Cass. Sez. III n. 21034 del 30 maggio 2022 (UP 5 mag 2022)
Pres. Di Nicola Est. Liberati Ric. Capicchioni
Acque.Nozione di scarico

In tema di tutela delle acque dall'inquinamento per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall'insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore.  Le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 ottobre 2021 il Tribunale di Rimini ha condannato Franco Capicchioni alla pena di 3.000,00 euro di ammenda per i reati di cui agli artt. 674 cod. pen. (capo 1 della rubrica, limitatamente all’episodio del 10 maggio 2017 e allo scarico 2, per avere, quale legale rappresentante della S.p.a. ALI, versato nel torrente San Marino cose atte a offendere e imbrattare le persone, trattandosi di rifiuti provenienti sia da scarichi di natura industriale, perché contenenti alluminio, borio, bario, rame ferro, zinco, piombo, nichel e cromo, sia di natura domestica, come desumibile dall’alta concentrazione di eschericia coli) e 137, commi 1 e 2, d.lgs. 152/2006 (capo 4 della rubrica, limitatamente allo scarico 2, per avere, quale legale rappresentante e gestore della S.p.a. ALI, aperto, in difetto assoluto di autorizzazione, uno scarico che recapita nel torrente San Marino reflui contenenti alluminio, borio, bario, ferro, zinco, piombo, nichel e cromo totale, compresi nelle tabelle 5 e 3/a dell’allegato 5 del d.lgs. 152/2006); con la medesima sentenza il Tribunale ha assolto lo stesso Capicchioni dalle residue contestazioni e anche la S.p.a. ALI dall’illecito amministrativo contestatole al capo 5), limitatamente allo scarico 1 (perché il fatto non sussiste, essendo stato l’imputato assolto da tale contestazione per non aver commesso il fatto), dichiarando tale ente responsabile dell’illecito amministrativo di cui al medesimo capo 5) limitatamente allo scarico 2 (ossia della violazione amministrativa di cui all’art. 25 undecies, comma 2, d.lgs. 152/2006, in relazione alla contravvenzione di cui all’art. 137, comma 2, del medesimo d.lgs. 152/2006, commessa nell’interesse di tale persona giuridica o, comunque, per il suo vantaggio), condannandolo a pagare la sanzione amministrativa pecuniaria di 51.600,00 euro e disponendo anche la confisca dello scarico 2.

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. In primo luogo, ha denunciato l’erronea applicazione dell’art. 674 cod. pen., a causa del mancato accertamento della attitudine della condotta contestata a recare offesa alle persone, che era stata fondata dal Tribunale sulla alterazione cromatica e olfattiva delle acque del fiume Marecchia per circa 10 chilometri del suo corso e sulla moria di pesci che vi era stata riscontrata, oltre che sul fatto che il teste Dolci era dovuto accorrere al proprio lago per chiudere l’attingimento di quest’ultimo delle acque del corso per evitare la moria dei pesci, cosicché la concreta potenzialità offensiva era stata accertata limitatamente alla fauna ittica ma non anche con riferimento alle persone, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità per poter attribuire rilevanza penale alla condotta (si richiama la sentenza n. 22032 del 2010).
2.2. In secondo luogo, è stato denunciato un vizio della motivazione nella parte in cui è stato ritenuto sussistente il reato di cui al capo 1), sottolineando l’illogicità del rapporto tra la assoluzione dell’imputato in relazione all’episodio del 18 gennaio 2017 e la affermazione della sua responsabilità con riferimento a quello del 10 maggio 2017, in quanto in entrambi gli episodi si erano verificati i medesimi fenomeni visivi lungo i corsi d’acqua pubblica, attribuiti nel primo caso allo scarico 1 (ubicato in corrispondenza del piazzale della S.p.a. ALI) e a reflui provenienti dalla rete fognaria pubblica di San Marino, e nel secondo allo scarico 2  (posto in corrispondenza dei silos appartenenti alla medesima S.p.a. ALI), attribuendone la responsabilità al ricorrente, pur essendovi le medesime incertezze circa la provenienza dei reflui in entrambi i casi, anche perché il giorno antecedente tutti e due gli episodi (e cioè il 17 gennaio 2017 e il 9 maggio 2017) vi erano stati eventi meteorici di rilevante portata, con la conseguente verosimile evenienza che essi avessero indotto il superamento del livello di troppo pieno, determinando lo sversamento di acque nere nel rio San Marino e, quindi, nel fiume Marecchia, cosicché anche nel secondo caso avrebbe dovuto essere esclusa la provenienza dallo scarico della ALI dei reflui e, con essa, la responsabilità del ricorrente.
