Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione del primo lavoro di ricerca elaborato da Legambiente, in collaborazione con l’Arma dei carabinieri e l’istituto Eurispes, sul fenomeno dell’ecomafia. La nostra associazione ha mantenuto l’impegno assunto allora e che abbiamo voluto ricordare nel distico che apre questo Rapporto: è cominciato, dieci anni fa, un cammino, che ha visto insieme, caso probabilmente unico in Europa, un associazione di volontariato e le forze dell’ordine; importanti uffici giudiziari come la Procura nazionale antimafia e qualificati istituti di ricerca, come il Cresme e l’Istituto nazionale di geofisica; commissioni parlamentari d’inchiesta, a partire da quella sul ciclo dei rifiuti, e tanti, tantissimi cittadini che con le loro denunce hanno costantemente alimentato questo percorso, di verità e di giustizia.
Oggi,
il ruolo diretto delle organizzazioni mafiose nel saccheggio del patrimonio
ambientale e culturale del nostro Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, è un dato
acquisito. L’ecomafia è entrata nel vocabolario della lingua italiana, viene
studiata in molte scuole, è oggetto di tesi universitarie, ispira fumetti e
persino barzellette. Non saremo certo noi a sottovalutare l’importanza
culturale di tutti questi segnali di attenzione. Ma preferiamo ricordarne altri,
che hanno cambiato la “classifica”, come sottolinea spesso il nostro
presidente onorario, Ermete Realacci. In maniera permanente e qualche volta,
purtroppo, per una brevissima stagione:
- la costituzione, a partire dal 1995, di una commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e le attività illecite ad esso connesse, approvata in ogni legislatura con il consenso unanime di maggioranza e opposizione;
-
l’introduzione, attraverso l’art.53 bis del decreto Ronchi, del
delitto di organizzazione di traffico illecito di rifiuti, che ha portato nel
giro di appena due anni, alla scoperta di colossali traffici di rifiuti
pericolosi, con l’emissione di ben 133 ordinanze di custodia cautelare;
-
gli abbattimenti di numerosi ecomostri, dal Fuenti alle otto torri del
Villaggio Coppola, solo per citare quelli più conosciuti, che hanno contribuito
a determinare, tra il 1999 e il 2000, una significativa riduzione del fenomeno
dell’abusivismo edilizio;
-
il deciso rafforzamento del Comando tutela ambiente dell’Arma dei
carabinieri, con l’apertura di nuove sedi regionali e provinciali, il
potenziamento del Reparto operativo e della Sezione operativa centrale, oggi
impegnata in numerose e importanti indagini sui traffici illegali di rifiuti;
-
il pieno riconoscimento delle funzioni di polizia ambientale svolte dal
Corpo forestale dello Stato e dai suoi nuclei investigativi;
-
l’attenzione, crescente, dedicata ai fenomeni d’illegalità
ambientale da parte della Guardia di finanza, in particolare attraverso le sue
Sezioni navali, e le Capitanerie di porto;
-
l’attività di analisi e di indagine sviluppata sul ciclo illegale dei
rifiuti dalla Direzione investigativa antimafia e dai servizi di sicurezza;
-
il crescente rilievo attribuito alla denuncia degli illeciti ambientali
da parte dei procuratori generali delle Corti d’Appello durante le
inaugurazioni degli anni giudiziari;
-
l’apertura di processi importanti,
come quello sulla discarica di Pitelli, a La Spezia (denunciata da Legambiente
già nel lontano 1986) e la conclusione di quello nei confronti dell’ex
sindaco di Agrigento, Calogero Sodano, accusato di aver favorito l’abusivismo
edilizio in cambio di voti condannato, con sentenza della Cassazione, a 18 mesi
di reclusione, nonché al risarcimento dei danni nei confronti delle parti
civili, tra cui Legambiente;
-
la nascita, in diverse province e regioni, degli Osservatori su ambiente
e legalità promossi dalla nostra associazione, a partire dalle esperienze
maturate in Basilicata, nella provincia di Salerno e nell’area marina protetta
di Punta Campanella;
-
l’avvio di approfondite inchieste parlamentari, sollecitate anche da
Legambiente nella precedente edizione del Rapporto Ecomafia, sui traffici
illegali di rifiuti verso la Somalia e gli omicidi di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin, avvenuti dieci anni fa a Mogadiscio.
