Sull’inapplicabilità dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 alla disciplina urbanistica
(commento critico a TAR Toscana, sentenza n. 1481/2013 – in appendice)
di Massimo GRISANTI
Sono i Giudici amministrativi l’ostacolo alla responsabilizzazione del Paese-Italia?
Il caso che vengo a portare all’attenzione dei lettori nasce da indagini di polizia giudiziaria svolte per la Procura della Repubblica di Firenze, a seguito delle quali il Comune di Firenze fu “costretto” (?) ad intervenire sul piano amministrativo annullando in via di autotutela un permesso di costruire per intervento di ristrutturazione urbanistica in zona A a mezzo del quale in luogo di un edificio commerciale venivano posti in essenre ben 33 appartamenti.
A parte il fatto che non si comprende come possano legittimamente ricavarsi tutti questi appartamenti senza provvedere a reperire le aree per gli standards di urbanizzazione primaria e secondaria nonché senza realizzare le opere primarie, quello che più continua a stupire è il comportamento dei Giudici amministrativi (di tutta Italia, compresi quelli del Consiglio di Stato).
Per i magistrati fiorentini non basta che sussista il “… mero contrasto con gli artt. 9, 23 e 26 delle NTA del PRG” (sic!), ma occorre, anche, che sia sussistente un interesse pubblico diverso (quale dovrebbe essere? In materia di caccia e pesca?) dal mero ripristino della legalità violata, così come recita l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii.
Ebbene, il principio di legalità afferma che tutti gli organi dello Stato sono tenuti ad agire secondo la legge. Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo discrezionale, ma non in modo arbitrario.
Tuttavia i Magistrati amministrativi continuano a dimenticare:
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che il rilascio del permesso di costruire non costituisce attività discrezionale, bensì vincolata, atteso che il legislatore ha voluto che il provvedimento sia “… rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente” (art. 12 - D.P.R. n. 380/2001). Il relativo corollario è l’impossibilità di variare gli strumenti urbanistici e la disciplina in genere a mezzo dei permessi di costruire;
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che “l'attivita' amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed e' retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell'ordinamento comunitario.” (art. 1 – Legge n. 241/1990);
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che l’art. 1 della Legge n. 1150/1942 ha come scopo lo sviluppo ordinato del territorio, da perseguirsi a mezzo della pianificazione;
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che la legge laddove ammette il rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici lo dice espressamente (art. 14 – D.P.R. n. 380/2001);
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che il funzionario comunale che rilascia un permesso di costruire in violazione della norma di azione ex art. 12 T.U.E. concorre da estraneo ex art. 110 e ss. c.p. (cfr. per il principio: Cass. Penale, Sez. III, n. 9281/2011; Sez. III, n. 9961/1988) nei reati di abuso edilizio e/o lottizzazione abusiva.
I Giudicanti, evidentemente, hanno molta difficoltà a comprendere che le loro sentenze incidenti sui provvedimenti comunali di annullamento in via di autotutela di permessi di costruire illeciti (e non illegittimi) sono – a tutti gli effetti – condoni edilizi e varianti agli strumenti urbanistici per via giudiziale.
Una manifesta invasione del potere giudiziario in quello discrezionale amministrativo!
Se il permesso di costruire rilasciato viola gli strumenti urbanistici e la disciplina urbanistica in genere, come può – il “provvedimento” – essere espressione di un’attività amministrativa, atteso che ex art. 1 della legge n. 241/1990 essa deve perseguire i fini determinati dalla legge?
In tal caso, è competente il Giudice Amministrativo?
Sembra quasi che i Giudici amministrativi stiano difendendo esclusivamente il loro posto di lavoro (e il loro potere).
Eppoi, del resto, se il funzionario comunale ha sbagliato nel rilasciare il permesso è giusto che venga annullato, che le opere vengano demolite e che il privato venga ristorato dei danni subiti.
Se il funzionario sbaglia più volte allora è incompetente, alla pari di chi gli ha conferito l’incarico oppure di chi lo ha giudicato meritevole di essere assunto nella P.A. In tal caso deve pagare anch’esso e risponderne alla Corte dei Conti.
