Confermata in appello la condanna della Corte dei conti per il ripascimento del Poetto. La sentenza.
di Stefano DELIPERI
Confermata in appello la condanna della Corte dei conti per il ripascimento del Poetto. La sentenza.
Recentemente la Corte dei conti ha confermato anche in sede di appello la condanna nei confronti di amministratori e funzionari pubblici, esperti e tecnici per il ripascimento della spiaggia del Poetto (Cagliari).
In primo grado era stata la sentenza Sez. giurisdizionale Sardegna, 21 luglio 2009, n. 1003 a statuire le responsabilità per danno erariale e danno all’immagine.
La sentenza Sez. I giurisdizionale centrale d’appello Corte dei conti, 31 gennaio 2013, n. 77 ha condannato, dopo l’esercizio del potere di riduzione (40%), diversi convenuti al risarcimento di euro 2.870.575,00 oltre agli interessi legali sull’importo del danno patrimoniale rivalutato e su quello dovuto a titolo di danno all’immagine.
Confermata per uno dei condannati in primo grado non proponente appello, la condanna in solido è stata ribadita, pur con il riparto interno in ragione del diverso apporto causale, anche in secondo grado a causa di “accertata piena volontarietà dei comportamenti degli appellanti, intenzionalmente volti a disattendere i propri obblighi di servizio anche a fronte di palesi e macroscopiche difformità contrattuali”.
Ampia e articolata la motivazione della sentenza, alla cui lettura si rinvia.
Sembra, però, opportuno evidenziare alcuni passaggi sulle caratteristiche che avrebbero dovuto avere i lavori: “la natura di bene ambientale di particolare rilievo sul quale i lavori dovevano essere eseguiti era nota a tutti, e proprio alla finalità di mantenerne inalterate le caratteristiche di pregio durante il ripascimento si ricollegano i lunghi studi preliminari, la previsione di un intervento di carattere limitato, sperimentale e graduale ed i meccanismi di selezione, controllo e monitoraggio”. Ciò nonostante, “è stato accertato che il materiale riversato sulla spiaggia del Poetto in occasione del ripascimento si differenziava nettamente, per le caratteristiche morfologiche e mineralogiche, non solo dalla sabbia originale presente nella spiaggia, ma soprattutto da quella individuata nei parametri (non modificati e non modificabili) di cui al capitolato speciale di appalto ed ai documenti da esso richiamati”.
Il palese discostarsi dalle previsioni del capitolato “veniva riconosciuto anche dai collaudatori, i quali evidenziavano altresì come le pietre sino ad allora rimosse dalla spiaggia ammontassero ad oltre 6.600 metri cubi”.
Eppure i lavori non sono stati fermati pur “di fronte ad un inadempimento contrattuale di immediata percezione e segnalato da più parti”.
Inoltre, è emerso chiaramente che “la finalità che si prefiggeva l’intervento era duplice: di difesa ambientale e di conservazione dell’aspetto estetico del litorale. La circostanza, peraltro, che … sia stato raggiunto lo scopo parziale della difesa strutturale della costa, non esclude, tuttavia, l’evento dannoso contestato ed il conseguente danno di immagine per la risonanza e l’allarme sociale che la vicenda destò a livello locale e nazionale, e la conseguente perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dell’Amministrazione provinciale, che durante i lavori di ripascimento ha dato prova di assoluta inefficienza e non ha neppure saputo cogliere l’allarme della popolazione”.
Coinvolti a pieno titolo anche i membri della Commissione di monitoraggio. Infatti, “la Commissione, con verbale del 22 marzo 2002, sottoscritto all’unanimità, ha coperto le evidenti difformità con dichiarazioni false, sostenendo la perfetta conformità, ed addirittura la coincidenza, sotto il profilo sia granulometrico che mineralogico, tra i materiali messi in opera dall’impresa e le specifiche del capitolato, sostenendo, altresì, che le caratteristiche dei materiali apportati e le modalità di messa in opera non erano tali da destare preoccupazioni o allarmi”, pur essendo “un consesso così qualificato ed investito di un compito così importante e delicato quale quello di fornire consulenza all’amministrazione provinciale sugli aspetti dell’intervento incidenti sull’evoluzione delle condizioni fisico-ambientali del litorale”.
Assolti due collaudatori, in quanto – pur avendo espresso varie riserve sui lavori eseguiti e applicato conseguenti penali – hanno collaudato l’opera considerando che, “ai sensi dell’art. 197 del DPR n. 554/1999, i difetti e le mancanze riscontrati, per quanto gravi, non fossero comunque tali da pregiudicare ‘la stabilità dell’opera e la regolarità del servizio’, unica condizione che in base alla norma citata avrebbe loro consentito di rifiutare l’opera in quanto ‘assolutamente inaccettabile’. Si è trattato, cioè, di un ragionamento che ha tenuto conto della fruibilità del bene (seppure gravemente compromesso nel valore paesaggistico a seguito della non corretta esecuzione del ripascimento) sotto il profilo dell’attività di balneazione e della circostanza che, delle due funzioni cui l’intervento era destinato, quella di protezione civile e quella di conservazione delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche della spiaggia, l’intervento di ripascimento aveva realizzato quanto meno la funzione di recupero del litorale depauperato, sia pure a costo di pesanti violazioni del capitolato e del progetto nell’impiego dei materiali, le quali avevano pregiudicato comunque il valore ambientale della spiaggia”.
Una sentenza importante nel campo della corretta gestione dei beni ambientali e delle responsabilità conseguenti a cattivi interventi pubblici.
dott. Stefano Deliperi
Sent. n. 77/2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
Iª SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D'APPELLO
composta dai seguenti magistrati:
Dott. Vito MINERVA Presidente
Dott.ssa Maria FRATOCCHI Consigliere
Dott. Mauro OREFICE Consigliere
Dott.ssa Rita LORETO Consigliere relatore
Dott. Massimo DI STEFANO Consigliere
ha pronunziato la seguente
SENTENZA
nel giudizio avente ad oggetto gli appelli iscritti ai nn. 36383, 36477, 36491, 36520, 36547, 36587, 36588, 36598, 36599 e 36912 del registro di Segreteria, proposti dai signori:
- FRANCO Leopoldo, rappresentato e difeso dall’Avv. Corrado Carruba, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via di Vigna Murata n. 1;
- GELLON Antonello Priamo Luciano, rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Gian Luigi Falchi e dall’Avv. Giovanni Locci, ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, Via Gozzoli 82;
- BALLETTO Sandro, rappresentato e difeso dall’Avv. Rodolfo Meloni, elettivamente domiciliato in Roma, Via Archimede n. 181 presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Campana;
- CABRAS Sandro, rappresentato e difeso dall’Avv. Piergiorgio Loi ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Ugo de Carolis n 34B sc.A;
- MULAS Lorenzo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Antonio Cabriolu, Salvatore Casula e Carlo Castelli ed elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104 presso la signora Antonia de Angelis;
- RITOSSA Gian Paolo (anche app. incidentale), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Renato Margelli e Sara Merella, elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104 presso la signora Antonia De Angelis;
- CONCAS Mario (anche app. incidentale), rappresentato e difeso dagli Avv.ti Renato Margelli e Sara Merella, elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104 presso la signora Antonia De Angelis;
- PISTIS Salvatore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Luigi Sanna e Andrea Pogliani, elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104, presso la signora Antonia De Angelis;
- COLANTONI Paolo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Luigi Sanna e Andrea Pogliani, elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104, presso la signora Antonia De Angelis;
- GARDU Andrea, rappresentato e difeso da gli Avv.ti Luigi Sanna e Andrea Pogliani, elettivamente domiciliato in Roma, Via Portuense n. 104, presso la signora Antonia De Angelis;
- ZIRONE Renzo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Sergio Segneri e Daniela Piras, elettivamente domiciliato in Roma, Via San Basilio n. 61, presso lo studio dell’Avv. Prof. Eugenio Picozza;
- ATZENI Andrea, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Sergio Segneri e Daniela Piras, elettivamente domiciliato in Roma, Via San Basilio n. 61, presso lo studio dell’Avv. Prof. Eugenio Picozza;
- ORRU’ Paolo, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Sergio Segneri e Daniela Piras, elettivamente domiciliato in Roma, Via San Basilio n. 61, presso lo studio dell’Avv. Prof. Eugenio Picozza;
- SERRA Giovanni, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Sergio Segneri e Daniela Piras, elettivamente domiciliato in Roma, Via San Basilio n. 61, presso lo studio dell’Avv. Prof. Eugenio Picozza;
Visti gli atti di causa;
avverso la sentenza parziale n. 1830/08, depositata in data 18.09.2008;
nonché avverso la sentenza definitiva n. 1003/09, depositata in data 21.07.2009, entrambe della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Sardegna, nonché avverso l’ordinanza collegiale n. 149/08 del 18.09.2008 e l’ordinanza presidenziale a verbale del 9.03.2009.
Uditi, nella pubblica udienza del 3 febbraio 2012, il Consigliere relatore, dott.ssa Rita Loreto, gli avvocati Corrado Carruba per Leopoldo Franco, Gian Luigi Falchi e Giovanni Locci per Antonello Gellon, Rodolfo Meloni per Sandro Balletto, Piergiorgio Loi per Sandro Cabras, Salvatore Casula e Carlo Castelli per Lorenzo Mulas, Renato Margelli per Gian Paolo Ritossa e Mario Concas, Alessandro Cassiani, su delega dell’Avv. Luigi Sanna, per Salvatore Pistis, Paolo Colantoni e Andrea Gardu, Sergio Segneri e Daniela Piras per Renzo Zirone, Andrea Atzeni, Paolo Orrù e Giovanni Serra, nonché il Pubblico Ministero nella persona del Vice Procuratore generale dott.ssa Alessandra Pomponio.
Ritenuto in
FATTO
Con atto di citazione in data 11 luglio 2007 il Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Sardegna citava in giudizio i signori: CABRAS Sandro, MULAS Lorenzo, GARDU Andrea, PISTIS Salvatore, GELLON Antonello Priamo Luciano, ASCHIERI Luigi, ATZENI Andrea, ORRU’ Paolo, SERRA Giovanni, ZIRONE Renzo e BALLETTO Sandro, nelle diverse qualità in cui ciascuno di essi aveva preso parte alle attività concernenti i lavori pubblici c.d. di ripascimento della spiaggia del Poetto di Cagliari.
La pretesa risarcitoria veniva azionata per due poste di danno, patrimoniale e di immagine, in solido per tutti i corresponsabili per la complessiva somma di euro 4.784.292, 42, di cui euro 3.986.910,35 per danno patrimoniale e la rimanente somma per danno all’immagine, conseguente alle condotte illecite poste in essere dai citati, nelle qualità di presidente della Provincia di Cagliari (BALLETTO), assessore ai lavori pubblici (ZIRONE), responsabile del procedimento (CABRAS e MULAS), direttore dei lavori (GARDU e PISTIS) assistente della Direzione Lavori (GELLON), componente della Commissione scientifica di monitoraggio (ATZENI, ORRU’, ASCHIERI e SERRA) per l’appalto dei lavori di ripascimento del litorale del Poetto.
Nel corso del giudizio di primo grado la Sezione territoriale, con ordinanza n. 6/2008 del 19.01.2009 ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei Collaudatori dei lavori, signori Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS e dei Componenti dell’Ufficio Direzione dei Lavori, signori Paolo COLANTONI e Leopoldo FRANCO, a cui la Procura regionale provvedeva con atto di citazione integrativo depositato il 21 gennaio 2008.
Con sentenza parziale n. 1830/2008 la Sezione territoriale respingeva l’eccezione di difetto di giurisdizione per danno ambientale e per carenza del rapporto di servizio relativamente ai componenti della Commissione scientifica di monitoraggio, l’eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza, l’eccezione di prescrizione, la richiesta di sospensione della causa in attesa della conclusione dei procedimenti pendenti in sede penale e civile; dichiarava la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale avverso la chiamata in giudizio iussu iudicis prevista dall’art. 47 del r.d. n. 1038 del 1933 e disponeva, con separata ordinanza n. 149 del 2008, adempimenti istruttori miranti alla acquisizione degli atti del processo penale e dei giudizi civili pendenti in parallelo al giudizio contabile.
La complessa vicenda è minuziosamente illustrata dalla sentenza appellata, la quale così riporta:
“Nell’atto di citazione, in sintesi, viene contestato quanto segue.
Numerose segnalazioni avevano evidenziato gravi irregolarità, configuranti ipotesi di danno erariale, nell’esecuzione dei lavori di ripascimento della spiaggia del Poetto di Cagliari.
Gli accertamenti relativi sono stati demandati al Nucleo regionale di polizia tributaria della Guardia di finanza che, con nota n. 9725/78 del 15 luglio 2005, ha trasmesso il rapporto e la documentazione acquisita.
Il Procuratore della Repubblica di Cagliari, con nota n. 9090/04/21 del 18 gennaio 2007, ha trasmesso alcuni atti del procedimento penale instaurato in merito. In particolare, con atto n. 9090/04-21 del 2 agosto 2005, il Procuratore della Repubblica di Cagliari, per la vicenda in esame, ha richiesto al GUP del Tribunale di Cagliari l’emissione del decreto che dispone il giudizio nei confronti di ZIRONE Renzo, BALLETTO Sandro, PISTIS Salvatore, GARDU Andrea, MULAS Lorenzo, BAITA Piergiorgio, DEFENDI Daniele, ATZENI Andrea, ORRU’ Paolo, SERRA Giovanni, ASCHIERI Luigi, GELLON Antonello Priamo Luciano e VACCA Marcello. Il GUP di Cagliari ha disposto il giudizio dinanzi al Tribunale nei confronti di ZIRONE Renzo, PISTIS Salvatore, GARDU Andrea, MULAS Lorenzo, BAITA Piergiorgio, DEFENDI Daniele, ATZENI Andrea, ORRU’ Paolo, SERRA Giovanni e GELLON Antonello.
Inoltre, con sentenza n. 3015/06 del 19 maggio 2006, il GUP ha condannato: BALLETTO Sandro (Presidente della Provincia) alla pena di mesi dieci di reclusione, all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni uno, alla rimessione in pristino stato dei luoghi a sue spese, al risarcimento dei danni in favore delle parti civili e al pagamento di una provvisionale di euro 100.000 in favore dell’Agenzia del demanio, perché riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 110. 40 cpv., 61 n. 9, 635 commi 1 e 2, n. 3 c.p., per danneggiamento aggravato della spiaggia e del tratto di mare antistante per inidoneità del materiale impiegato nel ripascimento e del reato di cui agli artt. 110, 61 n. 9 e 81 c.p., 163 d. lgl. n. 490/99 per totale difformità della esecuzione dei lavori di ripascimento, in un’area vincolata, dall’autorizzazione ambientale dell’U.T.P. regionale contenuta nel verbale di Conferenza dei servizi del 2.8.1999; ASCHIERI Luigi (componente della Commissione di monitoraggio) alla pena di mesi sei di reclusione, perché riconosciuto responsabile del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 479 c.p. per falso ideologico sulla piena corrispondenza e perfetta conformità tra i materiali impiegati nel ripascimento e le sabbie previste nel progetto contenuto nel capitolato speciale d’appalto.
L’esecuzione dei lavori di ripascimento della spiaggia del Poetto, secondo la Procura, ha causato un disastro di incalcolabile entità, sotto il profilo ecologico e ambientale, in dipendenza della devastazione non reversibile di gran parte del litorale costiero e del deturpamento di una bellezza naturale assoggettata a vincolo ai sensi dell’art. 146, lett. a, del d. lgs. n. 490/1999 (richiamato dall’art. 142, lett. a, del d. lgs. n. 41/2004).
La vicenda, che ha suscitato l’indignazione della comunità ed ha avuto clamorosa risonanza in Parlamento, in Consiglio regionale, nel Consiglio comunale e provinciale di Cagliari e nei mezzi di comunicazione regionali e nazionali, è caratterizzata da una lunga sequenza di illiceità, in violazione della normativa che regola l’esecuzione delle opere pubbliche, dei più elementari canoni della corretta gestione dei beni pubblici e, perfino, del comune buon senso. Il ripascimento della spiaggia del Poetto è un lavoro privo di un elevato tasso di difficoltà o implicante la soluzione di peculiari problemi tecnico-esecutivi, però richiedeva, come condizione ineludibile, l’utilizzazione di materiale, se non perfettamente uguale, per lo meno adeguato, per dimensioni, consistenza, tipo e qualità, a quello preesistente nel sito di lavorazione - come osservato dal Comitato tecnico amministrativo della Protezione civile, in sede di esame del progetto presentato dall’Amm.ne provinciale di Cagliari - ed inoltre l’osservanza delle modalità e dei tempi necessari alla sua idonea sistemazione nei siti prescelti.
Coerentemente con questa premessa, sulla base di uno studio della Mediterranean Survey and Services S.p.a., la conferenza dei servizi tenutasi in data 30 agosto 1999 ha condiviso la soluzione prevista in progetto secondo cui la sabbia sarebbe stata ricavata da cave ubicate in un raggio di circa 40 km dalla zona interessata per complessivi 183.000 mc. annui, da eseguirsi nell’arco di due anni. L’alternativa del prelievo di sabbia da mare, prospettata dal Comitato tecnico amministrativo e basata sul minor costo nell’approvvigionamento di quantitativi di sabbia, prossimi al deficit valutato in 3 milioni di mc., non è stata recepita negli atti contrattuali e di progetto, salvo il mero riferimento contenuto nel capitolato speciale d’appalto, peraltro incompatibile con l’esigenza della gradualità dell’intervento, riconosciuta nello stesso capitolato all’art. 64, e che ha costituito, secondo la Procura, “un utile mezzo di copertura delle responsabilità di quanti hanno operato per finalità non riconducibili all’interesse pubblico”.
Nella relazione di cui all’allegato 8 al progetto esecutivo dei lavori approvato dalla Giunta provinciale (deliberazione n. 683 del 13 settembre 1999) si afferma testualmente che “non sussistono incertezze sull’opportunità di dare preferenza allo approvvigionamento delle cave a terra rispetto al prelievo a mare. La qualità, idoneità e compatibilità delle sabbie prelevabili a terra sono state verificate e potranno essere verificate prima e durante l’esecuzione delle forniture consentendo l’accettazione o il rifiuto dei materiali non rispondenti alle prescrizioni del capitolato”.
L’esecuzione dei lavori era prevista nella relazione nell’arco di due anni, per 160 giorni lavorativi, con l’apporto di 190 mc. al giorno di sabbia in ciascuna delle sei stazioni nelle quali era stata suddivisa l’area di intervento. Tali prescrizioni sono contenute nel capitolato speciale, art. 20, lettera t).
Gravi irregolarità che rendono incomprensibili, “a voler escludere la mala fede”, le condotte dei funzionari e dei tecnici coinvolti nel procedimento, sono ravvisabili nell’accoglimento delle giustificazioni dell’Impresa, che aveva prospettato due ipotesi di ripascimento, via terra e via mare, ma omettendo per quest’ultima una analisi dei prezzi e le modalità di prelievo e di immissione graduale, come previsto in capitolato, limitandosi a riferire su una campagna geognostica nel golfo di Cagliari effettuata dal 22 al 27 novembre 1999 e su un prelievo di campioni in zone che “risultano essere, ad un primo esame, omogenee e potenzialmente idonee a fornire i necessari quantitativi per il ripascimento”.
Sul ricorso presentato dalla Società italiana condotte d’acqua S.p.a. di Roma, il TAR Sardegna, con sentenza n. 431 del 15 maggio 2000, ha annullato il provvedimento di aggiudicazione dell’appalto, rilevando, nella fase della verifica dell’anomalia dell’offerta, l’insufficienza delle giustificazioni presentate dall’aggiudicataria.
Avverso la sentenza del TAR, la Provincia e l’impresa Mantovani hanno proposto appello al Consiglio di Stato che, con decisione n. 102/2000 del 10 novembre 2000, ha rigettato i ricorsi sulla base di analoghe motivazioni.
Anziché prendere atto che sussistevano le condizioni per riesaminare “ex novo” tutto l’intervento, la Giunta provinciale, non riscontrando ragioni di pubblico interesse che potessero giustificare la revoca dell’intera procedura, ha demandato al responsabile del procedimento il rinnovo della verifica dell’anomalia dell’offerta, che praticamente si è svolto sulla falsariga della verifica precedente.
Nel periodo che va dalla consegna dei lavori (28.12.1999), all’inizio delle operazioni di ripascimento (8.3.2002), non si è registrata alcuna effettiva esecuzione dei lavori. A prescindere dalle due sospensioni (circa otto mesi), dovute al contenzioso giudiziario, sono stati solo effettuati studi, ricerche e analisi per l’individuazione della cava marina e l’accertamento dei requisiti della sabbia, attività propedeutiche all’appalto dell’opera, attinenti alle fasi di studi di fattibilità e di progettazione, già eseguiti con riguardo alle cave di terra.
Dall’andamento dei lavori è emersa un’attività gestionale, di controllo e di vigilanza tecnica e scientifica improvvida, inefficiente e manifestamente contraria a tutte le regole dettate dall’ordinamento dei lavori pubblici, per l’esecuzione delle opere a regola d’arte. La scarsa affidabilità dell’impresa si è subito manifestata e già il 10.3.2000 (ordine di servizio n. 2) la direzione dei lavori ha dovuto chiedere all’impresa la modifica del programma dei lavori il cui inizio era previsto nell’ottobre 2000.
