TAR Lombardia (MI) Sez. II n. 1837 del 11 ottobre 2016
Urbanistica.Disposizioni che modificano i criteri di calcolo della superficie lorda di pavimento
Di norma, le disposizioni degli strumenti urbanistici con cui si modificano i criteri di calcolo della superficie lorda di pavimento sono destinate a trovare applicazione per il futuro, ossia in relazione alle costruzioni realizzate successivamente, ma non possono, di per sé sole, in assenza di incrementi dell’indice di edificabilità, produrre l’effetto di consentire la destinazione alla permanenza di persone di vani o locali in precedenza privi di capacità insediativa.
Pubblicato il 11/10/2016
N. 01837/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00438/2015 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 438 del 2015, proposto da:
Porta Nord s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Bruno Santamaria C.F. SNTBRN54L31H703M, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Galleria del Corso, 2;
contro
Comune di Sesto San Giovanni, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Paolo Sabbioni C.F. SBBPLA62E01F119H, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, Via San Vincenzo, 12;
per l'annullamento
del provvedimento datato 24 dicembre 2014 a firma del Direttore del Settore governo del territorio del Comune di Sesto San Giovanni, con il quale è stato comunicato che la Giunta Comunale, con Delibera del 23 dicembre 2014, ha deliberato di rigettare la proposta di piano attuativo “viale F.lli Casiraghi 508”;
della deliberazione di Giunta comunale del 23 dicembre 2014 di “Rigetto della proposta di Piano attuativo”;
dell’atto del Direttore del Settore governo del territorio e attività produttive di “Conclusione in senso negativo della fase istruttoria”;
di ogni atto preordinato, consequenziale e comunque connesso, ed in particolare, per quanto occorrer possa: della “Comunicazione dei motivi ostativi alla prosecuzione in senso positivo della fase istruttoria” del 1 agosto 2014; della Relazione del Servizio urbanistica del 5 novembre 2014 e annessi pareri;
nonché per la condanna dell'Amministrazione resistente al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Sesto San Giovanni;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 maggio 2016 la dott.ssa Floriana Venera Di Mauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La ricorrente Porta Nord s.r.l. (di seguito anche: Porta Nord o la Società) è proprietaria di un complesso immobiliare, costituito da un’area con soprastante fabbricato a destinazione produttiva, sito a Sesto San Giovanni, nell’ambito dell’area “Porta Nord”, in Viale Casiraghi n. 508.
2. In base al Piano di Governo del Territorio (PGT), il complesso ricade in “Ambito residenziale da riconversione produttiva”, soggetto alle disposizioni dell’articolo 16 delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) dello strumento urbanistico.
In particolare – per quanto qui rileva – la disciplina pianificatoria prevede la riconversione funzionale dell’ambito (comma 2), con destinazione principale residenziale (comma 3). A tal fine, gli interventi di nuova costruzione sono consentiti con un indice di edificabilità di 0,70 mq/mq (comma 4). Sono inoltre ammessi gli interventi di ristrutturazione edilizia, di ristrutturazione urbanistica e comunque tutti gli interventi comportanti la demolizione totale o parziale e nuova edificazione, subordinatamente a piano attuativo o – nel caso in cui la superficie fondiaria dell’ambito sia inferiore a mq 2.000 – a titolo abilitativo convenzionato (commi 5.1 e 5.2).
3. La ricorrente, intendendo realizzare un intervento di ristrutturazione edilizia del complesso industriale, ha presentato al Comune una proposta di piano attuativo, nella quale si prevede la riconversione funzionale all’uso residenziale della superficie esistente, facendo “emergere” fuori terra le superfici presenti nei piani seminterrato e interrato.
La proposta è stata rigettata con deliberazione della Giunta comunale del 23 dicembre 2014.
4. Con il presente ricorso, notificato l’11 febbraio 2015 e depositato il 25 febbraio 2015, Porta Nord ha impugnato la suddetta deliberazione, unitamente alla nota comunale del 24 dicembre 2014, con la quale la determinazione negativa della Giunta è stata portata a conoscenza della Società. Ha impugnato inoltre gli atti antecedenti alla medesima deliberazione, ossia la nota del Direttore del Settore governo del territorio e attività produttive di “Conclusione in senso negativo della fase istruttoria”, la “Comunicazione dei motivi ostativi alla prosecuzione in senso positivo della fase istruttoria” del 1° agosto 2014 e la Relazione del Servizio urbanistica del 5 novembre 2014 con gli annessi pareri.