Anziché applicare la legge e sentenziare che l’art. 21-nonies della legge n. 241/1990 non è applicabile in urbanistica, ecco che i Giudici amministrativi (sensibili alla politica) vogliono salvare queste PP.AA. formate da taluni soggetti incapaci, se non talvolta corrotti, al servizio del “politico” di turno.
Quando si constata che il Paese-Italia non funziona, è bene ricordare che il pesce puzza dalla testa!
E se chi ha scienza non ha coscienza, non ha diritto di lamentarsi, di alcunché.
Scritto il 19 novembre 2013
N. 01481/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00611/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 611 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: Immobiliare Marta srl, rappresentata e difesa dagli avv.ti Elena Cirri e Paolo Golini, con domicilio eletto presso Paolo Golini in Firenze, via Gino Capponi, 26;
contro
Comune di Firenze, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti Claudio Visciola ed Annalisa Minucci, con domicilio eletto in Firenze, Palazzo Vecchio – piazza della Signoria;
per l'annullamento
dell’ordinanza di sospensione dei lavori n.844 del 17 dicembre 2009, dell’atto n.33 del 9 febbraio 2010 di annullamento di permesso di costruire in variante sostanziale n.153 del 2005, degli artt.9, 23, 26 delle NTA del PRG ove con prescrizione vincolante della previa demolizione dei fabbricati esistenti di classe 6 per l’ammissibilità dell’intervento edilizio in esame, di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti ed in particolare della relazione comunale di sopralluogo del 16 dicembre 2009, dei pareri della Commissione edilizia Comunale del 17 dicembre 2009 e del 21 gennaio 2010, della comunicazione dalla Procura della Repubblica di Firenze del 17 novembre 2009;
per la condanna
dell’Amministrazione alla reintegrazione in forma specifica nella titolarità del permesso di costruire in variante sostanziale n.153 del 12 maggio 2005 ed al risarcimento dei danni;
per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia,
dell’ordinanza di demolizione n.573 del 13 luglio 2012, impugnata con motivi aggiunti depositati il 30 novembre 2012 e di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi, della nota comunale del 5 dicembre 2012, impugnata con motivi aggiunti depositati il 28 febbraio 2013 e di tutti gli atti presupposti, consequenziali e connessi.
Visto il ricorso e i relativi allegati;
Visti i motivi aggiunti ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Firenze;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2013 il dott. Silvio Lomazzi e uditi per le parti i difensori E. Cirri, P. Golini e A. Minucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Il Comune di Firenze rilasciava al Sig. Carlo Vezzosi la concessione edilizia n.693 del 22 dicembre 2003, avente ad oggetto un intervento di ristrutturazione urbanistica, consistente nella trasformazione di un complesso commerciale in edificio residenziale, con n.33 appartamenti, in zona A3 “centro storico fuori le mura” del PRG, edificio di classe 6, con recupero di capacità edificatoria, realizzando su parte della copertura del preesistente fabbricato seminterrato un manufatto di n.5 piani; seguiva il permesso di costruire in variante sostanziale n.153 del 12 maggio 2005, per l’edificio in classe 6 e l’area di pertinenza in classe 9, con parziale traslazione delle volumetrie già concessionate, mediante realizzazione di un fabbricato di n.2 piani per n.30 alloggi sull’area e di un’autorimessa nel vecchio fabbricato commerciale; in data 26 febbraio 2007 il titolo edilizio veniva volturato alla Immobiliare Marta srl.
Il 17 novembre 2009 tuttavia perveniva all’Amministrazione comunicazione della Procura della Repubblica di Firenze, nell’ambito di indagini di polizia giudiziaria in un procedimento penale per la realizzazione delle suddette opere in contrasto con gli strumenti urbanistico-edilizi vigenti; il 16 dicembre 2009 il Comune effettuava apposito sopralluogo; il successivo 17 dicembre 2009 rilasciava parere sulla vicenda la C.E.C., secondo cui il nuovo manufatto era previsto in area di classe 9, inedificabile, ex art.26 delle NTA del PRG, destinata a verde privato e di pertinenza di edifici pubblici e privati, era inoltre ivi ammesso un intervento edilizio, ex art.26, comma 7 delle NTA del PRG, solo in ipotesi di demolizione e ricostruzione di edificio in classe 6 - e nel caso di specie non veniva demolito, né prevista la rimozione di alcun fabbricato - e altresì l’allineamento del nuovo manufatto non era corretto, ai sensi dell’art.23, comma 2 delle NTA del PRG.