A seguito della contestazione del notevole ritardo nell’individuazione di siti idonei al prelievo delle sabbie sia a terra che a mare, come risulta dall’ordine di servizio n. 4 del 13.4.2000, l’impresa, con nota n. 5370 del 21.4.2000, ha inviato documentazione attestante che era stata individuata sabbia adatta per il ripascimento del Poetto in diverse zone dell’entroterra cagliaritano. L’ultroneità della ricerca non è stata contestata dal responsabile del procedimento e dal direttore dei lavori, i quali avrebbero dovuto eccepire che l’ubicazione delle cave era già stata indicata esattamente negli atti di progetto (allegato 8).
Con nota n. 919 del 16 ottobre 2000, l’impresa ha informato la Provincia di poter avviare a breve l’intervento, con sabbia da depositi a terra, pur evidenziando l’impatto derivante dal notevole numero di automezzi da impiegare e prospettando, come soluzione più favorevole per l’Amm.ne, l’apporto della sabbia via mare attingendola dalle aree di prelievo già individuate. A quasi un anno dall’appalto l’impresa ha dimostrato di non essere ancora in condizioni di iniziare il ripascimento.
L’impresa, con nota n. 856 del 16.7.2001, si è impegnata a completare i lavori entro il 31.12.2001, a condizione che fosse disposto il prelievo dal mare. Peraltro, per tale prelievo, mancava ancora il decreto di autorizzazione da parte del Ministero dell’ambiente, il quale avrebbe poi rilevato una serie di carenze per l’insufficienza dei sondaggi, contestate all’impresa dalla d.l. con nota n. 2473 del 2.11.2001 dove è stata segnalata la mancanza della documentazione concernente le analisi chimiche e batteriologiche dei campioni di sabbia.
Con nota n. 2775 del 6.12.2001, il responsabile del procedimento, ing. CABRAS, ha intimato all’impresa “di iniziare le operazioni di ripascimento entro il 10 c.m.”, termine “assolutamente improrogabile”, con l’avvertenza che nel caso di mancata conclusione dei lavori entro il 29.12.2001 sarebbe stata applicata “la penale di lire cinque milioni per ogni giorno di ritardo” e con riserva di chiedere “gli ulteriori gravissimi danni in relazione alla decadenza del cofinanziamento comunitario”.
L’intimazione ad adempiere non ha prodotto alcun effetto anche perché ad essa è seguita, pochi giorni dopo, la determinazione n. 360 del 27.12.2001 con la quale lo stesso dirigente ing. CABRAS ha concesso una proroga di giorni 120, con riferimento alla segnalazione dell’impresa relativa all’avaria della draga da utilizzare per il ripascimento ed all’eccezionale mareggiata verificatasi nel novembre del 2001.
Anche a voler ammettere che una tale calamità naturale si sia verificata, non sono comprensibili, secondo la Procura, “salvo la mala fede”, le ragioni per le quali, in presenza dei presupposti per la proroga, sia stato intimato l’avvio dei lavori, con minaccia della penale e di danni ulteriori.
La mareggiata ha sollevato l’Impresa, che non era in grado di completare il lavoro entro la scadenza, non avendo la disponibilità della draga, dall’onere di corrispondere penali. In risposta all’intimazione ad adempiere l’impresa, con nota n. 1631 del 14.12.2001, ha segnalato che l’avvio delle operazioni sarebbe potuto avvenire solo dopo aver ottenuto da parte del Ministero dell’ambiente la correzione delle coordinate della zona autorizzata di prelievo. L’impresa ha riproposto il problema con le note n. 1672 del 19.12.2001 e n. 076/2002 del 23.1.2002 ma, malgrado il rilievo della questione, l’Amm.ne provinciale se ne è disinteressata.
Dalle indagini svolte in sede penale, è emerso che il materiale riversato sull’arenile del Poetto è stato prelevato da cava diversa da quella verificata dall’impresa. A questo punto, può ben parlarsi di disastro annunciato.
I lavori di ripascimento sono iniziati l’8.3.2002 e terminati il 27.6.2002, giorno nel quale è stato redatto il verbale di ultimazione dei lavori. Fin dalle prime fasi esecutive è stato percepito “ictu oculi” che il materiale riversato sull’arenile presentava caratteristiche affatto diverse da quelle previste in progetto, soprattutto per la presenza di notevoli quantitativi di pietre e di ciottoli e perfino di un ordigno bellico.
Le proteste e le richieste di immediata sospensione delle operazioni di sversamento non hanno avuto alcun esito, malgrado la grave alterazione del quadro paesaggistico. E che si trattasse di materiale in massima parte sostanzialmente diverso dalla sabbia, lo si evince dagli ordini di servizio emessi nel periodo e dalle comunicazioni intercorse tra il dirigente del Settore viabilità, il responsabile del procedimento, la d.l. e l’impresa.
Con verbale del 27.6.2002, la d.l. ha certificato l’ultimazione dei lavori, entro il termine utile contrattuale (27.6.2002) ed è stato compilato, sotto la stessa data, lo stato finale delle opere eseguite che, alla voce n. 55, riporta: “fornitura e posa in opera di sabbia, quantità mc. 344.484,63, importo parziale lire 5.511.754.480”.
L’alterazione dalla realtà si evince dagli inviti formulati invano dalla Provincia all’impresa a provvedere alla rimozione del pietrame presente nell’arenile e dal successivo affidamento dei relativi lavori ad altre ditte, per una ulteriore spesa di euro 124.351,37.
Per quanto riguarda i lavori di ripascimento della spiaggia, la commissione di collaudo (ingg. Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS) ha effettuato sei visite in corso d’opera e una finale. La commissione ha affrontato il problema nella sua globalità nel verbale di visita di collaudo finale in data 14 maggio 2003, rilevando che nel capitolato speciale d’appalto difettava una normativa che regolasse l’esecuzione del lavoro se non quella legata alla sabbia proveniente da cave terrestri, mentre la possibilità di impiego di sabbie provenienti dal mare era contenuta in tre righe, ma che sopperiva parzialmente il decreto del Ministro dell’ambiente n. 407/3/1 del 28.11.2001, il quale, sulla base degli studi precedenti riguardanti, in particolare, la caratterizzazione dell’area d’intervento, aveva autorizzato la Provincia di Cagliari ad utilizzare una cava a mare, ponendosi così il problema se l’accorciamento dei tempi del versamento della sabbia in mare potesse avere riflessi negativi sull’evoluzione del profilo della spiaggia nel tempo e sulla prateria di posidonia, peraltro esclusi dai consulenti dell’ufficio di direzione dei lavori e di una apposita commissione di monitoraggio.
Riguardo alle caratteristiche della sabbia la commissione, in relazione alla composizione mineralogica, ha obiettato che la proporzione dei due componenti stabilita in capitolato (85% quarzo e 15% feldspati) individuava caratteristiche tali da non essere rinvenibili in natura. A tale incongruenza poneva rimedio l’allegato 8 che alla tabella 1) individuava una presenza dei suddetti minerali fondamentali variabile dall’80% al 90% e quindi una percentuale di minerali accessori mediamente variabile fra il 20% e il 10%. Peraltro, tali parametri di riferimento potevano essere superati dal decreto ministeriale n. 407/2001 che individuava una stratificazione sabbiosa superficiale caratterizzata da una presenza dei minerali fondamentali (quarzo e feldspati) pari al 78%, con un rapporto di circa 7/3, in linea con le condizioni medie della spiaggia del Poetto.
Passando alle verifiche dei lavori eseguiti, la commissione di collaudo ha dato atto che: la sabbia riportata è stata allibrata contabilmente, a fronte dei 370.000 mc. di progetto, per una quantità pari a mc. 388.458,75 dalla quale sono state detratte 40.788 mc. per la presenza di fasi granulometriche esterne al fuso progettuale e 6.647,20 mc. attinenti alla quantità di pietre rimosse dalla spiaggia.
Sono stati quindi portati a pagamento 344.484,63 mc; i collaudatori hanno fatto eseguire tutte le prove di caratterizzazione della sabbia presso il laboratorio di petrografia dell’Università di Parma, diretto dal prof. VALLONI, una delle massime autorità del settore. Le analisi effettuate sui campioni di sabbie inviati in tre periodi successivi hanno dato i seguenti risultati: a) i campioni prelevati il 6.4.2002 hanno presentato una componente quarzosa variabile dal 40,7% al 49,8% ed una componente feldspatica variabile dal 28,5% al 32,9%. Dal punto di vista granulometrico i campioni potevano ritenersi contenuti all’interno del fuso di progetto ad esclusione di una debole coda sui materiali fini; b) i campioni prelevati il 23.4.2002 presentavano una componente quarzosa variabile dal 24,3% al 40%, mentre quella feldspatica era variabile dal 31,1% al 55,4%. Le certificazioni eseguite all’interno del corpo dello strato di sabbia riportato evidenziavano quindi, dal punto di vista petrografico, notevoli differenze rispetto ai parametri assunti come riferimento progettuale e coincidenti con quelli del sito di prelievo. Per quanto atteneva la composizione granulometrica era evidente l’accentuarsi delle frazioni al di fuori del fuso granulometrico di riferimento, sia per quanto riguardava le frazioni fini che quelle grossolane; c) i campioni prelevati il 19.6.2002 presentavano, sotto l’aspetto della composizione petrografica, una componente fondamentale quarzosa variabile dal 13,7% al 38,3% e una componente feldspatica variabile dal 7,8% al 23,1% in percentuale, quindi, notevolmente inferiore rispetto al dato assunto per riferimento progettuale. Risultava inoltre evidente la presenza abnorme di bioclasti in percentuale variabile dal 38,8% al 75,8%. Dall’esame dei dati, mentre risultava un accettabile valore del rapporto tra quarzi e feldspati, risultava del tutto improponibile un confronto sulla presenza complessiva delle due suddette componenti fondamentali che risultava variabile tra il 29,6% (sezione 4) e il 54% (sezione 1).
A questo punto, alla luce del disposto dell’art. 197 del d.P.R. n.554/1999, i collaudatori si sono posti il problema se i lavori dovessero ritenersi inquadrabili in quanto previsto al punto 1 del suddetto articolo (rifiuto del certificato di collaudo per lavoro assolutamente inaccettabile), ovvero se si inquadrassero nella situazione rappresentata al punto 3 (difetti e mancanze che non pregiudicano la stabilità dell’opera), concludendo per un giudizio di accettabilità della spiaggia esclusivamente dal punto di vista del suo utilizzo in quanto tale, essendo da tutti percepito esclusivamente lo strato superficiale della stessa sabbia riportata, mentre tale argomentazione non era estendibile ad una valutazione complessiva di tutto lo strato, soprattutto ai fini dell’ammissibilità in contabilità del materiale nella sua completa stratificazione.
Sulla base dei valori medi risultanti dai rilevamenti effettuati è stata determinata una quantità di materiale non conforme al fuso di capitolato pari a mc. 139.173,06, comprensiva dei mc. 40.778,17 già contabilmente detratti (per frazioni granulometriche al di fuori del fuso di progetto). Pertanto, la detrazione da portare in contabilità finale è stata di mc. 98.394,89 (mc. 139.173,06 - 40.778,17) pari ad euro 813.067,52, con un debito dell’impresa, a seguito della revisione tecnico-contabile, pari ad euro 628.171,14.
Il certificato di collaudo ha evidenziato che i lavori sono stati eseguiti, in genere, secondo il progetto e le varianti approvate ed a regola d’arte, con buoni materiali e idonei magisteri. Sono state riscontrate gravi irregolarità nelle caratteristiche delle sabbie utilizzate nella fase di ripascimento e, conseguentemente, sono state apportate le dovute detrazioni.
Secondo la Procura, tali considerazioni sono condivisibili soltanto per la parte relativa alla valutazione del problema generale, alle cause che hanno determinato una così abnorme difformità tra il progettato e il realizzato, mentre appaiono del tutto infondate quanto alle conclusioni e al giudizio finale di parziale accettabilità dei lavori. Infatti, la sola previsione di esecuzione dei lavori attraverso l’impiego di sabbie provenienti da cave terrestri non ha costituito carenza normativa, in quanto ha costituito essa stessa l’insieme di prescrizioni tecniche contenute nel capitolato speciale (cfr. art. 45, comma 2, del d.P.R. n. 554/1999).
La scelta di procedere al ripascimento con sabbie provenienti dal mare ha costituito la manifesta violazione della normativa dettata per lo specifico appalto; tutta la disciplina (legge, regolamento, capitolato generale d’appalto) vigente in materia di lavori pubblici esclude espressamente che le prescrizioni contrattuali e tecniche di un appalto possano essere mutuate o integrate “ab externo”, quindi i parametri relativi alle caratteristiche della sabbia riportati nella documentazione contrattuale e nell’allegato 8 (composizione quarzo e feldspati variabile dall’80% al 90% e percentuale di minerali accessori variabile fra il 20% e il 10%) non potevano essere superati dal d.m. n. 407/2001.
Per quanto attiene al giudizio finale, la commissione, pur avendo riscontrato una composizione petrografica in una percentuale notevolmente inferiore rispetto perfino al decreto ministeriale, nonché una presenza abnorme di bioclasti, ha espresso un giudizio di accettabilità della spiaggia, giuridicamente infondato, per manifesto contrasto logico tra premesse e conclusioni, in quanto: a) i lavori sono stati eseguiti in difformità totale dal progetto e dagli atti contrattuali; b) i materiali non erano buoni, ma assolutamente scadenti e, comunque, privi delle caratteristiche granulometriche e mineralogiche prescritte; c) il giudizio di accettabilità, dal punto di vista del suo utilizzo, si risolveva in un paradosso, in quanto anche una qualunque area sterrata può essere utilizzata al pari di una spiaggia definitivamente deturpata dalle operazioni di ripascimento. Con riguardo ai profili di responsabilità, però, la Procura non ha ritenuto, allo stato, che il comportamento dei suddetti collaudatori abbia potuto incidere in termini di causalità sul danno occorso, salvo una diversa valutazione della Corte.
Come si evince anche dai verbali delle riunioni tenute dall’agosto 2001 al giugno 2002, l’attività della commissione di monitoraggio è stata caratterizzata dalla più completa indifferenza verso i gravi problemi emersi. Nel complesso, l’attività della commissione si è esaurita nella definizione degli aspetti organizzativi ed operativi delle modalità di monitoraggio sull’evoluzione della spiaggia emersa e dei campionamenti periodici di sedimenti nella spiaggia sommersa e relative analisi mineralogiche. La commissione è stata informata dal prof. COLANTONI (dell’ufficio direzione lavori) nel corso della seduta del 12.10.2001 che la non rigorosa presentazione da parte dell’impresa dei risultati delle analisi di laboratorio, relativamente alle percentuali di sabbia, limo e argilla, non avrebbe consentito di stabilire se la sabbia fosse idonea per il ripascimento. Sul punto, la commissione si è limitata ad affermare la necessità di controlli in draga accurati e continui sulla qualità dei materiali.
Nel corso dell’esecuzione dei lavori la commissione ha avallato l’esito disastroso dell’intervento. Infatti, alla richiesta di chiarimenti da parte della Capitaneria di porto sui lavori di ripascimento (cfr. verbale del 22.3.2002) la commissione concordemente ha affermato che le caratteristiche delle sabbie messe in opera erano conformi a quelle descritte nello studio approvato dal Ministero dell’ambiente, sia per composizione mineralogica, rilevata in draga su ogni carico, da geologo specializzato assistente della d.l., sia per granulometria, secondo le verifiche di laboratorio effettuate su 25 campioni prelevati sia in draga che nei diversi tratti del ripascimento, per cui non sussistevano motivi di preoccupazione.
Tali rassicurazioni, frutto di acritica accettazione di valutazioni altrui (tecnici della d.l.), verranno smentite dalle analisi dei periti della commissione di collaudo e da quelli del P.M. penale. Gli esperti si sono invece preoccupati dell’eccessivo clamore, auspicando che l’Amm.ne individuasse un esperto in materia di comunicazione. Il suggerimento è stato accolto dall’Amm.ne con ulteriori inutili spese per la pubblicazione di un opuscolo. La segnalazione dell’impresa, di cui alla nota n. 1672, riguardo al problema della difformità delle coordinate della zona di prelievo autorizzate dal Ministero dell’ambiente e alla necessità della loro modifica non ha avuto alcun seguito e la sabbia è stata prelevata in sito diverso da quello indagato.
La Provincia di Cagliari, in dipendenza dell’esecuzione dei lavori di ripascimento della spiaggia del Poetto, ha subito un pregiudizio patrimoniale di euro 3.986.910,35, pari al totale delle seguenti partite di danno: a) spese per fornitura e posa in opera di mc. 344.484,63 di sabbia per euro 3.415.900,10, IVA compresa; spese per compensi ai componenti e ai collaboratori della commissione scientifica di monitoraggio e ai professionisti per consulenze e pareri alla commissione di monitoraggio, alla direzione dei lavori e alla commissione di collaudo: euro 315.953,32; spese per materiali e forniture per l’esercizio dell’attività, per divulgazione dati, per vigilanza e per rimozione pietrame: euro 130.705,56; spese nel 2004 per rimozione e trasporto in discarica del pietrame e del materiale di risulta della grigliatura dell’arenile: euro 124.351,37. Sommano complessivi euro 3.986.910,35.
Oltre al danno erariale, assume rilevanza il danno all’immagine. L’esito disastroso dell’intervento ha destato notevole scalpore ed ha avuto risalto, per lungo tempo, sulla stampa locale e nazionale, con conseguente grave nocumento dell’immagine e del prestigio non solo della Provincia di Cagliari, ma di tutta la Pubblica Amministrazione. In materia, i consolidati orientamenti giurisprudenziali della Corte di cassazione (n. 5790/79, n. 2527/90, n. 7642/91, n. 12951/92, n. 5668/97, n. 744/99, n. 14990/05) sono stati condivisi della Corte dei conti per la quale la tutela dell’immagine della P.A. discende dai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97, primo comma, della Costituzione, la cui violazione si traduce in un’alterazione in senso negativo della sua immagine.
Sulla base di questi principi, le Sezioni Riunite (cfr. sentenza n. 10/2003/QM) hanno elaborato una serie di criteri. In punto di determinazione del danno in via equitativa, ex art. 1226 c.c., cfr. Sez. III d’appello n. 216/2000; Sez. Umbria n. 557/2000; Sez. Emilia Romagna n. 1591/2000; Sez. Marche n. 104/2002; Sez. Sardegna n. 313/2003; Sez. I d’appello n. 222/2004; Sez. Umbria n. 1/R/2004; Sez. Liguria n. 392/2006. Alla luce di tali principi, la quantificazione del danno all’immagine, in relazione ai costi potenzialmente sostenibili per il ripristino, anche all’esterno, del valore leso al costo sociale derivato dal danneggiamento irreversibile di un bene di inestimabile bellezza paesistica, deve essere calcolato in un importo non inferiore a euro 797.382,07, pari al 20% di quello sopra quantificato in euro 3.986.910,35, o nel diverso e maggiore importo che sarà ritenuto di giustizia. Il pregiudizio patrimoniale ammonta, dunque, ad euro 4.784.292,42.
Sussiste un rapporto di stretta consequenzialità fra l’evento dannoso ed i comportamenti dei soggetti che, in violazione degli obblighi di servizio o di mandato, hanno concorso a determinarlo e la cui incidenza verrà valutata, in applicazione del principio dell’efficienza causale.
Per quanto attiene all’elemento soggettivo, la ricostruzione dei fatti evidenzia un concorso di comportamenti dolosi”.
Con sentenza n. 1003/2009 del 21 luglio 2009 i primi giudici, definitivamente pronunciando, hanno condannato gli odierni appellanti, unitamente al signor Luigi ASCHIERI, a pagare, in solido tra loro, a titolo di risarcimento in favore della Provincia di Cagliari, la somma di euro 4.784.292,42, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali da calcolarsi nel modo e con la decorrenza precisati in motivazione; condannando altresì i suddetti convenuti soccombenti al pagamento, in solido tra loro e a favore dello Stato, delle spese processuali liquidate nell’importo di euro 31.667,37.
La condanna dei primi giudici si fonda sulla riscontrata commissione, da parte dei convenuti, di condotte dolose nelle quali è stato ravvisato l’intento consapevole di disattendere, nelle loro prescrizioni essenziali, le disposizioni contrattuali e di capitolato speciale che avevano puntualmente regolamentato le modalità di esecuzione dell’intervento, di approvvigionamento della sabbia da utilizzare per il ripascimento e le caratteristiche mineralogiche, di granulometria e di colore che la sabbia avrebbe dovuto possedere per garantire e salvaguardare la preziosa morfologia del litorale, in virtù della quale la spiaggia era sottoposta a tutela ambientale e vincolata ai sensi dell’art. 146, lett. A, del.Lgs. n. 490 del 1999.
In particolare, la Sezione territoriale ha ravvisato una prima causa dell’attività dannosa nella scelta di non effettuare l’intervento con sabbia proveniente da cave di terra, appositamente individuate dall’Amministrazione appaltante ed in relazione alle quali si era espressa positivamente la Conferenza dei servizi del 1999 e si erano condotti appositi studi preventivi e sondaggi, per individuare i luoghi da cui estrarre la sabbia che avesse le caratteristiche morfologiche più vicine a quelle che caratterizzavano la spiaggia del Poetto.
Si è imputato ai convenuti, altresì, di aver totalmente disatteso le prescrizioni del capitolato speciale di appalto, che erano state predisposte con la precipua finalità di eseguire il ripascimento con sabbia estratta da cave di terra, in considerazione del carattere sperimentale dell’intervento, che necessitava di un costante monitoraggio dei lavori di estrazione e verifica delle caratteristiche del materiale estratto in corso d’opera, della gradualità esecutiva che l’intervento stesso richiedeva, tanto è vero che era previsto che l’operazione si svolgesse nell’arco di due anni; della mancanza, per contro, di indagini attendibili per accertare quali fossero i luoghi marini dai quali poter estrarre sabbia con le caratteristiche morfologiche più adeguate all’intervento stesso.