5. In particolare, la ricorrente ha evidenziato che:
I) la ragione principale del rigetto della proposta di piano attuativo consiste nella circostanza che il Comune ha ritenuto non condivisibile la modalità di calcolo della superficie lorda di pavimento (slp) esistente, e quindi suscettibile di formare oggetto di riconversione funzionale; al riguardo, la Società ha affermato che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Amministrazione, dovrebbero essere considerate nella slp esistente: (a) le superfici dei piani interrato e seminterrato, in quanto presenterebbero i requisiti previsti dall’articolo 3 delle NTA dello strumento urbanistico per essere incluse nel calcolo della superficie lorda di pavimento; (b) le tettoie, in quanto condonate nel 1989 come spazi destinati a deposito; in ogni caso, la ricorrente evidenzia di aver proposto al Comune di sottrarre la slp relativa alle tettoie (mq 361), realizzandola ugualmente come superficie pubblica da cedere gratuitamente al Comune;
II) l’Amministrazione ha rilevato che non sarebbe giustificata l’opzione per la monetizzazione delle aree da destinare ad attrezzature e servizi pubblici e di interesse generale, in luogo della cessione diretta di aree; tuttavia, la ricorrente afferma di aver proposto di assumere a proprio carico l’onere economico inerente alla dotazione delle c.d. aree a standard solo per dirimere ogni incertezza al riguardo, nonostante il reperimento di tale dotazione non fosse dovuto nel caso di specie (poiché non previsto dall’articolo 16 delle NTA e perché la riconversione funzionale sarebbe stata disposta dal PGT proprio in considerazione dell’intensa urbanizzazione del contesto, il quale non richiederebbe ulteriori opere di urbanizzazione); Porta Nord allega inoltre di aver rappresentato al Comune di non disporre comunque di aree da cedere; a fronte di ciò, l’Amministrazione non avrebbe adeguatamente motivato le ragioni per le quali non ha reputato soddisfacente la proposta di monetizzazione;
III) il Comune ha infine rilevato la presenza di ulteriori elementi comportanti il mancato soddisfacimento del requisito di regolarità tecnica della proposta: si tratterebbe, però, secondo la ricorrente, di mere irregolarità, che avrebbero potuto essere emendate, mediante la fattiva collaborazione tra le parti, e che non avrebbero potuto giustificare, di per sé stesse, il rigetto della proposta di piano.
La Società ha inoltre chiesto la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno.
6. Si è costituito, per resistere al ricorso, il Comune di Sesto San Giovanni.
7. Con successiva istanza, depositata in data 29 luglio 2015, la ricorrente ha domandato la sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati.
8. In esito alla camera di consiglio del 29 settembre 2015, la Sezione ha emesso l’ordinanza n. 1271 del 2014, con la quale ha disposto la fissazione dell’udienza pubblica per la trattazione di merito del ricorso, ai sensi dell’articolo 55, comma 10 cod. proc. amm.
9. All’udienza pubblica del 12 maggio 2016 la causa è stata chiamata e discussa, ed è quindi passata in decisione.
10. Il primo motivo di ricorso concerne le modalità di determinazione della superficie lorda di pavimento esistente, suscettibile, come tale, di riconversione funzionale mediante l’intervento proposto dalla ricorrente.
10.1 Un primo profilo oggetto di controversia tra le parti attiene alla qualificazione della superficie dei piani interrato e seminterrato dell’edificio.
10.1.1 In proposito, la determinazione della Giunta comunale impugnata afferma che la slp esistente avrebbe dovuto essere calcolata sviluppando la volumetria assentita mediante il titolo edilizio in base al quale è stato costruito il complesso industriale, ossia la concessione edilizia n. 46/1963 del 25 marzo 1963.