Si
tratta di risultati raggiunti anche grazie al nostro contributo. E l’elenco
potrebbe proseguire ancora. Ma non possiamo dimenticare che in questi dieci anni
sono state perse anche delle buone occasioni per affermare, nel nostro Paese, i
principi di legalità e di tutela dell’ambiente:
-
la mancata approvazione, nella precedente legislatura, del disegno di
legge del governo, promosso
dall’allora ministro dell’Ambiente Edo Ronchi e da quello della Giustizia,
Oliviero Diliberto, che avrebbe introdotto anche nel nostro codice penale i
delitti contro l’ambiente, garantendo efficaci strumenti di prevenzione e
repressione;
-
la mancata approvazione, sempre nella precedente legislatura, del disegno
di legge promosso dall’allora ministero dei Lavori pubblici che avrebbe
consentito di superare ritardi, inefficienze e difficoltà nell’abbattimento
degli immobili costruiti illegalmente;
-
la mancata approvazione, a tutt’oggi, della nuova legge contro il
maltrattamento degli animali e la piaga dei combattimenti clandestini,
sollecitata con forza dalla Lega Antivivisezione e che consentirebbe di
contrastare con efficacia un’attività estremamente lucrosa per le
organizzazioni mafiose, nonostante le modifiche introdotte.
Ma
non c’è dubbio che le conseguenze peggiori per la tutela dell’ambiente, e
non solo, sono state determinate dall’approvazione da parte dell’attuale
governo del terzo condono edilizio, che come era facile prevedere ha innescato
una forte ripresa dell’abusivismo edilizio in Italia. Si è contribuito in
questo modo a diffondere nel nostro Paese la convinzione di una sostanziale
impunità, che premia i furbi e penalizza chi rispetta le regole, anche nel
mercato delle costruzioni.
Anche
l’elenco delle “doglianze” potrebbe essere più lungo. Ma, come sempre,
sono i numeri a dimostrare quanto siano fondate le preoccupazioni di
Legambiente:
-
negli ultimi dieci anni (1994-2003), le forze dell’ordine hanno
accertato in Italia ben 246.107 infrazioni in materia ambientale; le persone
denunciate o arrestate sono state 154.804; i sequestri effettuati, 40.258; il
40% di queste infrazioni (esattamente 98.536) si concentra nelle quattro regioni
a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia); una
percentuale che sale fino al 43% per quanto riguarda gli illeciti relativi al
ciclo del cemento;
-
nello stesso arco di tempo, sono state realizzate nel nostro Paese
405.606 costruzioni abusive, tra nuovi immobili e trasformazioni d’uso di
rilevanti dimensioni (dalle stalle alle ville, magari con piscina, per
intenderci); il 57% di questo diluvio di cemento illegale si concentra nelle
quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa;
-
il business complessivo delle ecomafie, tra mercato illegale (gestione
illecita dei rifiuti, abusivismo edilizio, racket degli animali, archeomafia) e
investimenti a rischio (appalti per la raccolta di rifiuti e per la
realizzazione di opere pubbliche in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) viene
stimato da Legambiente in circa 132 miliardi di euro;
-
sono, infine, 169 i clan mafiosi con interessi diretti nei circuiti
dell’ecomafia, censiti da Legambiente.
