T.A.R. Veneto Sez. I del 8 luglio 2011
Urbanistica. Competenze architetti
In tema di preclusione agli architetti, ai sensi degli artt. 51-54 del R.D. 23.10.1925, n. 2437, individuanti le rispettive competenze degli ingegneri e degli architetti ed in modo particolare le specifiche prescrizioni che vietano a quest’ultimi la progettazione di opere di urbanizzazione primaria (opere viarie), della progettazione di un tratto di strada comunale, anche se di dimensioni contenute.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 457 del 1989, proposto da:
Pradetto Coccolo Modiliano, Pradetto Coccolo Adriano, Pradetto Coccolo Alberto, Pradetto Coccolo Alcidio Eredi di Grandelis Ige, De Bernardin Bissa Gilberto, rappresentati e difesi dagli avv. Ivone Cacciavillani, Raffaella Rampazzo, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione ai sensi dell’art. 25, comma 2 del D.lgs. n. 104/2010;
contro
Comune di San Pietro di Cadore - (Bl), rappresentato e difeso dagli avv. Livio Viel, Maurizio Visconti, con domicilio eletto presso Federico Visconti in Venezia, Dorsoduro, 1057; Regione Veneto - (Ve);
nei confronti di
De Bona Oscar e De Bernardin Egidio;
sul ricorso numero di registro generale 458 del 1989, proposto da:
Pradetto Coccolo Adriano, Pradetto Coccolo Alberto, Pradetto Coccolo Alcidio Eredi di Grandelis Ige, Pradetto Coccolo Modiliano, rappresentati e difesi dagli avv. Ivone Cacciavillani, Raffaella Rampazzo, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sezione ai sensi dell’art. 25, comma 2 del D.lgs. n. 104/2010;
contro
Comune di San Pietro di Cadore - (Bl), rappresentato e difeso dagli avv. Livio Viel, Maurizio Visconti, con domicilio eletto presso Maurizio Visconti in Venezia, Dorsoduro,1057;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 457 del 1989:
della deliberazione C.C. del 30.12.1986, della deliberazione C.C. n. 88 del 26.6.1987, della deliberazione G.M. n. 190 del 24.8.1987, nonché dei provvedimenti presupposti, in particolare della delibera G.M. n. 26/1986, nonché degli atti successivi, in particolare della D.G.R. n. 2059 del 18.11.1988;
quanto al ricorso n. 458 del 1989:
dei decreti di occupazione d’urgenza dd. 24.1.1989, degli avvisi di immissione in possesso e del verbale dello stato di consistenza del 24.21.1989.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di San Pietro di Cadore - (BL) e di Comune di San Pietro di Cadore - (BL);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2011 la dott.ssa Alessandra Farina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Espongono i ricorrenti Pradetto Coccolo Modiliano, Grandelis Ige (cui sono succeduti in corso di giudizio gli eredi Pradetto Coccolo Adriano, Alberto e Alcidio) e De Bernardinis Gilberto, di essere proprietari di terreni siti in Comune di Pieve di Soligo, località “Presenaio”, così come identificati in base ai dati catastali riportati nell’atto introduttivo.
Gli stessi sono stati resi edotti, con avvisi del 5 e 7 dicembre 1988, dell’avvenuto deposito presso la segreteria comunale degli atti relativi al procedimento avviato dall’amministrazione al fine della realizzazione di una nuova strada comunale, il cui tracciato avrebbe interessato le proprietà dei ricorrenti, suscettibili di successivo esproprio.
Acquisita conoscenza degli atti, con il primo dei due ricorsi indicati in epigrafe (n. 457/1989) gli istanti hanno impugnato la delibera C.C. n. 140/1986 di approvazione del progetto della strada, gli atti ad essa presupposti, con specifico riguardo alla delibera di affidamento dell’incarico di elaborazione del progetto all’arch. De Bona, e le successive delibere di chiarimenti resi al CO.RE.CO., nonché la delibera della Giunta Regionale n. 2059/1988, con la quale è stata approvata la variante allo strumento urbanistico vigente derivante dall’approvazione del progetto relativo alla realizzazione dell’opera pubblica.
Con il secondo ricorso (n. 458/1989) i ricorrenti hanno quindi impugnato i decreti sindacali di occupazione d’urgenza del 24 gennaio 1989 e gli avvisi di immissione in possesso, in quanto viziati in via derivata dagli atti già denunciati con il primo ricorso, nonché in quanto affetti da illegittimità loro proprie.