Ha lamentato anche l’insufficiente considerazione del fatto che i reflui di cui era stata riscontrata la presenza nei corsi d’acqua pubblica erano sia di origine industriale (alluminio, ferro, zinco e rame), sia domestica (DOD5, COD ed eschericia coli), dunque non riconducibili alla attività imprenditoriale svolta dalla S.p.a. ALI, e anche il mancato accertamento dell’utilizzo nella attività della ALI delle sostanze rinvenute nelle acque pubbliche e l’insufficiente considerazione della loro modesta concentrazione.
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato l’errata applicazione dell’art. 137 d.lgs. 152/2006, sottolineando anche a tale riguardo la natura dei reflui di cui era stata accertata la presenza nelle acque pubbliche, di chiara natura domestica, che faceva ragionevolmente presumere che tutti i reflui, sia quelli domestici sia quelli industriali, derivassero dallo scarico 1 collegato alla fognatura pubblica e non fossero, quindi, di diretta pertinenza della ALI.
Ha lamentato, inoltre, la mancata considerazione del fatto che lo scarico 2 era stato realizzato molti anni prima e allo scopo di far defluire l’acqua piovana proveniente dalle grondaie e dalle caditoie, come riferito dal teste Chiaruzzi, che aveva dichiarato di non conoscere il sistema fognario sottostante tale scarico e quelli degli altri insediamenti industriali, e anche la qualificazione come reflui industriali delle acque meteoriche di dilavamento, richiamando al riguardo la sentenza n. 2867 del 2014, qualificazione che dovrebbe essere esclusa alla luce della formulazione dell’art. 74, lett. g), d.lgs. 152/2006, con la conseguente erroneità della affermazione della configurabilità nel caso di specie del reato di cui all’art. 137 d.lgs. 152/2006.
3. Ha proposto ricorso avverso la medesima sentenza anche la S.p.a. ALI, per il tramite dell’Avvocato Prete, nominato procuratore speciale, che lo ha affidato a due motivi.
3.1. Con il primo motivo ha lamentato la errata applicazione dell’art. 137 d.lgs. 152/2006, da cui erano conseguite l’affermazione di responsabilità dell’imputato in relazione a tale reato e la condanna della società alla sanzione amministrativa pari a 200 quote sociali nel minimo di euro 258,00 ciascuna, dunque al pagamento della somma complessiva di euro 51.600,00, a causa della insufficiente considerazione della presenza di reflui domestici nelle acque del torrente San Marino, pari, secondo gli esiti degli esami chimici e batteriologici indicati nella tabella riportata a pag. 11 della sentenza, a 1.700.000,00, di gran lunga superiori a quelli industriali, di poco superiori ai limiti di legge, con la conseguenza che i reflui di cui era stata riscontrata la presenza nel corso d’acqua avrebbero dovuto essere ricondotti al sistema fognario pubblico, in concomitanza con eventi meteorici, come ritenuto dal Tribunale con riferimento allo sversamento di gennaio 2017, ma non anche, e in modo contraddittorio, in relazione a quello di maggio 2017, che aveva determinato l’affermazione di responsabilità dell’amministratore della società ricorrente e la condanna di quest’ultima al pagamento della sanzione amministrativa.
Ha sottolineato la circostanza, emersa dall’istruttoria dibattimentale, che lo scarico 2 aveva solamente la funzione di raccogliere l’acqua piovana proveniente dalle grondaie e dalle caditoie, tanto che dopo il suo sequestro, eseguito il 5 ottobre 2018, i tappi di poliuretano utilizzati per chiuderlo erano saltati in seguito a un evento atmosferico di rilievo; nonostante ciò il Tribunale aveva ritenuto che le acque meteoriche di dilavamento, in quanto contaminate da sostanze diverse da quelle elementari (costituite da polvere o detriti normalmente presenti sul suolo), avessero perduto la loro natura di reflui domestici, qualificandole come industriali, omettendo di considerarne la composizione quale risultante dalle analisi chimiche e anche la differenza concettuale tra le acque meteoriche di dilavamento e i reflui industriali (si richiama la sentenza n. 2867 del 2014).