L’anno
appena trascorso è stato, purtroppo, caratterizzato da un deciso incremento di
tutti i parametri presi in esame dalla nostra associazione:
-
gli illeciti ambientali accertati dalle forze dell’ordine sono stati
25.798, circa il 32,6% in più di quelli riscontrati nel 2002; raddoppiano le notizie di reato relative agli incendi dolosi
registrate dal Corpo forestale dello Stato (oltre 7mila quelle del 2003) ma
crescono anche gli illeciti relativi al ciclo del cemento (più 16%) e a quello
dei rifiuti (più 10,7%);
-
è quasi raddoppiato in un anno il numero dei sequestri giudiziari, un
provvedimento che, com’è noto, segnala la particolare gravità dei reati su
cui s’indaga: sono stati ben 8.650 contro i 4.479 del 2002;
-
aumenta anche il numero delle persone denunciate, 19.665, il 18,1% in più
rispetto al 2002; quasi raddoppiato, invece, il numero degli arresti eseguiti:
160, contro gli 87 del 2002, un dato che risente, in modo particolare, delle
operazioni compiute dal Reparto operativo del Comando tutela ambiente
dell’Arma dei carabinieri per quanto riguarda i traffici di rifiuti, ma anche
delle inchieste condotte dal Corpo forestale dello Stato (in materia di rifiuti,
di escavazioni abusive e di bracconaggio) e della Guardia di finanza
-
il maggior numero di illeciti ambientali viene accertato, anche nel 2003,
nella regione Campania, seguita dalla Calabria e dal Lazio; in quest’ultima
regione si registra, per il secondo anno consecutivo, un forte aumento degli
illeciti, soprattutto per quanto riguarda il ciclo del cemento, che vedono
proprio il Lazio al primo posto di questa classifica di “settore”; la
Sicilia, invece, si conferma al primo posto per quanto riguarda gli illeciti
relativi al ciclo dei rifiuti;
-
le nuove costruzioni abusive realizzate nel 2003, secondo le stime
elaborate dal Cresme, sono state 40 mila, per una superficie complessiva
equivalente a oltre 5,4 milioni di metri quadrati di cemento illegale e un
valore immobiliare superiore ai 2,7 miliardi di euro; si tratta di oltre 9mila
nuove costruzioni illegali in più rispetto al 2002 (tra nuovi immobili e
trasformazioni d’uso di rilevanti dimensioni), che sommate a quelle del 2002,
consentono di attribuire all’effetto condono un’impennata di oltre il 40% di
abusivismo edilizio “regalato” al nostro Paese, senza considerare
l’inevitabile “trascinamento” in alto che si registrerà, sempre secondo
il Cresme, anche nell’anno in corso (soprattutto dopo la scelta di concedere
una proroga per la presentazione delle domande di sanatoria, finora molto al di
sotto delle attese del governo);
-
il 55% delle nuove costruzioni illegali si concentra nelle quattro
regioni a tradizionale presenza mafiosa, Campania in testa, che si conferma al
primo posto della classifica anche per quanto riguarda l’abusivismo edilizio;
-
si aggiunge, alle tre montagne di rifiuti spariti nel nulla e già
denunciate nei precedenti Rapporti (rispettivamente di 1.150 metri nel 1988, di
1.120 metri nel 1999, di 1.382 metri nel 2000), una nuova “vetta” di 1.314
metri di altezza (se può consolare, 68 in meno rispetto all’anno precedente)
e tre ettari di base, pari a 13,1 milioni di tonnellate di rifiuti speciali,
anche pericolosi, di cui si stima la produzione ma non si conosce l’effettivo
smaltimento;
-
cresce il business complessivo dell’ecomafia, che nelle stime di
Legambiente supera nel 2003 i 18,9 miliardi di euro, con un incremento del 14,2%
rispetto al 2002;
-
aumenta, infine, anche il numero dei clan censiti: 11 in più rispetto al
precedente Rapporto Ecomafia, per un totale, come già accennato, di 169 clan.
Le
poche notizie confortanti, perlomeno per quanto riguarda i numeri di questo
rapporto, arrivano dall’attività in materia di tutela del patrimonio
artistico e culturale:
-
diminuisce il numero dei furti, secondo i dati forniti dal Comando
carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (1.293, il 15,9% in meno
rispetto al 2002) e quello delle persone arrestate: 54 nel 2003, contro le 128
del 2002); la regione più colpita è il Piemonte (221 furti, con un incremento
di circa il 24,1% sul 2002, in controtendenza rispetto al dato nazionale);
-
resta sostanzialmente stabile il numero di opere trafugate (poco oltre le
18mila, come nel 2002) ma aumentano in modo esponenziale, e qui il dato torna a
farsi preoccupante, quelle considerate di interesse notevole: ben 2.974, contro
le “appena” 77 del 2002, a indicare, probabilmente, una crescente
specializzazione di ladri e trafficanti.
Fin
qui, i numeri. Ma la lettura del Rapporto Ecomafia rimanda, anche quest’anno,
anche alle numerosissime inchieste giudiziarie, alle denunce, agli atti e alle
relazioni istituzionali, alle notizie raccolte ed elaborate da Legambiente.