Infine, con motivi aggiunti notificati in data 16 luglio 1994, acquisiti ulteriori dati circa la procedura de qua, hanno provveduto a formulare ulteriori doglianze relativamente alla delibera n. 88 del 26.6.1987, con la quale l’amministrazione comunale aveva provveduto a rendere i chiarimenti richiesti dal CO.RE.CO. in merito alla delibera n. 140/86 di approvazione del progetto in variante al P.R.G.
A sostegno della richiesta di annullamento dei provvedimenti impugnati, con il primo ricorso sono state dedotte molteplici censure rivolte avverso gli atti assunti dall’amministrazione comunale, nonché avverso la delibera regionale di approvazione della variante urbanistica conseguente all’approvazione del progetto.
In primo luogo è stata infatti impugnata, quale atto presupposto della D.G.M. n. 140/86, la delibera G.M. n. 26/1986 con la quale è stato conferito l’incarico della progettazione della nuova strada ad un professionista esterno, nella specie l’architetto De Bona, affidamento illegittimo per violazione degli artt. 51 e 52 del R.D. n. 2357/1925 regolante le competenze professionali proprie degli ingeneri e degli architetti.
Considerata, infatti, la natura dell’opera da realizzare, detto progetto non poteva essere affidato ad un architetto, bensì, sulla scorta della normativa richiamata, ad un ingegnere.
Al contempo, la scelta di procedere mediante affidamento esterno, anziché procedere utilizzando gli uffici tecnici comunali, doveva essere adeguatamente motivata, soprattutto in termini di costo, motivazione che invece risulta del tutto carente.
Le dedotte illegittimità si riverberano quindi sugli atti successivamente adottati sia dall’amministrazione comunale che da quella regionale.
Peraltro, le medesime delibere risultano affette da vizi propri, in modo particolare la delibera C.C. n. 140/1986 di approvazione del progetto, in quanto non contenente, ai sensi dell’art. 13 della L. n. 2359/1865, i termini per inizio e l’ultimazione rispettivamente dei lavori e delle espropriazioni.
Quanto al merito ed all’opportunità dell’intervento progettato, la difesa istante ha quindi svolto ulteriori censure, contestandone la reale necessità per l’intera collettività e rilevando come la nuova strada in realtà sarebbe stata prevista solo per favorire taluni edifici, nonché la mancata valutazione delle conseguenze pregiudizievoli che detto intervento avrebbe avuto sulla proprietà dei ricorrenti.
Infine, viene rilevata la mancata astensione in sede di votazione di alcuni consiglieri comunali, legati da vincoli di parentela ai soggetti a vantaggio dei quali l’opera sarebbe stata realizzata.
Mediante i motivi aggiunti sono state quindi dedotte ulteriori doglianze che, sebbene relative una delibera di risposta alla richiesta di chiarimenti sul progetto formulata dal Co.Re.Co. (risultata non regolarmente pubblicata all’albo comunale, così come accertato in sede penale da Tribunale di Belluno), avrebbero comunque rivelato un ulteriore profilo di illegittimità della procedura.
Infine, con i motivi esposti con il secondo gravame, gli atti con esso censurati sono stati denunciati per invalidità in via derivata e per vizi propri, in modo particolare con riguardo alla competenza all’assunzione dei decreti di occupazione d’urgenza ed alla corretta identificazione delle aree da assoggettare ad esproprio.
Si è costituito in giudizio il Comune di Pieve di Soligo, la cui difesa ha controdedotto ai motivi di ricorso ribadendo la piena legittimità degli atti impugnati, con specifico riguardo sia alla competenza professionale dell’architetto per l’elaborazione del progetto de quo, sia alla mancata fissazione dei termini per provvedere agli espropri, in quanto contemplati nella successiva delibera adottata dalla Giunta Municipale, n. 15 del 16 gennaio 1989 (peraltro non impugnata dagli interessati).
Parte resistente ha quindi evidenziato come nelle more la procedura espropriativa non sia stata portata a compimento, pur essendo stata comunque completata l’opera: da cui l’eccepita insussistenza della permanenza dell’interesse all’annullamento degli atti impugnati.
In previsione dell’udienza di trattazione di entrambi i ricorsi la difesa resistente ha provveduto a depositare memorie conclusionali, evidenziando come le stesse siano state presentate tenendo conto dei termini dimezzati, trattandosi di procedimenti comunque inerenti ad una procedura espropriativa, per la quale è consentita l’applicazione dei termini dimidiati, salvo in ogni caso ammettere le difese così prodotte in applicazione dell’errore scusabile.