Ulteriore condotta produttiva di danno è stata, secondo la Sezione territoriale, l’assoluta mancanza, intenzionalmente perpetrata dai vari appellanti, di controlli e di interventi decisivi fin dalla fase iniziale in cui furono avviate le attività di sversamento della sabbia dal mare, che misero subito in evidenza che il materiale estratto non aveva caratteristiche compatibili con i parametri indicati, quanto a granulometria, mineralogia e colore, nel capitolato speciale di appalto; interventi che avrebbero dovuto invece essere indirizzati ad una sospensione dell’attività estrattiva ed alla effettuazione di ulteriori indagini per verificare se fosse opportuno proseguire o non dare, piuttosto, tutt’altra direzione all’opera pubblica, soprattutto dopo la protesta decisa della popolazione, delle associazioni ambientaliste e della stampa, nazionale e locale, per l’esito delle operazioni, sicuramente non conforme alle prescrizioni contrattuali e di capitolato. Di tal che l’eccessiva difformità della sabbia sversata da quella prevista in capitolato ha finito per alterare profondamente ed irreversibilmente, ben al di là di quanto fosse strettamente necessario per il conseguimento degli obiettivi di protezione civile, la morfologia originaria del litorale, rendendo l’opera del tutto inidonea ad una funzione essenziale per la quale era stata programmata; opera che veniva, perciò, ritenuta dai primi giudici totalmente inaccettabile e dunque inutile, con conseguente danno patrimoniale pari alla totalità della spesa sostenuta per l’intervento, oltre al danno all’immagine che ne è derivato per la Provincia di Cagliari a causa dell’esito disastroso dell’operazione ed il risalto che, per lungo tempo, sulla stampa locale e nazionale, il medesimo ha avuto.
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Quanto agli sviluppi dei procedimenti penali che hanno riguardato gli appellanti, riferiti ai suddetti lavori di ripascimento, si rammenta che:
- con sentenza n. 1562 del 4 luglio 2008, depositata il 23 gennaio 2009, il Tribunale penale di Cagliari ha assolto il GELLON dal reato di falsità ideologica in atto pubblico di cui all’art. 479 c.p. per non aver commesso il fatto, ed aveva condannato gli imputati PISTIS e GARDU alla pena di anni tre ciascuno di reclusione, ZIRONE alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, MULAS alla pena di anni due di reclusione per il delitto di danneggiamento aggravato e di abuso d’ufficio; ATZENI, ORRU’ e SERRA alla pena di anni uno e mesi quattro ciascuno per il delitto di falsità ideologica in atto pubblico.
- con sentenza n. 1021/2009 depositata il 1° marzo 2010 la Corte di appello di Cagliari, sezione penale, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli appellanti per i reati ad essi ascritti in quanto estinti per prescrizione, confermando le statuizioni civili.
- la Corte di Cassazione, con sentenza n. 36153/11 del 5.10.2011, ha annullato la sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 1021/2009 limitatamente alle statuizioni civili, mantenendo ferma la sentenza dichiarativa della prescrizione, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
- la Corte di appello di Cagliari, sezione penale, con sentenza n. 333 del 9. 04.2009, depositata l’8 aprile 2010, ha assolto il BALLETTO dal reato di danneggiamento aggravato (per il quale era stato condannato alla pena di mesi dieci di reclusione con sentenza del GIP di Cagliari n. 391/06 depositata il 30.06.2007) per non aver commesso il fatto, statuizioni confermate dalla Cassazione con sentenza n. 43739/2010 depositata il 10.12.2010.
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Tutti i convenuti, ad eccezione del signor Luigi ASCHIERI, hanno proposto appello sia avverso la sentenza parziale della Sezione territoriale sarda n. 1830/2008 che avverso quella definitiva n. 1003/2009, prospettando i seguenti motivi di gravame:
CABRAS Sandro (appello n. 36520):
1 - Prescrizione dell’azione di responsabilità: Rileva l’appellante che i comportamenti contestati all’ing. CABRAS, quale Dirigente del Settore Viabilità e Trasporti della Provincia di Cagliari e Responsabile del procedimento fino al 31 dicembre 2001, sono tutti riferibili unicamente alla procedura di indizione della gara e di affidamento dell’appalto. In carenza di atti interruttivi della prescrizione prima della notifica, nel marzo 2007, dell’avviso a dedurre, l’azione di responsabilità riguardante fatti commessi antecedentemente all’immediato quinquennio si è prescritta. Le inadempienze successive al suo pensionamento, e cioè quelle in sede di esecuzione, hanno autonoma rilevanza e sono ascrivibili ad altri soggetti, cioè all’operato dell’impresa e di coloro che erano stati preposti a vigilare sulla regolare esecuzione dei lavori. Poiché il danno consiste in un “supposto danneggiamento ambientale”, lo stesso si è manifestato sin dall’8 marzo 2002 e la conseguente azione, esercitata nei confronti del CABRAS tramite invito a dedurre del 22 marzo 2007, è intempestiva.
2 – Insussistenza del supposto danneggiamento: Rileva l’appellante che è stato il Ministero della protezione civile e non il Ministero dei LL.PP. a sovrintendere l’opera, destinata alla “preminente tutela delle esigenze di salvaguardia dell’arenile”. La possibilità del prelievo di sabbia dai fondali marini (e non da cave di terra) è stata accettata dal Ministero della Protezione civile. Ai fini della responsabilità non rileva, tuttavia, la sede del prelievo, quanto piuttosto il fatto che le sabbie prelevate (marine o terrestri) per il ripascimento dovessero avere le caratteristiche granulometriche e chimiche predefinite dalla stazione appaltante.
3 – Insussistenza della responsabilità soggettiva: Nel corso della prima Conferenza dei servizi del 2 agosto 1999, l’imminenza della scadenza del termine per la fruizione di finanziamenti europei (31 dicembre 1999) impose di inserire negli atti di appalto la previsione dell’estrazione via mare. Diversamente, si sarebbe perduto il finanziamento. Nel settembre 1999 il CABRAS è nominato responsabile del procedimento e, nel clima di pressante urgenza, dà impulso alla procedura di gara. Ma la prima aggiudicazione all’ATI Mantovani, effettuata dal CABRAS, viene annullata dal TAR. Dopo la seconda aggiudicazione – ritenuta legittima – gli eventuali inadempimenti della ditta affidataria concernono la fase esecutiva dell’appalto, alla quale il CABRAS è del tutto estraneo.
Il CABRAS ha valutato la congruità del prezzo offerto, non ha avuto elementi per ritenere l’impresa aggiudicataria (società di rilevanza nazionale) inaffidabile o inefficiente; i ritardi dell’impresa sono stati conseguenza delle vicende giudiziarie; la proroga di 120 giorni concessa all’impresa esecutrice dopo una prima intimazione al completamento si giustifica con la sopravvenuta mareggiata.
Non sussiste alcun favoritismo nei confronti dell’impresa, poiché l’appellante ha operato in buona fede ed a tutela dell’interesse pubblico, ed è estraneo al fatto che in fase esecutiva siano stati immessi materiali diversi da quelli previsti dal CSA.
In data 12.01.2012 l’Ing. CABRAS ha ribadito le proprie doglianze depositando memoria difensiva.
MULAS Lorenzo (appello n. 36547):
1 – Difetto di giurisdizione: Sostiene l’appellante che il ripascimento della spiaggia del Poetto è un’opera di protezione civile, il che spiega la competenza della Provincia di Cagliari ad appaltare i lavori. La citazione, invece, ha chiesto il rimborso delle spese sostenute “sul presupposto del danno ambientale come contestato in sede penale”. Da qui, a parere dell’appellante, l’eccepito difetto di giurisdizione della Corte dei conti.
2 – Prescrizione dell’azione di responsabilità : Il “danno ambientale” era immediatamente conoscibile sin dal momento del primo sversamento della sabbia di mare ed era immediatamente quantificabile sin dal pagamento dell’ultimo SAL, avvenuto in data 22 marzo 2002. La citazione è stata notificata il 23 luglio 2007, quindi decorso il quinquennio prescrizionale.
3 - Nullità dell’atto di citazione: Espone in sintesi l’appellante che dalla citazione non è dato evincere quale sia stata la condotta contestata all’ing. MULAS né in qual maniera egli avrebbe dovuto rendersi conto che l’opera veniva realizzata in asserita difformità del progetto approvato.
4 – Insussistenza della responsabilità soggettiva: Le norme richiamate in sentenza quanto ai compiti del Responsabile del procedimento sono errate, poiché il Responsabile deve vigilare sulle problematiche amministrative e di controllo e verificare la coerenza delle procedure attuate con quelle previste in contratto. Solo alla Direzione dei lavori, alla Commissione di Monitoraggio ed ai collaudatori in corso d’opera competeva il giudizio sull’accettazione del materiale ed il sindacato sulla qualità della sabbia. L’ing. MULAS – quale esperto di viabilità incaricato, con altri, della sola parte di progettazione relativa al nuovo sistema viario – non aveva alcun obbligo di sindacare la congruità dell’offerta dell’impresa aggiudicataria dei lavori. Egli partecipò alla Commissione aggiudicatrice solo in quanto coordinatore del progetto e per fornire eventuali chiarimenti, e dunque non può rispondere di vizi concernenti l’apporto della sabbia.
La sua posizione individuale non è equiparabile a quella dell’ing. CABRAS, avendo ciascuno preso parte ad eventi diversi. Precisa inoltre che egli non aveva alcun potere di ordinare la sospensione dei lavori, poiché gli atti in suo possesso non indicavano alcuna anomalia. Precisa, infine, che le dichiarazioni da lui rese in sede penale si riferiscono al periodo temporale anteriore alla fase dello sversamento della sabbia.
5 – Insussistenza del danno: Osserva l’appellante che la sabbia sversata “è compatibile con il materiale utile a preservare il litorale e salvaguardare l’incolumità delle persone” e ha garantito il normale uso della spiaggia evitando l’impraticabilità della stessa. Se, dunque, delle due finalità dell’opera almeno una è stata raggiunta, quella di protezione civile, conclude l’ing. MULAS, non sussiste l’inutilità dell’opera e, quindi, l’asserito danno.
In data 21 ottobre 2011 è stata depositata ulteriore memoria difensiva per l’ing. MULAS, riepilogativa delle argomentazioni già esposte.
COLANTONI Paolo, GARDU Andrea, PISTIS Salvatore (app. n. 36588):
1 – Difetto di giurisdizione (punti n. V, n. XII, n. XIV): Il concetto adoperato in sentenza, che imposta l’asserito danno sulla “inesatta esecuzione del contratto” è una “formula vuota e inconsistente”. La vera qualificazione del danno, secondo gli appellanti, è quella che si ricava a pag. 99 della sentenza: si tratta di un danno ambientale, per deturpamento della spiaggia e per danneggiamento dell’arenile. Ma la Corte dei conti non ha giurisdizione su tale tipologia di danno. Titolare dell’azione è solo lo Stato in persona del Ministero dell’Ambiente, che però non ha svolto alcuna istruttoria e non ha attivato la Procura regionale cagliaritana. Inoltre, relativamente al prof. COLANTONI si eccepisce anche il difetto di giurisdizione per carenza di rapporto di servizio. Egli era mero consulente esterno dell’Ufficio della D.L. per aspetti tecnici particolari (condizioni sedimentologiche e granulometriche dei corpi geologici individuati dall’impresa come possibili fonti di approvvigionamento) per cui non aveva alcun obbligo di occuparsi del colore o della composizione della sabbia.
2 – Violazione art. 183 c.p.c. (punto n. I): A seguito dell’ordinanza istruttoria n. 149/2008 sono stati acquisiti gli atti del processo penale e dei giudizi civili pendenti in parallelo al giudizio contabile. All’udienza del 9 marzo 2009 la Corte giudicante, con ordinanza a verbale in pari data, non ha concesso il termine richiesto per il deposito di note istruttorie, violando l’art. 183 comma 8, c.p.c. e le regole del giusto processo, così comprimendo il diritto a contro dedurre.
3 – Nullità della citazione – chiamata in causa (punto n. II): Il Prof. COLANTONI è stato citato in giudizio su ordine del giudice, senza che gli sia stato previamente notificato l’invito a dedurre e senza essere stato edotto dell’addebito che gli veniva mosso. Ciò costituirebbe violazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost., del principio del diritto di difesa di cui all’ art. 24 Cost. e dell’art. 163 c.p.c.
In subordine, si solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, del D.L. n. 453/1993 nella parte in cui non prevede la notifica dell’invito a dedurre a seguito dell’ordine di integrazione del contraddittorio per violazione degli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione.
4 – Inesistenza del danno dal punto di vista tecnico-scientifico (punti n. III, n. IV, n. V, n. VI, n. VII, n. VIII, n. IX, n. X, n. XIII): La sentenza impugnata avrebbe acriticamente avallato la tesi che la sabbia di ripascimento dovesse essere “identica a quella preesistente”, pervenendo ad un giudizio di inaccettabilità dell’opera.
In realtà, sostengono gli appellanti, obiettivo del progetto era “la ricostruzione della spiaggia sommersa”, la “difesa costiera” e, quindi, la ricostruzione della sola morfologia e non certo dell’aspetto estetico del litorale del Poetto. Dei tre parametri (granulometria, colore, composizione mineralogica) è vero che almeno due (colore e composizione mineralogica) non avevano influenza sulla tenuta del litorale, ma questo - secondo l’avviso degli appellanti – non dimostra, sul piano scientifico che vi fossero finalità estetiche o paesaggistiche nel progetto.
5 – Inesistenza della colpevolezza (punto n. XVI): Non corrisponderebbe al vero l’affermazione che i parametri di accettazione della sabbia sono stati modificati dalla Direzione dei lavori, che operò secondo lo spirito della finalità della difesa costiera. Le caratteristiche della sabbia prelevata erano “perfettamente in linea con i parametri di accettazione progettuale”.
Quindi non sussiste dolo o colpa.
6 – Compensazione o riduzione del danno (punto n. VV): Al riguardo gli appellanti, premesso che si tratta di un “danno ambientale”, sostengono che nel quantificarlo la sentenza ha adoperato un parametro “alquanto frettoloso e semplicistico”. La spiaggia del Poetto dal 2002 è oggetto di “enorme fruizione da parte dell’utenza”, è stata oggetto di riconoscimenti di portata nazionale quanto a gradimento e fruizione turistica, di numerosissime concessioni per stabilimenti balneari e locali di ristoro. Dalla spiaggia, dunque, “si introitano somme di denaro di gran lunga maggiori di quanto precedentemente avveniva”: deve essere, pertanto, calcolata la compensatio lucri cum damno.
7 – Inesistenza e/o improcedibilità del danno all’immagine (punto n. XVII): L’azione per danno all’immagine sarebbe improcedibile per tutti e tre gli appellanti, ai sensi dell’art. 17, comma 30, del D.L. n. 78/2009. Inoltre, secondo l’impostazione dogmatica della figura di danno, amministrazione danneggiata è lo Stato e non la Provincia di Cagliari.
8 – Parziarietà dell’obbligazione (punto n. XVIII): Quanto alla solidarietà dell’obbligazione, si rileva che più correttamente, ed in armonia con le richieste della Procura attrice, il risarcimento del danno deve essere proporzionato all’effettiva partecipazione di ciascuno degli appellanti al fatto dannoso.
9 – Richieste istruttorie (punti n. XII e n. XIX): Si richiede l’effettuazione di una CTU (richiesta già disattesa in primo grado) sulle finalità del progetto, sui risultati conseguiti, sulla valutazione dell’opera, sulla granulometria, sulla mineralogia e torbidità, sul colore, in generale sulle caratteristiche delle sabbie. Si richiede, altresì, prova per testi (Direttore agenzia Entrate di Cagliari) sugli aumenti di introiti dal 2002 ad oggi per canoni demaniali.
In data 13 gennaio 2012 è stata depositata ulteriore memoria riepilogativa nell’interesse dei tre appellanti.
FRANCO Leopoldo (appello n. 36383):
1 – Difetto di giurisdizione (motivo n. 3): l’appellante, esperto di idraulica marittima, sulla base di una convenzione stipulata con la Provincia di Cagliari il 10 aprile 2000 è stato nominato consulente esterno per la Direzione dei lavori, esclusivamente “per quanto riguarda il monitoraggio delle condizioni meteo marine e dei loro effetti sulle opere da realizzarsi e la nuova linea di costa”, senza assumere alcuna responsabilità “né di firma né di condivisione di titolarità degli atti progettuali e di gara”.
Ciò comporta l’inesistenza di un rapporto di servizio idoneo a fondare la giurisdizione contabile.
2 – Violazione dei diritti di deduzione e difesa (motivo n. 2): La citazione in giudizio del prof. FRANCO, disposta d’ufficio con l’ordinanza n. 6/2008, è nulla o inammissibile, per violazione del principio del giusto processo (art. 111 Cost.), del principio del diritto alla difesa (art. 24 Cost.), ovvero in applicazione dell’art. 163 c.p.c.
Lamenta l’appellante che a lui non è stato previamente notificato l’invito a dedurre, per cui non ha potuto conoscere la sostanza degli addebiti a lui mossi e da ciò è derivata una compressione del diritto di difesa.
3 – Inesistenza del danno (motivo n. 1): Sostiene il prof. FRANCO che la condanna contabile molto probabilmente è scaturita “da un pregiudizio di natura fondamentalista-ambientalista” che ha contagiato prima la Procura attrice e poi la Sezione giudicante. In realtà, l’utilizzo di sabbia marina pompata da draghe ha comportato “un onere complessivo assai minore rispetto al trasporto terrestre da cave…con conseguente abbattimento dell’inquinamento e del traffico dovuti all’andirivieni di interminabili file di camion in entrata ed in uscita dalla spiaggia”. Le finalità per le quali l’opera è stata finanziata con il pubblico denaro sarebbero state tutte realizzate: al Poetto è oggi presente una nuova spiaggia a presidio e consolidamento del litorale, funzionale a fini balneari, affollatissima, pulita, di successo, con sostanziale riuscita dei lavori di difesa costiera e loro tenuta nel corso degli anni. La Sezione di primo grado, invece, avrebbe giudicato l’opera “tramite sottigliezze di natura tecnica” ed ha disatteso la richiesta di una CTU.
4 – Insussistenza del nesso causale e della responsabilità soggettiva (motivi n. 1 e n. 3): Sostiene l’appellante che la responsabilità addebitata al prof. FRANCO è basata esclusivamente sulla lettera inviata alla Provincia di Cagliari in data 15 marzo 2002, nella quale l’appellante “formulò, in piena autonomia, alcune riflessioni in ordine alla compatibilità della sabbia di riporto rispetto a quella natìa.” Assume l’appellante che non sussisterebbe alcun nesso etiologico, né alcun contributo agevolativo che l’invio della lettera abbia avuto rispetto all’evento dannoso asseritamente verificatosi. Pertanto nel comportamento del Prof. FRANCO non è ravvisabile né dolo, né imperizia o negligenza.
5 – Insussistenza del danno all’immagine (motivo n. 4): Fermo restando che il comportamento dell’appellante non ha avuto alcun rilievo causale nel verificarsi dell’asserito danno patrimoniale, quanto al danno all’immagine, secondo l’avviso del prof. FRANCO lo stesso non sarebbe giuridicamente perseguibile, ai sensi dell’art. 17, comma 30-ter, del D.L. n. 78/2009, in quanto non vi è stata condanna per delitti propri della pubblica amministrazione.
Con memoria depositata il 20 ottobre 2011 l’appellante ha ulteriormente argomentato i motivi di gravame.
GELLON Antonello Primo Luciano (appello n. 36477):
Il ricorrente, anziché prospettare specifici motivi di gravame, nel suo atto di appello ha ripercorso attraverso ben 25 punti l’intera vicenda contenziosa, svolgendo argomentazioni difensive in ordine a presunte manchevolezze e contraddittorietà della sentenza.
Le doglianze, nei loro essenziali profili giuridici, possono essere sintetizzate come di seguito.
Nella funzione di assistente o direttore operativo (art. 25 Reg. attuazione legge quadro sui lavori pubblici) e sulla base della scrittura privata n. 42 del 14.02.2000 il GELLON aveva il compito di effettuare “verifiche speditive in draga”, di attestare la bontà della sabbia (ma senza effettuare alcuna comparazione con i parametri contrattuali), di verificare ogni singola fornitura senza alcuna precisazione in ordine alla composizione dei campioni da verificare.
Egli, con gli strumenti tecnici messi a sua disposizione (una serie di quattro setacci) ha potuto effettuare solo un “riconoscimento macroscopico a occhio” , classificando i campioni prelevati di sabbia in tre “grandi famiglie”: grossa, media e fine. Egli ignorava (perché mai consegnatigli da nessuno) i parametri contrattuali ai quali occorreva comparare il materiale prelevato. Solo i due direttori dei lavori conoscevano le norme contrattuali e potevano effettuare la comparazione, avvalendosi di analisi e valutazioni tecnico-scientifiche eseguite a terra. Sulla scorta di elementi oggettivi è indiscutibile e palese la difformità tra materiale prelevato e previsioni contrattuali. Ma il GELLON non ha mai dichiarato che la sabbia prelevata fosse conforme alle prescrizioni contrattuali, e si è limitato a trasmettere in tempo reale alla Direzione dei lavori i risultati delle verifiche speditive e “ad occhio” effettuate sulla draga.