Il Comune pertanto emetteva ordinanza di sospensione dei lavori del 17 dicembre 2009, in applicazione dell’art.129 della L.R. n.1 del 2005 e dell’art.27 del D.P.R. n.380 del 2001; seguivano le memorie contro deduttive del privato del 30 dicembre 2009 nonché un incontro tra le parti in data 12 gennaio 2010; l’Amministrazione quindi, richiamando il parere del 21 gennaio 2010 della C.E.C., di conferma del precedente parere del 17 dicembre 2009, con atto n.33 del 9 febbraio 2010, annullava in autotutela, ex art.21 nonies della Legge n.241 del 1990, il permesso di costruire in variante sostanziale n.153 del 2005, perché, nell’ambito dell’intervento di ristrutturazione urbanistica RU1, sarebbe stato necessario demolire e ricostruire il fabbricato preesistente di classe 6, per realizzare i volumi sull’area di pertinenza di classe 9, ex artt.23 e 26 delle NTA del PRG, dunque per contrasto dell’intervento con gli artt.23, 26 e 9 delle NTA del PRG.
La Società impugnava pertanto l’ordinanza di sospensione dei lavori del 17 dicembre 2009, l’atto di annullamento in autotutela del 9 febbraio 2010 ed in parte qua le NTA del PRG, deducendo la violazione degli artt.3, 21 nonies della Legge n.241 del 1990, degli artt.10, 27 del D.P.R. n.380 del 2001, degli artt.78, 129 della L.R. n.1 del 2005, degli artt.3, 4, 44 della L.R. n.52 del 1999, dell’art.97 Cost., degli artt.7, 9, 23, 26 delle NTA del PRG, degli artt.36, 65 del R.E.C. nonché l’eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, del travisamento dei presupposti di fatto e di diritto, della contraddittorietà, illogicità ed irragionevolezza, dello sviamento, della violazione della circolare di cui alla del. g.r. n.50 del 21 gennaio 2002.
L’interessata in particolare ha fatto presente che non era stato evidenziato l’interesse pubblico all’annullamento del permesso di costruire n.153 del 2005, evidenziandosi il solo mero contrasto con gli artt.9, 23, 26 delle NTA del PRG, anche in raffronto al contrapposto interesse del privato, non considerando tra l’altro lo stato di avanzamento dei lavori, con l’edificio completato nelle strutture murarie, né il legittimo affidamento maturato in capo al privato medesimo nel ragionevole lasso di tempo decorso dal 2005 ovvero dal rilascio del titolo edilizio, tenuto anche conto che il ripensamento del Comune non era stato causato da alcuna erronea rappresentazione dei fatti fornita dall’istante e che il progetto edilizio presentato e approvato dal Comune non prevedeva la demolizione del fabbricato preesistente, che risultava altresì disatteso il principio di proporzionalità e adeguatezza.
Esponeva inoltre la ricorrente che trattavasi di intervento di ristrutturazione urbanistica RU1, riguardante un edificio in classe 6 ed un’area in classe 9, che non c’era stata la demolizione e ricostruzione del fabbricato preesistente, ma che il risultato finale era del tutto identico a quanto previsto dalla normativa urbanistica e che dunque l’interpretazione del Comune era stata errata ed illogica; che inoltre la definizione degli interventi edilizi contenuta prima nell’art.31 della Legge n.457 del 1978, poi nell’art.3 del D.P.R. n.380 del 2001 e nella L.R. n.1 del 2005, con obbligo di adeguamento alla stessa da parte dei Comuni nei PRG, ex artt.3, 4, 44 della L.R. n.52 del 1999, circ. g.r. n.50 del 2002 e art.65 R.E.C. (il PRG di Firenze è del 1998) comportava il richiamo ai predetti art.3 del D.P.R. n.380 del 2001 ed alla L.R. n.1 del 2005; che dunque laddove le NTA del PRG utilizzavano l’espressione di demolizione e ricostruzione (con riorganizzazione dei volumi) doveva intendersi intervento di ristrutturazione urbanistica; in subordine che andava considerata l’illegittimità degli artt.9, 23, 26 delle NTA del PRG per contrasto con gli artt.3, 4, 44 della L.R. n.52 del 1999; che inoltre le NTA del PRG non prevedevano in via vincolata la demolizione e ricostruzione dei fabbricati per gli interventi di ristrutturazione urbanistica; che anche la prescrizione sugli allineamenti degli edifici, ex art.23, comma 2 delle NTA del PRG non era rigida, che il mancato allineamento era solo dedotto e che poi il fabbricato in esame risultava in realtà allineato.