Riassumerle tutte è davvero impossibile. Può essere utile, però, estrapolare
alcune di quelle più significative, suddivise per area di ricerca.
Cominciamo
dal ciclo del cemento:
-
abbiamo già segnalato il primato del Lazio per quanto riguarda le
infrazioni accertate dalle forze dell’ordine: sono state ben 1.450, più del
doppio rispetto a quelle registrate nel 2002. E raddoppiano in questa regione
anche i sequestri, che passano da 86 a 180. Buona parte di questi illeciti
sembra consumarsi lungo le coste. Lo confermano i dati delle Capitanerie di
porto, quelli delle Sezioni navali della Guardia di finanza e le indagini della
magistratura. Una in particolare, condotta dalla Procura di Velletri e affidata
ai carabinieri del Noe, ha portato a decine di sequestri lungo un tratto di
litorale della provincia di Roma, tra Ardea e Tor San Lorenzo, compreso quello
di ben 28 appartamenti, per un valore di circa 4 milioni di euro, costruiti
abusivamente da una società immobiliare su un fosso demaniale;
-
è proseguita con ulteriori arresti l’operazione Acheronte, condotta
dal Corpo forestale dello Stato e dalla procura di Padova, che ha svelato
l’esistenza di un vasto fenomeno di escavazioni abusive di sabbia, in
particolare lungo il Po; si tratta di un’indagine che ha fatto scuola: nel
corso del 2003, infatti, la procura della Repubblica di Belluno ha messo sotto
inchiesta diverse imprese di escavazione nell’ambito dell’operazione
Alluvium, relativa a prelievi abusivi di ghiaia lungo alcuni torrenti; prosegue,
infine, con nuovi sequestri di motodraghe, l’indagine avviata dalla procura di
Reggio Emilia, sempre in merito alle escavazioni abusive di sabbia nell’alveo
del Po;
-
ha avuto sviluppi clamorosi, coinvolgendo due prefetti e un magistrato,
accusato di corruzione in atti giudiziari, l’inchiesta condotta dalla procura
della Repubblica di Genova su diversi casi di abusivismo edilizio denunciati da
Legambiente nell’isola d’Elba;
-
si conferma particolarmente critica la situazione per quanto riguarda le
cave abusive in Calabria, soprattutto nelle province di Cosenza (numerosi i
sequestri eseguiti dal Corpo forestale dello Stato) e di Catanzaro, in
particolare nel territorio di Lametia Terme, al centro di una vasta operazione
di monitoraggio da parte del Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri;
-
sempre in questa regione, una nuova inchiesta, l’operazione Dinasty, ha
confermato i reiterati episodi d’infiltrazione della ‘ndrangheta nei lavori
di ammodernamento dell’autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria; già lo scorso
anno avevamo segnalato un’altra indagine, l’operazione Tamburo, dalla quale
è emerso uno scenario a dir poco inquietante, che conferma le saldature
esistenti, nelle attività dell’ecomafia, tra ciclo del cemento e ciclo dei
rifiuti: durante le indagini, infatti, come spiega la Direzione investigativa
antimafia nella relazione sul secondo semestre 2003, sono stati acquisisti
“elementi investigativi in ordine all’interramento clandestino di 18mila
metri cubi di rifiuti sotto l’asfalto dell’autostrada”, utilizzati per
“riempire un tratto che aveva richiesto l’esecuzione di scavi e
sbancamenti”;
-
Legambiente non può fare altro che ribadire, anche in questa occasione,
la grande preoccupazione che suscitano gli appetiti della ‘ndrangheta e di
Cosa nostra intorno ai lavori previsti per la realizzazione del Ponte sullo
Stretto di Messina, un’opera che giudichiamo inutile e contro la quale
continueremo a batterci: già oggi, quando l’apertura dei cantieri è ancora
sulla carta, “non si esclude - afferma la Dia – che si sia costituito ad hoc
un consorzio criminale fra le cosche reggine, che avrebbero già pianificato le
modalità d’intervento”.