Rammenta inoltre il GELLON di essere stato assolto in sede penale dall’accusa di falsa attestazione della conformità mineralogica e granulometrica del materiale prelevato in mare e riversato sul litorale. E’ errata, pertanto, la valutazione dolosa della sua condotta.
In data 19 ottobre 2011 il GELLON ha depositato memoria difensiva nella quale si è soffermato sulla assenza di nesso causale fra la sua condotta e il danno erariale, sulla assenza di dolo e di colpa grave.
ATZENI Andrea – ORRU’ Paolo – SERRA Giovanni (app. n. 36599):
1 – Difetto di giurisdizione: Secondo l’avviso degli appellanti, il difetto sussisterebbe sotto due profili:
- in quanto è stato perseguito un “danno ambientale”;
- in quanto non sussisteva alcun rapporto di servizio tra la Provincia di Cagliari e gli appellanti, componenti della Commissione scientifica di monitoraggio, non attributaria di alcuna potestà amministrativa, che ha espresso solo giudizi tecnici non confluiti in alcun procedimento amministrativo e non preordinati né alla liquidazione del compenso all’appaltatore, né al collaudo dei lavori.
2 – Insussistenza della responsabilità amministrativa e del nesso causale
Deducono altresì gli appellanti che non sussisterebbe alcuna delle condotte dannose ascritte alla Commissione. Quest’ultima, pur non disponendo di poteri di intervento, non avrebbe sottovalutato il problema dell’analisi della sabbia utilizzabile, tanto che ha raccomandato alla Direzione dei lavori l’effettuazione dei controlli. Né sarebbero scientificamente errati i giudizi tecnici che la Commissione ha espresso in risposta ai quesiti formulati dalla Capitaneria di Porto nel corso della riunione del 22 marzo 2001. La Commissione, infatti, non ha preso in considerazione quali parametri di raffronto “il contratto ed i relativi allegati, che non conosceva e non aveva motivo di esaminare in ragione dei suoi compiti”, ma si è attenuta ai “dati” delle analisi effettuate dalla Direzione dei lavori.
Né sussiste alcun legame di causalità tra i comportamenti e l’evento asseritamente dannoso, atteso che le valutazioni della Commissione sono state effettuate dopo il pagamento del SAL n. 4 e dopo che era stato completato lo sversamento della sabbia. Né le valutazioni della Commissione sono state richiamate in alcun atto del procedimento o nei provvedimenti di liquidazione del compenso o nell’approvazione degli atti di collaudo. L’integrale correttezza scientifica dei giudizi espressi dai componenti della Commissione ed il loro essere non condizionati “dallo sconcerto e dall’allarme della popolazione” escludono qualunque dolosità o colpevolezza grave “anche in ragione delle discrasie rinvenibili nei documenti progettuali messi a loro disposizione”.
3 – Insussistenza del danno: la tesi sostenuta dalla Corte territoriale, secondo cui costituiscono parte integrante ed essenziale del contratto i soli documenti progettuali richiamati dall’art. 110 del D.P.R. n. 554/1999, che servono ad individuare le obbligazioni gravanti sull’appaltatore, sarebbe errata. Il consenso contrattuale si fonda, secondo gli appellanti, sulla totalità dei documenti progettuali. Inoltre, la finalità dell’opera era quella della salvaguardia e stabilizzazione del litorale, dunque esclusivamente di protezione civile. L’intervento realizzato non solo ha rivitalizzato l’arenile, ma lo avrebbe anche migliorato sul piano estetico. In definitiva, non c’è stato alcun danno né all’ambiente, né derivante da cattiva esecuzione dei lavori. Né gli oneri di monitoraggio dovevano essere inclusi nel presunto danno, stante il valore scientifico degli studi effettuati.
4 – Insussistenza del danno all’immagine: Del danno all’immagine non possono essere chiamati a rispondere gli appellanti, ai sensi dell’art. 17, comma 30ter del D.L. n. 78/2009, non sussistendo i presupposti di legge.
Con memoria depositata il 21 ottobre 2011 gli appellanti hanno ulteriormente illustrato le proprie tesi difensive, anche in replica alle conclusioni della Procura generale.
RITOSSA Gian Paolo e CONCAS Mario (appelli nn. 36587-36912)
I signori RITOSSA e CONCAS hanno impugnato tramite un atto notificato al Procuratore regionale il 16 novembre 2009 e depositato l’11 dicembre 2009 e, successivamente, un identico atto depositato il 27 gennaio 2010.
I due appellanti, attraverso una lunga esposizione in fatto, poi ripetuta in diritto, hanno prospettato ben 15 motivi di gravame, spesso costituenti unicamente argomentazioni difensive ulteriori svolte in ordine ad un’identica e sola censura rivolta avverso le sentenze (parziale e definitiva) emesse in primo grado. I motivi di gravame sono in sintesi:
1 – Nullità della citazione (motivi n. 9, n. 10, n. 13): Con la chiamata in giudizio iussu iudicis, non preceduta dalla notificazione dell’invito a dedurre, né dalla comunicazione delle memorie di costituzione degli altri convenuti, sarebbero stati violati il principio della domanda di cui all’art. 99 c.p.c., il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 101 c.p.c., la posizione di terzietà del giudice sancita dall’art. 111 Cost. nonché il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa.
2 – Prescrizione dell’azione (motivo n. 11): Vi sarebbe contraddittorietà fra la sentenza parziale e la sentenza definitiva. La prima afferma che l’esordio prescrizionale si è attestato al momento del collaudo finale, quando il danno è divenuto certo ed attuale. La seconda, ritenendo la responsabilità dei collaudatori in corso d’opera per comportamenti anteriori al collaudo finale, per ciò stesso sostiene che il danno si sia verificato alla data del 20 marzo 2002 e prima del pagamento del V SAL (in data 15 aprile 2002).
3 – Mancata sospensione del giudizio (motivo n. 15):
Sostengono in proposito gli appellanti che l’esito del giudizio penale e dei giudizi civili pendenti in altra sede avrebbe potuto incidere significativamente sul giudizio di responsabilità. Nel rigettare l’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c. proposta dai convenuti, il giudice di primo grado sarebbe caduto in contraddizione con quanto affermato nell’ordinanza n. 149/2008, con la quale invece ha ritenuto la causa non matura per la decisione ed ha ordinato un supplemento istruttorio.
4 – Utilizzazione di atti provenienti dal processo penale (motivo n. 12):
La sentenza contabile di condanna si baserebbe su atti ed attività che hanno riguardato la fase del procedimento penale svolto a carico di soggetti diversi dai collaudatori. Si tratta, secondo gli appellanti, di atti ed attività non assistiti dalle garanzie tipiche delle dichiarazioni testimoniali assunte nella fase dibattimentale. Vi sarebbe stata, in tal guisa, violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione.
5 – Insussistenza della responsabilità (motivi n. 1, n. 2, n. 4, n. 6, n. 7):
Erronea è l’interpretazione delle norme e la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza circa i compiti dei collaudatori in corso d’opera e le violazioni di obblighi di servizio addebitati agli stessi.
Ciò in quanto i signori RITOSSA e CONCAS hanno diligentemente assolto i loro compiti, hanno tempestivamente trasmesso il verbale di collaudo del 20 marzo 2002 senza avvalersi del termine di trenta giorni dalla data della visita previsto dall’art. 194, 3° comma, D.P.R. n. 554/99.
Osservano altresì i ricorrenti che, sulla scorta dei rilievi ed osservazioni formulate nel verbale – inviato il 28 marzo 2002 – l’ amministrazione avrebbe potuto effettuare il pagamento del SAL solo all’esito delle analisi commissionate al prof. Valloni, analisi opportune per procedere poi ad un corretto collaudo finale. Nella visita del 20 marzo 2002 le analisi prodotte dalla Direzione dei lavori davano “risultati sostanzialmente positivi quanto alla granulometria della sabbia”, mentre la difformità rispetto ai valori di riferimento concerneva solo l’aspetto composizionale.
Dal 30 marzo al 19 aprile 2002, poi, i lavori furono sospesi a causa del rinvenimento di un ordigno bellico.
Deducono ancora gli appellanti che i verbali di collaudo n. 6 del 3 aprile 2002, n. 7 del 6 aprile 2002 e n. 8 del 17 aprile 2002 dimostrano la correttezza dell’operato dei collaudatori, i quali hanno esattamente interpretato la normativa contrattuale. Riferiscono quindi che il condirettore dei lavori, dr. PISTIS, il 20 marzo 2002 aveva fornito ampie assicurazioni circa il fatto che successivamente sarebbe stata fatta l’analisi composizionale della sabbia presso un laboratorio specializzato. Anche la Commissione di monitoraggio, il 22 marzo 2002, affermò che le caratteristiche granulometriche della sabbia erano perfettamente conformi a quelle del progetto: quindi i collaudatori non potevano avere consapevolezza, come afferma erroneamente la sentenza, delle difformità.
Dopo avere ricevuto i risultati delle analisi del prof. Valloni, i collaudatori formularono un giudizio finale di accettabilità considerando le opere nel loro complesso, in quanto le riscontrate difformità non pregiudicavano la stabilità dell’opera e la fruibilità della spiaggia, e comunque gli stessi hanno applicato consistenti detrazioni per la parte di materiale non conforme.
6 – Insussistenza della colpevolezza, errata affermazione della solidarietà e mancata graduazione soggettiva (motivi n. 5, n. 8, n. 14):
Premesso che i due collaudatori non sono stati coinvolti nel processo penale, gli appellanti osservano che in nessun modo emerge un loro coinvolgimento nell’inesistente “disegno politico” di far eseguire l’opera a tutti i costi, di cui avrebbe riferito il MULAS al Pubblico Ministero penale, con dichiarazioni che sono state arbitrariamente interpretate dalla sentenza penale e con erronea imputazione del dolo intenzionale.
7 – Erronea interpretazione delle norme contrattuali (motivo n. 3):
Precisano gli appellanti che l’allegato 8 al Capitolato speciale di appalto concerne sia l’aspetto granulometrico, sia l’aspetto mineralogico della sabbia ed è stato correttamente interpretato dai collaudatori. Ha errato, pertanto, la sentenza nel ritenere irrilevanti le prescrizioni contenute nel D.M. del Ministero dell’Ambiente n. 407/2001.
Le argomentazioni esposte nel gravame sono state ulteriormente precisate dagli appellanti con memoria depositata il 21 ottobre 2011.
ZIRONE Renzo (appello n. 36598)
1 – Difetto di giurisdizione: Secondo l’appellante il difetto di giurisdizione sul “danno ambientale”, eccepito in primo grado, è stato dal giudice escluso affermandosi che l’azione ha ad oggetto il danno patrimoniale derivante dall’esecuzione del contratto in violazione delle norme progettuali e di capitolato. La decisione sarebbe erronea, in primo luogo perché la Procura avrebbe modificato il contenuto della domanda in sede di discussione orale; inoltre, la sentenza è erronea anche laddove ha ritenuto che sussiste comunque la giurisdizione della Corte dei conti sul danno ambientale ex art. 313, comma 6, del D.lgs. n. 152/06; detta ipotesi si configura solo quando vi sia stata denuncia di danno proveniente dal Ministero dell’Ambiente.
2 – Insussistenza della responsabilità oggettiva: Afferma l’appellante di essere stato nominato Assessore ai lavori pubblici il 26 giugno 2001, solo quando il progetto era stato approvato con tutte le sue incongruenze, l’appalto era stato già aggiudicato all’impresa Mantovani, che aveva proposto il prelievo di sabbia dal mare. Aggiunge di non aver avuto delegato dal Presidente Balletto alcun potere di indirizzo politico; di non aver mai interferito nel corso dei lavori sulle decisioni di competenza del responsabile del procedimento e della direzione dei lavori; di non aver mai espresso alcun giudizio tecnico o scientifico, né sulla corretta interpretazione del contratto.
Egli si è limitato, in buona fede, a controfirmare la nota n. 2909 del 27 dicembre 2001 sulla richiesta di proroga del finanziamento, la nota n. 1444 del 9 gennaio 2009 con la quale si assicurò l’intervento presso il Ministero dell’Ambiente per la correzione delle coordinate e si invitò la ditta a rispettare i tempi contrattuali, la nota n. 13790 del 2 aprile 2002 con la quale si invitava la ditta ad assicurare un adeguato controllo del cantiere a seguito del rinvenimento dell’ordigno bellico. Tutto questo, aggiunge l’appellante, non dimostra alcun ruolo attivo. Né si può ignorare che la Capitaneria di porto aveva indicato le coordinate corrette per il prelievo e competeva alla stessa controllare che la ditta prelevasse il materiale in quella zona.
Egli avrebbe solo controfirmato in buona fede gli atti di competenza della dirigenza, con conseguente applicabilità della scriminante di cui all’art. 1, comma 1-ter della legge n. 20/1994, né era in grado di valutare in termini tecnici quale fosse il reale stato delle cose.
3 – Insussistenza della colpevolezza: All’Assessore ZIRONE, attesa l’inesistenza di poteri ed il ruolo assolto, non può essere mosso alcun addebito di dolo o colpa, né i suoi atti hanno avuto alcuna incidenza causale sul verificarsi dell’asserito danno.
4 – Insussistenza del danno: Secondo l’appellante la Sezione territoriale ha operato una singolare ed erronea ricostruzione delle prescrizioni contrattuali e le sue valutazioni non sarebbero corroborate da alcuna analisi tecnico-scientifica, né trovano conforto nelle relazioni dei consulenti del P.M. e neppure la Corte ha ritenuto di disporre una C.T.U.
5 – Insussistenza del danno all’immagine: Ai sensi dell’art. 17, comma 30 ter, del D.L. n. 78/2009 l’azione contabile per danno all’immagine può esperirsi limitatamente ai casi di condanne irrevocabili per determinati tipi di reato. Inoltre, l’avvenuto miglioramento estetico del litorale escluderebbe che vi sia stato un danno all’immagine.
BALLETTO Sandro (appello n. 36491):
1 – Difetto di giurisdizione: il difetto di giurisdizione, secondo l’appellante, si desume dalla circostanza che, secondo quanto indicato nell’atto di citazione, al BALLETTO è stato contestato di aver provocato un danneggiamento della spiaggia sotto il profilo ambientale, e dunque è indubbio che “lo scenario rappresentato dal P.R. è quello tipico del danno ambientale” per il quale non sussisterebbe giurisdizione.
2 – Nullità per violazione delle regole del giusto processo: sostiene il ricorrente che il primo giudice non ha accolto la richiesta di prova per testi e di svolgimento di una C.T.U., appiattendosi sulle risultanze del processo penale, senza che sia stata svolta autonoma istruttoria contabile e violando il diritto di difesa. Il BALLETTO è stato assolto in sede penale per il reato di danneggiamento e violazione ambientale, con la formula “per non aver commesso il fatto”, nel mentre era stato già assolto dal reato di abuso d’ufficio. Tali assoluzioni hanno efficacia vincolante nel giudizio contabile ex art. 652 c.p.c.
3 – Nullità per mancata sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. Secondo il ricorrente la decisione di non sospendere il processo è ingiustificata, ricorrendo una pregiudizialità logico-giuridica tra processi penale e civile, da un lato, e il giudizio di responsabilità amministrativa dall’altro lato.
4 – Prescrizione dell’azione di responsabilità: Viene contestata la tesi secondo cui l’esordio prescrizionale si sarebbe attestato al momento del collaudo. Ad avviso dell’appellante, poiché il danno contestato è quello “ambientale” e non certo quello riferito alle difformità contrattuali, la prescrizione quinquennale avrebbe iniziato a decorrere dal momento del riversamento della sabbia marina (periodo dal 9 marzo al 24 marzo 2002) o, al più, dal momento del pagamento del SAL n. 4 datato 22 marzo 2002, coincidente con l’ultima fase dello sversamento.
5 – Insussistenza della responsabilità soggettiva – Insussistenza della colpevolezza – Scriminante politica: Rammenta l’appellante che il BALLETTO rivestiva la funzione di Presidente della Provincia ed era privo di qualsiasi conoscenza tecnica specifica dello svolgimento del lavoro sotto il profilo che qui interessa. La responsabilità dell’appalto era del Direttore dei lavori, del Responsabile del procedimento e dei consulenti della D.L. Il BALLETTO non era intestatario della posizione di garanzia che concerne la vicenda: trattandosi di un intervento di protezione civile, la posizione di garanzia, intestata per legge solo al Direttore dei Lavori ed al Responsabile del procedimento, era quella di “garantire l’esecuzione dell’intervento finalizzato a fermare l’erosione del litorale”. In ogni caso, poiché la Procura contabile ha sostenuto che l’intervento aveva una spiccata “valenza ambientale”, la Provincia non aveva alcuna competenza in questa materia.
Il BALLETTO non aveva il potere di sospendere i lavori o di intervenire in altro modo. Egli era un “politico”, con l’unico compito di impartire le direttive generali, chiamare i dirigenti, i tecnici ed i consulenti, recepire i dati a lui forniti dall’apporto tecnico ed esternarli alla popolazione; ragion per cui alla fattispecie si applica la scriminante politica di cui all’art. 1 della legge 20/1994. Sostiene dunque l’appellante che egli, in qualità di Presidente della Provincia, ha posto le “direttive programmatiche”, ma spettava poi all’apparato dirigenziale, tecnico e scientifico applicarle, con ampiezza dei poteri di autonomia e di discrezionalità decisionale e senza che l’organo politico potesse intervenire.
L’unico obiettivo per la Provincia era quello di fermare l’erosione della spiaggia. Inoltre, nessuno è intervenuto nella vicenda per arrestare l’esecuzione dei lavori: non il P.M. penale, che non ha iscritto la notizia di reato e sequestrato il cantiere, non il Ministero dell’Ambiente, non la Regione, non la Capitaneria di Porto, non la Giunta o il Consiglio Provinciale né quello comunale: costoro dovevano essere citati in giudizio. Osserva poi l’appellante che le proteste dell’opinione pubblica erano dovute alle “iniziative da parte degli ambientalisti, che erano contigui politicamente all’opposizione rispetto a BALLETTO” e che “lungi dall’essere dirette alla tutela del bene pubblico, avevano uno scopo esclusivamente politico”.
7 – Insussistenza del danno – Difettosità nella quantificazione del danno e nel riparto intersoggettivo: Secondo il ricorrente l’allegato n. 8 al Capitolato speciale di appalto aveva valore contrattuale e nulla prevedeva in ordine alle sabbie di mare; le analisi del CT del PM penale e del Prof. Renzo Valloni riportano risultati “chiaramente distorti”.
Non esiste difformità tra materiale sversato e materiale previsto contrattualmente e la presenza di pietrame sulla spiaggia è “fenomeno naturale”.
Peraltro i canoni demaniali pagati dagli stabilimenti balneari dal 2002 ad oggi sono quasi quadruplicati e vi è stato incremento dei bagnanti. Per cui, secondo l’appellante, non vi è stato il deterioramento ambientale contestato e, quindi, non vi è danno erariale.
Peraltro, il danno non è stato ripartito per quote da imputare a ciascun convenuto ed il giudice doveva invece considerare i singoli, differenti comportamenti soggettivi, il grado del concorso di colpa di ciascuno, le singole quote di danno da addebitare. In ogni caso, il danno complessivo non può corrispondere all’intera spesa sostenuta dalla Provincia, il ruolo causale svolto dal BALLETTO è del tutto marginale e la quota posta a suo carico deve essere ridotta.
Il ricorrente chiede esperirsi l’escussione di testi e disporsi una CTU, quali prove non ammesse in primo grado.
Il BALLETTO ha impugnato, oltre alle due sentenze emesse in primo grado, quella parziale e la definitiva, anche l’ordinanza collegiale n. 149/2008 del 18.09.2008 e l’ordinanza presidenziale letta a verbale il 9.03.2009, chiedendo che ne venga dichiarata l’illegittimità.
Con memoria depositata il 19 ottobre 2001 il signor BALLETTO ha allegato la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 43739/2010, che ha confermato nei suoi confronti le statuizioni assolutorie della Corte di appello di Cagliari, di cui alla sentenza n. 333/2009.
Pertanto, ai sensi dell’art. 652 c.p.c., di tale assoluzione deve tenersi conto nel presente giudizio ai fini della pronuncia assolutoria nei confronti del BALLETTO.
Con successiva memoria depositata il 12 gennaio 2012 il BALLETTO ha ritenuto di replicare alle conclusioni del Procuratore Generale.
La causa è venuta una prima volta in discussione all’ udienza dell’ 11 novembre 2011, in occasione della quale veniva disposto il rinvio alla udienza odierna, su richiesta degli avvocati e con parere favorevole del Pubblico Ministero di udienza, per provvedere alla riunione dei giudizi e per consentire alle parti di prendere visione dell’appello proposto dal signor GELLON, che non risultava notificato agli altri appellanti.
Alla udienza del 3 febbraio 2012, l’Avvocato Loi per CABRAS ha posto una questione preliminare, chiedendo la sospensione del giudizio di responsabilità per la pendenza del giudizio civile dinanzi al Tribunale di Cagliari, in relazione al quale aveva appreso in mattinata della emissione di una ordinanza istruttoria con cui, fra l’altro, veniva disposta l’acquisizione di una CTU al fine di accertare se la sabbia sversata fosse conforme alle prescrizioni contrattuali. Gli altri difensori non si sono opposti alla richiesta, fatta eccezione per l’Avv. Carruba per FRANCO e l’Avv. Castelli per MULAS, i quali hanno espresso perplessità in ordine al rinvio.