3.2. Con il secondo motivo ha lamentato la mancanza assoluta di motivazione a proposito dell’interesse dell’ente rispetto alla condotta addebitata all’imputato, in quanto al riguardo il Tribunale si era limitato ad affermare che l’apertura e il mantenimento dello scarico avevano consentito alla ALI di recapitare i propri reflui senza la necessità di raccoglierli e smaltirli secondo la normativa italiana, omettendo di considerare la occasionalità della condotta, essendosi verificato un unico episodio di sversamento (nel maggio 2017), e anche l’assenza di vantaggio economico per l’ente, al quale non poteva quindi essere contestata l’assenza di un sistema preventivo volto a evitare un fenomeno del tutto occasionale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Entrambi i ricorsi sono infondati.

2. Il ricorso proposto da Franco Capicchioni è, complessivamente, infondato.
2.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata lamentata la errata applicazione dell’art. 674 cod. pen., a causa della affermazione della idoneità lesiva della condotta nonostante il mancato accertamento della dannosità per le persone di quanto sversato nel torrente San Marino, è inammissibile, essendo volto, peraltro in modo generico, privo di illustrazione della condotta e di confronto critico con la motivazione della sentenza impugnata, a censurare sul piano del merito un accertamento di fatto, in ordine a detta idoneità lesiva dei reflui di cui è stata accertata la presenza nel torrente San Marino e da questo nel fiume Marecchia, idoneità che il Tribunale ha illustrato con argomenti concludenti e non manifestamente illogici, ma, anzi, pienamente razionali, oltre che conformi all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità.
Va al riguardo rammentato che questa Corte ha già chiarito che la contravvenzione di cui all’art. 674 cod. pen. è un reato di pericolo per la cui integrazione non occorre un effettivo nocumento alle persone, essendo sufficiente l'attitudine a cagionare effetti dannosi. Il requisito dell'attitudine a "offendere", "imbrattare" o "molestare" non deve essere poi accertato mediante perizia, ben potendo il giudice ricavare tale dato in qualsiasi altro modo. L'elemento, tuttavia, che non può difettare ai fini della sussistenza del reato è correlato alla concretezza della offesa o della molestia alle persone. Questa Corte, in svariate decisioni, (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 38297, del 18/6/2004, Providenti, Rv. 229618; Sez. 3, n. 20755, del 14/3/2003, Di Grado, Rv. 225304), ha chiarito che, nel concetto di "molestia", vanno ricomprese tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo alla persona, situazioni che siano di turbamento della tranquillità e del modo di vivere quotidiano e producano un impatto negativo, anche psichico, sull'esercizio delle normali attività di lavoro e di relazione.
Nel caso in esame il Tribunale ha spiegato adeguatamente come lo sversamento di reflui addebitato al ricorrente presentasse tali caratteristiche, essendosi trattato dello scarico di acque altamente tossiche e maleodoranti, avvenuto in luogo pubblico e protrattosi per oltre 10 km nel torrente San Marino, fino alla confluenza con il fiume Marecchia, con evidente pericolo anche per la salute delle persone che eventualmente fossero venute a contatto con tali acque. Attitudine alla molestia la cui effettività, del resto, è stata confermata dal teste Dolci che, proprio a causa dello sversamento, era stato costretto a correre al proprio lago per chiudere l’attingimento nel fiume Marecchia al fine di evitare la moria dei propri pesci.
A fronte di tali argomenti, idonei a giustificare l’affermazione della potenzialità lesiva dei reflui presenti nel corso d’acqua e ricondotti alla attività produttiva dell’impresa amministrata dal ricorrente, quest’ultimo ha opposto dei rilievi generici e, soprattutto, volti a sindacare sul piano del merito un accertamento di fatto, in ordine a detta potenzialità lesiva, giustificato adeguatamente e con argomenti non manifestamente illogici, come tali non sindacabili sul piano valutativo o della lettura degli elementi di prova a disposizione.