E, in proposito, va subito rilevato che il titolo edilizio prevedeva la realizzazione di “(...) uno stabilimento industriale avente una superficie coperta di mq. 1970 circa ed un’altezza di ml. 9.70 per il corpo di fabbrica sul Viale Casiraghi e ml. 5.80 per i corpi di fabbrica all’interno; il volume max fuori terra ammonta a mc. 13.685; il tutto come da disegni approvati”.
Secondo quanto ritenuto dall’Amministrazione, la proposta di piano attuativo non si sarebbe attenuta alla volumetria assentita con la concessione edilizia, perché “nella definizione della slp “esistente” l’operatore ha (...) inserito tutte le superfici autorizzate ma non determinanti per la quantificazione della volumetria assentita dal suddetto titolo (piano interrato, parte del seminterrato)” (v. deliberazione giuntale impugnata – doc. 2 della ricorrente, p. 5).
In altri termini, secondo il Comune, l’operatore avrebbe preteso di qualificare come slp esistenti alcune superfici – quelle dei piani interrato e seminterrato – che, pur essendo state autorizzate e legittimamente realizzate, non sarebbero state prese in considerazione dal titolo edilizio ai fini della determinazione della volumetria assentita.
A sostegno di tale assunto, l’Amministrazione ha richiamato la previsione contenuta nel novellato articolo 3 delle NTA del PGT, ove si legge che “La determinazione della SLP o del volume esistente deve essere effettuata con riferimento ai titoli abilitativi legittimamente assentiti. In caso di titoli abilitativi legittimamente assentiti che prevedono come unica verifica dei parametri urbanistici il volume, la SLP totale che ne deriva corrisponde alla sommatoria delle quote di volume di ogni singolo piano diviso la relativa altezza interna reale”.
10.1.2 La ricorrente evidenzia, tuttavia, che i locali interrati e seminterrati:
- sarebbero stati legittimamente realizzati in forza del titolo edilizio, poiché la concessione edilizia faceva rinvio ai “disegni approvati”, in cui tali vani erano stati rappresentati;
- avrebbero da sempre partecipato alla funzione produttiva cui era destinato l’intero complesso, come risulterebbe dal certificato rilasciato dal Comune il 14 settembre 1994, ove si attesta che “nel progetto edilizio approvato n. 46/63 sono indicate le seguenti destinazioni:
PIANO INTERRATO: MAGAZZINO/DEPOSITO
PIANO SEMINTERRATO: PRODUTTIVO (...)”;
- presenterebbero largamente i requisiti di altezza previsti dal vigente articolo 3 delle NTA del PGT al fine di essere inclusi nel calcolo della superficie lorda di pavimento sviluppata dall’edificio esistente.
10.1.3 Posti così i termini della questione, il Collegio rileva anzitutto che non è controverso che i locali interrati e seminterrati che la parte ritiene qualificabili come superficie lorda di pavimento esistente siano stati legittimamente realizzati. Ciò infatti risulta dallo stesso tenore della deliberazione impugnata, ove si afferma che si tratta di “superfici autorizzate”, anche se – secondo l’Amministrazione – “non determinanti per la quantificazione della volumetria assentita dal suddetto titolo”.
10.1.4 Chiarito tale aspetto, il profilo dirimente, al fine di stabilire se tali superfici possano essere recuperate all’uso residenziale, attiene all’interpretazione del titolo edilizio, essendo necessario accertare se i locali interrati e seminterrati siano stati presi in considerazione nelle volumetrie che l’Amministrazione ha inteso assentire e in relazione alle quali ha – almeno astrattamente – valutato il carico urbanistico determinato dall’intervento.
E invero, non può essere condiviso quanto sostenuto dalla ricorrente, secondo la quale la mera circostanza che i locali presenterebbero oggi, in base alle vigenti previsioni del PGT, i requisiti astratti per essere computati nella superficie lorda di pavimento, comporterebbe automaticamente la necessità di includerli nel relativo calcolo, benché si tratti di costruzioni precedenti all’entrata in vigore dello strumento urbanistico.
A questa tesi, infatti, si oppongono due concorrenti argomenti.
