativo della Provincia del 26 ottobre 2021 n. 33141) e all’incremento di carico sui ponti (dichiarazioni rese nella conferenza dei servizi del 27 ottobre 2021).
Con la terza censura (estesa da pagina 67 a pagina 68) si deduce che non sarebbero corrette le affermazioni della sentenza di primo grado, sulla deduzione che le strade fossero già molto trafficate dai mezzi al servizio della discarica e dei parchi fotovoltaici, trattandosi di mezzi diversi, che impiegano percorsi diversi e che percorrono le strade con minore cadenza, e, in ogni caso, vi è comunque un aggravio del carico di mezzi.
Con la quarta censura (estesa da pagina 68 a pagina 69), si deduce che la ditta si sarebbe impegnata soltanto alla manutenzione ordinaria e non anche a quella straordinaria, e che, comunque, la somma sarebbe insufficiente.
Si soggiunge, altresì, che la sentenza (e, prima ancora la Provincia, nel procedimento) non avrebbe considerato l’inadeguatezza della strada ad unica carreggiata, non in grado di garantire la percorribilità in caso di necessità ai mezzi di soccorso.
13.1. Il settimo motivo di appello è inammissibile e infondato.
Relativamente all’inammissibilità, il Collegio, per ragioni di sintesi ai sensi dell’art. 3 c.p.a., rinvia ai principi giurisprudenziali che questo Consiglio ha enunciato in materia di sindacato sulla discrezionalità, sia in generale che con specifico riferimento a quella esercitata con l’emanazione del parere di compatibilità ambientale (cfr. §§. 9.3.3., sul sindacato sulla discrezionalità tecnica, e 9.5.3., sulla natura e sul sindacato sulla discrezionalità amministrativa espressa con il giudizio di compatibilità ambientale).
Nel caso in esame, il parere di V.i.a. ha preso in considerazione gli impatti del progetto sulla viabilità e sul traffico (pagg. 43-46, punto f) “Matrice Viabilità e traffico”), senza che ciò abbia determinato l’espressione di un parere negativo e con la previsione di puntuali prescrizioni ambientali, dettate al punto 8, lett. f), del provvedimento (pag. 60 del parere), al fine di superare o mitigare eventuali incidenze negative.
Con il motivo in esame, gli appellanti articolano doglianze che censurano in maniera generica la discrezionalità dell’amministrazione, senza offrire dati ed elementi concreti e specifici, finalizzati a mettere in risalto l’erroneità tecnica, l’inadeguatezza o l’inattendibilità delle valutazioni compiute dalla Provincia.
13.2. Relativamente all’infondatezza della prima censura, si evidenzia che nel parere della Provincia n. 33141 del 26 ottobre 2021, l’inadeguatezza della viabilità veniva correlata alla scarsa manutenzione delle strade. Conseguentemente, sul piano logico, l’atto d’obbligo, con il quale la ditta assume una parte degli oneri relativi alla manutenzione ordinaria e straordinaria, costituisce una congrua soluzione, sicché non può dirsi sussistente alcun profilo di illogicità a dispetto di quanto affermato dagli appellanti.
Quanto alla “palese violazione della normativa V.i.a., nonché dell’art. 5 lett. L.” si tratta di un’affermazione apodittica non sostenuta da alcuna argomentazione o prova.
13.3. Relativamente all’infondatezza della seconda censura, si evidenzia, nuovamente, che la criticità per la sicurezza viene collegata nel parere negativo della provincia n. 33141 del 26 ottobre 2021 (anche) alla scarsa manutenzione, sicché per questo profilo gli atti d’obbligo sono idonei a superare le criticità. L’ulteriore profilo di criticità, costituito dall’attraversamento di alcuni centri abitati, non è stato oggetto di specifica censura da parte degli appellanti.
13.4. Relativamente alla terza censura, gli appellanti nella stringata censura articolata non chiariscono a sufficienza quale sarebbe il rilievo della deduzione svolta rispetto all’eventuale illegittimità degli atti impugnati.
13.5. Relativamente alla quarta censura, il Collegio evidenzia che è manifestamente infondata la deduzione secondo cui gli atti d’obbligo contemplerebbero soltanto le spese di manutenzione ordinaria.
L’atto unilaterale d’obbligo nei confronti del Comune e quello nei confronti della Provincia, versati in atti dalla società (doc. 30 e 31, depositati il 7 ottobre 2022) prevedono entrambi all’art. 3 che la manutenzione consisterà sia in quella ordinaria che in quella straordinaria.
Quanto all’ulteriore aspetto relativo all’inidoneità della viabilità (in particolare, le deduzioni di pagina 68 e 69 dell’appello), se ne rileva l’inammissibilità anche per un profilo ulteriore rispetto a quello indicato al §. 13.1. e, segnatamente, per violazione dell’art. 104 c.p.a., in quanto queste allegazioni non risultano articolate nell’ambito del ricorso introduttivo del giudizio.
14. Con l’ottavo motivo di appello (erroneamente designato come settimo), si impugna il capo della sentenza che ha respinto la censura contenuta nel nono motivo di ricorso, circa la violazione dell’art. 11 della legge regionale n. 22 del 23 novembre 2011.
Sarebbe poi errata la sentenza nel ritenere che la legge statale potrebbe prevedere delle varianti ex lege, collegate all’approvazione di taluni progetti, in quanto la materia urbanistica sarebbe di competenza regionale: sussisterebbe una palese violazione dell’art. 117 Cost.
14.1. L’ottavo motivo di appello è inammissibile.
14.1.1. Il T.a.r. ha respinto la corrispondente censura di primo grado rinviando al §. 7.1., laddove ha enunciato, tra gli altri, anche il seguente principio di diritto: “la legge regionale non può applicarsi alle varianti ex lege previste da norme statali, soprattutto se queste ultime danno attuazione a competenze statali esclusive”.
Questa parte della motivazione è stata impugnata con la seconda censura articolata nell’ottavo motivo di appello.
Tale censura, tuttavia, deve essere respinta, in quanto si limita a prospettare il contrasto fra la normativa statale e l’art. 117 della Costituzione senza, però, argomentare minimamente le ragioni di questo preteso contrasto, che il Collegio non ravvisa, rilevando come i poteri esercitati dalla Provincia sono chiaramente iscrivibili nell’ambito della materia della tutela dell’ambiente, costituente una materia di legislazione esclusiva dello Stato.
In ragione della conferma del richiamato principio di diritto che costituisce una delle motivazione con le quali il T.a.r. ha respinto il nono motivo va fatta applicazione della consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, secondo cui “Qualora la sentenza impugnata si fondi su autonome rationes decidendi, tutte convergenti nel senso della reiezione della domanda proposta in primo grado, è sufficiente che una di esse sia confermata per rendere inutile l’esame dei mezzi di gravame che contestano gli ulteriori capi (nel caso di specie, era stato stipulato accordo transattivo, cui era stata riconnessa in astratto efficacia novativa del diritto di credito vantato, ma in concreto recante effetti estintivi di una posizione creditoria accertata da un precedente giudicato)” (Cons. Stato, sez. IV, 25 gennaio 2023 n. 848).
Il motivo di appello è parimenti inammissibile per il medesimo principio di diritto, in quanto non risulta neppure contestata, da parte degli appellanti, la statuizione del T.a.r. secondo cui “Nella specie il P.R.G. di Terre Roveresche non contemplava aree aventi la specifica destinazione urbanistica prevista nella variante connessa con il progetto di Feronia” (cfr. pagina 50 della sentenza).
14.1.2. Ad ogni modo, si evidenzia che il motivo di appello in esame è comunque infondato.
L’art. 11, comma 1, lett. a), della legge della Regione Marche del 23 novembre 2011 n. 22, invocato dagli appellanti, dispone che: “Fermo restando quanto previsto al Capo I, fino all'entrata in vigore della legge regionale organica per il governo del territorio e comunque non oltre il 31 dicembre 2024, i Comuni si attengono alle seguenti disposizioni, finalizzate alla riduzione del consumo di suolo nonché al massimo utilizzo e riqualificazione del patrimonio edilizio e urbano esistente, anche a fini di tutela paesaggistica:
a) non possono essere adottati nuovi PRG o varianti ai PRG vigenti, anche con il procedimento gestito tramite lo sportello unico per le attività produttive, che prevedono ulteriori espansioni di aree edificabili in zona agricola nei Comuni che non hanno completato per almeno il 75 per cento l'edificazione delle aree esistenti con medesima destinazione d'uso urbanistica;”.
