Sul sequestro del CRESCENT di Salerno
(Riflessioni a seguito della pubblicazione sul sito comunale, in data odierna, dell’avviso di garanzia a carico del Sindaco De Luca)
di Massimo GRISANTI
Grazie alla gentile concessione del Sindaco De Luca (animato dall’intenzione di voler portare sul piano politico la vicenda del sequestro del CRESCENT di Salerno ad opera della Magistratura penale) si è potuti entrare in possesso di alcune delle accuse che vengono rivolte al progetto e alle svolte procedure di edificazione.
Riguardo ai punti G, G-bis e G-ter dell’atto di accusa, oltre a quello già rilevato dai Pubblici Ministeri potrebbero venire in rilievo anche questi ulteriori aspetti:
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Il piano regolatore generale poteva contenere valide previsioni edificatorie unicamente se fosse stata rispettata la procedura concertativa-permissiva prescritta dall’art. 28 del R.D. n. 1357/1940, costituente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 158 del D.Lgs. n. 42/2004, anche il regolamento attuativo del Codice del Paesaggio.
La competenza a concordare i termini dell’intesa è della Soprintendenza locale, giacché con il D.P.R. n. 8/1972 alle Regioni a statuto ordinario sono state trasferite unicamente le competenze paesaggistiche interferenti con l’urbanistica espressamente contemplate nella Legge n. 765/1967 (giammai le competenze del R.D. n. 1357/1940).
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Il piano regolatore generale comunale poteva contenere valide previsioni interessanti i beni demaniali unicamente se fosse approvato d’Intesa con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
A tal riguardo, così si espresse la Corte Costituzionale con sentenza n. 286/1985:
“(…) In particolare poi la Corte, dopo aver precisato, in armonia con l'art. 80 d.P.R. n. 616/1977, che l'urbanistica comprende tutto quanto concerne l'uso dell'intero territorio ai fini della localizzazione e tipizzazione degli insediamenti, con le relative infrastrutture (sent. n. 239/1982), ha avvertito che la competenza regionale subisce varie restrizioni, tra cui, ad esempio, quelle relative alla costruzione di opere pubbliche di interesse nazionale, sempre appartenenti alla competenza centrale.
Analoga restrizione, per l'eadem ratio, non può non verificarsi per i beni pubblici statali (demaniali e patrimoniali indisponibili), il cui uso, secondo la loro natura e finalità, attiene ai compiti dello Stato ed è inteso alla soddisfazione, con modalità varie, di interessi riferibili a tutta la comunità nazionale (si può invero distinguere, com'è noto, tra un uso indiretto, per il demanio e patrimonio militare, le strade ferrate, gli aeroporti, e un uso diretto, per il demanio marittimo, idrico, stradale, ecc.).
10. - Giova in proposito ricordare come già nella vigenza della legge 17 agosto 1942 n. 1150, il cui art. 10 attribuiva agli organi statali il potere (ora trasferito alle regioni) di approvazione del piano regolatore generale, il controllo di conformità alle previsioni urbanistiche delle opere da eseguire su terreni demaniali (art. 31, modif. dall'art. 10 l. 6 agosto 1967 n. 765) spettava al Ministero dei lavori pubblici d'intesa con le amministrazioni interessate: sistema confermato testualmente dall'art. 9, ultimo comma, l. 28 gennaio 1977 n. 10.
E può anche ricordarsi che l'art. 3 l. 24 dicembre 1976 n. 898 affida, in materia di servitù militari, ad atti bilaterali l'armonizzazione tra i piani territoriali delle regioni o delle Province autonome e le esigenze dell'Amministrazione centrale della difesa.
Sulla linea di continuità di dette norme, va affermato che ogni qual volta concorra - come nella fattispecie in esame - una molteplicità di interessi eterogenei, riferibili a soggetti diversi e tutti di rilievo costituzionale, alla loro composizione deve provvedersi attraverso l'istituto, tipico e generale del diritto pubblico, rappresentato dall'intesa.
In proposito l'affermazione della Provincia di Bolzano, secondo cui l'intesa sarebbe possibile soltanto nel caso specifico previsto dall'art. 81, secondo comma, d.P.R. 616/1977, non sembra alla Corte puntuale. La norma ora citata si riferisce invero ad una fattispecie particolare, che non esclude certo l'impiego dell'istituto (il quale, come s'è detto, è di portata generale) tutte le volte che esso costituisce
strumento idoneo a realizzare la sua funzione ora detta.
Tutto ciò conferma la già preannunciata conclusione, secondo cui non spetta alle Regioni ed alle Province autonome approvare gli strumenti urbanistici senza che, nelle parti in cui essi prevedono il mutamento di destinazione degli immobili pubblici appartenenti allo Stato, sia previamente intervenuta un'intesa con i competenti organi centrali.
In definitiva vanno quindi accolti tutti i ricorsi che hanno per oggetto esclusivamente la questione ora esaminata (…)”.
Recentemente l’indefettibilità dell’Intesa è stata ribadita dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 39/2013:
“(…) Questa Corte, nella sua giurisprudenza, ha enucleato una serie di principi, che incidono direttamente sulla fattispecie oggetto del presente giudizio.