Sotto un primo profilo, deve rilevarsi che, di norma, le disposizioni degli strumenti urbanistici con cui si modificano i criteri di calcolo della superficie lorda di pavimento sono destinate a trovare applicazione per il futuro, ossia in relazione alle costruzioni realizzate successivamente, ma non possono, di per sé sole, in assenza di incrementi dell’indice di edificabilità, produrre l’effetto di consentire la destinazione alla permanenza di persone di vani o locali in precedenza privi di capacità insediativa.
Si tratta di un principio che la Sezione ha già avuto modo di chiarire, allorché ha affermato che “L'emanazione di una nuova norma tecnica, incidente in modo restrittivo sulla determinazione della superficie utile ai fini del calcolo della volumetria in quanto considera s.l.p. locali già esclusi dal relativo computo, non può infatti comportare la conseguenza che superfici prima non utilizzabili per lo stabile insediamento di persone divengano, per il fatto che siano ormai divenute s.l.p., idonee a consentire detto utilizzo.”. E ciò in quanto “(...) una volta esaurita la volumetria in base alla vecchia normativa, non possono effettuarsi ulteriori trasformazioni tali da aggravare il carico urbanistico che l'edificazione comporta, anche se dette trasformazioni siano divenute in astratto possibili. In altri termini, non essendo stato modificato l'indice di fabbricabilità, il limite massimo precedentemente raggiunto non può essere successivamente superato.” (così TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 4 luglio 2002, n. 3115).
Sotto altro profilo, a tale considerazione di ordine generale deve pure aggiungersi, nel caso oggetto del presente giudizio, anche un ulteriore argomento, basato sul tenore testuale dell’articolo 3 delle NTA del PGT.
La previsione pianificatoria ha infatti dettato – mediante la novella adottata con deliberazione del Consiglio comunale n. 50 del 29 settembre 2014 e approvata con deliberazione del Consiglio comunale n. 11 del 16 maggio 2015, non impugnate dalla ricorrente – un’apposita disciplina diretta proprio a stabilire le modalità di calcolo della superficie lorda di pavimento degli edifici esistenti. Disciplina che fa riferimento – per quanto qui rileva – alla volumetria assentita con il titolo edilizio.
Deve quindi concludersi che, come sopra anticipato, al fine di stabilire se le superfici presenti nei piani interrato e seminterrato diano luogo a slp non può farsi riferimento ai requisiti oggi previsti, per le nuove edificazioni, dall’articolo 3 delle NTA, ma deve prendersi in considerazione il titolo edilizio, desumendo dal contenuto di tale provvedimento se tali spazi siano stati assentiti quali volumetrie in grado di esprimere una propria capacità insediativa.
10.1.5 Ciò posto, il Collegio ritiene che – contrariamente a quanto sostenuto dal Comune – la questione non possa essere risolta facendo esclusivo riferimento al dato numerico indicato nella concessione edilizia, ove si legge che “il volume max fuori terra ammonta a mc. 13.685”.
Deve, infatti, tenersi presente che il titolo edilizio è molto risalente nel tempo, in quanto rilasciato nel 1963, ossia in un’epoca nella quale il diritto urbanistico non aveva certamente maturato l’affinamento delle categorie concettuali impiegate ai giorni nostri. In tale prospettiva, a una attenta lettura della concessione edilizia non può sfuggire che il titolo ha ritenuto di quantificare espressamente solo la volumetria assentita “fuori terra”. Ciò però non equivale a dire che non fossero previste superfici interrate e seminterrate, né che tali superfici non fossero destinate alla permanenza di persone, ossia – come diremmo oggi – non fossero in grado di generare un proprio carico insediativo. Il titolo edilizio ha infatti semplicemente ritenuto di non fare menzione di tali superfici, evidentemente intendendo specificare solo i parametri di ingombro esterno del complesso produttivo, salvo il rinvio, per il resto, ai “disegni approvati”.
E’ allora dirimente stabilire quale fosse la destinazione delle superfici interrate e seminterrate previste nel progetto assentito con il titolo edilizio, ossia stabilire se tali superfici fossero idonee a determinare un proprio carico urbanistico.
Tale ultimo aspetto può essere agevolmente chiarito in base alla certificazione della destinazione d’uso del capannone rilasciata dallo stesso Comune nel 1994. Da tale atto – come si evince dal brano sopra riportato – risulta infatti l’attestazione che nel progetto edilizio approvato con la concessione edilizia era prevista la destinazione del piano interrato a “magazzino/deposito” e del piano seminterrato quale spazio “produttivo”.
