Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio Circolare 2432002
Affidamenti del servizio idrico
integrato Separazione gestione reti e servizio
Alle regioni
Alle Autorità d’ambito
Alle autorità di bacino
In riferimento
all’oggetto e specificatamente in relazione agli affidamenti del servizio
idrico integrato che sono stati o saranno espletati senza gara ad evidenza
pubblica, questo Ministero ritiene doveroso informare ancora una volta le
autorità in indirizzo circa i profili di responsabilità che potrebbero
venirsi a delineare al cospetto della Commissione europea e della necessaria
disapplicazione della normativa che si ponga in contrasto con le norme
contenute nei trattati Ce.
Come è sicuramente noto la messa in mora del Governo da parte della
Commissione europea avvenuta il 24 giugno 2002 ha per oggetto l’articolo 35
della legge 448/01. Tale norma, pur prevedendo la regola generale
dell’affidamento dell’erogazione dei servizi di rilevanza industriale
attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica,
continua a consentire deroghe a tale principio offrendo margini per gli
affidamenti diretti, in violazione delle disposizioni dell’ordinamento
comunitario di rango primario, ovverosia i principi generali dei trattati.
La commissione evidenzia infatti come il diritto comunitario, in particolare
gli articoli 43 e 49 del trattato, imponga alle amministrazioni il rispetto
della parità di trattamento fra imprese, e quindi, della messa in concorrenza
del servizio, non consentendo affidamenti diretti.
Sempre nell’atto di messa in mora è chiaramente affermato come gli stessi
affidamenti rilasciati con procedure diverse dall’evidenza pubblica, che
beneficerebbero del periodo transitorio previsto dall’articolo 35,
costituiscano già affidamenti illegittimi dal punto di vista del diritto
comunitario.
Per quanto poi concerne il servizio idrico integrato la commissione, nella
stringente consequenzialità del suo ragionamento, punta il dito contro la
deroga prevista al comma 5 dell’articolo 35 laddove si prevede la possibilità
di un affidamento diretto del servizio a società di capitali partecipate
unicamente da enti locali. Questa ipotesi, così come i numerosi casi di
affidamento diretto di cui la commissione fa numerosi e indicativi esempi,
sono considerati affidamenti in contrasto con le orme ed i principi generali
del Trattato Ce.
La posizione del Ministero dell’ambiente a tale proposito è sempre stata
oltremodo chiara. Molto prima dell’atto di messa in mora questo ministero ha
emanato provvedimenti che esaustivamente argomentavano la illegittimità e la
conseguente non condivisione di ogni ipotesi di affidamento senza gara
(circolari Ministro Matteoli 11559 e 11560 del 17 ottobre e del 22 novembre
2001 e circolare Ministro Bottiglione 127827 del 19 ottobre 2001). Lo stesso
decreto del 22 novembre 2001, creando la cornice normativa entro la quale
espletare le gare per la concessione a terzi del servizio, in attuazione
dell’articolo 20 della legge 36/1994, ha riconfermato nei fatti che la
posizione del Ministro in materia di affidamento del servizio idrico integrato
ammette solo la concessione a terzi.
Attraverso un’intensa attività di comunicazione sia a mezzo stampa, sia in
occasione di convegni con forte valenza esterna, il ministero ha sempre
provveduto a comunicare la necessaria liberalizzazione che anche questo
settore deve poter avere, mettendo in guardia dalla conseguenza che gli
affidamenti diretti, seppur supportati da parerei legali più o meno
autorevoli o da dubbie dichiarazioni di transitorietà, potevano avere.
Nonostante ciò, le deroghe dell’articolo 35 contenuto della finanziaria per
il 2002, hanno fornito un ulteriore supporto alla pressi degli affidamenti
diretti ed in molte realtà si sono confermate le scelte fatte ed avviati
percorsi che vanno in quella direzione. L’attenta verifica di ciò che
avveniva ed avviene sul territorio nazionale in numerosi ambiti territoriali,
ha indotto questo ministero ad informare, nel corso dell’anno 2002, in modo
ufficiale e circostanziato, la Presidenza del Consiglio, il Ministero delle
politiche comunitarie, il Ministero dell’economia, il Ministero della
funzione pubblica e la Procura generale della Corte dei conti in merito alle
violazioni di legge che si stavano perpetrando. Contestualmente a ciò, anche
l’associazione di categoria Federgasacqua, nella persona del suo presidente,
è stata edotta in relazione alla posizione del ministero a tale riguardo.
Traendo spunto sempre da quanto contestato dalla commissione in merito
all’opportunità che l’articolo 35 offre, laddove sia consentito dalle
leggi di settore, di affidare la gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali destinati all’esercizio dei servizi pubblici
locali e di rilevanza industriale, ad avvalersi di soggetti all’uopo
costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione
maggioritaria degli enti locali, anche associati, cui può essere affidata
tale attività, si reputa necessario fare chiarezza a tale proposito per
quanto concerne il servizio idrico.
