Rapporto tra strumenti di pianificazione urbanistica e misure di salvaguardia
di Antonio VERDEROSA
E’ noto che in presenza di uno strumento urbanistico adottato (cioè deliberato per la prima volta dal consesso consiliare comunale) , scattavano le misure di salvaguardia di cui all’articolo unico della legge 3 novembre 1952, n. 1902, oggi trasfuse nell’articolo 12, comma 31, del Testo Unico per l’edilizia approvato con D.P.R. n. 380 del 2001 , in forza delle quali il Comune deve sospendere ogni determinazione sulle domande di permesso di costruire che siano in contrasto con lo strumento urbanistico adottato.
Una prassi consolidata ha portato a risolvere la questione della compresenza di un P.R.G. vigente e di un P.R.G. adottato(in salvaguardia) con l’espressione «si applica il più restrittivo».
Infatti, applicare il piano più restrittivo significa effettuare un doppio esame di compatibilità della pratica edilizia. La legge 1902/1952 ha introdotto nel nostro ordinamento le misure di salvaguardia in base alle quali ai sindaci è attribuita la facoltà di sospendere le proprie determinazioni sulle domande di licenza edilizia, quando riconoscono che tali domande sono in contrasto con il piano adottato.
Con la L. 517/1966 furono precisate e aggiunte le casistiche in relazione all’approvazione da parte del Min. LL.PP, ovvero che
« Per i Comuni che entro un anno dalla scadenza del termine di pubblicazione del piano abbiano presentato il piano stesso all’Amministrazione dei lavori pubblici per l’approvazione, le sospensioni di cui ai commi precedenti potranno essere protratte per un periodo complessivo non superiore a cinque anni dalla data della deliberazione di adozione del piano. Quando, in seguito alle osservazioni del Ministero dei lavori pubblici, si renda necessaria la riadozione del piano, le sospensioni di cui ai due commi precedenti decorrono, per tutto il territorio interessato dal piano stesso, dalla data della deliberazione comunale di riadozione dei piani regolatori generali e particolareggiati ».
La disposizione era chiaramente intesa ad eliminare i gravi inconvenienti che il carattere facoltativo delle misure di salvaguardia aveva comportato: esse, infatti, hanno avuto generalmente un’applicazione molto limitata e casuale, con conseguente pregiudizio per l’attuazione dei piani e, d’altra parte, si erano rivelate, proprio per la discrezionalità attribuita ai sindaci, uno strumento discriminatorio ed una fonte di ricorsi giurisdizionali.
Va precisato che la norma riguardava soltanto le misure di competenza del sindaco. Inoltre, la norma esclude che le determinazioni del Sindaco debbano essere assunte su conforme parere della C.E.C., che resta obbligatorio ma non può considerasi vincolante.
Nel caso di variante al piano, i poteri di cui sopra si esercitano a partire dalla data di adozione della variante, per le costruzioni e trasformazioni ricadenti nel perimetro della variante medesima. La durata del periodo di efficacia delle misure di salvaguardia è di tre anni a decorrere dalla data della delibera di adozione del piano (cfr. art. 3, L. 1902/1952).
Successivamente con l’art. 3 della L. 765/1967, che integrava e modifica l’art. 10 della legge fondamentale, le normali misure di salvaguardia divennero obbligatorie (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 26.02.1992, n. 143).
A seguito dell’entrata in vigore del TUE, con la Legge 133/2008 fu definitivamente abrogata la L. 1902/1952 in quanto replicante la disposizione già inserita nell’art. 12 c.3 del DPR 380/01 secondo cui va tenuto in conto la norma più restrittiva nell’attuale formulazione.
La misura di salvaguardia ex art. 12, c. 3, D.P.R. 380/2001, è strumento diretto ad evitare che, nelle more del procedimento di approvazione degli strumenti di pianificazione, le richieste dei privati, fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica generale.
Essa, consiste nella sospensione di ogni determinazione in ordine alla domanda di permesso di costruire in caso di contrasto dell’intervento da realizzare con le previsioni degli strumenti urbanistici adottati. La ratio dell’istituto in oggetto è quella di evitare che nelle more dell’approvazione di un nuovo strumento urbanistico o di una variante urbanistica possa essere compromesso l’assetto territoriale programmato. Le misure di salvaguardia, quali strumento di preservazione dell’assetto urbanistico esistente alla data di adozione di nuove previsioni urbanistiche, hanno valenza generale e sono riferibili a qualsivoglia atto dell’amministrazione (autoritativo o convenzionale), e quindi non solo al permesso di costruire, che possa comportare una modificazione dello stato di fatto o di diritto dei suoli, difformemente dalle previsioni del piano in corso di approvazione. L’adozione delle misure di salvaguardia, disciplinata dal Testo Unico dell’Edilizia da norme di rango legislativo, va ritenuta espressione di un principio fondamentale della materia, da ravvisare come sopradetto nella prevalenza delle scelte effettuate dall’ente pubblico sull’uso da imprimere al territorio rispetto alle facoltà dei privati. La misura di salvaguardia comunale è un atto obbligatorio e vincolato, sia quanto all’emanazione che al contenuto, e si sostanzia in un provvedimento espresso congruamente motivato, da notificare al richiedente: deve contenere in particolare una chiara manifestazione di volontà di sospendere ogni pronuncia sulla domanda, nonché l’indicazione del contrasto della domanda stessa con le nuove previsioni, evidenziando il conseguente pregiudizio della futura attuazione dello strumento urbanistico.