La Società richiedeva inoltre la reintegrazione in forma specifica nella titolarità del permesso di costruire n.153 del 2005.
Veniva altresì domandata la condanna del Comune al risarcimento del danno per la perdita subita, anche di chance, per il mancato guadagno e ancora per ritardi nell’esecuzione di altre commesse, per danno all’immagine e morale, il tutto maggiorato di interessi e rivalutazione; in subordine, nel caso di ritenuta legittimità dell’atto di annullamento impugnato, era richiesta la riparazione del danno per lesione del legittimo affidamento sulla fattibilità dell’intervento a seguito del rilascio della concessione edilizia n.693 del 2003 e della successiva variante n.153 del 2005.
Il Comune si costituiva in giudizio per la reiezione del gravame.
L’Amministrazione inoltre, in seguito alla determina n.33 del 2010, emetteva l’ordinanza di demolizione n.573 del 13 luglio 2012, ai sensi dell’art.138 della L.R. n.1 del 2005, evidenziando l’interesse pubblico al rispetto dell’art.26 delle NTA del PRG, con prescrizione di inedificabilità sull’area di classe 9, imponendo la riduzione in pristino dello stato dei luoghi entro n.180 giorni.
La Società impugnava con motivi aggiunti la suddetta ordinanza, censurandola per illegittimità derivata dall’atto n.33 del 2010, per violazione dell’art.38 del D.P.R. n.380 del 2001, dell’art.138 della L.R. n.1 del 2005, degli artt.3 e ss. della Legge n.241 del 1990, dell’art.97 Cost. nonché per eccesso di potere per difetto di presupposti e di motivazione, per travisamento dei fatti, per illogicità ed irragionevolezza, per sviamento.
La ricorrente nello specifico ha sostenuto che non era stata verificata la possibilità di rimuovere i vizi riscontrati né quella di irrogare semmai la sanzione pecuniaria; che difettava la motivazione sull’interesse pubblico, non riducibile all’esigenza del mero ripristino della legalità violata, per disporre la demolizione ove possibile; che inoltre l’interpretazione delle NTA del PRG era illogica, l’intervento di ristrutturazione urbanistica RU1 era ammesso, la violazione riscontrata era solo formale ed il risultato edilizio finale sarebbe stato identico.
Veniva poi rinnovata la pretesa risarcitoria.
Con atto del 5 dicembre 2012 il Comune integrava la motivazione dell’ordinanza n.573 del 2012, rilevando che trattavasi del centro storico, di un’ area di pertinenza di classe 9 che andava mantenuta libera oppure edificata, previa demolizione e ricostruzione di edifici in classe 6, incompatibili col tessuto edilizio della zona e che l’interesse pubblico alla riqualificazione del contesto era stato confermato anche nella successiva pianificazione urbanistica; veniva inoltre dato atto che l’edificio in esame era praticamente ultimato e che la nuova disciplina urbanistico-edilizia aveva ristretto le possibilità di ricostruzione.
Con memoria l’Amministrazione rilevava, tra l’altro, in fatto che il manufatto de quo era posizionato all’interno dell’isolato e non su strada pubblica, in diritto l’infondatezza delle impugnative di cui al ricorso introduttivo ed ai motivi aggiunti, l’inammissibilità e l’infondatezza della richiesta di reintegrazione in forma specifica, l’infondatezza della pretesa risarcitoria.