In ragione del tenore letterale della disposizione, va confermata l’interpretazione della norma fornita dal T.a.r., in quanto il riferimento alle “aree edificabili” richiama la specifica destinazione di carattere urbanistico, che non è affatto quella che si è impressa all’area che ospiterà l’impianto autorizzato.
15. Con il nono motivo di appello, si impugna il capo della sentenza, con cui, conclusivamente, il T.a.r. afferma di aver esaminato tutte le censure.
Si deduce, al riguardo, che si tratterebbe di una motivazione apparente.
15.1. Il nono motivo è inammissibile, per difetto di interesse.
15.2. Gli appellanti deducono che il capo della sentenza costituirebbe una “mera clausola di stile che non può tuttavia per la sua genericità e indeterminatezza costituire valida motivazione” e, conseguentemente, non si rinviene alcun interesse a impugnare la suddetta statuizione, proprio in quanto non ne viene evidenziata alcuna efficacia lesiva.
16. In definitiva, l’appello proposto dai signori Antonio Francesco Manunta, Walter Fiscaletti, Valentina Fiscaletti, Orazio Tonelli, Renzo Tronchin e Anna Christine Michel va respinto, salvo che per la prima censura del terzo motivo di appello e che per il quinto motivo di appello, rispetto ai quali il Collegio riserva ogni decisione e ritiene necessario lo svolgimento degli incombenti istruttori disposti al §. 28.
V. Il giudizio n.r.g. 5665/2023, introdotto dal Comune di Terre Roveresche.
17. Può procedersi all’esame dell’appello n.r.g. 5665/2023, proposto dal Comune di Terre Roveresche.
Anche con riferimento al giudizio n.r.g. 5665/2023, seguendo l’ordine logico delle questioni enucleabile dagli articoli 76, comma 4, c.p.a. e 276, comma 2, c.p.c. ed esaminando, vanno preliminarmente esaminate le eccezioni pregiudiziali formulate dalle parti appellate e resistenti (Ad. Plen. n. 4 del 2011 e ribadito da Ad. Plen. n. 10 del 2011 e n. 9 del 2014).
La società controinteressata ha eccepito l’irricevibilità dell’appello proposto dal Comune di Terre Roveresche, ritenendo applicabile l’art. 119, comma 1, lett. f), d.lgs. n. 104/2010 ed evidenziando che, in ragione della notificazione della sentenza avvenuta in data 19 aprile 2023, l’appello avrebbe dovuto essere notificato in data 19 giugno 2023, mentre è stato notificato in data 19 giugno 2023.
17.1. L’eccezione è infondata.
17.1.1. Come già evidenziato ai §§. da 6.1. a 6.1.2. della presente sentenza, l’art. 119, comma 1, lett. f), c.p.a. attrae al rito abbreviato le controversie che hanno ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione.
In tale novero di controversie non ricade quella oggetto della presente sentenza, sicché l’eccezione deve essere respinta.
17.2. Successivamente, la società ha formulato alcune eccezioni di inammissibilità: del “ricorso di primo grado e dei motivi ivi formulati” per violazione dell’art. 40, comma 1, lett. d.), c.p.a., che richiede la specificità dei motivi di ricorso (§. II.A); dei “motivi del ricorso di primo grado” in quanto “volti a censurare non manifeste illogicità o macroscopici difetti di istruttoria, ma la discrezionalità tecnica e amministrativa della P. A.” (§. II.D); del primo motivo e delle “censure formulate nel giudizio di primo grado in riferimento alla individuazione della superficie oggetto di variante urbanistica, in quanto formulate dal Comune di Terre Roveresche per la prima volta nella propria memoria ex art. 73 C.P.A. del 04.02.2023” per genericità della loro formulazione.
17.2.1. Le eccezioni sono inammissibili.
17.2.2. In applicazione del principio di sinteticità degli atti di cui all’art. 3 c.p.a., si rinvia alle motivazioni enunciate ai §§. da 6.4. a 6.4.2. per dichiarare inammissibili le equivalenti eccezioni articolate dalla società nel giudizio n.r.g. 5630/2023.
18. Può procedersi all’esame di merito dei motivi di appello proposti dal Comune, iniziando dal primo motivo.
Con il primo motivo di appello, il Comune impugna il capo della sentenza che ha respinto il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, formulando diverse censure.
Con la prima censura (estesa da pagina 10 a pagina 12), si impugna la sentenza perché non avrebbe dichiarato la violazione dell’art. 24, comma 4, d.lgs. n. 152/2006. Secondo l’appellante, la norma consente “per una sola volta” l’integrazione della documentazione progettuale presentata: la necessità di nove integrazioni documentali, nel corso del procedimento, avrebbe dovuto comportare il rigetto dell’istanza.
Con la seconda censura (estesa da pagina 12 a pagina 16), ci si duole della sentenza che non avrebbe qualificato la modifica, consistente nello “stralcio dell’uso del percolato”, avvenuta al termine del procedimento di autorizzazione del progetto, come “sostanziale”, ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. 1-bis, del d.lgs. n. 152/2006, il che avrebbe implicato il rinnovo del procedimento di V.i.a., ai sensi dell’art. 29-nonies, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006.
Il Comune insiste sulla circostanza che la “società ha sempre presentato l’utilizzo del percolato come parte integrante e costitutiva del progetto” (pagina 14 appello) e, quando ha comunicato lo stralcio di tale scelta, non ha chiarito “perché l’eliminazione del percolato dal processo produttivo (che prima lo vedeva componente integrante) fosse irrilevante” (pagina 16 appello).
Si evidenzia, in proposito, che sarebbe errata in fatto e viziata in diritto l’affermazione con cui il T.a.r. ha dichiarato “non sostanziale” la modifica, in quanto “il Giudice di primo grado […] non può avere conoscenze impiantistiche di tipo specialistico, [e] si avventura in un sillogismo del tutto indimostrato, azzardato senza previa istruttoria propria o senza averla imposta all’Amministrazione”.
Con la terza censura (estesa da pagina 16 a pagina 18), il Comune deduce, inoltre, che la sentenza sarebbe anche errata laddove ha considerato soddisfatto il fabbisogno idrico, in base a quanto dichiarato dalla società con la memoria del 15 febbraio 2023, che, però, a sua volta, si basava sui dati del S.i.a. depositato nel marzo del 2022, ossia prima dello stralcio del percolato, avvenuto il 25 maggio 2022.
Il Comune sostiene, inoltre, che il fabbisogno idrico veniva indicato soddisfatto soltanto attraverso l’uso del percolato, poi eliminato.
Il Comune censura, infine, l’affermazione del T.a.r. secondo cui la “modifica in diminuzione […] non incide dunque in senso peggiorativo sulle emissioni prodotte dall’impianto”, rilevando, da un lato, che tale modifica invece determinerebbe un impatto sull’ambiente in quanto “Il funzionamento di un impianto […] si basa sull’equilibrio di tutti i fattori produttivi e di tutte le sostanze immesse nel processo produttivo…”; dall’altro, che “Non è onere di questa difesa, invece, dimostrare che l’eliminazione del percolato non ha conseguenze”, dovendovi procedere invece l’impresa proponente e l’amministrazione nel corso del procedimento.
18.1. Vanno partitamente esaminate le censure articolate nel primo motivo di appello, iniziando dalla prima.
18.1.1. Relativamente alla prima censura, ricostruito il quadro di sistema ritenuto rilevante (vengono espressamente richiamati gli articoli 27-bis, comma 1, 22, comma 5, 24, comma 3, 29-ter, comma 1), l’appellante invoca l’applicazione dell’art. 24, comma 4, d.lgs. n. 152/2006 che imporrebbe la possibilità di domandare l’integrazione documentale per una sola volta.
18.1.2. La doglianza è infondata.
18.1.3. La norma invocata disciplina, in particolare, la partecipazione procedimentale nell’ambito del procedimento di valutazione d’impatto ambientale.
