Cass. Sez. III n. 31969 del 6 agosto 2024 (CC 26 giu 2024)
Pres. Ramacci Est. Liberati Ric. PM in proc. Carnuccio
Ambiente in genere.Concessione demaniale suppletiva
La concessione suppletiva, quale prevista dall’art. 24 d.P.R. n. 328 del 1952 (regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione), pur costituendo un provvedimento comunque discrezionale, si pone come eccezione ai principi di matrice euro-unitaria in tema di concessioni e deve quindi essere interpretata restrittivamente; essa, infatti, consente l’affidamento diretto e senza gara al precedente concessionario di un’ulteriore porzione di area demaniale, sicché è necessario individuare preventivamente e rigorosamente le condizioni alle quali tale affidamento diretto possa avvenire, e vagliarne la sussistenza in concreto caso per caso; l’affidamento diretto di una maggiore superficie in ampliamento può ammettersi solo in presenza di situazioni eccezionali e nella misura in cui l’estensione della originaria concessione sia obiettivamente funzionale e necessaria per l’effettivo corretto e proficuo utilizzo del bene già concesso e abbia, in ogni caso, una minima consistenza quantitativa, e non anche quando essa riguardi un (ulteriore) bene demaniale che solo soggettivamente sia collegato al primo, ma che obiettivamente potrebbe essere oggetto di una autonoma e distinta concessione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 12 dicembre 2023 il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l’appello cautelare proposto dal Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale avverso l’ordinanza del 10 luglio 2023 del Giudice per le indagini preliminari di tale Tribunale, con la quale erano state rigettate le richieste di applicazione della misura cautelare interdittiva della sospensione dai pubblici uffici per un anno, domandata nei confronti di Nicola Carnuccio e Massimo Procopio, e di disposizione del sequestro preventivo di un tratto di spiaggia, richiesta nei confronti di Vincenzo Abruzzo, avanzate dal medesimo Pubblico ministero in relazione ai reati di cui agli artt. 323 cod. pen., contestati a Carnuccio e Procopio, e 54 e 1161 cod. nav., contestato ad Abruzzo.
2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo ha denunciato la violazione di disposizioni di legge sostanziale, con riferimento agli artt. 54 e 1161 cod. nav. e all’art. 20 della l. Regione Calabria n. 17 del 2005, nella parte in cui impongono al pubblico funzionario, senza margini di discrezionalità, la revoca della concessione demaniale in presenza di occupazioni abusive del demanio e/o di inadempimenti pecuniari imputabili al concessionario.
Tale disciplina, imponendo la revoca della concessione originaria, precluderebbe la possibilità di emanare una concessione suppletiva, come invece avvenuto nel caso in esame da parte di Carnuccio e Procopio in concorso, nonostante l’inadempimento del concessionario Abruzzo e l’occupazione abusiva da parte sua di una porzione ulteriore di area demaniale rispetto a quella concessagli, che sarebbe dunque evidentemente illegittima, come tale censurabile da parte del giudice ordinario e determinante l’obbligo di pronunziare la decadenza dalla concessione e l’impossibilità di rilasciare una ulteriore concessione, cosiddetta “suppletiva”.
2.2 Con il secondo motivo ha denunciato l’illogicità della motivazione, nella parte in cui sono stati ritenuti insussistenti i gravi indizi di colpevolezza, esclusi dai giudici di merito in considerazione del carattere discrezionale dell’atto concessorio suppletivo, il quale, rientrando nell’area della discrezionalità amministrativa, non potrebbe essere sindacato dal giudice ordinario, a meno di evidenti violazioni di legge.
Ad avviso del Pubblico ministero ricorrente, venendo meno l’efficacia dell’atto presupposto (ossia della concessione mediante la quale era stata autorizzata l’occupazione di una porzione di lido del mare, dalla quale il concessionario avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto per le ragioni esposte con il primo motivo), sarebbe venuto meno l’argomento principale utilizzato dai giudici di merito per escludere i gravi indizi di colpevolezza, con la conseguente illogicità della motivazione sul punto.
Da tale macroscopica illegittimità dell’atto amministrativo concessorio (ossia la suddetta concessione suppletiva), al contrario, discenderebbe la principale prova del dolo intenzionale di Carnuccio (oltre che di Procopio), facente funzioni di Responsabile del settore Demanio del Comune di Soverato, che aveva adottato l’arbitrario provvedimento concessorio in ampliamento.
3. Il Procuratore Generale ha concluso chiedendo di annullare con rinvio l’ordinanza impugnata, sottolineando la sussistenza della violazione di legge denunciata, conseguente alla illegittimità della concessione suppletiva rilasciata dall’indagato, considerata illogicamente per escludere la sussistenza del dolo intenzionale, cosicché, venendo meno tale argomentazione, vi sarebbe la necessità di un nuovo esame sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
2. Giova preliminarmente, per la migliore comprensione della vicenda e l’adeguato apprezzamento delle censure del Pubblico ministero ricorrente, riassumere brevemente la vicenda che ha condotto alla pronunzia dell’ordinanza impugnata.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, con provvedimento del 9 giugno 2023, in accoglimento della richiesta del Pubblico ministero, ha convalidato il sequestro eseguito in via d’urgenza e ha disposto il sequestro preventivo a fini impeditivi della porzione di arenile non oggetto della concessione originariamente rilasciata a Vincenzo Abruzzo, ritenendo sussistente il fumus del reato di cui all’art. 1161 cod. nav., essendovi fondati indizi di un’occupazione illegittima di tale area demaniale da parte del medesimo Abruzzo.
Successivamente, con provvedimento del 21 giugno 2023, il medesimo giudice ha accolto la richiesta di dissequestro avanzata dallo stesso Abruzzo, alla luce del sopravvenuto provvedimento del 16 giugno 2023 del Comune di Soverato, con il quale l’amministrazione aveva rilasciato in suo favore una concessione demaniale marittima supplettiva, concedendogli in ampliamento ulteriori metri quadrati 2.768 di arenile demaniale rispetto all’originaria concessione.
In questo contesto, e ritenendo illegittimo tale ultimo atto concessorio, il Pubblico ministero ha avanzato la richiesta di applicazione della misura cautelare dell’interdizione dai pubblici uffici per un anno nei confronti di Nicola Carnuccio e Massimo Procopio, quali concorrenti nel delitto di cui all’art. 323 cod. pen., per avere, rilasciando tale atto concessorio suppletivo, intenzionalmente procurato ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuavano margini di discrezionalità, nonché, nei confronti di Abruzzo, il sequestro preventivo dell’area demaniale oggetto della concessione supplettiva (in relazione al reato di cui agli artt. 54 e 1161 cod. nav., di cui al capo A della rubrica provvisoria).
Tale richiesta è stata, però, disattesa, prima dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, e successivamente dal medesimo Tribunale, che ha rigettato l’appello cautelare proposto avverso il diniego del primo giudice da parte del Pubblico Ministero.
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale ha rigettato l’appello cautelare del Pubblico ministero, ritenendo insussistenti i gravi indizi di colpevolezza del delitto di abuso d’ufficio di cui al capo b), tanto sotto il profilo oggettivo della “violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”, quanto sotto il profilo soggettivo del dolo intenzionale richiesto dall’art. 323 cod. pen.
Il Tribunale di Catanzaro, in particolare, ha ritenuto legittimo il rilascio, da parte dell’indagato Carnuccio, facente funzioni di Responsabile del Settore Demanio del Comune di Soverato, della concessione suppletiva n. 5 del 16 giugno 2023 (con la quale è stata concessa, in ampliamento e tramite affidamento diretto, una porzione di area demaniale marittima in favore dell’originario concessionario, dell’estensione di metri quadrati 2.768), affermando che essa rientra nell’esercizio non illecito o manifestamente irrazionale di attività discrezionale rimessa alla Pubblica Amministrazione, consentita ai sensi dell’art. 24 del d.P.R. n. 328 del 1952, sicché non sarebbe sussistente alcuna violazione di legge; conseguentemente, in assenza di una macroscopica illegittimità dell’atto concessorio suppletivo, difetterebbe anche il principale indizio del dolo intenzionale del reato contestato provvisoriamente a Carnuccio (in concorso con Procopio).
3. Ciò premesso, osserva il Collegio che l’art. 20 della l. Regione Calabria n. 17 del 2005, al secondo comma, che qui rileva in quanto norma speciale rispetto a quella generale di cui all’art. 47 cod. nav., stabilisce che occorre dichiarare, senza alcun margine di discrezionalità, la decadenza del concessionario, oltre che per inosservanza delle condizioni indicate alle lettere “a”, “b” e “c” del comma 1 del precedente art. 18, anche nei casi di omesso pagamento del canone, nonché nei casi di inadempienza di obblighi derivanti dalla concessione o imposti da norme di legge o di regolamenti.
Al verificarsi dei casi tipizzati dal secondo comma dell’art. 20 l. Regione Calabria n. 17 del 2005, la Pubblica Amministrazione è dunque tenuta a rilevare e dichiarare la decadenza del concessionario, senza margini di discrezionalità.
D’altronde, è la stessa giurisprudenza amministrativa (ex multis cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 8 maggio 2014, n. 2356, Consiglio di Stato, Sezione VI, 17 giugno 2014, n. 3044, Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 5616 del 7 giugno 2023), ad aver chiarito che, al ricorrere delle ipotesi di decadenza della concessione demaniale marittima disciplinate dall’art. 47 cod. nav., nonché dalle eventuali normative regionali integrative, l’autorità concedente esercita una discrezionalità di tipo tecnico, dovendosi essa limitare al riscontro dei relativi presupposti fattuali.
In altri termini, una volta accertata la sussistenza di tali presupposti di fatto, il provvedimento di decadenza acquista una natura essenzialmente vincolata, ed è precluso ogni possibile bilanciamento tra l’interesse pubblico perseguito e le esigenze del privato concessionario.
4. Nel caso di specie la concessione originariamente rilasciata a Vincenzo Abruzzo recava l’espressa previsione per la quale il concessionario “non potrà eccedere i limiti assegnatigli, né variarli” e risulta pacifico che il concessionario abbia occupato una porzione di demanio ben oltre i limiti assegnati (tanto che egli veniva raggiunto da un provvedimento di sequestro preventivo, essendovi fondati motivi per ritenere un’occupazione illegittima del demanio pubblico, successivamente revocato solo in forza del provvedimento di concessione in ampliamento o suppletiva).
Sussistendo le condizioni indicate dall’art. 20, comma secondo, l. Regione Calabria n. 17 del 2005, la Pubblica Amministrazione era tenuta a dichiarare la decadenza del concessionario, esercitando la propria discrezionalità tecnica al solo fino di verificare la sussistenza di detti presupposti fattuali, ai quali è ineludibilmente correlato il provvedimento di decadenza dalla concessione.
Il Tribunale di Catanzaro, invece, ha omesso di rilevare la sussistenza dei presupposti per dichiarare la decadenza del concessionario e ha erroneamente qualificato la concessione in ampliamento n. 5 del 16 giugno 2023, quale atto discrezionale della Pubblica Amministrazione, ritenendolo legittimo alla luce dell’istituto della concessione cosiddetta “suppletiva” (senza, tra l’altro, considerare la decadenza dalla originaria concessione).
In particolare, il Tribunale ha ritenuto di non poter affermare che la scelta compiuta dalla Pubblica Amministrazione sia stata illecita o manifestamente irrazionale, sicché doveva ritenersi esclusa l’illegittimità del provvedimento concessorio ampliativo, il quale configurava una concessione suppletiva avente a oggetto un’area direttamente e materialmente servente a quella oggetto di concessione (di cui avrebbe dovuto essere dichiarata la decadenza), che presentava un collegamento non solo soggettivo con il precedente concessionario, bensì strutturale rispetto al bene originariamente concesso.
Tuttavia, la nozione di concessione suppletiva, quale prevista dall’art. 24 d.P.R. n. 328 del 1952, richiamata dal Tribunale, è stata erroneamente applicata nel caso di specie.
Invero, la giurisprudenza amministrativa, pur affermando che la concessione suppletiva costituisce un provvedimento comunque discrezionale, ha precisato come, ponendosi come eccezione ai principi di matrice euro-unitaria in tema di concessioni, debba essere interpretata restrittivamente. Essa, infatti, consente l’affidamento diretto e senza gara al precedente concessionario di un’ulteriore porzione di area demaniale, sicché è necessario individuare preventivamente e rigorosamente le condizioni alle quali tale affidamento diretto possa avvenire, e vagliarne la sussistenza in concreto caso per caso. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha fornito indicazioni specifiche, affermando che l’affidamento diretto di una maggiore superficie in ampliamento può ammettersi “solo in presenza di situazioni eccezionali e nella misura in cui l’estensione della originaria concessione sia obiettivamente funzionale e necessaria per l’effettivo corretto e proficuo utilizzo del bene già concesso e abbia, in ogni caso, una minima consistenza quantitativa, e non anche quando essa riguardi un (ulteriore) bene demaniale che solo soggettivamente sia collegato al primo, ma che obiettivamente potrebbe essere oggetto di una autonoma e distinta concessione” (Consiglio di Stato, sez. VII, 24 giugno 2022, n. 5225).
Il Tribunale di Catanzaro, dunque, pur richiamando la giurisprudenza amministrativa, finisce per ignorare le peculiarità del caso concreto, che rendono oggettivamente inapplicabile l’istituto della concessione suppletiva, di cui difettavano tutti i presupposti applicati, tra cui la perdurante efficacia dell’originaria concessione, di cui avrebbe dovuto essere dichiarata la decadenza.