Non può quindi dubitarsi che tali destinazioni siano state assentite con il rilascio del titolo edilizio, mediante il rinvio ai disegni approvati.
10.1.6 Chiarito tale aspetto, è da ritenere che la destinazione a magazzino/deposito effettivamente non dia luogo alla formazione di uno spazio destinato alla permanenza di persone e, quindi, non determini un carico insediativo autorizzato dal titolo edilizio (v. ancora, al riguardo, la già citata sentenza della Sezione n. 3115 del 2001, che perviene ad analoghe conclusioni con riferimento a un locale censito catastalmente nella categoria C/2 – magazzini generali e deposito).
D’altra parte, i locali di cui si compone il piano interrato, in base alla stessa relazione tecnica prodotta dalla ricorrente, erano destinati a “depositi materie prime (polveri, estratti, alimentari); locali tecnici (locale quadri elettrici, locale caldaia, officina)” (v. doc. 20 della ricorrente, p. 1).
10.1.7 A diverse conclusioni deve invece pervenirsi con riferimento al locale seminterrato, poiché – come detto – questo è stato assentito dal titolo edilizio per la destinazione all’attività produttiva. E, non a caso, tali spazi risultano essere stati effettivamente adibiti a ospitare – tra l’altro – diversi reparti produttivi, gli spogliatoi e la lavanderia (v. ancora doc. 20 della ricorrente, p. 1).
Si tratta quindi di locali assentiti per una destinazione che ne comporta la rilevanza volumetrica, senza che a ciò osti la circostanza che tale volumetria non sia stata esplicitamente quantificata nel titolo edilizio, ove è stata dichiarata solo la volumetria assentita fuori terra.
10.1.8 In definitiva, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, la censura va accolta in parte, poiché gli atti impugnati sono illegittimi laddove hanno escluso dal calcolo della superficie lorda di pavimento il piano seminterrato.
10.2 Va invece respinta l’altra doglianza articolata con il primo motivo di ricorso, ove la ricorrente lamenta l’esclusione dal calcolo della slp esistente delle tettoie condonate.
10.2.1 E invero, la circostanza che le tettoie siano state legittimate con il rilascio del condono di per sé non toglie che tali manufatti – come evidenziato nel provvedimento impugnato – non rientrino negli abusi di tipologia 1 (opere di nuova costruzione) e non siano completamente chiusi. Si tratta, in altri termini, di opere che, per loro stessa natura, hanno carattere meramente accessorio rispetto alla costruzione principale e non comportano la creazione di nuovo volume (Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2015, n. 406). Pertanto, pur dando luogo alla formazione di superficie coperta, come indicato nel provvedimento di condono, tali manufatti non sono computabili nella superficie lorda di pavimento.
10.2.2 Sotto altro profilo, non meritano accoglimento neppure le censure con le quali la ricorrente lamenta che l’Amministrazione avrebbe escluso il recupero della superficie delle tettoie, nonostante la proposta della Società di cedere al Comune tale superficie.
Basta osservare, al riguardo, che la deliberazione impugnata ha evidenziato che “tale possibilità non ha trovato poi concreta esplicitazione negli elaborati della Proposta depositati il 16 ottobre, i quali pertanto risultano difformi da quanto dichiarato dal proponente e continuano a presentare una errata modalità di calcolo della slp e quindi la possibilità proposta sopra citata non può essere oggetto di valutazione ai fini dell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento”.
Si tratta di argomentazioni logiche e ragionevoli, poiché il Comune ha correttamente rilevato di non poter prendere in considerazione la proposta della parte relativa alle tettoie, atteso che non era stata trasfusa nella proposta di piano attuativo. E’ infatti escluso che l’Amministrazione potesse, in sede di deliberazione sulla proposta di piano, modificare d’ufficio gli atti a essa sottoposti dalla parte privata.
11. Con il secondo motivo di ricorso vengono censurate le determinazioni assunte dall’Amministrazione in ordine alla monetizzazione delle aree a standard; determinazioni esplicitate, in particolare, nella nota di comunicazione dei motivi ostativi alla prosecuzione in senso positivo della fase istruttoria (doc. 4 della ricorrente).