Diversamente da quanto affermato dal Comune appellante, la norma richiamata, pur prevedendo a fini ordinatori e di celerità del procedimento che la Commissione possa domandare “per una sola volta” la modifica e l’integrazione degli elaborati progettuali o della documentazione acquisita, non ricollega ad un’eventuale plurima richiesta di integrazione o ad una plurima spontanea integrazione da parte del proponente la conseguenza che invece l’appellante assume debba riconnettervisi, ossia l’obbligo, per l’amministrazione competente, che conduce il procedimento di valutazione di impatto ambientale di emanare il provvedimento di diniego o di archiviare la relativa pratica, con conseguente azzeramento dell’attività fino a quel momento compiuta e necessità per la parte proponente di ripresentare l’istanza e di intraprendere ab ovo il procedimento, a pena di illegittimità dell’azione amministrativa.
Invero, sebbene in astratto un’attività procedimentale “sincopata, caratterizzata da continui arresti e ripartenze” non costituisca (cfr. appello, pagina 12), in base ad una valutazione “in linea generale” e che prescinde dal caso concreto, un esempio di azione amministrativa efficace ed efficiente, la conseguenza paventata finisce per costituirebbe proprio la negazione del principio di buon andamento, invocato dall’appellante, e di economia dei mezzi giuridici (sulla rilevanza di questo principio nell’attività amministrativa, si vedano i principi espressi da Cons. Stato, Ad. Plen. 3 ottobre 1988 n. 8, sia pure con riferimento ad un ambito procedimentale totalmente differente, ma con rilievo che il Collegio ritiene essere di carattere generale), né terrebbe conto, in concreto, della complessità che può essere insita nella predisposizione e valutazione di taluni progetti.
18.1.4. Applicando il criterio dell’interpretazione testuale del dato normativo, si evince che l’unica conseguenza che la disciplina (art. 24, comma 5) correla all’avvenuta integrazione o modifica della documentazione di riferimento consiste nella pubblicazione sul sito web dell’amministrazione della nuova documentazione e l’avvio di una nuova consultazione del pubblico.
Nel caso di specie, in disparte ogni considerazione sul perimetro applicativo della norma, non vanno però valutate le eventuali conseguenze della mancata pubblicazione della documentazione integrativa e/o del mancato avvio di una nuova consultazione per ciascuna delle integrazioni effettuate nel corso del procedimento, in quanto tali circostanze non costituiscono oggetto del thema decidendum.
Analogamente, esula dal perimetro del presente giudizio, lo scrutinio relativo alle conseguenze derivanti dal rifiuto dell’amministrazione di accettare ulteriori integrazioni della documentazione progettuale da parte del proponente oppure dal rifiuto da parte di quest’ultimo di ottemperare alla richiesta dell’amministrazione di procedervi dopo che si è già ottemperato alla prima richiesta di integrazione.
18.2. Relativamente alla seconda censura, essa muove dal presupposto che si sarebbe verificata una “modifica sostanziale” del progetto presentato, consistente nell’esclusione dell’impiego del percolato nel processo produttivo, che avrebbe comportato la necessità di rinnovare la V.i.a.
Il Comune evidenzia che l’esclusione del percolato costituirebbe “modifica sostanziale” in quanto “la stessa Società ha sempre presentato l’utilizzo del percolato come parte integrante e costitutiva del progetto”.
18.2.1. La seconda censura è infondata.
A tale riguardo, sul punto, si rinvia, in applicazione del principio di sinteticità degli atti di cui all’art. 3 c.p.a., ai §§. da 7.2. a 7.2.4 di questa sentenza dove il Collegio ha già esaminato l’analoga censura articolata nell’appello n.r.g. 5630/2023.
18.2.2. Rispetto alle motivazioni ivi espresse, si aggiunge che il presupposto da cui muove il Comune appellante risulta infondato.
L’utilizzo del percolato, infatti, è stato presentato negli elaborati progettuali dell’impresa (cfr. “relazione tecnica illustrativa dell’impianto – elaborato ET.01TER” di marzo 2022) come una “possibilità tecnica” contemplata nel processo produttivo, ma non necessaria, come emerge ictu oculi anche senza necessità di particolari competenze tecniche dall’uso delle parole adoperate dall’impresa, che nella relazione illustrativa evidenzia che “L’impianto di depurazione è progettato anche per trattare, oltre al digestato liquido e ad altri liquidi afferenti il processo interno dell’impianto (acque degli scrubber), anche una modesta quantità di percolato (10mc/g) (rifiuto non pericoloso) della discarica per non pericolosi limitrofa, oggi in operazione D15 (30mc) e D9”.
L’uso della congiunzione “anche” è indicativo dell’infondatezza dell’assunto di partenza da cui muove la censura in esame.
Quanto appena evidenziato è corroborato da altri documenti.
Nel verbale della conferenza di servizi del 27 ottobre 2021, viene affermato che “la questione del percolato da discarica e la questione dell’impianto di compostaggio sono due questioni separate; il progetto per cui si discute è relativo all’impianto di compostaggio mentre il trattamento del percolato è una possibilità integrativa che dovrà essere discussa eventualmente in futuro”.
Al contrario, della sua affermazione il Comune non offre alcuna prova né costituisce prova di quanto affermato il richiamo, contenuto a pagina 13 dell’appello e ribadito a pagina 5 della memoria di replica, la circostanza che in “numerosi passaggi dei documenti” si “enfatizzasse” l’uso del percolato perché questo non prova, di per sé, né l’affermazione secondo cui “l’utilizzo del percolato [sarebbe] parte […] costitutiva del progetto” né, tantomeno, che si integri la fattispecie descritta dall’art. 5, comma 1, lett. l-bis), ossia una variazione delle caratteristiche del funzionamento dell’impianto che “producano effetti negativi e significativi sull'ambiente o sulla salute umana”.
Va rimarcato come la norma imponga ai fini della qualificazione della modifica come “sostanziale”, che la parte che agisce in giudizio per censurare la valutazione dell’amministrazione deduca la produzione di effetti al contempo “negativi” e “significativi” sulle due matrici indicate, gravando, dunque, su chi contesta l’illegittimità della valutazione dell’amministrazione l’onere della prova circa l’inattendibilità della valutazione compiuta dall’amministrazione nell’ambito del procedimento di compatibilità ambientale e il verificarsi di questi effetti (sulla natura e sul sindacato della discrezionalità amministrativa e tecnica nell’ambito della V.i.a. si rimanda ai §§. 9.5.3. e 9.5.4.).
18.3. Relativamente alla terza censura, il Collegio ritiene che le doglianze articolate non enucleino con la necessaria compiutezza profili di inattendibilità del giudizio di compatibilità ambientale impugnato unitamente al P.u.a.r..
Nel parere di V.i.a., la Provincia, dopo aver dato atto della rinuncia al “recupero del percolato” (pagina 31 della V.i.a.), afferma, nel corso dell’analisi sulla “matrice acque”, per quel che qui interessa, che: “In base a quanto affermato dalla Ditta il fabbisogno idrico del ciclo produttivo sarà soddisfatto con la riserva idrica dell’invaso che raccoglie le acque meteoriche dei piazzali, delle strade e dei tetti e dal recupero delle acque in uscita dall’impianto di depurazione delle acque del processo;”.
L’amministrazione comunale appellante, con la censura in esame, non allega argomenti di carattere tecnico che prospettino, con sufficiente grado di compiutezza, superiore alla mera opinabile valutazione di parte, profili di erroneità, inadeguatezza o inattendibilità del giudizio dell’amministrazione.
Risulta pertanto infondata l’affermazione secondo cui “…era l’Amministrazione che avrebbe dovuto verificare che la sottrazione di una quantità così rilevante di materiale dall’equilibrio del processo produttivo non aveva conseguenza” (pagina 18 dell’appello), perché in base a quanto riportato nel giudizio di compatibilità ambientale l’amministrazione risulta aver compiuto la sua attività di verifica, avendo formulato il suo parere positivo di compatibilità ambientale, anche tenuto conto che l’impresa ha comunicato la rinuncia all’uso del percolato nel processo produttivo.
19. Con il secondo motivo di appello, il Comune impugna il capo della sentenza che ha respinto il secondo motivo del ricorso di primo grado.
Con la prima censura (estesa da pagina 19 a pagina 21), il Comune contesta la violazione delle norme che impongono di considerare le diverse opzioni realizzative del progetto ed evidenzia, in particolare, che l’amministrazione provinciale non avrebbe svolto una propria istruttoria su quanto dichiarato dall’impresa, ma si sarebbe limitata a richiamare, per relationem, le valutazioni svolte dal proponente in merito alla c.d. opzione zero.