2.2. Considerazioni in parte analoghe possono essere svolte per quanto riguarda il secondo motivo.
La doglianza in ordine all’insufficiente accertamento della effettiva provenienza dallo scarico 2 dello stabilimento della ALI dei reflui di cui è stata riscontrata la presenza nelle acque pubbliche, censura che è stata fondata sulla possibile attribuibilità della provenienza degli stessi dagli impianti fognari di San Marino, stante l’identità delle situazioni verificatesi il 18 gennaio 2017 (in relazione alla quale l’imputato è stato assolto) e il 10 maggio 2017 (in relazione alla quale è stata affermata la responsabilità del ricorrente), oltre che sulla presenza nelle acque pubbliche di reflui industriali ma anche domestici, che non potrebbero provenire dallo stabilimento della ALI, non essendo neppure stato accertato l’impiego di dette sostanze nella attività produttiva di tale ente, è volto anch’esso a sindacare un accertamento di fatto compiuto dal Tribunale, proponendo una non consentita lettura alternativa delle risultanze istruttorie, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che non è manifestamente illogica e non può dunque essere sindacata sul piano della lettura e della considerazione delle risultanze istruttorie. Il Tribunale ha indicato i convergenti elementi che consentivano di escludere che vi fossero dubbi circa la provenienza delle acque proprio dall’impianto della ALI, consistenti nel fatto che lo scarico si trovava esattamente in corrispondenza dei silos della società, che l’imputato aveva ammesso la circostanza e che il teste Chiaruzzi aveva riferito che lo scarico era collegato all’impianto della società, e i rilievi del ricorrente sono volti, anche a questo proposito in modo non consentito, a suggerire una diversa e non consentita interpretazione dei singoli elementi di prova. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che l’istruttoria ha chiarito che lo scarico 2 recapitava nel rio San Marino acque meteoriche provenienti dalla ALI, mediante stabili tubazioni collegate alle grondaie e alle caditoie presenti nel piazzale dello stabilimento industriale, laddove venivano stoccati anche i lavorati in legno (provenienti dalla attività produttiva della ALI, costituita dalla realizzazione di pavimenti in legno), e che le acque che venivano recapitate tramite tali tubazioni presentavano sostanze pericolose e inquinanti, di natura tipicamente industriale (tra cui ferro, boro, alluminio, cloruri, e anche, in misura minore, elementi di natura domestica, come eschericia coli, v. pag. 34 della motivazione della sentenza impugnata).
2.3. Il terzo motivo è in parte inammissibile in parte infondato.
2.3.1. Le doglianze in ordine alla provenienza dei reflui di cui è stata riscontrata la presenza nelle acque pubbliche attengono, anche, anche a questo proposito, a un accertamento di fatto che, come già evidenziato a proposito del primo e del secondo motivo, è stato adeguatamente giustificato, con motivazione esaustiva e immune da vizi logici, ma, anzi, pienamente razionale nell’esame e nella valutazione dei dati probatori, con la conseguenza che anche i rilievi formulati su tale aspetto risultano non consentiti in questa sede di legittimità.
2.3.2. Il rilievo secondo cui le acque meteoriche di dilavamento non potrebbero essere qualificate come reflui industriali, non è fondato.
2.3.3. Questa Corte ha, da tempo, chiarito che in tema di tutela delle acque dall'inquinamento per scarico si deve intendere qualsiasi versamento di rifiuti, liquidi o solidi, che provenga dall'insediamento produttivo nella sua totalità e cioè nella inscindibile composizione dei suoi elementi, a nulla rilevando che parte di esso sia composta da liquidi non direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o delle acque meteoriche, immessi in un unico corpo recettore (così Sez. 3, n. 6528 del 20/10/2020, dep. 2021, Calia, Rv. 280918, che ha ritenuto che integrassero gli estremi dello scarico le acque meteoriche convoglianti i percolamenti creatisi durante il passaggio dei rifiuti solidi urbani dagli automezzi ai compattatori defluenti in una griglia nella pavimentazione dell'area esterna allo stabilimento e nelle rispettive canalette; v. anche Sez. 3, n. 11128 del 24/02/2021, Azzalini, Rv. 281567, riportata per esteso anche nella motivazione della sentenza impugnata, da pag. 26 a pag. 34).
Le acque meteoriche da dilavamento sono costituite dalle sole acque piovane che, cadendo al suolo, non subiscono contaminazioni con sostanze o materiali inquinanti, poiché, altrimenti, esse vanno qualificate come reflui industriali ex art. 74, comma 1, lett. h), d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (Sez. 3, n. 6260 del 05/10/2018, dep. 2019, Galletti, Rv. 274857; conf. Sez. 3, n. 2832 del 02/10/2014, dep. 2015, Mele, Rv. 263173, relativa a fattispecie in sono state qualificate come reflui industriali le acque meteoriche contaminate da idrocarburi provenienti da un distributore di carburanti; nonché Sez. 3, n. 513 del 24/10/2012, dep. 08/01/2013, Rossetto, Rv. 254177).
2.3.4. Ora, nel caso in esame, il Tribunale è giunto a qualificare come reflui industriali le acque provenienti dall’impianto della ALI e recapitate nel rio San Marino attraverso lo scarico 2, mediante le tubazioni di scarico e le caditoie presenti nell’impianto produttivo della ALI, sulla base del rilievo che le acque meteoriche di dilavamento erano mescolate a sostanze chimiche di derivazione industriale, certamente provenienti dagli impianti della ALI (essendo stata esclusa in modo logico la loro riconducibilità ad altri impianti industriale presenti nella zona ma distanti dallo scarico), laddove era eseguita la lavorazione del legno per la produzione di parquets, i cui componenti erano anche stoccati nel piazzale nel quale rifluivano le acque meteoriche.