Con altra memoria la ricorrente ribadiva i propri assunti, richiamando a sostegno i contenuti di una nota del Difensore civico comunale del 24 luglio 2007.
Con ordinanza n.822 del 2012 il Tribunale accoglieva la domanda cautelare presentata dalla ricorrente ed abbinata ai motivi aggiunti.
Con ulteriori motivi aggiunti la Immobiliare Marta srl impugnava la nota comunale del 5 dicembre 2012, censurandola per violazione degli artt.3, 21 nonies della Legge n.241 del 1990, dell’art.38 del D.P.R. n.380 del 2001, dell’art.138 della L.R. n.1 del 2005, dell’art.97 Cost., degli artt.7, 9, 23, 26 delle NTA del PRG nonché per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione, del travisamento dei fatti, della contraddittorietà ed illogicità, dell’errore di diritto, dell’arbitrarietà, dello sviamento.
La ricorrente ha fatto presente in proposito che la nota comunale del 5 dicembre 2012 finiva per confermare il difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione n.573 del 2012, che era comunque illegittima l’integrazione ex post della motivazione di un atto impugnato nel corso del relativo giudizio e che il richiamo alla disciplina urbanistica sopravvenuta (contenuta nella variante al PRG del 2010 e nel PS del 2011) non poteva comunque assumere alcun rilievo per dimostrare l’illegittimità del permesso di costruire n.153 del 2005 e la sussistenza dell’interesse pubblico sotteso all’ordinanza n.573 del 2012; che in ogni caso nelle aree di classe 9 non di pregio erano ammessi una serie di attività e di utilizzi edilizi, che la nuova disciplina, nella variante al PRG, innovava solo sotto il profilo procedimentale, richiedendosi un PP, ex art.23 delle NTA del PRG, mentre il PS formulava soltanto degli indirizzi, facendo salvi i permessi di costruire già rilasciati, ex art.7 delle NTA del PRG; che in ultimo, demolendo e poi ricostruendo l’edificio in classe 6 si tornava al punto di partenza, con analogo risultato.
Con memoria la ricorrente ribadiva i propri assunti nel merito.
Con altra memoria il Comune rilevava che, diversamente da quanto assentito, il nuovo fabbricato doveva essere posizionato sulla strada pubblica e che i secondi motivi aggiunti erano inammissibili, per difetto di interesse, perché rivolti avverso una mera nota di chiarimenti nonché infondati.
Seguivano le repliche delle parti in rito e nel merito.
Nell’udienza del 26 giugno 2013, rilevata d’ufficio ex art.73, comma 3 c.p.a. la possibile improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse dell’impugnativa con il ricorso introduttivo dell’ordinanza di sospensione dei lavori n.844 del 17 dicembre 2009, la causa veniva discussa e quindi trattenuta in decisione.
Il ricorso introduttivo va dichiarato improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, nella parte in cui risulta impugnata l’ordinanza di sospensione dei lavori n.844 del 17 dicembre 2009, atteso che la stessa ha esaurito i suoi effetti dopo 45 giorni dalla sua notifica, ex art.129 della L.R. n.1 del 2005 (cfr. in ultimo TAR Toscana, III, n.1337 del 2013).
Il ricorso è invece fondato e va pertanto accolto laddove rivolto avverso l’atto in autotutela n.33 del 9 febbraio 2010, con conseguente suo annullamento.
Invero giova al riguardo evidenziare che nel dichiarato esercizio del suo potere di autotutela l’Amministrazione, in chiara violazione dell’art.21 nonies della Legge n.241 del 1990, si è limitata a rilevare il contrasto dell’intervento con gli artt.9, 23, 26 delle NTA del PRG, ma ha del tutto omesso di motivare il proprio atto in riferimento all’interesse pubblico allo stesso se del caso sotteso, anche in raffronto al contrapposto interesse del privato, senza considerare il lasso di tempo trascorso dal rilascio del titolo edilizio e dunque lo stato di avanzamento dei lavori, con l’edificio completato nelle sue strutture murarie (cfr. verbale di sopralluogo comunale del 17 dicembre 2009, all.11 atti del Comune) nonchè il conseguente e qualificato affidamento della Società sulla regolarità del titolo edilizio, tenuto anche conto che i relativi progetti presentati al Comune e dallo stesso approvati non prevedevano la demolizione del fabbricato preesistente e che il ripensamento dell’Amministrazione non è stato determinato da alcuna erronea rappresentazione dei fatti fornita dall’istante (cfr., tra le altre, TAR Basilicata, n.158 del 2013 e TAR Lazio-Latina, n.644 del 2013).