Con la seconda censura (formulata da pagina 21 a pagina 22), il Comune evidenzia che la scelta sulla localizzazione dell’impianto è dipesa dalla vicinanza alla discarica, motivata in ragione dell’uso del percolato (poi rinunciato) e della disponibilità dell’impresa a realizzare la copertura della discarica (c.d. capping).
Con la terza censura (formulata a pagina 23), il Comune impugna la sentenza per non aver accertato che l’area sulla quale dovrebbe sorgere l’impianto ha destinazione agricola, il che corrobora i profili di illegittimità della scelta localizzativa, in quanto, proprio in ragione della vocazione dell’area, l’impianto risulterà lontano dalle principali vie di comunicazione, non c’è alcun collegamento con le ordinarie reti di servizi (elettricità, metano e rete idrica).
Con la quarta censura (formulata a pagina 24), il Comune censura l’affermazione della sentenza del T.a.r., in cui il giudice di primo grado afferma l’autosufficienza energetica dell’impianto, evidenziandosene l’apoditticità, in quanto “la convenienza energetico-ambientale dell’impianto è rimasta del tutto indimostrata”.
19.1. Il secondo motivo di appello è infondato.
19.1.1. Sono infondate la prima, la seconda e la terza censura, che possono essere esaminate congiuntamente in quanto logicamente connesse.
In linea generale, in aggiunta a quanto già evidenziato ai §§. 9.5.3. e 9.5.4., va ribadito il consolidato orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui “…nel rendere il giudizio di valutazione di impatto ambientale, l’amministrazione esercita una amplissima discrezionalità che non si esaurisce in un mero giudizio tecnico, in quanto tale suscettibile di verificazione tout court sulla base di oggettivi criteri di misurazione, ma presenta al contempo profili particolarmente intensi di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all’apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti; la natura schiettamente discrezionale della decisione finale risente dunque dei suoi presupposti sia sul versante tecnico che amministrativo.” (Cons. Stato, sez. IV, 14 marzo 2022 n. 1761 e ivi ulteriore giurisprudenza), dal che, ne consegue, che il sindacato del giudice amministrativo in materia è pertanto necessariamente limitato ai profili di illogicità e incongruità, al travisamento dei fatti o ai difetti di istruttoria o al difetto idonea motivazione, che compete alla parte provare, fornendo allegazioni e riscontri probatori univoci, che non si riducano, per contro, in valutazioni di parte finalizzate a sostituire quelle espresse dall’amministrazione a cui la legge attribuisce il compito di effettuarle (cfr. ex multis, per principi analoghi, ancorché espressi con formulazione differente, Cons. Stato, sez. II, n. 5451 del 2020; sez. II, n. 5379 del 2020; sez. V, n. 1783 del 2013; sez. VI, n. 458 del 2014).
Con specifico riferimento ai profili relativi alla scelta di realizzare o meno l’impianto, alla scelta localizzativa e alla scelta inerente alle tecnologie da prediligere, va richiamato il recente precedente di questo Consiglio, che risulta pertinente al caso in esame e nel quale si è affermato che: “Il giudice … non può sostituire all’apprezzamento dell’amministrazione il proprio soggettivo apprezzamento in particolare nel valutare l’“alternativa/opzione – zero”, poiché tale giudizio - ossia quello che si spinge a mettere in discussione financo la realizzabilità dell’opera – è quello che più si approssima alla scelta di merito”. (Cons. Stato, sez. IV, 6 settembre 2023 n. 8187).
Va inoltre evidenziato che è onere dei ricorrenti (e, nel presente giudizio di impugnazione, degli appellanti) indicare l’effettiva esistenza di possibili opzioni alternative, parimenti idonee, rispetto alle quali operare possibili raffronti in chiave localizzativa o di scelta delle tecnologie applicabili, non potendosi fare ricadere, in applicazione dei principi in materia di onere della prova, sulla parte pubblica l’onere di una prova negativa circa l’inesistenza di alternative “ragionevoli” e quindi “possibili”, in termini di fattibilità, rispetto a cui operare l’eventuale comparazione in termini di impatto ambientale.
In applicazione dei principi richiamati vanno dunque respinte le censure in esame, in quanto non idonee a comprovare quei profili di illogicità, incongruità, di travisamento dei fatti, di difetto di istruttoria o di vizio della motivazione determinerebbero l’illegittimità del provvedimento di V.i.a. e conseguentemente, in quanto conseguenziali sul piano logico-giuridico, dell’A.i.a. e del P.u.a.r..
19.2. Va, inoltre, evidenziato, più puntualmente rispetto alle singole censure:
i. quanto alla prima, che, diversamente da quanto censurato dall’appellante, il parere di V.i.a. non si limita a ricopiare acriticamente le affermazioni contenute nel S.i.a. dell’impresa, perché non tutte le affermazioni lì esposte sono state riprese dalla Provincia che ne ha, quindi, effettuato la selezione, trasponendo soltanto quelle condivise e ritenute rilevanti ai fini della scelta (manca, nel parere di V.i.a., nella parte relativa alla “alternativa uno”, ad esempio, proprio il riferimento al capping della discarica, oltre che il riferimento alla mancata localizzazione dell’impianto nella zona costiere);
ii. quanto alla seconda, che come, già evidenziato al §. 8.1.1., l’uso del percolato e il capping non hanno costituito aspetti di rilievo nella scelta di realizzare l’impianto e del sito;
iii. quanto alla terza, si tratta di apprezzamenti di parte, che non tengono conto che la Provincia ha individuato quali ragioni della scelta effettuata la difficoltà di trovare alternative localizzative idonee ad ospitare l’impianto e la vicinanza di altri siti a “recettori sensibili” alle emissioni sonore ed odorigene (cfr., nuovamente, il §. 8.1.1.).
19.3. Relativamente alla quarta censura, ne va dichiarata l’inammissibilità.
Il Collegio rileva che l’appellante non indica precisi parametri normativi o di regolazione cui ancorare il giudizio sugli aspetti in questione.
La doglianza risulta, inoltre, incentrata sull’esposizione di dati contrastanti con le valutazioni dell’autorità, senza che però siano specificamente indicati i profili di errore tecnico che quest’ultima (e le autorità preposte ad accertare i profili direttamente attinenti agli aspetti energetici) avrebbe commesso, come richiesto perché si rendano ammissibili le censure dirette a sindacare l’esercizio della discrezionalità tecnica (si rinvia, per le connotazioni del sindacato sulla discrezionalità tecnica innanzi al Giudice amministrativo, ai §§. 9.3.3. e 9.5.4.).
20. Con il terzo motivo di appello, il Comune censura il capo della sentenza che ha respinto il terzo motivo di ricorso, con il quale il Comune ha censurato la positiva valutazione di impatto ambientale con specifico riferimento a tre delle matrici ambientali: i) acqua (prima censura estesa da pagina 26 a pagina 27); ii) suolo e sottosuolo (seconda censura estesa da pagina 27 a pagina 32); iii) salute (terza censura estesa da pagina 32 a pagina 34).
Su ciascuno di questi aspetti, il Comune formula critiche alle relative motivazioni della sentenza di primo grado.
20.1. Con la memoria dell’8 gennaio 2024, la società Feronia ha formulato l’eccezione di inammissibilità del motivo di appello, in quanto, secondo la controinteressata, il motivo in esame “si risolve in massima parte nella riproposizione delle censure di primo grado, senza contrastare la motivazione della sentenza”.
Pur rinviando all’eccezione contenuta nella memoria di costituzione del 18 luglio 2023, già dichiarata inammissibile in precedenza, la società ha poi, di fatto, riproposto l’eccezione di inammissibilità, allegando che: “il motivo di appello in esame esordisce con l’affermazione che “la Provincia non ha adeguatamente valutato” (p. 25) gli impatti su ambiente e salute umana. Dunque, ancora una volta, nessun vizio di manifesta illogicità o irragionevolezza o macroscopiche carenze istruttorie, ma solo la contrapposizione delle proprie valutazioni a quelle dell’Amministrazione e l’inammissibile richiesta al Giudice Amministrativo di ripetere l’istruttoria svolta”.