Il Pubblico Ministero di udienza, dopo aver premesso che la giurisprudenza costante di questa Corte ha sempre ritenuto valida, per ragioni di economia processuale, l’acquisizione di elementi di prova formati nel processo penale, si è soffermato sul pieno contraddittorio che ha caratterizzato il giudizio contabile di primo grado, sulla circostanza che il materiale probatorio è da ritenersi, a suo avviso, pienamente sufficiente ai fini del decidere e si è opposto sia alla sospensione del giudizio che al rinvio, essendo le parti convenute nel presente giudizio estranee alla vicenda oggetto del giudizio civile e tenuto conto che un eventuale coordinamento con il giudizio civile può effettuarsi in sede esecutiva.
Il Collegio, riunitosi in camera di consiglio, con ordinanza dettata a verbale ha respinto l’istanza di differimento o di sospensione del giudizio contabile ex art. 295 c.p.c. non ravvisandone validi motivi e disponendo la prosecuzione del giudizio.
Ha preso quindi la parola l’Avv. Corrado Carruba per FRANCO Leopoldo, il quale, richiamandosi a quanto già esposto nella precedente udienza e nella memoria depositata, ha ribadito l’eccezione di difetto di giurisdizione, in base alla circostanza che il prof. FRANCO è stato solo consulente della Direzione dei lavori, e tale ruolo escluderebbe la sussistenza del rapporto di servizio; la prescrizione dell’azione; la violazione dei diritti di difesa per essere stato il suo assistito citato in giudizio a seguito di richiesta di integrazione del contraddittorio da parte del collegio giudicante di Cagliari; l’assenza di dolo o di colpa grave nella condotta del signor FRANCO; l’assenza di danno erariale, l’ingiustizia della condanna per danno all’immagine, atteso che l’appellante è stato estraneo al processo penale, l’assenza di nesso causale. In subordine, ha chiesto che il Collegio valuti la posizione del prof. FRANCO in rapporto agli eventi cagionati, con applicazione del potere riduttivo e compensazione. Ha insistito in via istruttoria per una CTU.
L’Avv. Gian Luigi Falchi e l’Avv. Giovanni Locci per GELLON hanno richiamato l’attenzione sull’intervenuta assoluzione del loro assistito in sede penale dalla imputazione di falso, per cui – dal momento che lo stesso non è stato indagato per il reato di danneggiamento – mancherebbe la condotta illecita rilevante per la condanna in sede contabile.
L’Avv. Piergiorgio Loi per Sandro CABRAS ha posto in evidenza che l’assistito è del tutto estraneo alle inadempienze verificatesi durante la fase esecutiva del contratto, perché a quell’epoca era già in pensione. Né può ritenersi responsabile della scelta di adoperare sabbia marina per il ripascimento, perché tale opzione fu suggerita dal Comune anche per motivi economici. Egli si è fidato delle assicurazioni fornite in ordine alla corretta esecuzione dalla Ditta Mantovani, che peraltro era una delle più specializzate del settore. Ha chiesto pertanto l’assoluzione del CABRAS.
L’Avv. Salvatore Casula e l’Avv. Carlo Castelli per Lorenzo MULAS hanno precisato che il MULAS ha fatto parte del Gruppo di progetto multidisciplinare che riguardava anche il ripascimento del Poetto, e in tale fase egli rivestiva il ruolo di coordinatore del progetto. Anche il ruolo di ingegnere Capo, da lui svolto, non aveva alcun rilievo all’interno di tale procedimento. Non corrisponderebbe al vero che il MULAS ha fatto parte di una Commissione per la verifica dell’offerta; in ogni caso, la fase di esecuzione del contratto era sottoposta a molteplici controlli, anche esterni, da parte della Capitaneria di porto. Hanno precisato altresì che quando vi fu l’inserimento in progetto dell’alternativa del prelievo dal mare egli non faceva più parte del gruppo di progetto e pertanto hanno chiesto l’assoluzione e, in subordine, l’applicazione del potere riduttivo.
L’Avv. Renato Margelli per Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS ha rilevato che gli appellanti sono stati chiamati in giudizio iussu iudicis e che non sono stati parte del processo penale. A differenza di quanto indicato dai primi giudici, risulta poi dagli atti che i collaudatori hanno sollevato rilievi ai sensi dell’art. 194, 3° comma della legge 554 del 1999 per ben sei volte, a partire dalla visita del 6 marzo 2002 ed hanno poi proceduto a collaudare l’opera, sia pure con detrazioni pari al 36 per cento dei lavori, dal momento che non si poteva escludere la stabilità dell’opera e la fruibilità del servizio. Hanno contestato infine la sussistenza del dolo e del danno, da ritenersi già prescritto.
L’Avv. Alessandro Cassiani per Salvatore PISTIS, Paolo COLANTONI e Andrea GARDU ha osservato che la sentenza impugnata ha erroneamente individuato nel ripascimento una funzione estetica, mentre in realtà tale intervento aveva finalità di protezione civile, e quindi la funzione è stata realizzata e la spiaggia ha avuto la sua utilità ed il suo impiego. Ha chiesto l’accoglimento dell’appello e ha insistito per la C.T.U.
L’Avv. Sergio Segneri per Renzo ZIRONE ha depositato una pubblicazione della spiaggia del Poetto da cui si evince lo stato dell’arenile prima e dopo l’intervento di ripascimento ed ha precisato che il ricorrente era Assessore ai Lavori Pubblici senza delega, quindi pur essendosi reso parte attiva nel procedimento ed avendo partecipato a riunioni, non aveva tuttavia poteri decisionali in grado di incidere nelle scelte. Ha sostenuto inoltre che ZIRONE, indipendentemente dal procedimento penale, non ha agito con dolo, dal momento che vi erano delle intrinseche contraddizioni nel capitolato. L’Avv. Daniela Piras ha ribadito che il signor ZIRONE non aveva la consapevolezza di quanto stesse avvenendo dal punto di vista tecnico, dal momento che egli non era un tecnico. Insiste per una C.T.U.
L’Avv. Segneri per i componenti della Commissione di Monitoraggio Andrea ATZENI, Paolo ORRU’ e Giovanni SERRA ha sottolineato che tale Commissione era un organismo di carattere scientifico che aveva il compito di vagliare gli effetti del ripascimento sull’arenile, con compiti di carattere consultivo e dunque non era un organo di alta sorveglianza con poteri di intervento diretto in grado di condizionare l’operato dei tecnici. La loro condotta non fu indifferente, anzi si attivarono per raccomandare massima attenzione e richiesero i dovuti approfondimenti allorché il prof. COLANTONI manifestò perplessità sui risultati delle analisi effettuate dall’impresa. Ha escluso il dolo ed ha insistito per la correttezza delle valutazioni tecnico-scientifiche espresse dalla Commissione, sul difetto di giurisdizione e sulla finalità di protezione civile dell’intervento. Ha chiesto l’assoluzione e, se del caso, l’effettuazione di una C.T.U.
Anche l’Avv. Daniela Piras ha insistito sull’assenza di danno e sulla mancanza di dolo per la contraddizione manifesta fra le disposizioni del contratto e gli allegati progettuali.
L’Avv. Rodolfo Meloni per Sandro BALLETTO ha messo in evidenza che il suo assistito è stato assolto nel giudizio penale per non aver commesso il fatto. Ha reiterato l’eccezione di difetto di giurisdizione sul danno ambientale, per avere il primo giudice, a suo avviso, imputato al BALLETTO il danneggiamento della spiaggia; la violazione dell’art. 111 della Costituzione e del diritto di difesa, poiché gli atti del processo penale non si sono formati in contraddittorio fra le parti; la valenza assolutoria della sentenza penale, sia pure emessa con rito abbreviato; l’applicabilità al BALLETTO dell’esimente politica; la prescrizione dell’azione di responsabilità; la non imputabilità al medesimo del danno all’immagine.
Il Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott.ssa Alessandra Pomponio, ha respinto l’eccepito difetto di giurisdizione sia sotto il profilo del danno ambientale, poiché il danno contestato è solo quello patrimoniale derivante dalla cattiva esecuzione dell’appalto, oltre al danno all’immagine; sia sotto il profilo dell’assenza del rapporto di servizio. Ha ricordato poi che l’integrazione del contradditorio è istituto già ritenuto compatibile con l’art. 111 della Costituzione dalla Corte costituzionale, e che è pacifico che esso non debba essere preceduto da invito a dedurre, poiché le difese vengono svolte in sede processuale. Quanto alla prescrizione, ha ribadito che l’unico momento in cui diviene oggettivamente irreversibile il danno è il collaudo finale. Nel merito, ha specificato che l’intervento aveva non solo la finalità di protezione civile ma anche quella di riassetto estetico del litorale e che entrambe le finalità erano inscindibili fra loro, che si trattava di un intervento di estrema delicatezza e nella sua esecuzione è stata purtroppo realizzata una macroscopica difformità rispetto alle prescrizioni contrattuali, rilevata anche dalla Corte di cassazione, la quale ha avuto il suo riflesso anche sul danno all’immagine della P.A. Poiché, dunque, la finalità non è stata raggiunta, il P.M. osserva che vi è anche l’impossibilità di valutare l’asserita utilità dell’opera. Sul danno all’immagine, rileva che esso sussiste anche in assenza di una responsabilità di tipo penale e, comunque, contesta l’eccezione di inammissibilità dello stesso. Il P.M. si è infine soffermato sulle singole posizioni dei vari appellanti nella vicenda, richiamandosi alle sentenze già emesse ed alle conclusioni scritte.
Considerato in
DIRITTO
Gli appelli vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto proposti tutti avverso le sentenze n. 1830/08 del 18.09.2008 e n. 1003/09 del 21.07.2009 della Sezione giurisdizionale della Sardegna.
1. Va innanzitutto esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione, formulata dagli appellanti sia con riferimento al danno ambientale contestato in sede penale (appellanti MULAS, GARDU, PISTIS, COLANTONI, ZIRONE, BALLETTO, FRANCO) sia con riferimento alla insussistenza di rapporto di servizio (ATZENI, ORRU’, SERRA).
Ebbene, osserva il Collegio che il difetto di giurisdizione, come già rilevato dal giudice di prime cure con sentenza parziale n. 1830/08, non ricorre per i profili prospettati dagli appellanti.
Difetto di giurisdizione per danno ambientale - In primo luogo, dalle richieste formulate nella citazione introduttiva, dai chiarimenti intervenuti durante il giudizio di primo grado e dalla documentazione probatoria in atti, si evince chiaramente che il danno in contestazione è solo quello, di natura patrimoniale, derivante dall’esecuzione del contratto in violazione delle norme progettuali e di capitolato e non certo il danno ambientale.
Proprio in ragione della sua peculiarità e della duplice finalità che mirava a realizzare (difesa della costa e salvaguardia dell’aspetto estetico del litorale), l’intervento presupponeva, come condizione ineludibile, non solo l’impiego di materiale di buona qualità – che è regola di carattere generale nel contratto di appalto dei lavori sia pubblici che privati, in quanto condizionante l’esecuzione dell’opera a regola d’arte – ma di materiale il più possibile corrispondente, per dimensioni, consistenza, tipo e qualità, rispetto a quello preesistente nel sito di lavorazione, al fine di evitare che l’intervento a difesa della costa comportasse, come invece avvenuto, lo stravolgimento delle caratteristiche di bene di rilievo ambientale che aveva la spiaggia. Quindi il punto nodale dell’intervento, sia nelle fasi di studio e di progettazione, sia in quelle dell’esecuzione, della vigilanza e dei controlli, tecnici e scientifici, è consistito, da un lato, nella valutazione delle caratteristiche essenziali del materiale – sabbia e, dall’altro, nella individuazione delle modalità e dei tempi necessari alla sua sistemazione nei siti prescelti: condizioni queste indispensabili per l’esecuzione dell’opera a regola d’arte e che, tuttavia, non sono state minimamente rispettate, determinando le reiterate violazioni delle regole tecniche e delle prescrizioni di capitolato e di contratto, dalle quali è scaturito il danno erariale oggetto della richiesta risarcitoria, pari all’esborso di tutte le somme versate dalla P.A. per un’opera difforme da quella prevista contrattualmente.
In tali termini è stata formulata la richiesta risarcitoria ed è seguita la condanna in primo grado, ponendo a fondamento della stessa l’esecuzione dell’opera in totale difformità dalle prescrizioni contrattuali. La circostanza, poi, che questa difformità fosse talmente macroscopica da alterare le caratteristiche estetiche del sito ed integrare il reato di danneggiamento, è un quid pluris.
Ragion per cui tutte le ulteriori contestazioni in ordine ai contenuti della giurisdizione contabile quanto al c.d. “danno ambientale” ed ai sensi dell’art. 313, comma 6, del d.lgs. 3.04.2006 n. 152 costituiscono meri obiter dicta, enunciati dal primo giudice unicamente per completezza espositiva ed irrilevanti a fini decisionali.
Difetto di giurisdizione per carenza di rapporto di servizio nei confronti dei componenti della Commissione di monitoraggio, per l’ing. FRANCO e per l’ing. COLANTONI.
a) I signori Andrea ATZENI, Paolo ORRU’ e Giovanni SERRA hanno sollevato il difetto di giurisdizione della Corte dei conti anche per carenza del rapporto di servizio dei medesimi con la Provincia di Cagliari.
L’eccezione è priva di fondamento.
Come rilevato dal primo giudice con la sentenza parziale n. 1830/2008, la Commissione di monitoraggio doveva svolgere una serie di attività essenziali per la buona riuscita dell’operazione di ripascimento.
Risulta dagli atti che con delibera giuntale n. 321 del 3 agosto 2001 la Provincia di Cagliari aveva conferito ai signori ATZENI, ORRU’ e SERRA l’incarico di eseguire rilevamenti sin dal “momento zero” iniziale, misurazioni in corso d’opera, valutazioni ed analisi periodiche dei dati forniti dalle apparecchiature scientifiche e dalla Direzione dei Lavori, esame di congruità degli effetti del ripascimento sull’equilibrio morfologico del litorale, sulla Posidonia oceanica ed associazioni vegetali.
E’ di tutta evidenza l’essenzialità procedimentale delle attività, in vista della realizzazione positiva dell’opera pubblica appaltata.
Può dunque sostenersi che i tre tecnici, con le loro attività, si sono funzionalmente ed a pieno titolo inseriti temporaneamente nell’apparato organizzativo della P.A., quali componenti di un organo tecnico e straordinario della stessa, affidatario di poteri valutativi dei compiti di spettanza della stazione appaltante e della direzione del lavori, con conseguente appartenenza alla Corte dei conti della potestà cognitiva su chi ha svolto detti compiti.
b) L’ing. FRANCO solleva, per la prima volta in appello, eccezione di difetto di giurisdizione nei suoi confronti, per inesistenza del rapporto di servizio.
Al riguardo il Collegio rileva l’avvenuta formazione di giudicato interno sul punto, dal momento che dinanzi al giudice di primo grado l’ing. FRANCO risulta aver sollevato solo il difetto di giurisdizione sul danno ambientale.
In ogni caso, l’eccezione è priva di fondamento.
E difatti risulta dai fatti di causa che l’odierno appellante, in origine partecipante alla stesura del progetto, fu poi chiamato a collaborare con la Direzione dei lavori sulla base di una convenzione stipulata con la Provincia di Cagliari il 10 aprile 2000. All’ing. FRANCO furono contrattualmente affidati compiti propri della stazione appaltante, dei quali era stata incaricata la Direzione dei lavori.
E’ di tutta evidenza, pertanto, l’essenzialità delle attività, in vista della realizzazione positiva dell’opera pubblica appaltata.
Il professionista, con la sua attività, si è funzionalmente ed a pieno titolo inserito temporaneamente nell’apparato organizzativo della P.A., quale componente della Direzione dei Lavori, affidatario di poteri valutativi dei compiti di spettanza della stazione appaltante.
In particolare, l’ing. FRANCO formulò sue valutazioni in ordine alla compatibilità della sabbia sversata con una nota, indirizzata ai componenti dell’Ufficio di Direzione dei Lavori, del 15 marzo 2002.
Da ciò deriva, pertanto, l’appartenenza alla Corte dei conti della potestà cognitiva su tali attività.
c) Quanto alla relazione giuridica intercorsa fra il prof. COLANTONI e la Provincia di Cagliari, si osserva che, con la convenzione che ne costituisce la base giuridico-contrattuale al COLANTONI è stato affidato “l’incarico di componente della Direzione lavori nelle attività di sedimentologia relative al ripascimento del Litorale Poetto”, con puntuale indicazione di numerose attività di consulenza ed assistenza da svolgere quale componente dell’Ufficio D.L. per la verifica delle condizioni sedimentologiche e granulometriche dei corpi geologici indicati dall’impresa come possibili fonti di approvvigionamento, siano essi di terra o di mare.
Anche in questo caso, pertanto, si ravvisa la sussistenza del rapporto di servizio con la stazione appaltante, per l’inserimento del prof. COLANTONI, sia pure temporaneamente, nella struttura organizzativa della P.A., quale componente della Direzione Lavori.
2. Gli appellanti RITOSSA, CONCAS e BALLETTO hanno eccepito la nullità per mancata sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., impugnando l’ordinanza a verbale emessa in data 9.03.2009.
Al riguardo si osserva che la decisione di non sospendere il processo non solo è conforme alla prevalente giurisprudenza contabile menzionata nella sentenza parziale, ma è coerente con indirizzi ermeneutici consolidati della Corte dei Cassazione.
Com’è noto, nella materia valgono i principi di autonomia e non pregiudizialità fra l’accertamento penale ed il processo di responsabilità amministrativa, sia con riferimento agli esiti processuali diversi dal giudicato, sia in relazione a giudizi pendenti, per i quali sussiste autonomia di valutazione anche con riferimento alle evidenze probatorie maturate nel giudizio penale (Sez. I centr., n. 426 del 14 ottobre 2008; n. 532 del 3 dicembre 2008).
Quanto alla richiesta di sospensione ex art. 295 c.p.c. per la pendenza del processo civile, è appena il caso di ricordare che il giudizio civile è instaurato fra la Provincia di Cagliari e l’impresa Mantovani, quindi fra parti diverse e, soprattutto, con una diversa impostazione. Altro è la responsabilità contrattuale fra impresa e P.A., altro è la responsabilità amministrativa per il danno erariale conseguente alla cattiva esecuzione dell’opera di ripascimento. Quindi, si tratta di procedimenti neppure concettualmente sovrapponibili; in ogni caso, il coordinamento fra il giudizio di responsabilità ed il giudizio civile potrà effettuarsi nella fase esecutiva.
Peraltro, affinchè sussista ipotesi di sospensione obbligatoria del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c., non è sufficiente una mera pregiudizialità logica fra procedimenti, ma occorre l’esistenza di un obiettivo rapporto di pregiudizialità giuridica fra giudizio da sospendere e giudizio da definire, nel senso che la decisione del secondo deve riguardare un antecedente logico e giuridico necessario alla decisione del primo e deve inoltre essere tale, passando in giudicato, da rendere incontestabile l’antecedente medesimo (Cass. SS.UU., n. 18810/2010).
3. Nullità della citazione per violazione del diritto di difesa (FRANCO, RITOSSA, CONCAS, COLANTONI).
L’eccezione di nullità della citazione per violazione dei diritti di deduzione e difesa, che si sarebbe prodotta con la chiamata in giudizio iussu iudicis, non preceduta dalla notificazione dell’invito a dedurre, presenta, ad avviso del Collegio, un duplice profilo di inammissibilità. In primo luogo, essa si presenta affetta da obiettiva genericità, pur richiamandosi ad un preteso vulnus arrecato a garanzie di livello costituzionale. Peraltro l’art. 111 della Costituzione in tema di giusto processo e nel testo vigente, contiene numerose e distinguibili proposizioni di garanzia.
Alcuni fra detti canoni (es. quelli di cui ai commi primo e secondo) in linea di principio si riferiscono a qualsiasi tipo di processo. Altri, ad esempio quelli di cui ai commi quarto e quinto, concernenti le regole di formazione dibattimentale della prova, sono testualmente riferiti al solo processo penale, come persino i lavori parlamentari della riforma costituzionale del 1999 attestano in maniera inequivocabile.
Infine, del tutto inconferente è il richiamo del parametro di cui all’art. 97 della Costituzione, notoriamente irrilevante quando si discuta di attività processuali o giurisdizionali.
Inoltre il motivo di appello, per la parte in cui – tra le varie garanzie enunciate nell’art. 111 Cost. – si riferisce in particolare alla asserita violazione del principio del contraddittorio, è destituito di fondamento fattuale, dal momento che nel giudizio di primo grado vi è stato pieno contraddittorio tra le parti in causa.
E ciò risulta ulteriormente confermato dalla circostanza che gli appellanti sono ora in condizioni di censurare la sentenza insistendo su argomentazioni ed eccezioni difensive che avevano già svolto in primo grado, per le quali invocano in appello una più favorevole valutazione.
Con riferimento alle prospettate illegittimità costituzionali della norma che prevede la chiamata in giudizio iussu iudicis, osserva infine il Collegio che la stessa ha già superato il vaglio di costituzionalità.
Meritano di essere tenute presenti in proposito sia l’ordinanza della Corte cost. n. 261/2006, che ha previsto la facoltà del giudice contabile di richiedere l’esibizione al Pubblico Ministero dell’atto di archiviazione disposto nei confronti di altri soggetti, al fine di ordinare, se del caso, “l’intervento in causa dei concorrenti nella causazione del danno pubblico”; sia l’ordinanza n. 68/2007 della Corte costituzionale che, nello scrutinare l’art. 14 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi la Corte dei conti, ha dato atto degli orientamenti non univoci, emersi nella giurisprudenza contabile, in seguito alla novella dell’art. 111 Cost., i quali oscillano da posizioni più radicali, che addirittura negano che il c.d. potere sindacatorio del giudice contabile possa ancora essere esercitato, a convincimenti che ne restringono il campo di applicazione soltanto alla fase dell’acquisizione probatoria, e ad orientamenti che, invece, inducono ad ampliare nel giudizio contabile l’applicazione delle norme del codice di rito civile, tenendo presente la specificità del giudizio di responsabilità amministrativa.
Ebbene, ritiene il Collegio che il primo giudice, con la sentenza parziale n. 1830/08 del 18.09.2008, ha seguito in proposito un’interpretazione conforme alla giurisprudenza contabile prevalente ed alle garanzie costituzionali, osservando in particolare che: “L’ipotesi di intervento su ordine del giudice è espressamente contemplata dall’art. 47 del R.D. n. 1038 del 1933 e trova una parallela disciplina codicistica nell’art. 107 c.p.c.. La chiamata iussu iudicis è espressione di un potere discrezionale del giudicante, il quale ben può decidere la causa con esclusiva incidenza sulla posizione dei convenuti citati, oppure ritenere la comunanza della causa con altri soggetti ed estendere ad essi la domanda attrice, per evitare il contrasto di giudicati e quindi per ragioni di economia processuale (Sez. I Appello, n. 494/2007 e n. 1/2005; Sez. II Appello, n. 18/2006 e 78/2005; Sez. III Appello, n. 244/2003).
Il Collegio ritiene tali argomentazioni pienamente condivisibili e, pertanto, l’eccezione di nullità prospettata di rivela infondata.
4. Nullità della citazione per indeterminatezza (MULAS).
Il signor MULAS ha riproposto in appello l’eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza, già qualificata come temeraria dal giudice di prime cure e pedissequamente riprodotta in appello, senza introdurre alcun motivo defensionale nuovo o diverso da opporre alla decisione del primo giudice.
In tal maniera, peraltro, l’appellante non assolve neppure all’onere della specificazione dei motivi di appello previsto dall’art. 342 c.p.c., per cui, sotto tale profilo, la doglianza va dichiarata inammissibile.
5. L’appellante BALLETTO ha poi formulato l’eccezione di nullità della citazione per violazione delle regole del giusto processo, dal momento che il primo giudice non ha accolto la richiesta di prova per testi e di svolgimento di una C.T.U., appiattendosi, a suo dire, sulle risultanze del processo penale, senza che sia stata svolta autonoma istruttoria contabile.
Anche gli appellanti RITOSSA e CONCAS hanno formulato analoga eccezione, ritenendo erroneamente applicabile al processo contabile la garanzia procedimentale dettata dal comma 4 dell’art. 111 Cost., con riferimento alla formazione della prova nella fase dibattimentale.
Ne deriverebbe, a parere dei medesimi, l’illecito utilizzo, in sede contabile, di elementi provenienti dalla sede penale non assistiti dalle garanzie tipiche delle dichiarazioni testimoniali assunte nella fase dibattimentale e la violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
L’eccezione è destituita di fondamento.
Merita di essere ricordato in proposito che l’utilizzo di materiale proveniente dalla sede penale risponde ad esigenze di economia processuale e, lasciando integra l’autonomia decisionale del giudice che ne fa uso, non viola alcuna regola costituzionale o processuale.
Il Procuratore regionale, peraltro, ha svolto autonomi accertamenti, demandati al Nucleo regionale di Polizia tributaria della Guardia di Finanza ed esitati con nota n. 9725/78 del 15 luglio 2005, con la quale ha trasmesso rapporto e documentazione acquisita.
6. Nel versare in appello la doglianza concernente la presunta violazione dell’art. 183, comma 8, c.p.c. e l’asserita compressione del loro diritto alla difesa (tramite produzione di note o deduzioni di replica), i ricorrenti COLANTONI, BALLETTO, GARDU e PISTIS tralasciano tuttavia di far rilevare che la questione non si è posta all’udienza del 25 febbraio 2009, fissata immediatamente dopo l’esecuzione del supplemento istruttorio disposto con ordinanza n. 149/2008. Detta udienza, infatti, ha subito un rinvio alla successiva udienza del 9 marzo 2009.
In sostanza, dunque, gli odierni appellanti hanno avuto a disposizione un lasso temporale più che utile all’eventuale deposito di ulteriori deduzioni e memorie, e pertanto l’eccezione è destituita di fondamento.
In realtà, non è da revocare in dubbio o porre in discussione l’applicabilità al processo contabile, in linea di principio ed in base al rinvio dinamico di cui all’art. 26 del R.D. n. 1038 del 1933, delle disposizioni dettate dall’art. 183 del codice di rito civile (cfr. Sez.I Appello n. 481/2010).
Piuttosto, è da notare che nella specie non si versava nell’ipotesi di emanazione di un’ordinanza istruttoria senza fissazione di udienza collegiale in prosecuzione (il che rende necessaria l’assegnazione di un termine alle parti per effettuare le produzioni), ma di udienza collegiale dibattimentale in prosecuzione già fissata, con conseguente possibilità generalizzata delle parti di versare tempestivamente gli atti o documenti ritenuti utili.
7. Eccezione di prescrizione (BALLETTO, RITOSSA, CONCAS, CABRAS, MULAS).
La sentenza parziale n. 1830/2008 del 18.09.2008 ha respinto l’eccezione di prescrizione in tutte le distinte versioni prospettate da taluni convenuti.
I signori RITOSSA e CONCAS in primo grado hanno sostenuto che essa sarebbe intervenuta per decorso del quinquennio rispetto alla notifica della citazione, trattandosi di spese non occultate dalla Direzione lavori e dal responsabile del procedimento.
Ora, in appello, hanno modificato l’impostazione, sostenendo che vi sarebbe contraddizione, sul punto, tra la sentenza parziale (che ha attestato l’esordio prescrizionale al momento del collaudo finale) e la sentenza definitiva, che invece ha individuato la condotta concausale dei collaudatori nelle verifiche svolte in corso d’opera.
Osserva il Collegio che la nuova prospettazione, a prescindere dalla sua ammissibilità, è comunque destituita di fondamento, perché confonde tra condotta generatrice del danno (sia pure quale concausa) e momento del verificarsi dell’evento dannoso.
Secondo l’ing. CABRAS, le circostanze che egli sia stato collocato a riposo il 31 dicembre 2001 e che i fatti a lui contestati riguardino la fase antecedente all’esecuzione dei lavori sono gli elementi conducenti per stabilire la decorrenza della prescrizione.
Tuttavia siffatta impostazione, già proposta in primo grado e respinta dal giudicante, non può ritenersi condivisibile in quanto non distingue tra condotte generatrici del danno ed evento dannoso.
Diversa è, invece, la prospettazione dell’ing. MULAS, il quale ritiene elemento temporale determinante ai fini del computo della prescrizione – trattandosi di “danno ambientale” – il momento del riversamento della sabbia marina (periodo dal 9 marzo al 24 marzo 1999) o, al più, il momento del pagamento del S.A.L. n. 4 datato 22 marzo 2002, coincidente con l’ultima fase dello sversamento.
Secondo il dott. BALLETTO, elemento temporale conducente sarebbe la conoscibilità dell’evento, da riferirsi al completamento dello sversamento della sabbia sul litorale.
L’eccezione è infondata, in qualunque delle soluzioni prospettate.
In ogni caso, la soluzione ermeneutica applicata dal primo giudice, condivisa da questo giudicante, è stata quella prevalente nella giurisprudenza contabile per i casi di danno concernente la costruzione di opera pubblica, attestandosi il decorso prescrizionale al momento del collaudo finale, che rende oggettivamente ed irreversibilmente conoscibili le difettosità o difformità dell’opera.
Così individuato il dies a quo, deve ribadirsi quanto già acclarato dal primo giudice, e cioè che per nessuno degli appellanti risulta decorso il termine prescrizionale, interrotto dalla notifica degli inviti a dedurre e dalla citazione in giudizio.
8. Richieste istruttorie – Gli appellanti COLANTONI, GARDU, PISTIS, ZIRONE e BALLETTO contestano le statuizioni decisionali del primo giudice in ordine alle prescrizioni contrattuali ed alle difformità che, dal punto di vista tecnico e scientifico, sono state rese possibili tra dette prescrizioni e la concreta realizzazione dell’opera, ed insistono per l’effettuazione della prova per testi e di una C.T.U., richieste entrambe non accolte dal primo giudice, che ha ritenuto essere sufficienti gli elementi di prova esistenti in atti.
Il Collegio ritiene in proposito che la documentazione processuale sia tale da escludere l’indispensabilità a fini decisionali dei proposti mezzi di prova e, quindi, l’ammissibilità di nuove prove costituende in appello (art. 345, comma 3, c.p.c.). Più in dettaglio, si osserva che l’escussione di testi avverrebbe su questioni già adeguatamente fornite di corredo probatorio; quanto alla C.T.U., le prospettazioni delle parti (pubblica e private), le risultanze processuali e le argomentazioni motivazionali della sentenza sono esaustive, sufficienti ed idonee per decidere il gravame.
Si tratta, in ogni caso, di lavori eseguiti dieci anni fa, per cui non si è in presenza di accertamenti ripetibili, quindi appare estremamente dubbia l’utilità di una ulteriore perizia i cui risultati sarebbero comunque parziali.
D’altra parte, l’eventuale assunzione di una C.T.U. che non fosse motivatamente ritenuta “indispensabile” ai fini della decisione della causa e che invece fosse limitata alla introduzione di nuove valutazioni estimative, potenzialmente anche diverse, ma fondate sugli stessi, identici elementi oggettivi di riferimento già diffusamente presenti nel materiale di causa, non farebbe altro che lasciare al giudice di appello, perito dei periti, il compito finale di decidere.
9. Quasi tutte le difese hanno nuovamente prospettato l’eccezione della insussistenza del supposto danneggiamento, insistendo nella tesi di un’opera pubblica destinata alla mera difesa protettiva del litorale, di talché, essendo - sotto tale aspetto - l’opera realizzata perfettamente adeguata, non sarebbe possibile desumere l’esistenza di un danno erariale dall’eventuale difformità del materiale utilizzato rispetto alle prescrizioni di contratto.
Il motivo di appello è del tutto destituito di fondamento.
Esso poggia su una tesi seccamente smentita dalla documentazione contrattuale e contraddetta sul piano probatorio, e pone in realtà l’accento su un solo aspetto, sia pure innegabile, e cioè che l’opera avesse finalità di protezione civile per la difesa costiera, ma sorvola su tutte le altre motivazioni decisionali che hanno sottolineato come l’intervento si proponesse fin dagli inizi anche l’obiettivo, inscindibile, di preservare gli aspetti ambientali e paesaggistici che contraddistinguevano il litorale del Poetto.
Già i primi giudici hanno decisamente rilevato – come del resto aveva fatto il giudice penale – che la finalità di preservare il particolare pregio paesaggistico ed ambientale della spiaggia era ben presente al Consiglio comunale di Cagliari quando, nell’approvare l’ordine del giorno in data 30 luglio 1999, il Consiglio medesimo affermava “che sia necessario, altresì, vista la vulnerabilità dell’ecosistema su cui si dovrà intervenire, ottenere le massime garanzie in merito alla salvaguardia delle caratteristiche della sabbia, con particolare riferimento alla omogeneità cromatica e granulometrica ed alla composizione mineralogica e biologica” .
Anche la Regione Sardegna, nell’autorizzare la realizzazione dell’intervento in data 5 ottobre 2001, rammentava che i luoghi interessati dal ripascimento erano sottoposti a tutela paesistica con D.M. 24.03.1977, che gli interventi proposti per la salvaguardia del litorale del Poetto sarebbero stati “di forte rilevanza paesistica ed ambientale” e che le proposte progettuali si articolavano in “opere di ripascimento comprendenti apporti di sabbia da reperire in cave specificamente caratterizzate sulla base del tipo di sabbia del Poetto” e costituivano “un valido tentativo di restituire a questo areale alcuni degli aspetti paesistici ed ambientali originai”.
Ritiene dunque il Collegio che le ampie e documentalmente provate motivazioni decisionali che la sentenza gravata ha reso sul punto siano più che adeguate a smentire ogni attendibilità alla prospettazione difensiva.
D’altra parte, se l’unica finalità del ripascimento fosse stata di protezione civile, non ci sarebbe stato alcun motivo di commissionare lunghi e costosi studi della composizione mineralogica e granulometrica della sabbia originaria, richiamando tutte le indagini già effettuate negli anni ’80 dalla Mediterranean Survey and Services s.p.a.; né di prestare attenzione alla ricerca dei siti dai quali estrarre le sabbie più compatibili con quelle originarie.
Peraltro, come pure ha rilevato il primo giudice, con motivazione a cui gli appellanti non hanno contrapposto valide argomentazioni, se scopo esclusivo o primario dell’intervento fosse stato unicamente quello della protezione civile, non sarebbe possibile dare una plausibile spiegazione alla circostanza che ben due caratteristiche su tre della sabbia da utilizzare per il ripascimento, e cioè il colore e la composizione mineralogica, fossero ininfluenti ai fini della tenuta della spiaggia ricostituita.
Ed invero, anche nella relazione di sintesi al progetto si fa riferimento alla necessità di contrastare il fenomeno erosivo per ridare estensione “ad un bene ambientale unico” .
A fugare ogni dubbio in ordine alla infondatezza della tesi difensiva basta poi esaminare il capitolato di appalto ed i suoi allegati (unici documenti idonei a regolamentare l’appalto), contenenti precise prescrizioni, oltre che sui tempi, modalità e monitoraggio costante dell’intervento, proprio sulle caratteristiche granulometriche e mineralogiche della sabbia da utilizzare per il ripascimento del Poetto.
L’esecuzione dei lavori era prevista nell’arco di due anni per 160 giorni lavorativi, con l’apporto di 190 mc giornalieri di sabbia in ciascuna delle sei stazioni in cui era stata suddivisa l’area di intervento.
In particolare, quanto alla granulometria, si era stabilito, nell’allegato 9, che la sabbia da utilizzare sarebbe stata “leggermente” più grossolana rispetto a quella originaria, al fine di rendere duraturo l’intervento di ripascimento, ma comunque avente un fuso indicato in termini studiati proprio per mediare tra l’esigenza di dare stabilità al ripascimento e quella di sversare le sabbie più compatibili con quelle originarie.
E, dunque, nell’allegato 9 si era effettuata la scelta di una sabbia avente una granulometria considerata la più idonea a contemperare la duplice esigenza di non alterare le preesistenti caratteristiche della sabbia del litorale e quella di assicurare, con una sabbia non troppo fine, una maggiore stabilità dell’intervento; ma, in ogni caso, la sabbia doveva avere un diametro medio compreso tra le frazioni di 1 mm. e 0,25 mm.
Anche la composizione mineralogica delle sabbie nuove era stata specificata, nell’allegato 8, prendendo come riferimento quelle originarie.
Nella relazione di cui all’All. 8 al progetto esecutivo dei lavori approvato in data 13 settembre 1999 dalla Giunta Provinciale si afferma testualmente: “Non sussistono incertezze sull’opportunità di dare preferenza all’approvvigionamento dalle cave di terra rispetto al prelievo a mare. La qualità, idoneità e compatibilità delle sabbie prelevabili a terra sono state verificate e potranno essere verificate prima e durante l’esecuzione delle forniture consentendo l’accettazione o il rifiuto dei materiali non rispondenti alle prescrizioni di capitolato”.
E dunque il capitolato speciale di appalto aveva chiaramente stabilito il recupero della spiaggia emersa e di quella sommersa mediante immissione di sabbie idonee, le cui caratteristiche erano state precisate, e prescritte, per quanto attiene la composizione granulometrica nell’art. 20 lett. t) e per quella mineralogica dell’Allegato 8.
All’art. 20 lett. t) era prescritto che le sabbie del ripascimento dovevano avere natura quarzoso-feldspatica, con proporzioni fra i due componenti rispettivamente del 85% e del 15%, e comunque dovevano avere le caratteristiche indicate nell’Allegato 8, dovevano essere vagliate e lavate nel sito di estrazione in modo da essere passanti al setaccio da 1 mm., con esclusione di quelle passanti al setaccio da 0,250 mm.
Detto parametro contrattuale era, tra l’altro, chiaro a tutte le parti, ed all’impresa medesima, che con lettera in data 9.04.2001 aveva assicurato alla Provincia che la sabbia prelevata dai fondali marini avrebbe avuto proprio quelle caratteristiche granulometriche, con eliminazione delle parti passanti al setaccio superiore a 1 mm. e inferiore a 0,250 mm.
Quanto al colore, nel Capitolato era prevista la fornitura di sabbie con colore corrispondente ad una tonalità 5Y, un valore 7-8 ed un croma 1-4 del sistema di Munsell, corrispondente al colore grigio chiaro.
Tale, dunque, era la fonte regolatrice dell’intervento, non potendo in alcun modo essa ravvisarsi in altri atti diversi dal contratto d’appalto, dal capitolato speciale e dai suoi allegati, e meno che mai dal Decreto autorizzativo del Ministero dell’Ambiente.
Dalla lettura di tali atti si evince chiaramente che l’intervento, contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, si prefiggeva una duplice finalità: quella di scongiurare la scomparsa dell’arenile per il fenomeno di erosione e, al contempo, quella di preservare le preziose caratteristiche ambientali e paesaggistiche del litorale del Poetto, per le quali il bene era sottoposto a tutela paesistica.
Proprio in quanto connessa a questa ulteriore e significativa finalità, la qualità della sabbia da riversare nel ripascimento doveva avere caratteristiche (di granulometria, composizione mineralogica e colore) individuate nel contratto e nel progetto, tali da renderla, se non identica, quanto meno adeguata, per dimensioni, consistenza, tipo e qualità, a quella preesistente nel sito di lavorazione.
Dalle risultanze della consulenza tecnica del P.M. penale, su cui si è basato il Procuratore regionale attore, è stato invece accertato un grave discostamento dell’opera dai parametri contrattuali fissati per le caratteristiche granulometriche, mineralogiche e di colore che avrebbe dovuto rivestire la sabbia prelevata, e che, per di più, lo sversamento di sabbie non idonee aveva determinato un rilevante e persistente intorbidamento delle acque antistanti il litorale interessato dai lavori.
Anche la Cassazione, nella sentenza n. 36153/11 che ha definito il giudizio penale avviato nei confronti di alcuni degli odierni appellanti, ha confermato le statuizioni della Corte di appello di Cagliari del 22.12.2009, in ordine alle “accertate difformità dei materiali impiegati rispetto a quelli previsti in capitolato”, dalle quali – per quel che rileva in sede penale – era poi scaturito il pregiudizio estetico e la diminuzione del valore paesaggistico della spiaggia del Poetto, a nulla rilevando che la stessa avesse mantenuto l’utilizzazione pratica ai fini della balneazione.
Il danno, dunque, si ricollega a queste eclatanti ed innegabili difformità dai parametri contrattuali, che dimostrano come l’opera non abbia soddisfatto entrambi gli obiettivi che si prefiggeva di realizzare. Pertanto, la circostanza che sia stato raggiunto lo scopo parziale della difesa strutturale della costa non esclude l’evento dannoso contestato.
Contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, il danno erariale per cui è causa si è in ogni caso prodotto, anche se l’intervento ha realizzato la finalità di protezione civile del litorale del Poetto, ed esso è collegato alla non corrispondenza tra caratteristiche dei materiali previsti nel C.S.A. e materiali sversati, ed alle reiterate e macroscopiche violazioni delle prescrizioni contrattuali e di capitolato speciale, predisposte anche al fine di contemperare la finalità di difesa con quella di mantenimento delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche del sito.
10. Le singole responsabilità degli appellanti – Occorre ora verificare partitamente le posizioni dei singoli appellanti per analizzare la responsabilità di ciascuno: responsabilità che tutti gli interessati hanno escluso, adducendo varie motivazioni già illustrate nell’esposizione in fatto.
In proposito il Collegio deve premettere che, secondo i primi giudici, la circostanza del prelievo della sabbia dai fondali marini, di per sé ammissibile, è stata inserita nel capitolato speciale di appalto solo in un secondo momento, in quanto voluta dal Consiglio comunale in sede di approvazione del progetto, di tal che essa si presentava difficilmente compatibile con le precise modalità esecutive e con le prescrizioni di natura tecnica già inserite nel capitolato in previsione di un approvvigionamento da cave di terra, prescrizioni ritenute indispensabili per la migliore riuscita dell’opera.
Tuttavia tale modalità alternativa di approvvigionamento del materiale di ripascimento, sebbene fosse meno preferibile rispetto al prelievo da terra per la mancanza di analisi e verifiche dirette che dessero certezza della qualità e compatibilità delle sabbie individuate, non escludeva tuttavia che si potesse comunque trovare sabbia compatibile con le prescrizioni contrattuali, purché si garantisse, attraverso analisi e controlli durante le fasi esecutive, la qualità della sabbia estratta.
Tale scelta, secondo i primi giudici “avrebbe imposto, a tutto concedere, ove ciononostante si fosse optato per tale modalità di estrazione della sabbia, di prestare un’attenzione ancor più intensa di quella già di per sé richiesta da un lavoro di così particolare rilevanza, in tutte le fasi in cui si sarebbe articolato l’appalto, dall’aggiudicazione sino all’esecuzione, al fine di scongiurare la possibilità che i rischi paventati si concretizzassero”.