In primo luogo, nei casi in cui sia prescritta una intesa “in senso forte” tra Stato e Regioni – ad esempio, per l’esercizio unitario statale, in applicazione del principio di sussidiarietà, di funzioni attribuite alla competenza regionale – il mancato raggiungimento dell’accordo non legittima, di per sé, l’assunzione unilaterale di un provvedimento. Si tratta infatti di «atti a struttura necessariamente bilaterale», non sostituibili da una determinazione del solo Stato (sentenza n. 383 del 2005).
Non è sufficiente, in ogni caso, il formale riferimento alla necessaria osservanza del principio di leale collaborazione. Devono essere previste procedure di reiterazione delle trattative, con l’impiego di specifici strumenti di mediazione (ad esempio, la designazione di commissioni paritetiche o di soggetti “terzi”), ai quali possono aggiungersi ulteriori garanzie della bilateralità, come, ad esempio, la partecipazione della Regione alle fasi preparatorie del provvedimento statale (sentenze n. 33 e n. 165 del 2011).
L’assunzione unilaterale dell’atto non può pertanto essere prevista come «mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento dell’intesa», con sacrificio della sfera di competenza costituzionalmente attribuita alla Regione e violazione, per l’effetto, del principio di leale collaborazione (sentenza n. 179 del 2012).
4.2.– Il rilievo nazionale degli interessi menzionati nella norma censurata non è da solo sufficiente a rendere legittimo il superamento dei limiti alla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni fissati dal riparto costituzionale delle competenze. Difatti, l’accentramento dell’esercizio di funzioni amministrative da parte dello Stato «può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 303 del 2003).
Il semplice decorso del tempo – previsto dalla norma impugnata come unica condizione per l’adozione unilaterale dell’atto ad opera dello Stato – per sua natura prescinde completamente dall’osservanza, da parte di Stato e Regioni, di comportamenti ispirati al principio di leale collaborazione.
Quale che sia l’atteggiamento delle parti nei sessanta giorni successivi alla scadenza del termine per l’adozione dell’atto, si verifica, secondo la richiamata previsione legislativa statale, la concentrazione della potestà di decidere in capo ad una di esse. Ciò anche nell’ipotesi che proprio lo Stato abbia determinato, con l’inerzia o con altri comportamenti elusivi, l’inutile decorrenza del termine.
Per le ragioni esposte, non può essere condiviso l’assunto della difesa erariale, che la prestazione collaborativa da parte dello Stato possa ridursi alla mera attesa della scadenza del termine. (…)”.
Senza contare che la Corte Costituzionale aveva già espresso tali concetti a partire dalla sentenza n. 359/1985 che risolse in favore dello Stato un ricorso per conflitto d’attribuzioni in ordine alla c.d. “Circolare Spadolini” ovverosia la circolare del Presidente del Consiglio dei ministri 20 aprile 1982, n. 3763/6.
Se il PRG non è stato approvato d’intesa, oggi, essendo Vice Ministro del dicastero competente, il Sindaco De Luca potrebbe anche provare ad approvarselo; non so se potrebbe essere considerato abuso d’ufficio.
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Il piano attuativo poteva validamente contenere la disposizione planovolumetrica di valide previsioni unicamente se avesse rispettato le prescrizioni ex art. 16 della Legge n. 1150/1942 e ss.mm.ii.
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I piani attuativi sono di competenza del Consiglio comunale e devono essere trasmessi alla Regione (ex art. 24 della Legge n. 47/1985, che è stato ribadito essere un principio fondamentale dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 272/2013).
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I piani attuativi costituenti varianti al P.R.G. devono essere approvati tanto dal Consiglio comunale, quanto dalla Regione o ente delegato.
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Ai sensi dell’art. 89 del D.P.R. n. 380/2001 l’Ufficio tecnico regionale del Genio Civile deve dare il proprio parere favorevole sulla compatibilità delle previsioni edificatorie rispetto allo stato dei luoghi così come indagato sotto i profili geologico-idraulico-sismico. Trascorsi i termini dalla richiesta del parere esso è da intendersi reso come negativo e, quindi, ostativo all’edificazione. I piani urbanistici sono quantomeno inefficaci.
Infine, si evidenzia che il Consiglio di Stato, che ancora non risulta essersi espresso, ha l’obbligo di accertare – in via preliminare – se i piani urbanistici sono vigenti:
Suprema Corte di Cassazione civile, Sez. II, 2 agosto 2001, n. 10561: “I piani regolatori generali ed i regolamenti edilizi con annessi programmi di fabbricazione – le cui norme, essendo integrative di quelle contenute nel codice in materia di costruzioni, rientrano nella scienza ufficiale del giudice, il quale ha pertanto il dovere di accertarne l’effettiva vigenza – per diventare esecutivi ed acquistare efficacia normativa, devono, dopo l’approvazione dell’autorità regionale, essere portati a conoscenza dei destinatari nei modi di legge, ossia mediante pubblicazione da eseguirsi con affissione all’albo pretorio, essendo tale pubblicazione necessaria per l’efficacia e l’obbligatorietà dello strumento urbanistico, senza possibilità di efficacia retroattiva dalla data di approvazione da parte dell’organo regionale; …”.
Il presente scritto verrà inviato anche al Consiglio di Stato, via PEC.
Staremo a vedere se il Consiglio di Stato vorrà effettuare l’obbligatorio scrutinio ovverosia accertare preventivamente, rispetto alle questioni poste alla Sua attenzione, l’effettiva vigenza degli strumenti urbanistici generali ed attuativi.
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Scritto il 21/11/2013