20.2. Le eccezioni sono ambedue fondate relativamente alla censura avente ad oggetto le valutazioni ambientali della Provincia riguardanti la matrice “acqua”, mentre con riferimento alle valutazioni ambientali della Provincia riguardanti la matrice “salute” occorre distinguere a seconda delle singole sotto-censure in cui la censura si articola.
20.2.1. Con riferimento alla valutazione avente ad oggetto la matrice “acqua”, il Comune appellante, da un lato, non articola una compiuta ed argomentata critica della sentenza di primo grado e, dall’altro, si limita ad una prospettazione che non soddisfa i canoni di specificità richiesti per il sindacato del giudizio di compatibilità ambientali, già enunciati nella presente sentenza ai §§. 9.3.3. e 9.5.3., ai quali si rinvia per ragioni di sintesi ai sensi dell’art. 3 c.p.a.
20.2.2. Relativamente alla matrice “salute”, il Collegio evidenzia che la doglianza espressa nel paragrafo 3.3.4. dell’appello è inammissibile, in quanto non chiarisce l’incidenza che il contestato errore della sentenza presenterebbe ai fini del giudizio di illegittimità degli atti impugnati e, pertanto, risulta fondata l’eccezione di inammissibilità della doglianza per violazione del canone di “specificità”, statuito dall’art. 101, comma 1, c.p.a.
Si evidenzia, poi, che le deduzioni articolate ai paragrafi 3.3.1., 3.3.2. e 3.3.3. dell’appello sono inammissibili in quanto non soddisfano i canoni di specificità richiesti per il sindacato del giudizio di compatibilità ambientali, già enunciati nella presente sentenza e ai quali si rinvia per ragioni di sintesi ai sensi dell’art. 3 c.p.a.
20.3. In considerazione delle declaratorie di inammissibilità dei paragrafi precedenti, residua l’esame delle doglianze relative alla matrice “suolo e sottosuolo” e della doglianza di cui al paragrafo 3.3.5.
20.4. Per ragioni di comodità espositiva, il Collegio anticipa l’esame di quest’ultima che ritiene infondata.
Si ritiene persuasiva, a tale proposito, la difesa della società controinteressata, quando afferma che il T.a.r. “…ha ritenuto, sulla base dell’esame della documentazione versata in atti, che la Ditta proponente ha ottemperato alle indicazioni dell’ARPAM, solo precisando, in relazione alle doglianze dei ricorrenti in primo grado che lamentavano il mancato allineamento degli elaborati in alcuni casi, che tale allineamento doveva avvenire successivamente.”.
20.5. Con particolare riferimento alla censura relativa alla matrice “suolo e sottosuolo”, il Comune deduce che:
i. sarebbe errata la valutazione d’impatto ambientale, relativamente alla matrice suolo, perché la Provincia non avrebbe tenuto conto, come avrebbe dovuto, secondo quanto rilevato anche nella relazione di parte a firma del dott. geologo Longhini, dell’incidenza dell’opera sui livelli di rischio geologico dell’area;
ii. “…la sentenza appellata non ha esaminato nel merito le censure di cui al par. 3.2 del ricorso”, finalizzate a dimostrare che l’area prescelta per l’intervento sarebbe geologicamente instabile. In ragione di queste criticità, ripercorse nell’appello, si sostiene che “Al cospetto di tali elementi si rivelano insufficienti e sintomatiche quantomeno dell’eccesso di potere per sviamento e irragionevolezza, le condizioni ambientali apposte dalla Provincia”.
20.5.1. Relativamente alla censura in esame, il Collegio ritiene che per la decisione della censura dedotta da parte appellante si renda necessario lo svolgimento di una verificazione, disposta al §. 28.
21. Con il quarto motivo di appello, il Comune impugna il capo della sentenza che ha respinto il quarto motivo di ricorso, relativo alla violazione del principio di prossimità nel trattamento dei rifiuti.
Con la prima censura (estesa da pagina 34 a pagina 35), si evidenzia la cogenza del principio di prossimità e l’erroneo richiamo, da parte del T.a.r., alla sentenza della Corte costituzionale n. 76/2021.
Con la seconda censura (estesa da pagina 35 a pagina 36), si evidenzia che il T.a.r. avrebbe errato nel ritenere che la società abbia comprovato, con i documenti nn. 46 e 47, prodotti in primo grado, di disporre della quantità di F.o.r.s.u. necessaria per poter gestire l’impianto.
Con la terza censura (estesa da pagina 36 a pagina 37), dopo aver dedotto che anche all’impianto si applicano le disposizioni relative alla gestione dei rifiuti, il Comune ribadisce che “L’impianto, inoltre, non è coerente con la proposta di Piano d’ambito di gestione dei rifiuti dell’ATA 1 Pesaro-Urbino del 2021 in fase di approvazione definitiva”, in quanto la proposta di Piano prevedrebbe la realizzazione di un solo impianto per un fabbisogno di 95.000 ton/anno, mentre l’impianto autorizzato ha una “capacità di 40.000 ton/anno di FORSU e di 10.000 ton/anno di verde”.
Non si terrebbe conto, inoltre, dell’autorizzazione già rilasciata all’impianto della società Green factory s.r.l.
Il Comune evidenzia che la prescrizione n. 7 relativa alla matrice “rifiuti” prevista dalla V.i.a. confermerebbe l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto “non vincola in alcun modo l’esercente l’impianto rispetto all’utilizzo di rifiuti prodotti localmente e pone una clausola di mera preferenza, che – in buona sostanza – non impone alcunché alla Società, la quale potrà trattare rifiuti provenienti da altre zone senza incorrere in alcuna sanzione”.
Con la quarta censura (da pagina 37 a pagina 38), si critica la sentenza per aver dichiarato la natura “meramente programmatoria” dell’art. 1 legge regionale n. 4/2020, che invece dispiegherebbe effetti cogenti, in quanto darebbe attuazione all’art. 4 della Direttiva 2018/851/UE che prevede un ordine di priorità nella gestione dei rifiuti.
21.1. Il quarto motivo di appello va respinto.
21.2. Relativamente alla prima censura, il Collegio ne evidenzia l’inammissibilità, in quanto la violazione del principio di prossimità risulta genericamente argomentata.
21.3. Relativamente alla seconda censura, il Collegio ne rileva l’inammissibilità non essendo stata prospettata alcuna critica della condivisibile motivazione che il T.a.r. ha esposto in primo grado sulla documentazione prodotta dall’impresa, osservando che: “se davvero il proponente dovesse, nel momento in cui presenta la domanda di rilascio del titolo autorizzativo, avere già sottoscritto accordi vincolanti per il conferimento della F.O.RSU., pressoché nessun impianto privato potrebbe essere realizzato, visto che:
- come eccepisce il Comune ricorrente, il conferimento della frazione può avvenire solo a seguito di gara;
- il tempo necessario per lo svolgimento del procedimento finalizzato al rilascio del P.A.U.R. o dell’A.I.A. priverebbe in sostanza tali accordi di efficacia, non essendo pensabile che i Comuni interessati possano attendere i tempi spesso biblici di tali procedimenti per poter smaltire la F.O.RSU..
In realtà, quindi, è sufficiente che il proponente possa contare su manifestazioni di disponibilità al conferimento delle frazioni dei rifiuti solidi urbani da utilizzare nel ciclo produttivo del realizzando impianto.”.
21.4. Relativamente alla terza censura, il Collegio ne rileva preliminarmente l’inammissibilità, in quanto alcuna critica è stata formulata avverso la motivazione della sentenza che ha accertato che il progetto non doveva valutarsi in base alla “proposta di piano”, come dedotto dal Comune ricorrente (e riproposto nel giudizio innanzi a questo Consiglio), bensì in base “allo stato di fatto e di diritto esistenti al momento della presentazione della domanda”.
21.4.1. Nel merito, si evidenzia comunque l’infondatezza della doglianza, per un duplice ordine di motivi.
In primo luogo, costituisce principio consolidato quello secondo cui la legittimità dei provvedimenti si valuta in relazione al quadro normativo vigente nel momento della loro emanazione, secondo la regola compendiata nel brocardo tempus regit actum (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 13 settembre 2022 n. 7942; sez. IV, 31 gennaio 2020 n. 803).