La difesa ricorrente a tale riguardo ha rimesso ogni valutazione al Collegio.
All’udienza del 9 giugno 2011, udite le precisazioni dei procuratori della parti, entrambi i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente il Collegio ritiene di dover disporre la riunione dei due ricorsi indicati in epigrafe, essendo evidente la loro connessione soggettiva ed oggettiva.
Sempre in via preliminare, il Collegio ritiene di poter valutare nel merito i due gravami, così disattendendo l’eccezione di difetto di interesse sollevata dalla difesa del Comune per effetto dell’avvenuto completamento dell’opera, in considerazione della sussistenza dell’interesse all’accertamento dei denunciati vizi di legittimità, in funzione strumentale ad una possibile azione di risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti per effetto del vincolo imposto alle aree di proprietà.
Infine, quanto al rispetto dei termini per il deposito delle memorie difensive del Comune per ciascuno dei due gravami, questione per la quale la difesa dei ricorrenti si è rimessa al Collegio, si ritiene che per quanto riguarda il primo gravame, interessante problematiche di carattere strettamente urbanistico, non potendosi applicare i termini dimidiati, la memoria depositata dal Comune debba essere considerata tardiva : diversamente, per quanto riguarda il secondo gravame, proposto avverso i decreti di occupazione d’urgenza, preordinati all’espropriazione, trovando applicazione la riduzione dei termini processuali per il deposito, è possibile concludere per l’ammissibilità della stessa in quanto tempestivamente presentata.
Nel merito i ricorsi sono meritevoli di accoglimento, in quanto, così come evidenziato con i motivi dedotti con il primo mezzo, la procedura è affetta dai vizi denunciati con il primo ricorso, la cui fondatezza travolge, in via derivata e del tutto assorbente rispetto ad ogni ulteriore doglianza dedotta, tutti gli atti della procedura sino ai decreti di occupazione d’urgenza.
Ritiene infatti il Collegio che il progetto approvato dal Comune per la realizzazione del nuovo tratto stradale comunale sia stato illegittimamente affidato ad un professionista che, in base alla vigente disciplina, non era in possesso delle competenze necessarie per l’elaborazione del progetto qui contestato.
Risultano infatti violate nel caso di specie le previsioni contenute negli artt. 51-54 del R.D. 23.10.1925, n. 2437 individuanti le rispettive competenze degli ingegneri e degli architetti ed in modo particolare le specifiche prescrizioni che vietano a quest’ultimi la progettazione di opere di urbanizzazione primaria (opere viarie).
Sul punto la difesa del Comune ha controdedotto evidenziando la natura del tracciato stradale progettato, ritenendo che lo stesso, per la scarsa rilevanza avente nel sistema viario comunale e per la semplicità dei profili tecnici (non coinvolgenti conoscenze specifiche degli ingegneri), potesse ben essere assimilato ad una costruzione civile e quindi essere legittimamente progettato da un architetto.
A tale proposito, infatti, la resistente ha ricordato come possano comunque rientrare nell’ambito delle competenze degli architetti i progetti di opere viarie di minore rilevanza, quali sono le strade al servizio di singoli edifici.
Esaminate tuttavia le caratteristiche dell’opera in contestazione e soprattutto la stessa descrizione che ne ha fatto la difesa del Comune, soprattutto riguardo alla funzionalità della nuova strada progettata, il Collegio ritiene di dover dissentire dalle conclusioni cui è giunta la difesa comunale.
Come ricordato dal Comune trattasi di una strada pubblica che ha assicurato il servizio di transito e di accesso ad un’area edificata interposta tra la sponda del fiume Piave e la strada statale : in precedenza l’accesso avveniva attraverso una stradina di piccole dimensioni, pericolosa per la viabilità proprio in quanto collegante un raccordo ad “U” con la strada pubblica preesistente.
Tuttavia, lo stesso Comune ha precisato che detta nuova arteria costituisce una strada aperta la pubblico transito, utilizzata, anche e soprattutto per ragioni di sicurezza, dall’indistinta collettività degli abitanti della zona, oltre che da chiunque avesse necessità di accedervi.
Prosegue quindi la difesa resistente evidenziando la principale funzione della nuova strada, che sarebbe andata a sostituire una stradina non sufficiente a soddisfare il servizio pubblico, soprattutto in termini di collegamento con la strada principale e di sicurezza, superando il pericoloso collegamento ad “U”, completando l’anello con la preesistente, di per sé insufficiente, viabilità pubblica.