Dal
cemento, ai rifiuti:
-
quando non ci sono grandi appalti da “inquinare” le cosche mafiose
cercano di sfruttare tutte le occasioni possibili di guadagno: è il caso della
provincia di Agrigento. Sempre secondo la Dia,
in questa provincia “quello dello smaltimento dei rifiuti si sta
rivelando una nuova e lucrosa attività, che è attualmente oggetto di
particolare attenzione investigativa”. E probabilmente non è un caso se
proprio in Sicilia, come abbiamo già
accennato, si riscontra il maggior numero di illeciti accertati dalle forze
dell’ordine in questo settore d’intervento;
-
la situazione di gran lunga più preoccupante resta, comunque, quella
della Campania: la camorra, come ha denunciata la stessa Commissione
parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti, ha puntato “l’affare
emergenza”, a partire dalla compravendita delle aree in cui stoccare le
cosiddette ecoballe; sempre in questa regione proseguono incessantemente i
traffici e gli smaltimenti illeciti di rifiuti provenienti soprattutto dal
Centro-Nord, come hanno rivelato diverse inchieste condotte nel 2003 dai
carabinieri del Comando tutela ambiente (dall’operazione “Eldorado” alla
“Re Mida”);
-
una situazione di emergenza ambientale caratterizza, ormai da tempo, i
territori dell’Agro aversano, in provincia di Caserta, e di diversi comuni
dell’area a nord di Napoli, in particolare nel triangolo Qualiano, Giugliano,
Villaricca: è la terra dei fuochi, già denunciata nello scorso Rapporto
ecomafia, dove si continuano a bruciare ogni notte ingenti quantitativi di
rifiuti con tecniche sempre più raffinate (dai pneumatici usati come
combustibile alla nuova frontiera delle balle di stracci imbevute, molto
probabilmente, con solventi e altri rifiuti pericolosi); da questi roghi, com’è
noto, si sprigionano rilevanti quantità di diossina; è molto probabile che
proprio questa sorta di “termocombustione”, criminale e diffusa sul
territorio, sia all’origine dei gravi fenomeni di contaminazione, che hanno
portato al sequestro e all’abbattimento di alcune migliaia di capi bovini, in
particolare bufale, nonché alla recentissima emanazione di ordinanze sindacali
che vietano, in alcune aree dei comuni di Frignano e Villa Literno (ma quelli
interessati sarebbero in realtà almeno sette), il pascolo, la detenzione di
animali da cortile, la raccolta del foraggio, che deve essere inviato a
“idonei impianti di incenerimento”;
-
alcune indagini giudiziarie condotte tra il 2003 e i primi mesi del 2004
hanno confermato l’estensione su
quasi tutto il territorio nazionale dei traffici illegali di rifiuti; con
l’operazione Mosca, condotta dal Comando tutela ambiente dell’Arma dei
carabinieri, sono stati accertati smaltimenti illeciti di ingenti quantitativi
di rifiuti in Molise; l’operazione Clean Sweep, portata avanti dallo stesso
Comando, ha acceso i riflettori sul profondo nord, la provincia di Cuneo,
anch’essa meta di smaltimenti illeciti; quella Phantom Recycling, condotta dal
Nucleo investigativo di polizia ambientale del Cfs di Brescia ha confermato il
massiccio impiego di capannoni industriali dismessi, che vengono riempiti di
rifiuti e lasciati in eredità alle comunità locali, dalla Lombardia al Veneto,
dall’Emilia Romagna al Friuli; sempre in Veneto, l’operazione Houdini,
condotta di nuovo dal Comando tutela ambiente e coordinata dal Reparto
operativo, ha confermato il ruolo cruciale di questa regione come luogo di
raccolta e “smistamento” di rifiuti speciali, spesso pericolosi, su tutto il
territorio nazionale;
-
sorprende, infine, per l’originalità del sistema di smaltimento
illecito adottato l’operazione Paddock, condotta dal Corpo forestale dello
Stato e dalla Guardia di finanza, in collaborazione con l’Agenzia regionale
per la protezione dell’ambiente della regione Toscana: le indagini, partite da
Barberino del Mugello hanno consentito di individuare l’impiego di rifiuti
(cavi elettrici finemente tritati) mescolati con sabbia per “allestire” le
aree di allenamento dei cavali in numerosi maneggi della provincia di Firenze, e
probabilmente non solo (questo tipo di traffico ha interessato anche la
Lombardia, l’Emilia Romagna e le Marche); il materiale in questione sarebbe
particolarmente adatto perché, come rivela un comunicato stampa della stessa
Arpat, “conferisce una buona elasticità al fondo e non comporta la formazione
di polvere”: peccato che si tratti di rifiuti classificati come pericolosi.