Il disegno urbanistico espresso da uno strumento di pianificazione generale costituisce estrinsecazione del potere pianificatorio connotato da ampia discrezionalità, che rispecchia non soltanto scelte strettamente inerenti all'organizzazione edilizia del territorio, bensì afferenti anche al più vasto e comprensivo quadro delle possibili opzioni inerenti al suo sviluppo socio-economico; esso si articola su vari livelli, secondo i principi di sussidiarietà, così da cercare di assicurare al livello di governo più vicino al contesto cui si riferisce il compito di valorizzare le peculiarità storiche, economiche e culturali locali e insieme il principio di adeguatezza ed efficacia dell’azione amministrativa
Allo scopo di evitare che nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano vengano rilasciati provvedimenti che consentono attività edificatorie (o comunque trasformative) del territorio, alla stregua per lo più di norme maggiormente permissive, compromettendo l’assetto per come “progettato” e pensato negli strumenti adottati, in materia urbanistica si utilizzano le “clausole di salvaguardia”; esse si concretizzano nella doverosa sospensione dei procedimenti finalizzati al conseguimento di ridetti titoli, fino all’approvazione del nuovo strumento urbanistico pianificatorio, e in attesa della sua entrata in vigore, alla stregua del quale dovrà assumersi la determinazione definitiva .
Con la sentenza Cons. St., sez. II, 23 marzo 2020, n. 2012, la Sezione affronta il problema del rapporto tra i vari livelli di pianificazione territoriale, evidenziando come nella individuazione dei contenuti quelli di maggior dettaglio sono rimessi ai provvedimenti adottati dagli Enti più vicini al territorio, nel rispetto dei principi di sussidiarietà ed efficacia dell’azione amministrativa. Il rapporto intercorrente tra i vari livelli di pianificazione implica uno specifico scrutinio della loro portata e potenzialità immediatamente lesiva della posizione dei singoli, senza attenderne una “specificazione” in ambito territoriale più ristretto. Diversamente, in assenza di indicazioni specifiche nei Piani sottordinati, ovvero, ancor prima, una volta acclarata la correttezza delle stesse, verrebbe meno anche l’interesse all’autonoma impugnativa del Piano sovraordinato.
Sul piano del diritto intertemporale, le “misure di salvaguardia”, in una prospettiva esclusivamente cautelare, sono le regole utilizzate in urbanistica allo scopo di evitare che nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano, il rilascio di provvedimenti che consentono attività edificatorie (o comunque trasformative) del territorio, alla stregua per lo più di norme maggiormente permissive, possa comprometterne l’assetto per come “progettato” e pensato negli strumenti adottati. Esse si concretizzano nella doverosa sospensione dei procedimenti finalizzati al conseguimento di ridetti titoli, fino all’approvazione del nuovo strumento urbanistico pianificatorio, e in attesa della sua entrata in vigore, alla stregua del quale dovrà assumersi la determinazione definitiva. L’esigenza sottesa alle misure di salvaguardia è dunque di carattere conservativo e si identifica nella necessità che le richieste dei privati – fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale, in quanto in fieri, e quindi potenzialmente modificata – finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica, rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l’attuazione del piano in itinere ( Cons. St., sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257 ).
Pertanto l'attività edificatoria rimane regolata dallo strumento urbanistico vigente, salvo il limite che possono essere rilasciate solo concessioni edilizie che non contrastino con le previsioni del nuovo piano, in attesa di approvazione. Nel caso in cui, nel corso del procedimento inerente una domanda di permesso di costruire, sopravvenga l’adozione di una strumento urbanistico generale, le condizioni perché tale domanda possa trovare favorevole definizione sono quindi due: che l’intervento edilizio sia conforme al piano vigente ed inoltre che non sia in contrasto con il piano adottato.
E’ pertanto evidente che la mancanza di una soltanto delle due condizioni rende superflua qualsiasi indagine sull’altra. L'applicazione della misura di salvaguardia, in caso di contrarietà della richiesta di intervento edilizio rispetto alle sopravvenute disposizioni del piano adottato, è obbligatoria, derivando direttamente dalla legge, e comporta l’inutilità, nelle more della vigenza della misura stessa, della verifica della conformità del medesimo intervento rispetto alla precedente normativa, non più attuale. In sostanza entrano in vigore le norme di salvaguardia dalla adozione di un nuovo e diverso strumento urbanistico generale, nel preciso momento in cui l’organo amministrativo competente delibera formalmente il piano e lo pubblicizza. Lo scopo è consentire la presentazione delle osservazione da parte dei soggetti interessati, allo scopo di impedire che antecedentemente alla approvazione del piano siano eseguiti interventi possano compromettere gli assetti territoriali previsti dal piano stesso, così che integrano la violazione dell’art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, gli interventi posti in essere dopo la adozione, anteriori alla approvazione del piano ed eseguiti in contrasto con le misure di salvaguardia (Cass. Pen. III n. 5250/2017).
Antonio Verderosa
1 Infatti l’art. 12 comma 3 recita che :.. In caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione …