 Cass. Sez. III n. 24243 del 24 giugno 2010 (Ud.  24 mar. 2010)
Cass. Sez. III n. 24243 del 24 giugno 2010 (Ud.  24 mar. 2010)
Pres. De Maio Est. Fiale Ric. Giannoni
Urbanistica. Rapporti tra disciplina statale e regionale
L’art. 22 del TU. n. 380/2001, nel consentire alle Regioni di estendere o ridurre l’ambito della DIA, precisa che restano ferme le sanzioni penali di cui al successivo art. 44 ed allo stesso modo l’art. 10, nel consentire alle Regioni di ampliare o restringere l’ambito del permesso di costruire, precisa che la violazione di tali norme non comporta l’applicazione delle pene di cui all’art. 44. Qualora le Regioni si avvalgano, dunque, delle possibilità anzidette, entrambe le citate disposizioni prevedono espressamente che nulla cambi circa l’ambito di operatività delle fattispecie penali contenute nell’art. 44 del T.U., si da potersi affermare che - in materia edilizia - la disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo, bensì alla consistenza concreta dell‘intervento. La materia dei titoli abilitativi edilizi, in sostanza, si articola secondo un sistema definibile “a duplice binario”: a) quello della legislazione regionale, rilevante per l’individuazione dell’iter amministrativo che deve essere seguito al fine di potere attuare i diversi interventi urbanistici ed edilizi che comportano trasformazioni territoriali; b) quello, non necessariamente coincidente con il primo, che rileva ai fini della configurazione delle fattispecie incriminatrici poste dalla disciplina penale.
Nel caso di apparente incompatibilità tra una disposizione di legge statale che richiede un certo titolo abilitativo per un intervento edilizio e una norma di legge regionale che sembri adottare una diversa soluzione, al giudice penale è vietata la disapplicazione della disciplina regionale che appaia in contrasto con una legge dello Stato. Lo stesso giudice, però, per evitare possibili questioni di legittimità costituzionale, deve anzitutto risolvere in chiave interpretativa l’apparente contrasto tra norme.
UDIENZA del 24.03.2010
SENTENZA N. 629
REG. GENERALE N. 41642/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
Composta dagli Ill.mi  Sigg.ri  Magistrati:
 Dott. GUIDO DE MAIO                                                 - Presidente
 Dott. ALFREDO MARIA LOMBARDI                              - Consigliere
Dott. MARIO  GENTILE                                                 - Consigliere
 Dott. ALDO FIALE                                                        - Rel. Consigliere
 Dott. GUICLA IMMACOLATA MULLIRI                           - Consigliere
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 1) GIANNONI NINO N. IL 00/00/0000
 - avverso la sentenza n. 4008/2008 CORTE APPELLO di GENOVA, del  08/07/2009
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/03/2010 la relazione fatta dal  Consigliere  Dott. ALDO FIALE
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Guglielmo  Passacantando che  ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso
 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
 La Corte di Appello di Genova, con sentenza dell'5.7.2009, confermava la   sentenza 3.6.2008 del Tribunale monocratico di Massa, che aveva  affermato la  responsabilità penale di Giannoni Nino in ordine al reato di cui:
 - all'art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380/2001 [per avere realizzato in  assenza del  permesso di costruire ed in difformità totale dalla DIA presentata il  15.11.2005, opere edilizie consistite nella modificazione di un edificio   preesistente attraverso la realizzazione di una scala esterna in cemento  armato  per l'accesso al primo piano e di un balcone in cemento armato - in  Massa, dal  dicembre 2005 al luglio 2006]
 e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato  alla pena  di giorni 15 di arresto ed euro 10.000,00 di ammenda, ordinando la  demolizione  delle opere abusive e concedendo i doppi benefici di legge.
 Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del Giannoni, il  quale ha  eccepito violazione di legge, sull'assunto che, applicandosi  correttamente  l'art. 79, comma 2 - lett. d), della legge n. 1/2005 della Regione  Toscana, i  lavori eseguiti, riconducibili alla categoria della ristrutturazione  edilizia,  avrebbero potuto essere realizzati previa presentazione della DIA.
 MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato.
 1. Gli elementi di fatto della vicenda in esame sono i seguenti:
 - l'imputato ha realizzato lavori di trasformazione edilizia di un  immobile di  sua proprietà sito in Massa, località Romagnano, via Cocombola;
 - detti lavori, secondo la contestazione originaria, sono consistiti:
 * nella sopraelevazione dell'edificio, con aumento dell'altezza in  gronda da mt.  4,50 a mt. 6,5;
 * nella realizzazione di una scala esterna in cemento armato, per  l'accesso al  primo piano, delle dimensioni di mt. 2,10 x 2,20;
 * nella realizzazione di un balcone in cemento armato esteso a due lati  del  primo piano
 dell'immobile, delle dimensioni di mt. 12,15 x 11,30, con larghezza di  mt.  1,60-2,20;
- l'esecuzione delle opere  anzidette  è stata preceduta dalla presentazione di una DIA, in data 15.11.2005,  riferita  esclusivamente a "lavori di straordinaria manutenzione e diversa  distribuzione  interna";
 - per la scala ed il balcone è stata presentata, in data 432007, istanza  di  sanatoria attraverso accertamento di conformità, ai sensi dell'art. 36  del T.U.  n. 380/2001, e tale richiesta, non essendo intervenuta pronuncia entro i  60  giorni successivi alla presentazione, deve intendersi "rifiutata";
 - il Tribunale monocratico di Massa, con la sentenza di primo grado,  quanto alla  contestata sopraelevazione, non ha adottato in dispositivo alcuna  determinazione  espressa ma, nella parte motiva, ha rilevato che "in base all'art. 79,  comma 2 -  lett. d) - n. 3, della legge regionale n. 1/2005, deve ritenersi  soggetto a DIA  anche il rialzamento del sottotetto al fine di renderlo abitabile. Di  conseguenza, poiché al fine dell'abitabilità è prevista la necessità di  un'altezza del locale di almeno 2,70 metri, vi è un concreto dubbio che  l'opera  ... potesse essere assentibile mediante DIA e che quindi la sua  realizzazione  non configuri un illecito penale (ma solo un illecito amministrativo)".
 
 2. Il Tribunale di Massa, argomentando nel senso anzidetto quanto alla  contestata sopraelevazione, è incorso in un errore di diritto, in quanto  non ha  tenuto conto che il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere  eluso  attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle  singole opere  che concorrono a realizzarla, astrattamente suscettibili di forme di  controllo  preventivo più limitate per la loro più modesta incisività sull'assetto  territoriale.
 L'opera, infatti, deve essere considerata unitariamente nel suo  complesso, senza  che sia consentito scindere e considerare separatamente i suoi singoli  componenti (vedi Cass., Sez. III: 29.1.2003, Tucci; 11.10.2005,  Daniele).
 Il P.M., però, non ha proposto impugnazione.
 3. L'art. 3, 1° comma - lett. d), del T.U. n. 380/2001 - come modificato  dal  Digs. 27.12,2002, n. 301 - definisce interventi di ristrutturazione  edilizia  quelli "rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme  sistematico di opere che possono portare ad un organismo in tutto o in  parte  diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la  sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio,  l'eliminazione, la  modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti".
 Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono  ricompresi anche  "quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa  volumetria e  sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni  necessarie per  l'adeguamento alla normativa antisismica".
 Volumetria e sagoma, dunque, debbono rimanere identiche nei casi di  ristrutturazione attuata attraverso demolizione e ricostruzione, mentre  non si  pongono come limiti per gli interventi di ristrutturazione che non  comportino la  previa demolizione.
 L'art. 10, l° comma - lett. c), del T.U. n. 380/2001, come modificato  dal D.Lgs.  n. 301/2002, assoggetta a permesso di costruire quegli interventi di  ristrutturazione edilizia "che portino ad un organismo edilizio in tutto  o in  parte diverso dal precedente, che comportino aumento di unità  immobiliari,  modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici",  ovvero si  connettano a mutamenti di destinazione d'uso, limitatamente agli  immobili  compresi nelle zone omogenee A).
 Devono ritenersi realizzabili, conseguentemente, previa mera denunzia di   attività le ristrutturazioni edilizie di portata minore: quelle, cioè,  che  determinano una semplice modifica dell'ordine in cui sono disposte le  diverse  parti che compongono la costruzione, in modo che, pur risultando  complessivamente innovata, questa conserva la sua iniziale consistenza  urbanistica [diverse da quelle descritte dall'art. 10, 10 comma - lett.  c), del  T.U. n. 380/2001, che possono incidere, invece, sul carico urbanistico].
 L'art. 22, 3° comma - lett. a), dello stesso T.U., come modificato dal  D.Lgs. n.  301/2002, prevede, però, che - a scelta dell'interessato - pure gli  interventi  di cui all'art. 10, 1° comma - lett. c), possono essere realizzati anche  in base  a denunzia di inizio attività (alternativa al permesso di costruire).
 Gli interventi di ristrutturazione, in ogni caso, anche se realizzabili  con DIA,  devono essere conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei  regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente.
 4. L'art. 79 della legge 3.1.2005, n. 1 (Norme per il governo del  territorio)  della Regione Toscana prevede che sono sottoposti a denuncia di inizio  dell'attività:
 - gli "interventi di ristrutturazione edilizia, ossia quelli rivolti a  trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di  opere che  possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal   precedente; tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione  di  alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e   l'inserimento di nuovi elementi ed impianti" (2° comma, n. 4 - lett, d).
 Tali interventi comprendono, altresì, "le addizioni funzionali di nuovi  elementi  agli organismi edilizi esistenti, che non configurino nuovi organismi  edilizi,  ivi comprese le pertinenze; non sono computate ai fini dell'applicazione  degli  indici di fabbricabilità fondiaria e territoriale le addizioni con le  quali si  realizzino i servizi igienici, i volumi tecnici e le autorimesse legate  da  vincolo pertinenziale ad unità immobiliari esistenti all'interno dei  perimetri  dei centri abitati, nonché il rialzamento del sottotetto, al fine di  renderlo  abitabile" (2° comma, n. 4, left. d - n. 3).
 5. A fronte della normativa statale e di quella regionale dianzi  ricordata, deve  rilevarsi che - pure accordando la disciplina statuale di principio alla   legislazione regionale la possibilità di modificare il titolo  abilitativo  previsto dalla legge statale per alcune tipologie di opere - l'esercizio  di tali  facoltà non può incidere sull'applicazione delle sanzioni penali di cui  all'art.  44 del T.U. n. 380/2001.
 L'art 117, 3° comma, della Costituzione demanda alle Regioni ordinarie  competenza legislativa concorrente nella materia del "governo del  territorio";  anche in tale materia, però, l'ambito della rilevanza penale non può  essere  modificato dalla legislazione regionale, stante la riserva di legge  statale in  materia di ordinamento penale (art. 25 Cost.).
 In particolare, l'art. 22 del T.U. n. 380/2001, nel consentire alle  Regioni di  estendere o ridurre l'ambito della DIA, precisa che restano ferme le  sanzioni  penali di cui al successivo art. 44 ed allo stesso modo l'art. 10, nel  consentire alle Regioni di ampliare o restringere l'ambito del permesso  di  costruire, precisa che la violazione di tali nonne non comporta  l'applicazione  delle pene di cui all'art. 44.
 Qualora le Regioni si avvalgano, dunque, delle possibilità anzidette,  entrambe  le citate disposizioni prevedono espressamente che nulla cambi circa  l'ambito di  operatività delle fattispecie penali contenute nell'art. 44 del T.U. n.  380/2001, si da potersi affermare che - in materia edilizia - la  disciplina  sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo  abilitativo,  bensì alla consistenza concreta dell'intervento.
 La materia dei titoli abilitativi edilizi, in sostanza, si articola  secondo un  sistema definibile "a duplice binario":
a) quello della legislazione regionale, rilevante per l'individuazione dell'iter amministrativo che deve essere seguito al fine di potere attuare i diversi interventi urbanistici ed edilizi che comportano trasformazioni territoriali;
b) quello, non necessariamente coincidente con il primo, che rileva ai fini della configurazione delle fattispecie incriminatrici poste dalla disciplina penale.
 5.1 Nel caso di apparente incompatibilità tra una disposizione di legge  statale  che richiede un certo titolo abilitativo per un intervento edilizio e  una norma  di legge regionale che sembri adottare una diversa soluzione, al giudice  penale  è vietata la disapplicazione della disciplina regionale che appaia in  contrasto  con una legge dello Stato (vedi Corte Cost., 14.6.1990, n. 285).
 Lo stesso giudice, però, per evitare possibili questioni di legittimità  costituzionale, deve anzitutto risolvere in chiave interpretativa  l'apparente  contrasto tra norme.
 E, nella specie, appare evidente che non sussiste alcun contrasto,  poiché la DIA  prevista per gli interventi di ristrutturazione edilizia dall'art. 79  della  legge regionale toscana n. 1/2005 si identifica con quella prevista  dall'art.  22, 3° comma - lett, a), del T.U. n. 380/2001, come modificato dal  D.Lgs. n.  301/2002: dalla lettura dell'art. 79, infatti, emerge con evidenza  immediata che  il testo normativa regionale accomuna nella medesima disciplina i lavori  che,  secondo la normativa statale, possono essere realizzati sia previa "DIA  semplice" sia previa "DIA alternativa al permesso di costruire".
 
 5.2 Nella fattispecie in esame non è stato esperito alcun procedimento  di DIA  correlato all'esecuzione degli specifici lavori realizzati e, nei casi  previsti  dal 30 comma dell'art. 22 del T.U. n. 380/2001 - in cui la DIA si pone  come  alternativa al permesso di costruire - l'assenza della denunzia di  inizio  dell'attività o la totale difformità delle opere eseguite rispetto alla  DIA  effettivamente presentata integrano il reato di cui al successivo art.  44, lett.  b (vedi Cass.: Sez. III, 9 marzo 2006, n. 8303; Sez. 111, 26 gennaio  2004, n.  2579, Tollon; Sez. V, 26 aprile 2005, Giordano).
 Tale principio é stato espressamente dichiarato dal D.Lgs. 27-12-2002,  n. 301,  attraverso l'introduzione del comma 2bis all'art. 44 del T.U. n.  380/2001,  secondo il quale "Le disposizioni del presente articolo si applicano  anche agli  interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di  inizio  attività ai sensi dell'art. 22, comma 3, eseguiti in assenza o in totale   difformità dalla stessa"..
 Si verte, nella vicenda concreta, in una ipotesi non di "addizioni  funzionali",  bensì di vero e proprio ampliamento dell'edificio preesistente (sulla  cui  conformità alla disciplina urbanistico-edilizia vigente nulla é dato  conoscere),  attuato in assenza di qualsiasi titolo abilitativo e ciò comporta (art.  22, 4°  comma, T.U. n. 380/2001) l'applicazione delle sanzioni penali di cui al  successivo art. 44 [vedi Cass., Sez. III: 15 marzo 2007, Aratari; 19  novembre  2003, Landolina].
 Quanto alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato,  significazione  pregnante assume la circostanza della subdola presentazione di una DIA  per  lavori non corrispondenti e di consistenza ben più ridotta rispetto a  quelli che  effettivamente si intendeva realizzare.
 6. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere  delle  spese del procedimento.
 P.Q.M.
 la Corte Suprema di Cassazione,
 visti gli arti. 607, 615 e 616 c.p.p.,
 rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  processuali, ROMA, 24.3.2010
ROMA, 24.3.2010
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  24 Giu. 2010
 
                    