Pertanto, la sola menzione, negli atti di progetto o di contratto, ai fondali marini, imposta in sede di Conferenza di Servizi dal Comune di Cagliari, non si ritiene, a parere di questo Collegio, che possa essere considerata “la causa prima di tutte le irregolarità”, come si esprimono i primi giudici, dal momento che, in ogni caso, sia in ipotesi di prelievo dal mare sia via terra, l’impresa aggiudicatrice avrebbe dovuto garantire, in sede di esecuzione del contratto di appalto e con l’onere dello svolgimento delle indagini necessarie, il ripascimento mediante sabbie (marine o terrestri) aventi caratteristiche granulometriche e chimiche predefinite dalla stazione appaltante, che assicurassero la corretta fattibilità dell’intervento, sotto la costante vigilanza dei tecnici e degli organi della Provincia coinvolti nell’opera pubblica.
Sulla base di tali premesse, si passa ad esaminare le singole responsabilità.
10.a) - L’ing. Sandro CABRAS ha svolto funzioni di Responsabile del procedimento fino al dicembre 2001 ed ha fatto parte della Commissione di aggiudicazione, unitamente ai Direttori dei lavori GARDU e PISTIS.
Non è stato coinvolto nel processo penale.
La sentenza gravata ha ravvisato la responsabilità dell’ing. CABRAS in una serie di comportamenti, che possono così essere sintetizzati:
a) nella fase della prima aggiudicazione l’ing. CABRAS si sarebbe reso responsabile di gravi irregolarità, sia nella valutazione dell’anomalia dell’offerta, sia tollerando che l’impresa, nonostante formali diffide, si attardasse, per circa un anno e mezzo, nell’effettuazione di studi, ricerche ed analisi dirette alla individuazione della cava marina;
b) il CABRAS avrebbe ingiustificatamente trascurato l’importanza della presentazione, da parte dell’impresa, di campioni di sabbia marina che, secondo quanto ammesso dalla stessa impresa, non erano conformi alle prescrizioni contrattuali;
c) la circostanza che il TAR Sardegna abbia confermato la regolarità della seconda aggiudicazione a favore dell’ATI Mantovani non escluderebbe la sussistenza di irregolarità nell’aggiudicazione medesima, posto che il giudice amministrativo si è limitato ad esaminare i soli vizi formali o procedimentali dedotti dalla società ricorrente, senza affrontare le problematiche relative “alla individuazione di un giacimento marino che garantisse la piena fattibilità dell’intervento, assicurando la provvista di sabbia qualitativamente e quantitativamente corrispondente a quella richiesta”, non potendosi ritenere ancora soddisfacente la produzione dei campioni a cura dell’impresa;
d) non avrebbe posto fine alla situazione di incertezza sulla fattibilità dell’intervento, prendendo spunto dall’annullamento della prima aggiudicazione per azzerare la situazione, previa adozione di un provvedimento di risoluzione con l’impresa aggiudicataria, tanto più che la stessa aveva reso noti i risultati delle ulteriori indagini geognostiche eseguite, che apparivano comunque insoddisfacenti;
e) aver concesso all’impresa una proroga nella esecuzione dei lavori subito dopo averla diffidata a riprendere i lavori, sarebbe un fatto “significativo di un atteggiamento nella sostanza del tutto remissivo nei confronti dell’impresa”.
Ciò posto, questo Collegio giudicante reputa non condivisibili le argomentazioni che hanno utilizzato i primi giudici per affermare la responsabilità dell’Ing. CABRAS.
E difatti, anche a voler sostenere che, nella prima aggiudicazione, l’appellante sia incorso in un comportamento non perfettamente rigoroso a fronte di risposte non congrue da parte dell’aggiudicataria, tale comportamento non incide causalmente sugli eventi successivi, dal momento che, per effetto dell’annullamento giurisdizionale della prima gara e del successivo provvedimento di aggiudicazione (ritenuto esente da vizi da parte del TAR Sardegna con sentenza non impugnata) è venuto meno il nesso causale tra l’atto di aggiudicazione della prima gara (annullato dal TAR e dal Consiglio di Stato) e l’esecuzione dell’appalto da parte dell’A.T.I. Mantovani in forza della seconda aggiudicazione (non annullata) successivamente emessa.
E ciò perché la seconda aggiudicazione – da valutarsi autonomamente rispetto alla prima – in base alla quale l’ATI Mantovani ha realizzato i lavori, è stata disposta nel rispetto della normativa in materia, mediante richiesta di giustificazioni alla ditta aggiudicataria del prezzo anomalo in ribasso; delle prescrizioni del C.S.A., attraverso l’iniziale impegno dell’impresa a svolgere le indispensabili indagini, a sue esclusive spese, per l’individuazione del sito da cui prelevare il materiale perfettamente conforme alle previsioni contrattuali; delle raccomandazioni evincibili dalle sentenze dei giudici amministrativi che avevano disposto l’annullamento della prima aggiudicazione, ottemperati con la consegna di campioni da parte dell’ATI aggiudicataria. Peraltro l’impresa, con nota del 9.04.2001, inviata alla Provincia di Cagliari, aveva garantito la fornitura di sabbia perfettamente compatibile con quella richiesta dalle norme capitolari, e ciò sia per quanto riguardava la composizione granulometrica (e dunque priva delle frazioni passanti al setaccio oltre 1 mm e inferiori a 0,250 mm.) che per quella mineralogica, specificando che i primi campioni prodotti non erano risultati essere compatibili con dette prescrizioni perché rappresentavano il materiale così come estratto, e sul quale non erano state ancora eseguite le operazioni di lavaggio e vagliatura.
Ciò posto, rileva il Collegio che, una volta appurata la congruenza – convalidata dal TAR Sardegna – delle giustificazioni rese dall’ATI Mantovani, in sede di rinnovo del procedimento di aggiudicazione dell’appalto, con nota del 9 aprile 2001, l’inadempimento da parte dell’affidataria relativamente alle “modalità di prelievo e di immissione graduali” delle sabbie prelevate dai fondali marini, attiene alla fase esecutiva dell’appalto, alla quale l’ing. CABRAS è incontestabilmente estraneo, per essere cessato dal servizio in data 31 dicembre 2001.
Anche le affermazioni in merito alla concessione della proroga all’impresa da parte dell’Ing. CABRAS trovano un giustificazione nella preoccupazione di quest’ultimo di consentire, con la conservazione del finanziamento, l’esecuzione dei lavori che da tempo si pensava di portare a termine, e non appaiono idonee a ipotizzare un atteggiamento assecondante e remissivo nei confronti dell’impresa.
In conclusione, il Collegio ritiene, con riferimento alla posizione dell’Ing. CABRAS, che la totale assenza di un nesso etiologico tra la prima aggiudicazione, dichiarata illegittima e come tale annullata, e l’esecuzione dei lavori, esclude l’utilizzabilità delle irregolarità della prima aggiudicazione ai fini della affermazione di responsabilità amministrativo-contabile dell’appellante. In ogni caso, poi, la non corrispondenza tra quanto l’impresa aggiudicataria si era obbligata a fornire e ciò che ha effettivamente fornito, le contestate gravi negligenze dei preposti ai controlli e alle verifiche nella fase esecutiva dell’appalto – unitamente alla accertata estraneità dell’ing. CABRAS nella fase esecutiva dei lavori – sono tali da escludere il nesso di causalità, poiché tali gravi negligenze ed omissioni devono ritenersi idonee e sufficienti a determinare l’evento dannoso.
L’appello dell’ing. Sandro CABRAS merita pertanto accoglimento.
10.b) - Quanto all’ing. Lorenzo MULAS, egli ha svolto funzioni di Responsabile del procedimento dal gennaio 2002; egli risulta comunque coinvolto in tutte le precedenti fasi dell’intervento, nella qualità di ingegnere coordinatore del gruppo di progettazione; inoltre, anche prima che gli fosse formalmente affidato l’incarico di responsabile del procedimento, egli aveva continuato ad interessarsi del ripascimento, intervenendo anche presso la Commissione preposta alla verifica dell’anomalia dell’offerta dell’impresa per eventuali chiarimenti.
Quindi non appaiono fondate le argomentazioni difensive miranti a sostenere di essersi occupato essenzialmente della parte del progetto relativa alla viabilità e che, pertanto, le competenze in merito al ripascimento erano da rinvenirsi solo in capo ai Direttori dei Lavori, alla Commissione di monitoraggio ed al Geologo che seguiva il prelievo direttamente in draga, e che egli, esperto di viabilità, si era dovuto affidare a quanto gli veniva comunicato dai Direttori dei lavori.
Così come il MULAS non può ritenersi esente da responsabilità per non aver dato seguito, adottando tutte le necessarie iniziative, alla segnalazione dell’Impresa, avvenuta con nota del 14 dicembre 2001, di correggere le coordinate della zona autorizzata di prelievo, difformi – probabilmente per mero errore materiale - da quelle contenute nella richiesta di autorizzazione predisposta per il Ministero dell’Ambiente, al fine di poter disporre di un giacimento di sabbia idoneo in quantità e qualità ai requisiti di progetto. L’impresa ripropose il problema per ben due volte, con note del 19 dicembre 2001 e del 23 gennaio 2002, ma alla segnalazione – fondamentale ai fini della buona riuscita del ripascimento - non venne data alcuna importanza. Infatti, con nota del 9 gennaio 2002, a firma dello stesso ing. MULAS, dei Direttori dei lavori GARDU e PISTIS e dell’Assessore ZIRONE, dopo una generica assicurazione ad attivarsi con il Ministero dell’Ambiente, mai concretizzatasi (dal momento che nessuna documentazione in proposito risulta essere stata fornita a comprova della correzione delle coordinate di prelievo) la Ditta venne incitata alla “predisposizione senza indugio di tutti i mezzi affinché il ripascimento sia completato entro la data del 15 aprile 2002”.
Ulteriore profilo di responsabilità a carico del MULAS deve senz’altro ravvisarsi nell’avere omesso di disporre l’immediata sospensione delle operazioni di sversamento, iniziate in data 8 marzo 2002, quando fin dalle prime fasi era del tutto evidente che il materiale riversato sull’arenile non aveva alcuna delle caratteristiche previste in progetto, per il colore della sabbia, per l’enorme quantità di bioclasti e di notevoli quantitativi di pietre e ciottoli in esso presente. Sospensione che – contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante – diveniva doverosa per il responsabile del procedimento, ai sensi dell’art. 133, secondo comma, del DPR n. 554/1999, in presenza di evidenti ragioni di pubblico interesse o necessità che, per le palesi violazioni delle prescrizioni contrattuali, si erano concretamente manifestate fin da primo giorno di sversamento.
Tanto più che anche il Ministero dell’Ambiente, nell’autorizzare le operazioni di sversamento, aveva con decreto n. 407 del 28.11.2001 stabilito che le operazioni di ripascimento dovevano essere costantemente vigilate al fine di verificare la qualità del materiale sversato, stabilendo espressamente l’immediata sospensione delle operazioni di prelievo ove fosse emerso il rischio di compromissione delle condizioni ambientali e delle risorse biologiche, attribuendo alla Provincia la facoltà di sospendere a propria volta le operazioni di scavo e di successivo sversamento per ragioni di dimostrata necessità.
Ciò nonostante il MULAS, invece di proporre la risoluzione del contratto o quanto meno, di sospendere i lavori, avallò gli esiti delle verifiche e delle analisi fatte eseguire dalla Direzione dei lavori; sottoscrisse lo Stato di avanzamento n. 4 ed il certificato n. 5, con il quale venne disposto il pagamento del materiale; prese in consegna le opere realizzate per il definitivo utilizzo; redasse la relazione conclusiva dell’intervento, nella quale attestò che gli interventi realizzati erano completamente funzionali e fruibili.
Deve pertanto convenirsi con i primi giudici, quanto all’elemento psicologico, che lo stesso va ravvisato nel dolo eventuale, dal momento che l’ingiustificata omissione di tali essenziali e doverosi provvedimenti e la violazione reiterata dei propri obblighi di servizio appare il frutto di una intenzionale volontà dell’ing. MULAS di portare a termine i lavori anche a costo delle palesi violazioni contrattuali che si stavano perpetrando, e tale condotta appare influenzata dalle pressioni provenienti dalla sfera politica affinché i lavori medesimi venissero comunque effettuati, anche a prescindere da ulteriori necessari approfondimenti.
10.c) Andrea GARDU e Salvatore PISTIS – Il PISTIS, geologo, ed il GARDU, ingegnere, entrambi dipendenti del Settore viabilità della provincia di Cagliari, sono stati nominati Direttori dei Lavori in data 28.12.1999, lo stesso giorno della consegna dei lavori. Sono stati anche componenti della Commissione di monitoraggio e, quindi, hanno avuto la piena e completa conoscenza, in tutte le sue fasi, dell’andamento dei lavori.
Il PISTIS, inoltre, ha fatto parte della Commissione di aggiudicazione ed ha partecipato alla stesura del progetto del ripascimento e, in particolare, dell’Allegato 8, e quindi era perfettamente a conoscenza delle caratteristiche che avrebbe dovuto avere la sabbia da utilizzare.
Ai sensi dell’art. 124 del DPR n. 544/1999 il Direttore dei lavori, relativamente al controllo sull’esecuzione dei lavori, è attributario di compiti, adempimenti e responsabilità attraverso i quali si esplica la c.d. attività di ingerenza e di cooperazione dell’amministrazione, curando che i lavori siano eseguiti a regola d’arte ed in conformità al progetto e al contratto, tenendo contatti con l’appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto, assumendosi la responsabilità del coordinamento dell’attività dell’ufficio e dell’accettazione dei materiali sulla base anche del controllo quantitativo e qualificativo.
Con riferimento alle responsabilità del PISTIS e del GARDU, è ovvio che se – come fanno i ricorrenti - si parte dall’assunto che l’unico scopo della costruzione dell’opera fosse quello di arrestare e contenere l’erosione del litorale, indipendentemente dalla contemporanea e lungamente valutata necessità di assicurare, sul piano contrattuale e quanto alle obbligazioni dell’impresa appaltatrice, il mantenimento delle speciali caratteristiche della spiaggia, diventa consequenziale asserire, sul piano defensionale, che i primi giudici hanno condannato sol perché hanno assecondato in maniera acritica la prospettazione attorea.
Tuttavia l’assunto di partenza deve ritenersi logicamente errato e non condivisibile, per le ragioni già illustrate in precedenza (cfr. par. 9) ed alle quali si rinvia per economia espositiva.
D’altronde, l’erroneità dell’affermazione è suffragata da numerosi elementi di prova che sono stati congruamente offerti dalla documentazione disponibile in causa e sono stati accuratamente vagliati dal primo giudice.
Già con riferimento alla vicenda della richiesta di modifica delle coordinate dell’area di prelievo, i Direttori dei lavori PISTIS e GARDU, come prima accennato con riferimento alla posizione del MULAS, manifestarono un atteggiamento di estremo disinteresse, limitandosi a sottoscrivere, unitamente al responsabile del procedimento MULAS ed all’Assessore ZIRONE, la lettera in data 9 gennaio 2002, contenente generiche rassicurazioni in merito ad un interessamento presso il Ministero per la correzione delle coordinate, mentre contestualmente si caldeggiava l’inizio dei lavori per il completamento del ripascimento entro il termine fissato. Di fatto, le coordinate non vennero mai modificate e dalle indagini esperite in sede penale e dalle dichiarazioni rese al P.M. penale dal rappresentante dell’ATI Mantovani, ing. Baita (audizione del 27 maggio 2004), è risultato che la Ditta effettuò i prelievi nella diversa area utilizzata.
Tale aspetto è stato rilevato anche dai giudici di primo grado, sottolineando come, al di là della maggiore o minore incidenza causale, la vicenda delle coordinate è anch’essa significativa dell’atteggiamento degli appellanti, i quali si sono interessati più al celere compimento dell’opera che alla buona esecuzione dell’impresa.
Altro aspetto rilevante della responsabilità dei Direttori dei lavori PISTIS e GARDU è connesso al non avere ordinato, com’era loro obbligo, la sospensione dei lavori quando, nei primi giorni del marzo 2002, appena iniziati i lavori di ripascimento, fu visibile a tutti che la sabbia che la draga stava sversando sull’arenile del Poetto non presentava né le caratteristiche granulometriche né il colore (per quello che era possibile percepire ad occhio nudo) previsti da capitolato.
Fin dai primi giorni di esecuzione dei lavori vennero presentati numerosi esposti, diretti alla Provincia, da parte di associazioni ambientalistiche, con cui veniva richiesta la sospensione dei lavori fino alla esecuzione di controlli tecnico-scientifici, evidenziando che i primi quantitativi di sabbia sversata erano di colore nero e di granulometria decisamente più grossolana, unitamente a pietre e ciottoli.
Tuttavia i lavori continuarono e, pertanto, i Direttori dei lavori devono senz’altro ritenersi responsabili per non avere autorizzato la sospensione dei lavori, che per i medesimi era obbligatoria ai sensi dell’art. 133, primo comma, del DPR n. 554 del 1999, stanti le evidenti ragioni di pubblico interesse in presenza delle accertate difformità dei materiali impiegati.
Pare infatti veramente difficile sostenere che, mentre la popolazione, le associazioni ambientaliste, gli organi di stampa e gli studiosi che avevano effettuato gli studi preliminari sui lavori di ripascimento si erano accorti che la draga, ben lungi dall’avere le frazioni passanti prescritte, stava gettando sulla spiaggia pietre e materiale grossolano, i direttori dei lavori non si erano invece mai avveduti di alcunché, salvo accorgersi solo al termine delle opere della presenza delle pietre e del materiale diverso e provvedere con ordini di servizio, a ripascimento completato, a disporre la loro rimozione.
Peraltro, il PISTIS e il GARDU non solo hanno intenzionalmente consentito la prosecuzione dei lavori, ma hanno anche trovato una giustificazione con i collaudatori (la diversità delle modalità di analisi) sulla differente composizione mineralogica delle sabbie.
Non può non darsi il giusto rilievo, ai fini della affermazione della responsabilità, alla circostanza che, nel documento sulle verifiche in corso l’opera, il PISTIS e il GARDU – in violazione del preciso disposto dell’art. 124 comma 3 del DPR n. 554/1999, con nota del 15 marzo 2002 hanno falsamente attestato dei parametri della composizione mineralogica (quarzi e feldspati) della sabbia del tutto differenti da quelli indicati nell’allegato 8, che lo stesso PISTIS aveva contribuito a stilare. In tale documento vennero anche riportate dichiarazioni non veritiere sia sulla percentuale dei bioclasti presenti nella sabbia prelevata sull’arenile per le analisi che, sempre il PISTIS, aveva provveduto ad effettuare, sia sulla sua possibile progressiva eliminazione per effetto del moto ondoso, circostanze del tutto smentite dalle risultanze delle C.T.U. effettuate in sede penale.
I consulenti del Tribunale penale, invece, rilevarono che nei carichi di sabbia sversati sulla spiaggia la percentuale di quarzo era compresa tra il 37,7% ed il 78,83%, con valori medi nell’ordine del 58,9%, mentre quella del feldspato non superava nel massimo il 13,6%, ed anzi nella gran parte dei casi era inferiore al 5%; con riferimento alla composizione granulometrica si accertò che la frazione di sabbia conforme alle prescrizioni di capitolato era compresa tra il 59,9% ed il 63,6%.
In conclusione, pur avendo i Direttori dei lavori tutta la documentazione dell’appalto, pur essendo forniti di tutte le cognizioni tecniche, hanno consentito comportamenti non contrattualmente stabiliti, con la piena consapevolezza del danno che andava a realizzarsi, senza peraltro utilizzare degli strumenti a loro disposizione come la sospensione dei lavori.
In considerazione di quanto appena esposto, il Collegio condivide quanto già sostenuto dai primi giudici in ordine al ruolo determinante nella causazione del danno che il GARDU e, più ancora, il PISTIS hanno avuto, tanto più se si considera che i medesimi erano anche componenti della Commissione di monitoraggio, e dunque, pienamente responsabili delle violazioni dei propri obblighi di servizio.
Quanto all’elemento psicologico, il primo giudice ha esattamente colto come l’aver consentito intenzionalmente la prosecuzione dei lavori, ignorando con sistematicità i plurimi segnali e le circostanze che nel corso della vicenda indicavano quale sarebbe stato l’esito finale, e soprattutto l’omessa sospensione dei lavori quando le difformità contrattuali in ordine alle caratteristiche della sabbia sversata erano palesi, nonché le dichiarazioni non veritiere sulla composizione del materiare estratto, costituiscono il profilo soggettivo di una condotta dolosa ingiustificata ed idonea a porsi quale fattore concausale che ha contribuito al verificarsi del danno erariale.
10.d) – Paolo COLANTONI e Leopoldo FRANCO Sono stati entrambi consulenti della Direzione Lavori, chiamati in giudizio a seguito di ordinanza di integrazione del contraddittorio.
Nessuno dei due ha preso parte al processo penale.
Il prof. COLANTONI, esperto di sedimentologia, ha anche partecipato alla redazione del progetto. E’ stato poi chiamato a collaborare con la Direzione lavori per fornire consulenza ed assistenza per la verifica delle condizioni sedimentologiche e granulometriche delle fonti di approvvigionamento e dei campioni prelevati.
Egli era anche preposto ad effettuare un controllo continuo delle condizioni geomorfologiche e sedimentologiche della spiaggia sommersa e a fornire consulenza alla D.L. per le operazioni di verifica e collaudo dei risultati delle operazioni di ripascimento, relativamente agli aspetti sedimentologici.