Si tratta di motivazione idonea e immune da vizi logici, conforme all’ormai consolidato orientamento interpretativo relativo al criterio distintivo tra acque piovane e reflui industriali, sulla base della quale sono state adeguatamente e logicamente spiegate le ragioni della qualificazione dei reflui provenienti dall’impianto industriale della ALI come reflui industriali, sia perché la presenza di sostanze tipicamente industriali non poteva che essere ricondotta alla attività produttiva della ALI; sia perché nel piazzale di pertinenza dell’impianto di tale impresa venivano stoccati i lavorati di legno, soggetti a contatto con le acque meteoriche, dunque idonei, attraverso i loro residui, a contaminarle, cosicché correttamente la presenza nelle acque pubbliche dei reflui industriali è stata ricondotta alla attività produttiva della ALI e agli scarichi da questa provenienti.

3. Il ricorso proposto dalla S.p.a. ALI è anch’esso, complessivamente, infondato.
3.1. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata l’errata applicazione dell’art. 137 d.lgs. 152/2006, in conseguenza della qualificazione come reflui industriali delle acque meteoriche di dilavamento immesse nello scarico 2 dell’impianto industriale della ALI, non è fondato per le ragioni già esposte a proposito del secondo e del terzo motivo del ricorso proposto da Franco Capicchioni.
3.2. Il secondo motivo, mediante il quale è stata lamentata l’insufficienza della motivazione a proposito della responsabilità amministrativa dell’ente, di cui non sarebbe stato individuato l’interesse alla realizzazione della condotta contestata al suo legale rappresentante, non è fondato.
Al riguardo, infatti, il Tribunale, dopo aver dato atto della esistenza di tutti i presupposti richiesti per poter ritenere configurabile la responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, e cioè la sussistenza del reato di cui all’art. 137, commi 1 e 2, d.lgs. n. 152 del 2006, la qualifica soggettiva dell’autore del reato (la veste di amministratore della ALI S.p.a. del Capicchioni), la mancata dimostrazione della adozione di modelli organizzativi e di gestione idonei a prevenire la commissione di reati quale quello realizzato dal Capicchioni, ha anche affermato che questi aveva certamente agito nell’interesse della società che amministrava, in quanto l’apertura e il mantenimento dello scarico 2 oggetto della contestazione aveva consentito all’ente di recapitare i propri reflui senza necessità di raccoglierli e smaltirli secondo la disciplina vigente.
Si tratta di motivazione idonea e corretta, in quanto l’interesse e il vantaggio per l’ente, che devono essere verificati in concreto, nel senso che la società deve ricevere una effettiva e potenziale utilità, ancorché di natura economica, dalla commissione del reato, sono valutabili anche in termini di risparmio di costi, tanto che si deve ritenere posta nell’interesse dell’ente, e dunque fonte di responsabilità amministrativa, anche quella condotta che, come nel caso in esame, attui le scelte organizzative o gestionali dell’ente da considerare inadeguate, con la conseguenza che la condotta, anche se non implica direttamente o indirettamente un risparmio di spesa, se è coerente con la politica imprenditoriale di cui tali scelte sono espressione e alla cui attuazione contribuisce, è da considerare realizzata nell’interesse dell’ente (cfr., Sez. 6 , n. 15543 del 19/01/2021, 2L Ecologia Servizi S.r.l., Rv. 281052).
Ne consegue, in definitiva, l’infondatezza del secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse della ALI, essendo stato adeguatamente illustrato l’interesse dell’ente alla realizzazione della condotta illecita, che costituiva attuazione delle scelte organizzative e gestionali dell’ente medesimo e dunque per tale ragione deve ritenersi realizzata nel suo interesse e a suo vantaggio, per essere risultata coerente e conforme con tali scelte e dunque funzionale al sostenimento dei soli costi da esse derivanti e non a quelli maggiori derivanti dalla necessità di raccogliere e smaltire i reflui derivanti dall’attività d’impresa secondo la disciplina vigente.

4. I ricorsi devono, in conclusione, essere respinti, stante l’inammissibilità del primo e del secondo motivo del ricorso di Capicchioni e l’infondatezza del terzo motivo di tale ricorso e di entrambi i motivi del ricorso della ALI.
Al rigetto dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5/5/2022