Il predetto ricorso va di contro respinto, perché infondato, nella parte in cui viene rivolto avverso le NTA del PRG applicate dal Comune.
Premesso da un lato che la disciplina locale deve attenersi alle definizioni degli interventi edilizi delineate nelle fonti normative di rango superiore e dunque nella legislazione statale e regionale (cfr. anche art.65 R.E.C. nelle due formulazioni succedutesi nel tempo) e dall’altro che l’Amministrazione comunale gode di ampia discrezionalità sia amministrativa che tecnica nel predisporre i propri strumenti di pianificazione urbanistica (cfr. TAR Toscana, III, n.343 e n.811 del 2013), va in proposito rilevato che la vigente nozione di intervento di ristrutturazione urbanistica, di cui all’art.3 del D.P.R. n.380 del 2001 ed all’art.78 della L.R. n.1 del 2005 (“…sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso…”), non preclude affatto, ma anzi appare pienamente consentire che, nel suo ambito, per la realizzazione di volumi edificatori su aree il Comune imponga l’effettuazione di demolizioni e ricostruzioni di volumi preesistenti.
Va aggiunto che non appare irragionevole, ma anzi meritevole di considerazione prevedere, ex artt.9, 23, 26 delle NTA del PRG, in zona A3, la ricostruzione, previa demolizione, di edifici che per caratteri, volumi e allineamenti non risultano compatibili con il contesto, al fine di riqualificare ed uniformare il tessuto edilizio esistente.
Occorre precisare altresì che, secondo l’art.23 delle NTA del PRG, la ricostruzione (del demolito) deve disporsi prevalentemente sugli allineamenti definiti dall’edificato preesistente, che dunque la suddetta previsione non risulta categorica e senza alternative e che comunque quanto realizzato, pur non potendo avere a riferimento un edificato precedente, proprio perché collocato su area di classe 9 prima libera, rispetta l’allineamento colla preesistente viabilità (cfr. documentazione fotografica delle opere, all.16 al ricorso).
Quanto alla richiesta della Società di reintegrazione in forma specifica nella titolarità del permesso in variante n.153 del 2005, tralasciato per difetto di rilevanza l’esame dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Amministrazione, la stessa va del pari respinta, perché, in disparte l’effetto ripristinatorio derivante dall’annullamento dell’atto di autotutela, l’intervento risulta sostanzialmente realizzato, mancando solo delle finiture con riferimento al piano interrato ed alle sistemazioni esterne (cfr. ancora verbale di sopralluogo del 17 dicembre 2009, all.11 atti del Comune e documentazione fotografica, all.17 al ricorso).
I motivi aggiunti avverso l’ordinanza di demolizione n.573 del 13 luglio 2012 sono fondati e vanno pertanto accolti, con conseguente annullamento dell’atto impugnato.
Invero è necessario evidenziare al riguardo che sussiste il vizio di illegittimità derivata, per quanto dianzi esposto, dalla determina n.33 del 2010 di annullamento del permesso di costruire in variante; che inoltre i vizi a cui fa riferimento l’art.138 della L.R. n.1 del 2005 sono da intendersi in linea di massima a carattere formale o procedurale; che tuttavia l’Amministrazione nel caso di specie avrebbe potuto e quindi dovuto verificare la possibilità di imporre alla Società la demolizione con ricostruzione dell’edificio in classe 6 - a fini di riqualificazione ed omogeneizzazione del contesto, ex art.26, comma 7 delle NTA del PRG -, per sanare il vizio contenuto nel permesso n.153 del 2005 in cui era consentita appunto l’edificazione nell’area di classe 9, senza la previa demolizione (con ricostruzione) dell’edificio in classe 6 (cfr, in senso sostanzialmente analogo, anche Cons. Stato, IV, n.4923 del 2012, su ipotesi di condotta dell’Amministrazione seguente ad annullamento - giurisdizionale e non amministrativo - di titolo edilizio); che altresì l’Amministrazione ha omesso di motivare l’ordinanza impugnata, come invece fissato nel menzionato art.138 della L.R. n.1 del 2005, sui rilevanti interessi pubblici che avrebbero indotto la medesima ad imporre la demolizione delle opere, non potendo gli stessi essere ridotti al mero ripristino della legalità violata.