La parte sostiene che la cessione o monetizzazione del valore delle aree per servizi e attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale non sarebbe dovuta in relazione all’intervento, ma che la Società avrebbe ugualmente proposto la monetizzazione, non avendo la disponibilità di aree da cedere al Comune. L’Amministrazione avrebbe però ritenuto necessaria la cessione delle aree, e ingiustificata la relativa monetizzazione, senza fornire un’adeguata motivazione di tali determinazioni, come risulterebbe anche dal tenore della relazione istruttoria del 5 novembre 2014 (doc. 15 della ricorrente), anch’essa impugnata.
11.1 Al riguardo, il Collegio rileva che, dalla lettura della censura articolata dalla parte, si evince che la Società non intende sottrarsi alla cessione o monetizzazione delle aree a standard, che pure reputa non dovuta, poiché essa stessa ha proposto al Comune di farsi carico di tale onere economico. Ciò che la ricorrente lamenta è che l’Amministrazione abbia affermato di non poter approvare la proposta di piano, nella parte in cui prevede la monetizzazione in luogo della cessione di aree a standard.
11.2 Posta tale premessa, deve rilevarsi che, nella comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento della proposta, l’Amministrazione si è limitata a rimarcare che la monetizzazione in luogo della cessione diretta di aree a standard costituisce una possibilità residuale, che deve essere adeguatamente motivata. Affermazione, questa, che è in sé condivisibile, posto che l’articolo 46, comma 1, lettera a) della legge regionale n. 12 del 2005 stabilisce che, nelle convenzioni accessorie ai piani attuativi, la monetizzazione possa essere convenuta solo “qualora l’acquisizione di tali aree non risulti possibile o non sia ritenuta opportuna dal comune in relazione alla loro estensione, conformazione o localizzazione, ovvero in relazione ai programmi comunali di intervento”.
Nel caso di specie, il Comune ha ritenuto semplicemente che la parte non avesse adeguatamente giustificato l’impossibilità di cedere aree a standard.
11.3 D’altro canto, deve pure osservarsi che, nell’articolata relazione istruttoria del 5 novembre 2014, l’Amministrazione ha dato atto che “Nella documentazione depositata il 16 ottobre 2014 si rileva l’introduzione, peraltro unicamente nella relazione tecnica, di argomentazioni che, per quanto solo accennate, vanno nella direzione di motivare adeguatamente la scelta del proponente di ricorrere alla monetizzazione in luogo del reperimento di aree da cedersi al Comune per ottemperare alla dotazione minima di aree per servizi pubblici e di interesse generale dovuta dal PA” (doc. 15 della ricorrente, p. 5).
11.4 In sostanza, l’Amministrazione ha semplicemente osservato che le ragioni del ricorso alla monetizzazione avrebbero dovuto essere esplicitate in modo più compiuto e articolato negli elaborati di piano, al fine di sorreggere adeguatamente tale scelta.
Si tratta di considerazioni che, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte, non evidenziano alcuna carenza motivazionale e, quindi, resistono alle censure formulate nel ricorso.
11.5 Il motivo va quindi respinto.
12. E’ infondato pure l’ultimo mezzo, con il quale la parte lamenta che il Comune avrebbe respinto la proposta di piano attuativo anche sulla base di ulteriori elementi, che però avrebbero dato luogo a mere irregolarità sanabili.
Al riguardo, occorre rilevare che l’Amministrazione ha trasmesso alla parte una prima relazione istruttoria insieme alla comunicazione di motivi ostativi all’accoglimento della proposta, e tale relazione indicava dettagliatamente tutte le modifiche da apportare, con riferimento a ognuno degli elaborati, specificando anche le singole proposte emendative relative alle premesse e a ciascun articolo della convenzione accessoria al piano attuativo (v. doc. 4 della ricorrente).
Una seconda relazione istruttoria è stata poi redatta dopo il deposito di documentazione integrativa da parte della Società (doc. 15 della ricorrente).
Il Comune ha quindi pienamente ottemperato al dovere di collaborare lealmente con la parte proponente, indicando dettagliatamente tutto quanto ritenuto necessario per emendare la proposta pianificatoria.