Nel caso di specie, infatti, l’area demaniale concessa in ampliamento con l’atto n. 05 del 16 giugno 2023 è pari a metri quadrati 2.768, a fronte di una concessione originaria di metri quadrati 1.520. Risulta di tutta evidenza, allora, che la porzione di area demaniale concessa in ampliamento non può essere considerata di “minima consistenza quantitativa”, risultando, all’opposto, ben assoggettabile ad autonomo e distinto provvedimento concessorio, né risulta che la sua disponibilità sia indispensabile per l’utilizzo e il godimento della porzione di arenile demaniale oggetto della precedente concessione (dalla quale, peraltro, il concessionario Abruzzo avrebbe dovuto essere dichiarato decaduto a causa della occupazione illegittima di una porzione di arenile confinante e dell’inadempimento all’obbligazione di pagamento dei canoni di concessione).
Alla luce di tali considerazioni, dunque, il richiamo compiuto dal Tribunale di Catanzaro all’art. 24 d.P.R. n. 328 del 1952 e all’istituto della concessione suppletiva che da tale disposizione è contemplato appare chiaramente improprio e frutto di una errata applicazione della disposizione che regola tale istituto, come interpretata dalla concorde giurisprudenza amministrativa.
5. La evidente illegittimità del provvedimento amministrativo, erroneamente esclusa dal Tribunale di Catanzaro, non solo è idonea a inficiare la tenuta logica dell’intera motivazione dell’ordinanza impugnata, che risulta anzi mancante nella parte relativa alla legittimità dell’atto adottato dall’indagato (oltre che, come evidenziato, fondata su una erronea applicazione di una disposizione di legge sostanziale), ma incide anche sulla prova del dolo intenzionale richiesto dall’art. 323 cod. pen.
Il Tribunale, anche in questo caso, richiama la giurisprudenza di legittimità in tema di abuso d’ufficio, ma, partendo da una premessa errata, finisce per applicarla erroneamente.
Nello specifico, infatti, il Tribunale ha evidenziato che, ai fini della configurabilità del reato di abuso d'ufficio, l’elemento oggettivo della violazione di legge richiesto dalla fattispecie sussiste non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tale ipotesi il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge, poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione (Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, dep. 2012, Rossi, Rv. 251498). Quanto, invece, all’elemento soggettivo, il Tribunale ha affermato che la prova del dolo intenzionale, che qualifica la fattispecie di cui all’art. 323 cod. pen., prescinde dall’accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire, potendo essere desunta anche dalla macroscopica illegittimità dell’atto, sempre che tale valutazione non discenda in modo apodittico e parziale dal comportamento non iure dell’agente, ma risulti anche da elementi ulteriori concordemente dimostrativi dell’intento di conseguire un vantaggio patrimoniale o di cagionare un danno ingiusto (ex multis questa Sez. 3, n. 57914 del 28/09/2017, Di Palma, Rv. 272331).
Dopo aver correttamente tracciato i limiti oggettivi e soggettivi della fattispecie di cui all’art. 323 cod. pen., però, il Tribunale ha escluso i gravi indizi di colpevolezza a carico del Carnuccio, e segnatamente la prova del dolo intenzionale, reputando assente l’indice sintomatico dalla macroscopica illegittimità dell’atto amministrativo, che, invece, come evidenziato, è chiaramente sussistente, cosicché la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta fondata sulla errata applicazione di una disposizione di legge sostanziale, errore che incide anche sulla idoneità della motivazione fino al punto di renderla di fatto mancante, nella parte relativa alla indagine sulla legittimità dell’atto e sulla, conseguente, abusività della condotta.
6. Ne consegue la necessità di un nuovo esame, che il Tribunale di Catanzaro condurrà attenendosi alla corretta nozione di concessione suppletiva come sopra delineata, secondo cui:
“la concessione suppletiva, quale prevista dall’art. 24 d.P.R. n. 328 del 1952 (regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione), pur costituendo un provvedimento comunque discrezionale, si pone come eccezione ai principi di matrice euro-unitaria in tema di concessioni e deve quindi essere interpretata restrittivamente; essa, infatti, consente l’affidamento diretto e senza gara al precedente concessionario di un’ulteriore porzione di area demaniale, sicché è necessario individuare preventivamente e rigorosamente le condizioni alle quali tale affidamento diretto possa avvenire, e vagliarne la sussistenza in concreto caso per caso; l’affidamento diretto di una maggiore superficie in ampliamento può ammettersi solo in presenza di situazioni eccezionali e nella misura in cui l’estensione della originaria concessione sia obiettivamente funzionale e necessaria per l’effettivo corretto e proficuo utilizzo del bene già concesso e abbia, in ogni caso, una minima consistenza quantitativa, e non anche quando essa riguardi un (ulteriore) bene demaniale che solo soggettivamente sia collegato al primo, ma che obiettivamente potrebbe essere oggetto di una autonoma e distinta concessione”.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso il 26/6/2024