In relazione ai motivi aggiunti avverso la nota comunale del 5 dicembre 2012, va in primo luogo respinta l’eccezione di rito di loro inammissibilità, per difetto di legittimazione e di interesse, sollevata dall’Amministrazione, giacchè l’atto in esame, mirando ad integrare la motivazione della pregressa ordinanza di demolizione n.573 del 2012, risulta connotato da autonoma capacità lesiva (cfr. all.20 atti del Comune).
Nel merito i predetti motivi aggiunti sono fondati e vanno quindi accolti, con conseguente annullamento della suindicata nota impugnata.
Occorre rilevare al riguardo che il Comune nel suddetto atto, come del resto indicato nel suo oggetto, intende integrare la motivazione dell’ordinanza n.573 del 2012, esponendo le ragioni di rilevante interesse pubblico che l’hanno indotto ad imporre la demolizione delle opere realizzate (cfr. ancora all.20 atti del Comune); che tuttavia l’Amministrazione avrebbe potuto e quindi dovuto sanare il vizio di carenza di motivazione dell’ordinanza n.573 del 2012, ex art.21 nonies, comma 2 della Legge n.241 del 1990, solo con apposito provvedimento di convalida e all’esito di un rinnovato procedimento amministrativo (cfr., tra le altre, TAR Lazio-Latina, n.424 del 2011); che non può assumere alcun rilievo, ai suddetti fini di integrazione motivazionale dell’ordinanza di demolizione, il richiamo alla disciplina urbanistica (variante al PRG del 2010 e PS del 2011) successiva al rilascio del titolo edilizio ed alla realizzazione dell’intervento (cfr. anche art.77, comma 4 L.R. n.1 del 2005 e art.15, comma 4 D.P.R. n.380 del 2001).
Restano assorbite per difetto di rilevanza le restanti censure.
La domanda di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno risulta di contro destituita di fondamento e va pertanto respinta.
Al riguardo giova infatti evidenziare da un lato che l’intervento risulta realizzato (cfr. ancora verbale di sopralluogo del 17 dicembre 2009, all.11 atti del Comune e documentazione fotografica, all.17 al ricorso) e dall’altro che viene disposto l’annullamento dell’atto n.33 del 2010 di annullamento del permesso di costruire in variante sostanziale n.153 del 2005, in base al quale sono state compiute le opere, nonché dell’ordinanza di demolizione delle stesse n.573 del 2012 e della nota comunale del 5 dicembre 2012 di integrazione della motivazione della predetta ordinanza; che quindi le spese sostenute sono andate a buon fine e sussiste ogni possibilità per un utilizzo proficuo di quanto realizzato; che pertanto allo stato non risulta il danno da perdita subita, anche sub specie di perdita di chance, e di mancato guadagno; che in ultimo difetta la prova di danni non patrimoniali all’immagine o morali e da ritardo nell’esecuzione di altre commesse, meramente dedotti.
In considerazione dell’esito della controversia, sussistono giusti motivi per compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, in parte dichiara improcedibile, in parte respinge ed in parte accoglie il ricorso n.611/2010 indicato in epigrafe e per l’effetto annulla l’atto impugnato n.33 del 9 febbraio 2010; accoglie i primi motivi aggiunti al ricorso e per l’effetto annulla l’atto impugnato n.573 del 13 luglio 2012; accoglie i secondi motivi aggiunti e per l’effetto annulla l’atto impugnato del 5 dicembre 2012.
Respinge la domanda di condanna dell’Amministrazione alla reintegrazione in forma specifica ed al risarcimento dei danni.
Compensa le spese di giudizio tra le parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2013
con l'intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Riccardo Giani, Consigliere
Silvio Lomazzi, Consigliere, Estensore