L’Amministrazione non era invece tenuta – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – a riformulare essa stessa gli elaborati costituenti la proposta di piano attuativo, trattandosi di un compito spettante al soggetto proponente. Né, d’altro canto, il Comune avrebbe potuto omettere o ritardare la conclusione del procedimento mediante una pronuncia definitiva sull’ultima versione della proposta, stante la necessità di rispettare i termini stabiliti dalla legge.
In ogni caso, il rigetto della proposta non preclude alla ricorrente di presentarne una nuova e, in proposito, l’Amministrazione non ha mancato di segnalare alla Società, nella nota di trasmissione della deliberazione della Giunta recante il diniego, “la disponibilità a valutare proposte di piano attuativo relativo all’area in oggetto (...)” (doc. 1 della ricorrente).
13. In definitiva, alla luce di tutto quanto sin qui esposto, la domanda impugnatoria va accolta nella sola parte in cui è diretta a censurare la determinazione dell’Amministrazione di escludere il piano seminterrato dal calcolo della superficie lorda di pavimento esistente.
14. Non può, invece, trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno.
14.1 Deve infatti tenersi presente che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, il danno da illecito provvedimentale rientra nello schema della responsabilità extracontrattuale disciplinata dall’articolo 2043 cc., per cui la parte danneggiata ha l’onere di provare la presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito: condotta, evento, nesso di causalità, antigiuridicità, colpevolezza.
Per ciò che attiene, in particolare, alla dimostrazione della colpa si è ritenuto che “al di fuori del settore degli appalti (...), in sede di accertamento della colpevolezza nell’esercizio della funzione pubblica, l’acclarata illegittimità del provvedimento amministrativo, integra, ai sensi degli artt. 2727 e 2729, co. 1, c.c., il fatto costitutivo di una presunzione semplice in ordine alla sussistenza della colpa in capo all’amministrazione” (Cons. Stato, Sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450).
Per riscontrare l’elemento soggettivo della colpa è necessario infatti “verificare se l'adozione e l'esecuzione dell'atto impugnato sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona fede, alle quali l'esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi”, per cui la responsabilità dell’amministrazione sussiste “quando la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali, da palesare la negligenza e l'imperizia dell'organo nell'assunzione del provvedimento viziato” (così Cons. Stato, Sez. V, 18 gennaio 2016, n. 125). E’ invece da ritenere scusabile la condotta dell’Amministrazione in presenza di un contrasto giurisprudenziale sull’interpretazione di una norma, di un fatto altamente complesso o dell’influenza di altri soggetti (Cons. Stato, Sez. IV, 1° luglio 2015, n. 3258; Id., 16 aprile 2015 n. 1953).
14.2 Facendo applicazione di tali principi, deve ritenersi che, nel caso di specie, pur a fronte della parziale illegittimità della deliberazione impugnata, non emerga una condotta colpevole dell’Amministrazione.
La questione attinente alla determinazione della superficie lorda di pavimento esistente è infatti di notevole complessità e sostanzialmente nuova, poiché non risulta l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali che potevano considerarsi notori e tali da costituire “diritto vivente” sul punto.
Del resto, la posizione assunta dal Comune è da reputarsi solo in parte non condivisibile, come sopra detto. E, in questo senso, anche le interlocuzioni procedimentali della parte ricorrente non hanno contribuito a delineare chiaramente la corretta soluzione della fattispecie, avendo anch’esse prospettato una soluzione solo parzialmente corretta.
Esclusa la colpa dell’Amministrazione, deve conseguentemente riscontrarsi la carenza di uno dei requisiti costituitivi della fattispecie della responsabilità extracontrattuale.
14.3 La domanda risarcitoria va quindi respinta.
15. L’esito della controversia sorregge la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie in parte la domanda di annullamento e la respinge per la restante parte, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Respinge la domanda di risarcimento del danno.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nelle camere di consiglio dei giorni 12 maggio 2016 e del 30 settembre 2016, con l'intervento dei magistrati:
Mario Mosconi, Presidente
Angelo Fanizza, Referendario
Floriana Venera Di Mauro, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Floriana Venera Di Mauro Mario Mosconi