In secondo luogo, pur risultando esatta la deduzione di parte appellante secondo cui la proposta di Piano fa riferimento al fatto che “il territorio dell’ATA 1 necessita di un impianto di trattamento avente dimensione non inferiore a 95.000 ton/anno”, nondimeno questa non chiara formulazione letterale non designa il “numero” di impianti realizzabili, quanto, in chiave meramente programmatica, stima il fabbisogno da soddisfare che viene indicato in una quantità non è “inferiore a 95.000 ton/anno”. Questa interpretazione trova conferma nella circostanza che la proposta di Piano dei rifiuti dell’A.T.O., a pag. 193, contempla, in merito alle “attuali procedure autorizzative in corso”, espressamente due impianti, l’impianto della Feronia e l’impianto Green Factory s.r.l., dando espressamente atto che “Il presente piano ha il compito di fotografare gli attuali impianti operanti, che non ci sono, i percorsi autorizzativi in essere, e di definire, qualora necessario, i fabbisogni impiantistici ed eventuali localizzazioni in mancanza della realizzazione dei progetti sotto riportati”.
21.4.2. Quanto alla prescrizione n. 7 inserita nella V.i.a., risulta infondata la deduzione secondo cui essa non vincolerebbe l’impresa, in considerazione del fatto che le prescrizioni imposte per la fase di gestione dell’impianto, qualora non rispettate, possono comportare la sospensione o la revoca dell’autorizzazione alla gestione dell’impianto.
Come recentemente affermato da questo Consiglio, “le prescrizioni inserite nel PAUR rappresentano un elemento costitutivo di esso, ponendosi come vincoli inderogabili per la realizzazione del progetto autorizzato, in tal modo non potendo sostenersi l’incompletezza dell’istruttoria per essere state previste misure attuabili solo successivamente all’approvazione del progetto” (Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2022 n. 2368).
21.5. Relativamente alla quarta censura, si evidenzia che l’art. 1 della legge della Regione Marche del 18 febbraio 2020 n. 4, dispone che “La Regione, al fine di dare attuazione ai principi della Unione europea, con particolare riferimento alla economia circolare ed alla gerarchia nella gestione dei rifiuti di cui alla direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018 che modifica la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti, nel rispetto della normativa statale vigente in materia, favorisce le attività dirette a ridurre gli impatti sull'ambiente derivanti dalla gestione dei rifiuti organici mediante l'attuazione delle pratiche del compostaggio aerobico”.
Come emerge dal suo tenore letterale, la norma non impone la necessaria “attuazione delle pratiche del compostaggio aerobico”, come sostiene l’appellante, limitandosi a “favorirle”.
La violazione del principio di gerarchia dei rifiuti introdotto dalla Direttiva 2008/98/CE e recepito nell’ordinamento italiano dall’art. 179 d.lgs. n. 152/2006, invocato dall’appellante non può ritenersi comprovata dall’affermazione, generica e astratta, secondo cui “l’utilizzo della FORSU per la produzione di metano tramite processo anaerobico […] riduce la possibilità di utilizzare la medesima frazione organica per produrre compost da processo aerobico (“riciclaggio”) e, quindi, viola la legge regionale e, indirettamente la Direttiva 2008/98/CE.”, non venendo indicato alcuna concreta alternativa, preferibile sul versante dell’applicazione del principio della gerarchia dei rifiuti, che sarebbe stata posposta alla realizzazione dell’impianto.
22. Con il quinto motivo di appello, il Comune censura il capo della sentenza che ha respinto il quinto motivo di ricorso di primo grado e ripropone, criticamente, le doglianze relative ai profili urbanistici che impedirebbero la realizzazione dell’impianto.
In primo luogo, si deduce la violazione dell’art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387/2003, che ammetterebbe la variante urbanistica soltanto laddove si debba autorizzare un impianto di produzione di energia elettrica, dovendosi intendere come tale soltanto quello collegato alla rete elettrica (e, dunque, non l’impianto autorizzato).
In secondo luogo, si deduce la violazione dell’art. 11 legge regionale n. 22/2011, sul consumo di suolo, che il T.a.r. avrebbe circoscritto al solo mutamento di destinazione urbanistica da “agricola” ad “edificabile”, senza che però la legge regionale operi alcuna distinzione fra le diverse tipologie di destinazione e omettendo di considerare che la legge in questione tutela “in generale” i terreni agricoli.
In terzo luogo, si deduce la violazione dell’art. 208 d.lgs. n. 152/2006, in quanto la modifica della destinazione urbanistica è stata consentita senza “fornire una adeguata motivazione rispetto alle opinioni dissenzienti espresse nel corso della conferenza”, mentre “la Provincia avrebbe dovuto dettagliatamente motivare nel merito del cambio di destinazione urbanistica e non trincerarsi dietro pretesi (e, come detto, inesistenti) automatismi legislativi”.
22.1. Il quinto motivo di appello è infondato.
22.2. Circa la violazione dell’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387/2003, si evidenzia che sull’applicazione della norma anche ad impianti come quello oggetto della presente controversia, relativamente al profilo esaminato della competenza urbanistica dei Comuni, si è già pronunciata la Sezione, con una recente sentenza che il Collegio richiama anche ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) c.p.a. e con valore di precedente giurisprudenziale conforme.
Nel precedente di Sezione, si è statuito che: “Il procedimento de quo, per finalità semplificatoria ed acceleratoria realizzata seguendo il modulo della conferenza di servizi, prescinde pertanto dalla regola della competenza del Comune in materia urbanistica, sebbene non costituendo una deroga ad essa, e potendosi giungere a conseguire l’autorizzazione (come nella specie sulla base dei pareri positivi prevalenti), anche in assenza di adesione o in presenza di parere contrario dell’Amministrazione comunale circa la compatibilità urbanistica dell’impianto.
Del resto, non assume alcun rilevanza, ai fini della produzione dei citati effetti di legge, l’indicazione o meno che il provvedimento autorizzatorio costituisca “variante urbanistica”.
Nei sensi descritti è la costante giurisprudenza di questo Consiglio, secondo la quale l’autorizzazione a realizzare un impianto di energia elettrica alimentato da fonti rinnovabili comporta una variazione della destinazione urbanistica della zona, rendendo conforme alle disposizioni urbanistiche la localizzazione dell’impianto, senza che sia necessario alcun ulteriore provvedimento di assenso all’attività privata (Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2020, n. 2724; sez. V, 15 gennaio 2020, n. 377; sez. V, 23 ottobre 2014, n. 5249; sez. V, 13 marzo 2014, n. 1180).” (Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2022 n. 2368).
Rispetto a questi principi, il Collegio si limita ad aggiungere che il T.a.r. ha espressamente indicato che l’applicazione dell’art. 12, comma 7, d.lgs. n. 387/2003, deriva dalla previsione del comma 4-bis contenuto nella medesima disposizione e tale specifico punto della motivazione non risulta oggetto di censura da parte dell’appellante.
22.3. Circa la violazione dell’art. 11 della legge della Regione Marche del 23 novembre 2011 n. 22, il Collegio richiama le motivazioni già enunciate al §. 14.1.2. della presente sentenza, per respingere l’analoga censura contenuta nell’appello n.r.g. 5630/2023, ai quali si rinvia per ragioni di sintesi ai sensi dell’art. 3 c.p.a.
Si evidenzia, in aggiunta a quanto già enunciato nel richiamato paragrafo, la considerazione che l’articolo 12 del d.lgs. n. 387/2003, è stato ritenuto norma di principio “…relativamente alla necessità che le Regioni non limitino territorialmente la possibilità di realizzare gli impianti di energia alternativa e che gli stessi non vengano ostacolati dalla previsione di vincoli posti a tutela del paesaggio particolarmente ostativi o da aggravi procedimentali.” (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 5 ottobre 2023 n. 648).
22.4. La declaratoria di legittimità del cambio di destinazione di zona, in applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 287/2003, determina l’improcedibilità per sopravvenuta carenza d’interesse della censura in cui si deduce la violazione dell’art. 208 d.lgs. n. 152/2006, in quanto nell'ambito di un giudizio amministrativo, in presenza di un atto plurimotivato è sufficiente il riscontro della legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa, per condurre al rigetto dell'intero ricorso in considerazione del fatto che anche in caso di fondatezza degli ulteriori motivi di doglianza riferiti alle distinte rationes decidendi poste a fondamento del provvedimento amministrativo, questo non potrebbe comunque essere annullato in quanto sorretto da un'autonoma ragione giustificatrice confermata (Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2023 n. 9849; Sez. VI, 18 febbraio 2021, n. 1468).