E’
stata la rivista Polizia di Stato a segnalare, con un’ampia inchiesta,
un fenomeno crescente per quanto riguarda il racket degli animali, il furto di
cavalli: ne vengono rubati ogni anno almeno 5mila esemplari, spesso destinati al
mercato della macellazione clandestina. A causa delle giuste preoccupazioni
suscitata dalla “mucca pazza”, infatti, il consumo di carne equina in Italia
è cresciuto in maniera significativa (circa il 40%) e le organizzazioni
criminali, ovviamente, si adeguano. Senza dimenticare le tradizionali fonti di
guadagno:
-
resta, infatti, assai diffuso il fenomeno del bracconaggio nel nostro
Paese, come dimostra l’Operazione pettirosso, condotta dal Noa, il Nucleo
operativo antibracconaggio del Corpo forestale dello Stato: in 45 giorni di
indagini, lungo le valli bresciane e del bergamasco, sono state denunciate 102
persone, sequestrati 4.239 archetti e trappole, 157 reti. Le prede sono sempre
le stesse (pettirossi, allodole, fringuelli, scriccioli) piccoli volatili
catturati illegalmente che alimentano un ricco mercato: un piatto, con il gusto
del proibito, di “polenta e osei” può costare anche 40 euro; un archetto,
appena 15 centesimi;
-
si diventa cacciatori di frodo anche solo per “passione”, magari dopo
aver lavorato regolarmente dal lunedì al venerdì, dirigendo la filiale di un
istituto di credito: è soltanto un cacciatore di frodo tra i tanti quello
denunciato anche quest’anno sui “laghetti” del litorale Domitio flegreo,
in provincia di Caserta, ma proprio il suo ruolo sociale, rispettabile, e la sua
disponibilità a pagare anche 8 mila euro l’anno per affittare un capanno
abusivo fanno davvero riflettere; anche perché questi laghetti, in gergo
“vasche”, dove cercano ristoro moltissimi specie di migratori, sono spesso
gestiti dalla camorra (Legambiente, per inciso, ha avviato, in collaborazione
con la Lipu, un progetto di recupero e riqualificazione di alcune aree umide di
questa provincia, nell’ambito dell’operazione SalvaItalia, che si avvale del
contributo di Tim).
“La
gente ricca serve per la fortuna di quelli che possono arricchirsi alle loro
spalle”: è solo un frammento, ma davvero significativo, della conversazione,
intercettata dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Roma, tra
un padre, considerato tra i più esperti ladri e ricettatori di opere d’arte,
in servizio da più di 30 anni, e il figlio. Ma spiega molto degli interessi che
ancora “orbitano” intorno al saccheggio del patrimonio archeologico, storico
e artistico del nostro paese. Partivano dall’antica Etruria, tra il Lazio e la
Toscana, solo per fare un esempio, i reperti archeologici sequestrati dagli
investigatori della Guardia di finanza, impegnati nelle attività di contrasto
dei traffici d’arte. E finivano in Svizzera: qui in un sofisticato laboratorio
ginevrino si provvedeva al “restauro” prima di collocarli sul mercato
internazionale: a fare da consulenti, un esperto in etruscologia, italiano, e un
collezionista, svizzero, ai quali era affidato il compito di costruire
un’identità legale ai reperti.
Molto
più brutale e diretta è la nuova “mafia di campagna”. Un fenomeno su cui
indaga una sezione specializzata della Procura nazionale antimafia, voluta dal
Procuratore Piero Luigi Vigna, e che Legambiente ha deciso di sottolineare, per
la sua gravità in questo Rapporto Ecomafia 2004. I numeri che emergono dal
lavoro di ricerca “Campagne sicure 2003: la criminalità in agricoltura nelle
regioni del Sud” (elaborato dalla Fondazione Cesar per conto della
Confederazione italiana dell'agricoltura), non lasciano margini di dubbio:
-
i reati accertati dalle forze dell’ordine nelle campagne del nostro
Mezzogiorno, durante il 2002, sono stati ben 228.253;
-
al primo posto figurano i furti di attrezzature e mezzi agricoli
(accompagnati spesso dalla richiesta di un “riscatto”, il cosiddetto
“cavallo di ritorno”) seguiti dal racket, dall’abigeato, dai furti di
prodotti agricoli, in quantitativi ingenti e direttamente dalle piante.