Si fa seguito a quanto già comunicato attraverso la nota del capo di
Gabinetto nel gennaio 2003 inviata a tutte le autorità in indirizzo con
allegato documento del Comitato di vigilanza sull’uso delle risorse idriche,
con la quale si evidenziava la corretta lettura della disposizione riferita
alla separazione delle reti della gestione del servizio. Poiché molte autorità
d’ambito stanno provvedendo alla costituzione di società per la gestione
delle reti si coglie l’occasione per ricordare quanto prevede la legge:
l’articolo113 comma 1, così come modificato dall’articolo 35 della legge
448/01, dispone che restano ferme le disposizioni previste per i singoli
settori e l’articolo 12 della legge 36/1994, normativa quadro del servizio
idrico integrato, prevede che le o pere, gli impianti e le canalizzazioni
relative ai servizi idrici, di proprietà degli enti locali, salvo diverse
disposizioni delle Convenzioni, sono affidate in concessione al soggetto
gestore del servizio idrico integrato, il quale ne assume i relativi oneri nei
termini previsti dalla convenzione e dal relativo disciplinare.
Da ciò si evince che per il servizio idrico integrato non si deve dar luogo
alla separazione della gestione delle reti da quella del servizio e che,
pertanto, ogni atto volto a dar luogo a siffatta separazione dovrà ritenersi
illegittimo. Ogni altra interpretazione a tale riguardo verrebbe a contraddire
palesemente e, quindi, a negare nei fatti, la ratio e la finalità della legge
36/1994 che prevede l’obbligo del gestore di realizzare il programma degli
interventi mediante copertura dei relativi finanziamenti attraverso la tariffa
d’ambito.
Anche per quanto concerne l’ipotesi di conferimento in proprietà delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a società di
capitali di cui egli enti locali detengono la maggioranza, secondo quanto
disposto dall’articolo 113 comma 13, così come modificato dall’articolo
35 della legge 448/01, si dispone l’inapplicabilità della stessa per quanto
concerne il servizio idrico integrato.
L’indisponibilità delle reti e degli impianti, derivante dalla loro natura
di beni demaniali ai sensi dell’articolo 822 del Cc, l’inalienabilità e
l’impossibilitò di farne oggetto di diritto a favore di terzi e di
sottrarli alla loro destinazione sempre ai sensi del Cc, comporta la
disapplicazione di quanto previsto dal comma 13 dell’articolo 13 del Testo
unico 267/00 così come modificato dall’articolo 35 della legge 448/01.
Ulteriori motivazioni, in aggiunta a quanto detto, suggeriscono l’esclusione
del servizio idrico integrato dall’opportunità del conferimento a società
per azioni della proprietà delle reti e degli impianti previsto come
opportunità al comma 13 dell’articolo 113 del Testo unico 267/00, così
come modificato dall’articolo 35 della legge 448/01.
La creazione di ulteriori contenitori societari volti solamente alla
detenzione della proprietà, senza nulla aggiungere alle modalità di
attuazione del servizio idrico integrato, contribuiscono, semmai, a are luogo
a costi aggiuntivi che, inevitabilmente, andrebbero a ricadere sulla tariffa,
quindi, sui cittadini. Infatti, la legge 36/1994 non prevede alcun canone
specifico di concessione che il gestore sia tenuto a pagare per l’utilizzo
delle reti e degli impianti. Essa dispone soltanto che essi debbano essere
restituiti, alla scadenza della concessione, in condizioni di efficienza ed in
buono stato di conservazione. Come evidente, non si giustificherebbe un
eventuale canone di concessione che la società proprietaria delle reti e
degli impianti andrebbe a riscuotere secondo quanto esplicitamente previsto
dal richiamato comma 13, qualora le autorità competenti decidessero di optare
per la realizzazione delle suddette società. Il canone di concessione di cui
parla il comma 113 non può e non deve trovare configurazione nel servizio
idrico integrato inquantoché non previsto da alcuna disposizione della legge
36 né dal metodo normalizzato per le tariffe del servizio idrico integrato,
emanato con decreto ministeriale 1 agosto 1996 e, conseguentemente, è da
ritenersi illegittimo.
In definitiva, quanto previsto dall’articolo 113 comma 13 del Testo unico
267/00, così come modificato dall’articolo 35 della legge 448/01 non deve
ritenersi una facoltà degli enti locali, bensì essere considerato
un’opportunità per altre tipologie di servizi che non siano il servizio
idrico integrato.
La premessa iniziale ed il dettagliato richiamo alle contestazioni della
commissione, nonché questo ultimo contenuto in merito alla possibilità di
scorporo e di conferimento in proprietà, sono state ritenute da questo
ministero necessarie considerando che potrebbe essere imminente la condanna
dell’Italia da parte dell’Unione europea, la quale si dimostra ferma nel
confermare le proprie posizioni e nel richiedere il rispetto dei
soprarichiamati principi comunitari. Questo ministero reputa opportuno
ricordare alle autorità in indirizzo le responsabilità di tipo
amministrativo e contabile a cui esser vanno incontro, così come già
cautelativamente fatto presente nella circolare 11560/01 e confermare che le
conseguenze del prevedibile scenario di condanna del nostro Paese saranno
addebitate unicamente agli autori delle scelte in questione.
Si trasmette, a conferma di quanto detto, una circolare predisposta dalla
Presidenza del Consiglio – Dipartimento politiche comunitarie – del 6
aprile 2000, dalla quale si evince il contenuto della responsabilità
dell’esercente di pubblica funzione qualora, nel caso di contrasto fra la
normativa interna e quella comunitaria derivante dai trattati egli non
provveda alla disapplicazione del diritto interno, modalità, quest’ultima,
di risoluzione delle antinomie normative laddove vi sia la contemporanea
vigenza di norme reciprocamente contrastanti.