23. Con il sesto motivo di appello, si impugna il capo della sentenza che ha respinto il sesto motivo di ricorso, con cui sono state dedotti alcuni profili di difetto di istruttoria e motivazione relativamente alle criticità collegate al traffico di veicoli e a loro mancato o erroneo apprezzamento in sede di giudizio di compatibilità ambientale.
Con la prima censura (formulata a pagina 42), ci si duole che il T.a.r. non avrebbe accertato che il giudizio di compatibilità ambientale è illegittimo per difetto d’istruttoria non avendo correttamente valutato l’impatto ambientale dovuto alla distanza che separa l’impianto dalle principali arterie stradali e alla scarsa sicurezza stradale che si ingenererà a causa del transito dei mezzi a servizio dell’impianto.
Con la seconda censura (formulata a pagina 43), si lamenta che le criticità non possano essere superate mediante l’assunzione degli impegni contenuti nell’atto unilaterale d’obbligo, in quanto l’impresa non si sarebbe obbligata alla manutenzione dei ponti (che sarebbero fortemente sollecitati dal continuo passaggio dei mezzi pesanti dell’impresa) e il budget per la manutenzione ordinaria e straordinaria sarebbe sottostimato.
Con la terza censura (estesa da pagina 43 a pagina 44), si censura l’affermazione della sentenza del T.a.r. che ha ritenuto corretta l’affermazione secondo cui i mezzi impiegati e in transito ogni giorno sarebbero ventinove, ritenendo per contro corretta la stima di cinquantotto mezzi.
23.1. Il sesto motivo di appello è inammissibile e infondato.
23.2. Le censure articolate con la prima e la seconda censura del sesto motivo di appello si connotano per l’estrema vaghezza delle doglianze articolate, che non mettono in risalto l’erroneità o l’inattendibilità delle valutazioni compiute dalla Provincia.
In applicazione del principio di sinteticità degli atti di cui all’art. 3 c.p.a., il Collegio richiama i §§. 9.3.3. e 9.5.3., nei quali ha già evidenziato l’ambito del sindacato sulla discrezionalità.
23.3. Quanto alla prima censura, inoltre, la “distanza” non risulta comprovata, bensì genericamente dedotta (“È un dato oggettivo che impianti di questo tipo non sorgono in angoli sperduti del territorio”; “L’impianto in questione, invece, sarebbe ubicato a notevole distanza da arterie stradali principali”; “lungo tragitto su strade secondarie (tra le quali la strada comunale Via Madonna del Rafetano e la strada provinciale n. 5 Mondaviese)”), così come l’incidenza sulla “sicurezza stradale” e sulla “matrice ambiente a causa delle immissioni in atmosfera” (“Come già osservato in primo grado, ciò incide, da un lato, sulla sicurezza stradale e, dall’altro, sulla matrice ambiente a causa delle immissioni in atmosfera degli scarichi dei numerosi mezzi pesanti”).
Inoltre, nella prima censura, non si dà conto della motivazione della sentenza di primo grado che ha sottolineato come le medesime strade siano già adoperate per servire altri impianti e, dunque, coerentemente, la Provincia avrebbe riconosciuto la loro idoneità anche per l’impianto progettato dalla ditta Feronia.
23.4. Quanto alla seconda censura, l’inidoneità dell’atto unilaterale d’obbligo viene fatta dipendere dall’asserita inidoneità dell’obbligo di manutenzione assunto dalla società. Anche questa contestazione, però, non è supportata da puntuali dati oggettivi, che comprovino i profili di inidoneità o di inattendibilità sotto il profilo metodologico delle valutazioni provinciali (si allega genericamente che: “La manutenzione invece dovrebbe essere frequente (data anche la limitata portata dei ponti e la viabilità da parte di mezzi pesanti)”; “il tetto di spesa da parte della Ditta, quantificato nella somma di €140.000,00 annui per l’assunzione degli obblighi di manutenzione ordinaria e straordinaria della viabilità interessata è fortemente sottostimato, perché la viabilità è critica ed è interessata anche da dissesti dovuti a movimenti franosi, così come è caratterizzata dalla presenza di ponti con limiti di portata, la cui ristrutturazione obbligherebbe l’Amministrazione a sostenere gravosi impegni di spesa e obbligherebbe alla chiusura della strada per tempi non definibili”).
23.5. Relativamente alla terza censura, essa è infondata.
23.5.1. La doglianza articolata dal Comune non supera infatti le puntuali e più argomentate difese offerte dalla società Feronia.
La controinteressata ha spiegato, nella memoria dell’8 gennaio 2024, che nel S.i.a. e nella Relazione tecnica illustrativa del progetto definitivo si è dato partitamente conto, nella tabella denominata “numero dei viaggi al giorno” (SIA) e nella tabella denominata “numero dei mezzi impiegati” (Relazione tecnica), dell’effettivo traffico veicolare in ingresso e in uscita dal sito, distinguendosi anche i mezzi di trasporto impiegati in base alla tipologia di materiale trasportato.
La società afferma che dal raffronto fra le due tabelle risulta che “Il numero dei mezzi impiegati – differenziati, come detto, per materiale trasportato – è esattamente la metà del numero dei viaggi conteggiati nella prima tabella, il che denota in modo chiaro che sono stati conteggiati sia i viaggi in entrata che quelli in uscita”, sicché risulterebbe infondata la doglianza del Comune.
23.5.2. Il Collegio rileva che, dall’esame della documentazione indicata dalla società, l’affermazione si palesa corretta e non trova smentita nella memoria di replica del Comune depositata il 18 gennaio 2024.
In considerazione delle puntuali difese della controinteressata, risulta priva di vizi logici o in fatto la motivazione del T.a.r. che ha accertato che “Quanto invece all’impatto del traffico veicolare, il proponente (pagg. 120 e ss. del S.I.A. aggiornato a marzo 2022) ha sviluppato proiezioni da cui emerge che ogni giorno circoleranno mediamente 29 automezzi, i quali ovviamente, laddove possibile, effettueranno sia il viaggio di andata che quello di ritorno a pieno carico”.
24. Con il settimo motivo di appello, il Comune censura il capo della sentenza che ha respinto il settimo motivo di ricorso, nel quale si era dedotta la violazione degli articoli 216 e 217 del R.D. n. 1265/1934, nonché la violazione dell’art. 29-quater d.lgs. n. 152/2006.
Si evidenzia che l’art. 29-quater, comma 6, d.lgs. n. 152/2006 dispone nell’ambito della conferenza di servizi l’acquisizione delle prescrizioni del sindaco ai sensi degli articoli 216 e 217 r.d. n. 1265/1934 e che, in quella sede, il Sindaco del Comune appellante ha effettivamente fatto valere “il proprio dissenso qualificato al rilascio dell’AIA”, che “la Provincia si è limitata a neutralizzare tali prescrizioni con motivazioni di carattere puramente formale…”.
L’AIA sarebbe dunque illegittima in quanto non avrebbe rispettato le prescrizioni indicate dal Sindaco, violando quanto stabilito dall’art. 29-quater del d. lgs. n. 152 del 2006.
Si aggiunge (al §. 7.3.) che l’impianto dovrebbe considerarsi industria insalubre e che “dal funzionamento di un impianto di biodigestione vengano prodotte numerose sostanze insalubri”, osservandosi poi che la sentenza si limiterebbe ad affermare che “per ciò che attiene al monitoraggio dell’aria, tali questioni erano stata abbondantemente affrontate in sede istruttoria”, ma è evidente che il TAR confonde istruttoria sulle emissioni (che deve essere svolta prima del rilascio dell’autorizzazione) e monitoraggio”.
Si censura (a pagina 47, §. 7.4.) infine l’affermazione del T.a.r. sulla non ostatività della produzione di rifiuti da parte dell’impianto al rilascio dell’autorizzazione. Si evidenzia, a tal fine, che “…l’impianto produrrà […] circa il 10% di rifiuti rispetto a quelli che smaltisce. Dunque una percentuale decisamente molto alta” e che “Nel caso di specie, la percentuale di rifiuti prodotto è certamente troppo alta”.