E’
un vero e proprio assalto. Che ha come vittime migliaia di agricoltori italiani,
troppo spesso abbandonati al loro destino. E che vede di nuovo in alcuni
territori funestati dal fenomeno dell’ecomafia, come la provincia di Caserta e
quella di Napoli, veri e propri “epicentri” di queste attività illecite.
Che non preoccupano soltanto per le conseguenze sociali, pure gravissimi, ed
economiche.
Queste
attività criminali s’intrecciano, spesso, con altri fenomeni, come la
macellazione clandestina, gli allevamenti illegali, il ricorso a farmaci
proibiti per “dopare” gli animali, i traffici di derrate alimentari che non
dovrebbero raggiungere il mercato. Non può non inquietare, solo per fare un
esempio, il sequestro avvenuto in provincia di Frosinone, da parte della polizia
di Cassino, di due autobotti con latte che proveniva da allevamenti sequestrati
della provincia di Caserta, a causa
della contaminazione da diossina. Il latte era destinato a ditte del basso
Lazio. E la preoccupazione cresce, se a questa notizia si affianca quella del
sequestro da parte del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, su delega
dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, di due allevamenti
gestiti da affiliati a clan camorristici.
Non
si tratta di fare allarmismo (davvero non se
ne avverte il bisogno, visto il quadro generale che emerge dalle inchieste
giudiziarie e da diversi atti istituzionali) ma è certo che contro la mafia di
campagna vanno sviluppate, rapidamente, forti contromisure, per restituire
serenità agli agricoltori e sicurezza ai consumatori.
Anche
quest’anno, il Rapporto Ecomafia ospita un’ampia pagina dedicata ai
cosiddetti “mercati globali” dell’ecocriminalità: i traffici illeciti di
rifiuti (per i quali si segnala una ricerca comparata tra Italia e Spagna,
realizzata da Legambiente in collaborazione con il Gruppo Abele e
l’associazione ambientalista spagnola Gepec), quelli di specie protette (che
si collocano ormai al terzo posto come profitti per le holding criminali, dopo i
traffici di armi e di droga) e quelli di opere d’arte. Gli spunti di
riflessione non mancano, ma anche per ragioni di sintesi, ne vogliamo
sottolineare uno. Che guarda a un tema di grande attualità: l’allargamento
dell’Unione europea. La prima indagine effettuata sulla criminalità
ambientale in Europa, ampiamente citata nel capitolo sugli scenari
internazionali, rivela una significativa frequenza di traffici e smaltimenti
illeciti di rifiuti nei paesi dell’Est, a cominciare dalla Cecoslovacchia.
Sembra quasi un ritorno al passato, a prima della caduta del Muro, quando
proprio verso Est (in particolare la Romania) si dirigevano rotte importanti
degli smaltimenti illeciti, che affiancavano quelle tradizionali verso
l’Africa (ancora attive).
Il
nostro lavoro di ricerca si conclude, come sempre, con i contributi dei Centri
di azione giuridica di Legambiente: i nostri sportelli della legalità, a
disposizione dei cittadini e attivi in quasi tutte le regioni italiane. Si
tratta di un lavoro che coinvolge decine e decine di avvocati, a titolo gratuito
(quando gli va bene), affiancati da magistrati da sempre attenti alle questioni
ambientali.