Poiché quindi la nuova strada è chiaramente rivolta al servizio di tutto l’agglomerato di civili abitazioni, a favore di tutta la comunità indistinta, realizzando “…un completo passante a forma di U rispetto alla strada principale da cui si diparte ed alla quale ritorna...”, appare evidente che trattasi comunque di un’opera di urbanizzazione primaria che certo non può essere ricondotta alle civili costruzioni, quale mera strada al servizio di singoli edifici, di competenza degli architetti, ma debba essere ricondotta nell’ambito delle opere riservate agli ingeneri, cui è affidata in termini generali la realizzazione delle opere viarie (anche se di dimensioni contenute, come nel caso di specie).
L’illegittimità della delibera della Giunta Comunale che ha approvato il progetto elaborato da un soggetto non dotato delle competenze richieste dalla normativa sopra richiamata, comporta quindi l’illegittimità in via derivata di tutti gli atti della procedura, così come impugnati dai ricorrenti.
Per altro verso ed a conferma della fondatezza dei ricorsi in esame, risultano accoglibili anche le censure con le quali è stata denunciata la mancata osservanza del disposto di cui all’art. 13 della legge n. 2359/1865, allora vigente, in base al quale nella dichiarazione di pubblica utilità dell’opera debbono essere indicati sia i termini per l’inizio e la conclusione dei lavori sia quelli per l’avvio ed il completamento delle procedure espropriative.
E’ infatti pacifico che la delibera che ha approvato il progetto dell’opera pubblica e quindi ne ha dichiarato la pubblica utilità, non conteneva l’indicazione di entrambe le categorie di termini sopra ricordati e che soltanto con successiva delibera di Giunta, n. 15/1989, siano stati individuati i termini per le espropriazioni.
Premessa la funzione garantistica assegnata all’individuazione di detti termini, nel senso che la loro presenza assicura la sussistenza dell’interesse pubblico che si intende soddisfare con il progetto, detti termini devono essere entrambi individuati sin dal primo atto con il quale l’amministrazione manifesta in concreto la sua intenzione di procedere al fine dell’acquisizione mediante espropriazione delle aree necessarie per la realizzazione dell’intervento.
Come autorevolmente riconosciuto (cfr. Cass. Civ., I, 22.1.2010, n. 1105 e 23.6.2009, n. 14606, nonché C.d.S., IV, 27.1.2011, n. 632 e 5.2.2009, n. 650) nell’ipotesi in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia prevista ex lege (come nel caso di specie, a seguito dell’approvazione del progetto) la fissazione dei termini per l’esecuzione dei lavori e per il compimento delle espropriazioni, si rivela necessaria, in base al richiamato art. 13, alla giuridica esistenza e validità della dichiarazione di pubblica utilità, per cui è indispensabile che entrambi tali termini siano contenuti nel primo atto della procedura.
La fissazione di tali termini, proprio in quanto contemplata nel primo atto con il quale si manifesta in concreto l’intenzione di esercitare il potere espropriativo, rappresenta un evidente limite a garanzia e tutela degli amministrati, di modo che non può essere ammessa la loro individuazione in atti successivi della procedura.
La funzione assegnata ai termini per l’avvio ed il completamento dei lavori e delle procedure espropriative è infatti quella di assicurare la corrispondenza al superiore interesse pubblico del sacrificio imposto ai privati, da cui la necessità della loro indicazione sin dal primo atto della procedura, onde confermare l’attualità e la concretezza dell’opera progettata e non meramente ed ipoteticamente prevista.
L’assenza dell’indicazione di entrambi i termini comporta quindi l’invalidità e l’inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, insuscettibile di essere sanata dall’intervenuta individuazione di quelli per l’espropriazioni con la delibera n. 15/89, con conseguente invalidità di tutta la procedura sia sotto il profilo urbanistico (per la connessa variante apportata al vigente P.R.G. ed approvata dalla Regione) che per i profili inerenti la materiale apprensione delle aree di proprietà dei ricorrenti mediante i decreti di occupazione.
Per tutte le considerazioni sin qui espresse, assorbita ogni ulteriore doglianza, entrambi i ricorsi vanno accolti e per l’effetto sono annullati gli atti impugnati.
Sussistono giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)
riuniti i ricorsi indicati in epigrafe, definitivamente pronunciando, li accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 9 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:
Vincenzo Antonio Borea, Presidente
Riccardo Savoia, Consigliere
Alessandra Farina, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/07/2011