24.1. In via preliminare, va dichiarata inammissibile la censura formulata al §. 7.3., perché priva di specificità ai sensi dell’art. 101, comma 1, c.p.a., in quanto non spiega l’incidenza della qualificazione dell’impianto progettato quale “industria insalubre” e, parimenti, non consente di comprendere in che modo l’asserito errore del T.a.r. (“confonde istruttoria…e monitoraggio”) riverbererebbe sulla legittimità dei provvedimenti impugnati.
La censura adombra, senza però svilupparlo in maniera argomentata, un preteso difetto d’istruttoria della Provincia con riferimento alla valutazione delle emissioni.
24.2. Va dichiarata inammissibile anche la censura articolata al §. 7.4., in quanto anch’essa articola contestazioni generiche, in violazione del canone di specificità di cui all’art. 101, c.p.a., e che, al contempo, difetta di quella puntualità richiesta per censurare l’esercizio della discrezionalità amministrativa e tecnica (si richiamano, nuovamente, per dovere di sintesi i §§.9.3.3. e 9.5.3.).
24.3. Relativamente alle censure articolate nei paragrafi precedenti a quelli adesso esaminati sono infondate.
Il Collegio rinvia per ragioni di sinteticità della motivazione, ai sensi dell’art. 3 c.p.a., a quanto già affermato nel §. 8.1.2. della presente sentenza.
25. Con l’ottavo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata per aver respinto l’ottavo motivo di ricorso, con cui si è lamentata la mancata attivazione di procedure partecipate, come il dibattito pubblico o l’inchiesta pubblica.
Si allega, quale critica della sentenza di primo grado, che “la scelta dell’Amministrazione di non convocare l’inchiesta pubblica è irragionevole e lesiva degli interessi alla piena partecipazione della popolazione interessata (tra cui i cittadini residenti nel Comune appellante), così come si ricava dalla giurisprudenza di codesto Ecc.mo Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV, 11 dicembre 2020, n. 7917)”.
25.1. Il motivo è inammissibile e infondato.
25.2. L’inammissibilità dell’ottavo motivo di appello discende dalla mancata esposizione di una critica alla motivazione del capo della sentenza di primo grado che ha respinto il corrispondente motivo di ricorso, in violazione dell’art. 101, comma 1, c.p.a..
25.3. L’infondatezza discende dalla correttezza delle statuizioni del T.a.r., che meritano conferma, essendo la convocazione dell’inchiesta pubblica una mera scelta discrezionale e non un obbligo (arg. dall’art. 24 bis, comma 1, d.lgs. n. 152/2006: “L’autorità competente può disporre che la consultazione del pubblico di cui all'articolo 24, comma 3, primo periodo, si svolga nelle forme dell'inchiesta pubblica…”).
26. In definitiva, l’appello proposto dal Comune di Terre Roveresche va respinto, salvo quanto riportato, per gli incombenti istruttori, ai punti successivi.
VI. Riepilogo delle statuizioni della sentenza non definitiva.
27. In conclusione, con riferimento all’appello n.r.g. 5630/2023:
- vanno respinti il primo motivo, il secondo motivo, le censure dalla seconda all’ottava del terzo motivo, il quarto motivo, il sesto motivo, il settimo motivo, l’ottavo motivo e il nono motivo.
- sulla prima censura del terzo motivo di appello e sul quinto motivo di appello si dispongono gli incombenti istruttori indicati al §. 28.
Con riferimento all’appello n.r.g. 5665/2023:
- vanno respinti il primo motivo, il secondo motivo, la prima e la seconda censura del terzo motivo, il quarto motivo, il sesto motivo e il settimo motivo;
- sulla seconda censura del terzo motivo di appello, si dispongono gli incombenti istruttori indicati al §. 28.
28. Relativamente alla prima censura del terzo motivo di appello e al quinto motivo di appello n.r.g. 5630/2023, nonché relativamente al terzo motivo di appello n.r.g. 5665/2023, il Collegio ritiene necessario disporre la verificazione affidandola al docente (o ai docenti) individuato (o individuati) dal Preside della facoltà di Ingegneria civile ed ambientale dell’Università Politecnica delle Marche, con facoltà di delega ad altro docente, munito di adeguate competenze.
Il verificatore dovrà dare risposta ai seguenti quesiti:
a) dica il verificatore, quanto alle valutazioni ambientali compiute dalla Provincia di Pesaro e Urbino sulla matrice geologica, se in base alle leggi tecniche della materia specialistica, le amministrazioni preposte erano tenute a considerare l’incidenza dell’opera, localizzata in un’area classificata “P2” rispetto all’area confinante, ma non interessata direttamente dal progetto, e classificata “P3”;
a.1) in caso di risposta positiva al precedente quesito, dica il verificatore se le amministrazioni preposte hanno tenuto in considerazione la suddetta incidenza;
b) dica il verificatore se, in base alle tavole di progetto che sono state approvate con il rilascio del PAUR, vi sono alcuni edifici dell’impianto progettato che ricadono nell’ambito della zona che resterà a destinazione agricola e/o nella zona sottoposta al “vincolo dei crinali”;
b.1) dica, altresì, se, come dichiarato dalla società Feronia, “la sistemazione ad uffici del fabbricato rurale esterno alla recinzione è stata stralciata dal progetto e non costituisce più oggetto della relativa richiesta di permesso di costruire” e se risulta corretto che “…gli appellanti avrebbero preso come riferimento elaborati tecnici superati nel corso del procedimento”.
A tal fine:
- il verificatore dovrà comunicare alle parti costituite la data ed il luogo dell’inizio delle operazioni peritali entro trenta giorni dalla comunicazione della presente sentenza;
- le parti hanno facoltà di nominare tecnici di fiducia i cui nominativi dovranno essere previamente comunicati al verificatore entro la data di inizio delle operazioni peritali; i tecnici potranno assistere, unitamente ai difensori, agli eventuali sopralluoghi e fare inserire le loro osservazioni nei relativi verbali;
- previo rituale avviso dell’inizio delle operazioni alle parti, il verificatore ha facoltà di procedere, ove ritenuto opportuno, alle acquisizioni di elaborati e documenti ritenuti opportuni presso le amministrazioni; gli uffici delle amministrazioni collaboreranno con il verificatore e gli presteranno ogni ausilio necessario, con l’avvertenza che, in caso contrario, qualora il verificatore dovesse segnale nella relazione la loro mancata collaborazione, il Collegio potrà trarre argomenti di prova, ai sensi dell’art. 64, comma 4, c.p.a. e/o tenerne conto ai fini della liquidazione delle spese di lite;
- il verificatore dovrà depositare la propria relazione preliminare entro 60 giorni dall’inizio delle operazioni peritali;
- le parti costituite possono comunicare al verificatore le proprie eventuali osservazioni alla relazione preliminare entro il termine di 15 giorni dal ricevimento della predetta relazione preliminare;
- il verificatore depositerà nella Segreteria di questo Consiglio la propria relazione finale sui quesiti posti dal Consiglio entro il successivo termine di trenta giorni; dovranno costituire oggetto di specifico esame e riscontro anche le eventuali osservazioni delle parti.
Pone a carico della parte appellante un anticipo sul compenso pari ad € 2.000,00, impregiudicata la regolazione dell’onere all’esito della decisione definitiva.
Riserva al Presidente della Sezione la fissazione dell'udienza di discussione del merito.
29. Si riserva la liquidazione delle spese di lite, alla definizione dell’intero giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), non definitivamente pronunciando sull’appello n.r.g. 5630/2023 e sull’appello n.r.g. 5665/2023, previa loro riunione:
a) respinge il primo motivo, il secondo motivo, le censure dalla seconda all’ottava del terzo motivo, il quarto motivo, il sesto motivo, il settimo motivo, l’ottavo motivo e il nono motivo dell’appello n.r.g. 5630/2023;
b) respinge il primo motivo, il secondo motivo, la prima e la seconda censura del terzo motivo, il quarto motivo, il sesto motivo e il settimo motivo dell’appello n.r.g. 5665/2023;
c) riserva la decisione sui rimanenti motivi di impugnazione e dispone gli incombenti istruttori di cui in motivazione al §. 28.
Spese al definitivo.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2024 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Michele Conforti, Consigliere, Estensore
Luigi Furno, Consigliere
Paolo Marotta, Consigliere