E’
un altro piccolo esempio di quello spirito di cooperazione che caratterizza le
nostre attività associative. E che ispira anche le proposte, concrete, con le
quali vogliamo concludere questa premessa:
-
torniamo a sollecitare, anche quest’anno, l’introduzione dei delitti
contro l’ambiente nel nostro Codice penale; abbiamo positivamente ascoltato,
al riguardo, durante un convegno organizzato proprio dalla nostro associazione
lo scorso 19 marzo a Roma, una sostanziale unità d’intenti e di obiettivi con
la Commissione presieduta dal giudice Carlo Nordio, impegnata, su delega del
ministro della Giustizia nella più complessiva riforma del Codice penale;
sempre in quella occasione è stato confermato l’impegno, nella stessa
direzione, della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti,
in particolare del suo presidente, l’on. Paolo Russo; speriamo che queste
sinergie consentano di superare dubbi ed ostacoli e favoriscano
l’approvazione, entro questa legislatura, di una riforma, prevista anche dal
Consiglio d’Europa e dalla Commissione europea;
-
Legambiente propone, al di là degli esiti dei ricorsi pendenti davanti
alla Corte costituzionale contro il terzo condono edilizio (che ci auguriamo,
ovviamente, portino alla bocciatura di questo provvedimento), l’istituzione di
un Ufficio nazionale per la lotta all’abusivismo edilizio, con funzioni
operative e di coordinamento, che supporti Comuni ed Enti parco nelle attività
di demolizione di tutto ciò che è comunque non sanabile, nonché in quelle di
repressione del nuovo abusivismo (quello successivo, per intenderci, alla data
del 31 marzo 2003); questo ufficio, magari alle dipendenze
del ministero dell’Ambiente e
del territorio, potrebbe, solo per fare un
esempio, raccogliere e rilanciare il prezioso lavoro svolto dalla Procura
generale di Lecce sulle sentenze di demolizione passate in giudicato di opere
non sanabili: grazie alla collaborazione avviata anche con le sedi locali
dell’Ance (l’Associazione nazionale costruttori), la Procura generale ha
elaborato, tra l’altro, procedure d’intervento con costi inferiori a quelli
praticati dal Genio militare;
-
la nostra associazione sollecita l’adozione di misure, queste sì
davvero straordinarie, con cui ripristinare la legalità nelle cosiddette
“terre dei fuochi”, in particolare l’Agro aversano e i comuni dell’area
a nord della Provincia di Napoli (soprattutto nel triangolo tra Qualiano,
Giugliano e Villaricca): si tratta di agire, a nostro avviso, con lo stesso
impegno che ha caratterizzato l’Operazione Primavera, attraverso la quale, è
stato sostanzialmente stroncato un sistema criminale che teneva in scacco la
provincia di Brindisi. In quel caso si trattava di contrastare bande sempre più
spietate di contrabbandieri di sigarette. Questa nuova “Operazione
Primavera” dovrebbe avere come obiettivo, invece, i contrabbandieri di rifiuti
che avvelenano quei territori, minacciano la salute dei cittadini e
compromettono importanti attività economiche;
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chiediamo, più in generale, una forte iniziativa politico-amministrativa
per superare, in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, la stagione, in qualche
caso ormai più che decennale, della gestione commissariale del ciclo dei
rifiuti, creando finalmente le condizioni per un autentico decollo della
raccolta differenziata e delle attività di recupero e riciclaggio, antidoto
indispensabile all’azione delle ecomafia;
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ci aspettiamo, infine, dalla nuova presidenza di Confindustria una
maggiore attenzione verso quanto emerge dalle indagini sui traffici illegali di
rifiuti nel nostro paese, alimentati dai residui di produzione di importanti
cicli industriali (dalle concerie agli impianti siderurgici fino agli
stabilimenti petrolchimici); la proposta è semplice: elaborare un “Manuale
contro l’ecomafia”, rivolto al sistema imprenditoriale, in cui vengono
spiegate le conseguenze di queste attività illecite e si illustrano i costi
effettivi e le procedure necessarie per smaltire correttamente i rifiuti; si
tratterebbe di un piccolo gesto ma, allo stesso tempo, di una chiara assunzione
di responsabilità, che aiuterebbe peraltro le stesse imprese private che
operano, legalmente, nella gestione dei rifiuti.
Anche in questo caso, siamo pronti a dare il nostro contributo, di idee e di esperienze maturate in questi dieci anni. Lo faremo con lo spirito che ci ha sempre contraddistinto: affiancare al rigore della ricerca e al dovere della denuncia, l’impegno di formulare proposte, fatte soltanto nell’interesse generale del nostro Paese e dell’ambiente in cui viviamo