Si deve premettere, anche ai fini della valutazione dell’elemento psicologico, che il prof. COLANTONI ebbe ad esprimere, in due diverse occasioni, nell’ottobre 2001 e nel novembre 2001, parere negativo sui risultati delle indagini geognostiche effettuate per conto della MANTOVANI su alcuni siti marini individuati come possibili fonti di approvvigionamento. Ciò avvenne, la prima volta, in occasione di una riunione della Commissione monitoraggio; la seconda volta nel corpo di un documento nel quale il prof. COLANTONI riferiva gli esiti di un controllo effettuato unitamente al PISTIS. In particolare, il COLANTONI in quella circostanza espresse perplessità sulla idoneità in generale della cava individuata ed evidenziò, fra l’altro, la presenza notevole di materiale organogeno.
Senonchè pochi mesi dopo, ad appena 4 giorni dall’inizio dei lavori, il prof. COLANTONI cambiò inspiegabilmente opinione e in una relazione del 12 marzo 2002 intitolata “Brevi note sul ripascimento in atto sulla spiaggia del Poetto” si espresse positivamente sull’opera in corso di esecuzione, arrivando addirittura a formulare – in assenza di fatti nuovi - affermazioni contrastanti con quelle rese in epoca precedente, come quella relativa all’individuazione, da parte dell’impresa, di un giacimento idoneo per la fornitura di sabbia compatibile con quella prevista contrattualmente.
Pochi giorni dopo, nel corso della seduta del Consiglio comunale di Cagliari del 28 marzo 2002, il prof. COLANTONI affermò ed assicurò “la presenza di una risorsa di materiale e di sedimento ad un’ottima compatibilità, rispetto ai parametri” che doveva possedere la sabbia di ripascimento, arrivando anche ad esprimere affermazioni tranquillizzanti sul colore della sabbia riversata, dal momento che “in pochi mesi la spiaggia dovrebbe riacquistare il suo colore ed il suo profilo d’equilibrio”, sicchè ogni allarme nella popolazione e da parte delle associazioni ambientaliste era ingiustificato.
E’ il caso di rilevare, ancora una volta, che affermazioni di tal fatta non avrebbero avuto alcun senso logico, prima ancora che scientifico, se come oggi ed a posteriori sostengono i tre appellanti, obiettivo unico dell’intervento fosse stato quello strutturale o morfologico.
Sulla base di tali premesse, il Collegio non può che condividere quanto già affermato dai primi giudici in ordine alla responsabilità del Prof. COLANTONI, il quale, a ben vedere, è intervenuto nella fase più delicata, quella dell’esecuzione dei lavori, ad appena quattro giorni dall’inizio delle opere di sversamento, minimizzando le difformità esecutive evidenziatesi e facendo dichiarazioni elusive della realtà dei fatti.
Il suo intervento, da tecnico esperto e particolarmente qualificato, con dichiarazioni rassicuranti sul buon esito dell’operazione, ha avuto senz’altro efficacia concausale nella produzione del danno, avallando intenzionalmente e dunque dolosamente il disegno di procedere comunque nell’esecuzione dei lavori pur in presenza di accertate difformità.
Il Prof. Leopoldo FRANCO, esperto di idraulica marittima, ha partecipato anch’egli, come il COLANTONI, alla stesura del progetto.
Era stato chiamato a supporto della Direzione lavori per dare consulenza sugli effetti delle condizioni meteo-marine sull’andamento del ripascimento; sulla valutazione periodica dell’andamento della linea di costa e delle caratteristiche granulometriche ottimali, per le operazioni di verifica e collaudo dei risultati delle operazioni di ripascimento.
Pur essendo stato chiamato a collaborare su problematiche non attinenti alla verifica delle caratteristiche della sabbia del ripascimento, egli ritenne, con una missiva del 15 marzo 2002 indirizzata alla Direzione Lavori – quindi mentre le operazioni di sversamento della sabbia erano ancora in corso – di esprimere sue valutazioni in ordine alla compatibilità della sabbia sversata, formulando dichiarazioni ottimistiche sull’aspetto granulometrico. Egli in particolare rendeva atto che – a seguito di personale e diretta osservazione compiuta sui luoghi del ripascimento, la sabbia sversata presentava caratteristiche granulometriche “ben rispondenti alle specifiche progettuali”.
Anche con riferimento al colore della sabbia il prof. FRANCO si esprimeva con valutazioni positive, concludendo che “in relazione alla differenza di colore tra detta sabbia e quella originaria, si può condividere l’ottimistica previsione di un progressivo schiarimento delle nuove sabbie per effetto di soleggiamento ed ossidazione all’aria”.
Reputa questo Giudicante che anche questa valutazione, peraltro richiesta al prof. FRANCO dalla Provincia, ha senz’altro contribuito ad avallare il convincimento di non interrompere i lavori, in tal modo conferendo un contributo causale agevolatore di non secondario o marginale rilievo rispetto al prodursi del danno, in considerazione della diretta partecipazione del prof. FRANCO alle attività svolte dalla Direzione dei lavori.
Con riferimento all’elemento psicologico, il Collegio non può che condividere quanto già rilevato dai primi giudici, ritenendo che lo stesso “vada apprezzato proprio in relazione alla mancanza di competenze specifiche del convenuto nelle materie più direttamente attinenti alle problematiche coinvolte”. In sostanza, l’avere intenzionalmente agito prediligendo la volontaria scelta di assecondare in ogni caso la tesi della regolare esecuzione dei lavori, è indice sintomatico di una condotta dolosa finalizzata a rendere valutazioni non veritiere e non supportate dalla specifica preparazione professionale al solo scopo di non ostacolare le operazioni di ripascimento malgrado le evidenti difformità.
10.e) – Antonello Priamo Luciano GELLON - Il signor GELLON era assistente della Direzione Lavori e nel corso delle operazioni di ripascimento è stato imbarcato sulla draga Antigoon con il preciso compito di analizzare di volta in volta i campioni del materiale prelevato dalla cava di mare per verificarne le caratteristiche sia granulometriche sia mineralogiche a confronto con le prescrizioni di progetto e di contratto.
In sostanza egli riproduce in appello le argomentazioni difensive già rese in primo grado: in quanto semplice collaboratore della Direzione dei lavori, con l’unico compito di verificare le caratteristiche granulometriche di ogni prelievo di sabbia in mare, sarebbe del tutto estraneo alla causazione del prospettato danno.
La difesa ha obiettato in primo grado che i compiti del GELLON sarebbero stati molto limitati, in quanto egli non doveva certificare la perfetta conformità alle caratteristiche della sabbia a quelle di progetto, ma semplicemente verificare che il materiale dragato rientrasse nell’ambito della sabbia come tecnicamente intesa, ovverossia quella che, secondo la sedimentologia, era compresa granulometricamente nell’intervallo tra 2 mm. e 0,75 mm.
La tesi difensiva, tuttavia, è apparsa smentita dal documento “Progetto per il risanamento del litorale del Poetto – Verifiche in corso d’opera – Analisi geologica dei materiali di dragaggio”.
E’ risultato che, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, i suoi compiti non erano di scarsa importanza e non erano limitati alla verifica delle caratteristiche granulometriche del materiale, bensì erano molto più estesi e sicuramente di rilievo, dal momento che egli era tenuto anche ad effettuare l’analisi della composizione mineralogica, come del resto ammesso dallo stesso GELLON nelle dichiarazioni rese di fronte al Pubblico Ministero penale in data 15 ottobre 2002.
Le sue analisi in draga fornivano in realtà degli elementi essenziali alla “verifica immediata delle caratteristiche dei materiali” e pertanto costituivano criteri per stabilire l’accettazione o meno del carico di sabbia sul litorale.
I risultati delle analisi mineralogiche da lui effettuate sono stati riportati in una tabella da lui stesso compilata (anche se non sottoscritta), come affermato dall’appellante nelle medesime dichiarazioni di cui sopra.
E’ stato certificato, nel verbale di collaudo in corso d’opera n. 5 del 20 marzo 2002, che tutti i carichi sversati a quella data, in numero di 41, erano stati analizzati e tutti evidenziavano le difformità del materiale esaminato dalle prescrizioni contrattuali sia sotto il profilo granulometrico sia sotto il profilo mineralogico.
E’ un dato di fatto incontestabile, poi, che rilevanti e palesi difformità sono state riscontrate anche sotto il profilo granulometrico, dal momento che sul litorale del Poetto è stato sversato di tutto: pietre, ciottoli, materiale grossolano e persino un ordigno bellico, materiali tutti di cui egli avrebbe dovuto verificare l’assenza. Il che dimostra come sia stata del tutto carente l’attività di verifica preliminare che spettava al GELLON a bordo della draga.
L’appellante tiene a precisare di non essere stato inquisito per il reato di danneggiamento e di essere stato assolto in sede penale (sentenza n. 1562/2009 del Tribunale penale di Cagliari) dall’accusa di falsità ideologica in atto pubblico ex art. 479 c.p. in ordine alla conformità mineralogica e granulometrica del materiale prelevato in mare e riversato sul litorale e ritiene pertanto errata la valutazione dolosa della sua condotta.
La tesi non è meritevole di accoglimento, dal momento che il GELLON, a prescindere dalla sua assoluzione penale per il reato di falso, è responsabile comunque per una personale e intenzionale violazione dei propri doveri di servizio.
Era, infatti, suo preciso dovere – non adempiuto correttamente – segnalare tempestivamente alla Direzione dei lavori la riscontrata difformità, tanto più ove si consideri, come ha fatto il primo Giudice, che l’utilità delle analisi effettuate a bordo della draga era proprio quella di scongiurare il pericolo che venisse riversata sul litorale sabbia avente caratteristiche diverse da quelle previste in capitolato.
L’intervenuta assoluzione in sede penale per il fatto-reato contestatogli non esclude la responsabilità amministrativa, né il concorso efficiente e consapevole, e pertanto doloso, nella causazione del nocumento erariale.
10.f) Andrea ATZENI – Paolo ORRU’ – Giovanni SERRA - I signori Andrea ATZENI, supervisore scientifico, Paolo ORRU’, direttore operativo, e Gianni SERRA, geomorfologo, sono stati componenti (unitamente ai Direttori dei Lavori Andrea GARDU e Salvatore PISTIS ed a Luigi Aschieri, non appellante) della Commissione scientifica di Monitoraggio del Progetto di ripascimento del Poetto costituita presso l’Assessorato Lavori Pubblici, Viabilità e Trasporti della Provincia di Cagliari.
Tale Commissione aveva il compito di monitorare i lavori di ripascimento in modo continuo e costante, allo scopo di intervenire prontamente per fronteggiare qualunque situazione di scompenso.
Contrariamente a quanto sostenuto dagli appellanti, l’oggetto dell’incarico loro affidato comprendeva anche quello relativo alla valutazione ed analisi periodica dei dati forniti dalla Direzione Lavori e quindi anche della verifica della corrispondenza tra le sabbie fornite dall’impresa appaltatrice con i dati contrattuali, come si evince dalla convenzione di incarico stipulata con il prof. ATZENI, e dall’all. n. 11 al progetto che prevedeva, per le caratteristiche sperimentali dell’intervento, la necessità di un monitoraggio “accurato e pressoché continuo sia per ottimizzarne l’efficacia, sia per cogliere con prontezza eventuali situazioni di scompenso ed introdurre il più rapidamente possibile eventuali provvedimenti correttivi”.
La Commissione di monitoraggio, dunque, doveva garantire la conformità dell’intervento di ripascimento alle prescrizioni di contratto. Era un compito che doveva essere svolto con estrema cautela, con costanti controlli, con obbligo di segnalazione alla Capitaneria di Porto di Cagliari. In realtà, l’intervento si è rivelato del tutto inutile, dal momento che non soltanto la Commissione non ha effettuato i controlli doverosi, ma si è rivelata, come precisato anche dai primi giudici, addirittura pregiudizievole per il buon esito dell’intervento, in quanto ha consapevolmente coperto ed avallato le discrasie e le difformità contrattuali che si sono verificate durante la fase esecutiva dei lavori.
E difatti, già nell’ottobre 2001 la Commissione venne resa edotta dal Prof. COLANTONI della insufficienza delle analisi presentate dall’impresa sulla sabbia prelevata da siti marini, per cui allo stato non vi era alcuna garanzia circa le caratteristiche qualitative e quantitative del materiale estratto. Ciò nonostante, lla Commissione si limitò ad assicurare “controlli estremamente accurati e continui, in draga, della qualità dei materiali”.
Ma la condotta più biasimevole è quella tenuta durante l’esecuzione dei lavori. In tale occasione la Commissione fu contattata dalla Capitaneria di porto di Cagliari che, a seguito delle pressanti proteste della popolazione, degli organi di stampa e delle associazioni ambientaliste, chiese di fornire chiarimenti sulla corrispondenza delle sabbie sversate durante il ripascimento a quelle previste in progetto. La Commissione, con verbale del 22 marzo 2002, sottoscritto all’unanimità, ha coperto le evidenti difformità con dichiarazioni false, sostenendo la perfetta conformità, ed addirittura la coincidenza, sotto il profilo sia granulometrico che mineralogico, tra i materiali messi in opera dall’impresa e le specifiche del capitolato, sostenendo, altresì, che le caratteristiche dei materiali apportati e le modalità di messa in opera non erano tali da destare preoccupazioni o allarmi.
Le difese hanno sostenuto che la Commissione di monitoraggio non era stata dotata di mezzi propri per effettuare analisi e controlli, per cui si erano dovuti necessariamente affidare a quanto loro comunicato dalla Direzione dei lavori. Ma tali affermazioni non appaiono idonee ad escludere la loro responsabilità, poiché, in tal caso, essi non avrebbero dovuto rilasciare dichiarazioni tanto perentorie e rassicuranti. Tale comportamento, in realtà, costituisce ulteriore conferma dell’agire doloso dei componenti della Commissione di monitoraggio, intenzionalmente volto a realizzare i lavori anche a costo di coprire le evidenti difformità contrattuali.
Ciò vale anche per PISTIS e GARDU, i quali facevano parte della Commissione di monitoraggio e, avendo tutte le possibilità di effettuare analisi e controlli sul materiale fornito dall’impresa, ben avrebbero potuto comunicare alla Commissione gli esiti, negativi, delle analisi delle nuove sabbie.
In realtà, la Commissione ha avallato le risultanze delle verifiche e delle analisi sui campioni di materiale svolte dalla Direzione Lavori, in particolare dal PISTIS, che i consulenti del P.M. penale hanno dimostrato essere totalmente differenti dalle percentuali richieste in contratto sia per le caratteristiche granulometriche che mineralogiche della sabbia utilizzata.
La conferma dell’agire intenzionale della Commissione monitoraggio la si rinviene anche nel tentativo, posto in opera dalla stessa, di coprire le difformità contrattuali dell’impresa con una vera e propria campagna mediatica, come è dato rilevare dal verbale del 12 aprile 2002, con cui gli esperti si preoccuparono dell’eccessivo clamore sollevato, a mezzo degli organi di stampa ed auspicarono che l’Amministrazione individuasse un esperto in materia di comunicazione che conduca una campagna informativa nei confronti della popolazione al fine di illustrare i risultati dell’intervento.
Sulla base di tali premesse, il Collegio non può che confermare, in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del dolo, quanto già sostenuto dai primi giudici, i quali, nell’escludere l’ipotesi della colpa, hanno precisato: “Non è pensabile che un consesso così qualificato ed investito di un compito così importante e delicato quale quello di fornire consulenza all’amministrazione provinciale sugli aspetti dell’intervento incidenti sull’evoluzione delle condizioni fisico-ambientali del litorale potesse, tanto più in quel preciso momento, affrontare con leggerezza l’incombenza di dare risposta ai quesiti sottopostigli”.
In definitiva, le censure che i ricorrenti rivolgono avverso la sentenza quanto all’accertamento delle loro condotte gravemente carenti, nonché obiettivamente e consapevolmente agevolatrici della causazione dell’evento dannoso, sono da reputarsi pure giustificazioni difensive postume, inidonee a scalfire il quadro delle responsabilità individuali accertato dal primo giudice sulla base di precisi e puntuali riscontri documentali.
10.g) – Gli ingegneri Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS hanno avuto il ruolo di componenti della Commissione di collaudo dei lavori di ripascimento, e sono stati estranei al processo penale che ha invece interessato gli altri convenuti, mentre nel giudizio di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti sono stati evocati iussu iudicis, con ordinanza n. 6/2008. Nel corso del dibattimento penale i collaudatori sono stati sentiti come testi dinanzi al Tribunale di Cagliari.
I giudici della Sezione territoriale hanno affermato la responsabilità dei collaudatori, ritenendoli anch’essi coinvolti nel disegno politico di far proseguire l’opera a tutti i costi, nonostante l’estraneità dei medesimi al processo penale.
Essi avrebbero omesso di approfondire subito l’esame delle caratteristiche composizionali della sabbia e di prelevare immediatamente i campioni necessari alle autonome verifiche di propria competenza. Tutti i dati relativi ai carichi analizzati in draga mostravano la non congruità della composizione mineralogica della sabbia; ciononostante, secondo la sezione territoriale, la Commissione di collaudo si è accontentata della spiegazione resa dalla D.L. ed ha trascurato la necessità di procedere senza indugio alle opportune verifiche.
Inoltre, sempre secondo i primi giudici, sono stati effettuati pagamenti in base agli stati di avanzamento lavori senza che i collaudatori avessero, prima del collaudo finale, rilevato le difformità, rispetto agli atti progettuali, del materiale impiegato per il ripascimento.
Viene altresì imputato ai collaudatori di non avere tempestivamente formulato le osservazioni ed i suggerimenti in ordine alla lamentata difformità del materiale sversato, attendendo ben diciassette giorni per effettuare i prelievi di sabbia per le analisi composizionali.
Tuttavia, a ben vedere, la ricostruzione dei fatti si presta a considerazioni che la sentenza di primo grado non mostra di avere sufficientemente valutato. Come risulta dagli atti di causa e viene ulteriormente illustrato dagli interessati nell’atto di appello, già alla visita di collaudo in corso d’opera n. 5, del 20 marzo 2002, c’era stata la chiara presa di posizione dei collaudatori per la difformità composizionale della sabbia . Di tale circostanza dà atto anche il giudice penale, che afferma: “Tale difformità, del resto, in particolare per quanto riguarda il profilo mineralogico, come si è visto, era stata già constatata nel verbale di collaudo in corso d’opera n. 5 del 20 marzo 2002… in quella sede era emerso che, stando alle analisi nell’occasione prodotte, la percentuale complessiva di quarzo e feldspati si aggirava intorno al 61%”.
Rileva inoltre il Collegio che tale segnalazione è avvenuta alla presenza dei direttori dei lavori; essa è stata poi accompagnata dal pronto e tempestivo invio del verbale al responsabile del procedimento, ing. MULAS, in data 28 marzo 2002 (prot. n. 13561) e dunque solo otto giorni dopo la visita stessa. Lo stesso verbale, poi, conteneva già alcune fondamentali osservazioni in ordine alle caratteristiche della sabbia sversata, affermando espressamente: “…l’esame composizionale delle sabbie provenienti dal dragaggio porta a riscontrare valori diversi tra quelli precedentemente descritti ed assumibili come di riferimento progettuale. In particolare, mentre i valori percentuali medi del quarzo risultano sempre superiori (55%) a quelli di riferimento, quelli relativi al feldspato risultano mediamente decisamente inferiori (5,4%), come pure risulta inferiore la percentuale complessiva dei due minerali fondamentali…”
Da quanto premesso questo Collegio deve convenire che l’onere di informazione contenuto nell’art. 194, comma 3°, del DPR n. 554/1999– di cui la sentenza impugnata lamenta l’omissione - sia stato compiutamente e correttamente assolto dalla Commissione di collaudo, ponendo l’Amministrazione nelle condizioni di esercitare il potere di sospendere o comunque di omettere prudenzialmente il pagamento all’impresa del IV S.A.L.
Afferma inoltre la sentenza di primo grado che la Commissione di collaudo, nella sua attività in corso d’opera, avrebbe dovuto disporre immediatamente e senza indugio l’effettuazione di nuove analisi più approfondite, proprio sulle caratteristiche composizionali della sabbia di prestito, avvalendosi degli ampi e discrezionali poteri assegnati dalla normativa al collaudatore e non attendere ben 17 giorni per effettuare il prelievo dei campioni per l’analisi composizionale.
Tali affermazioni si pongono, a ben guardare, in contrasto con quanto in precedenza sostenuto dai primi giudici, e cioè che i collaudatori avrebbero dovuto, sin dalla visita di collaudo del 20 marzo 2002, rilevare e segnalare all’amministrazione la difformità della sabbia che era immediatamente percepibile ed apprezzabile. E dunque, se le difformità erano ormai palesi, appare evidente come la necessità dell’effettuazione frettolosa di nuove analisi non era così immediatamente necessaria. L’amministrazione, infatti, bene avrebbe potuto, già sulla scorta dei rilievi e delle osservazioni ricevute e contenute nel verbale trasmesso in data 28 marzo 2002, adottare la sospensione dei pagamenti ed eventualmente procedere al pagamento del IV SAL solo all’esito delle accurate analisi svolte e commissionate dai collaudatori al prof. Valloni.
Analisi, che, del resto, non potevano essere eseguite immediatamente durante la visita del 20 marzo 2002, poiché si trattava di operazioni che richiedevano una complessa tecnica e che i collaudatori medesimi avevano stabilito di far eseguire presso un laboratorio terzo rispetto agli eventi, il quale andava preventivamente individuato. Le operazioni di prelievo, peraltro, necessitavano dell’utilizzo di strumentazioni e macchinari particolari e sarebbero dovute avvenire in contraddittorio con le parti, che andavano previamente convocate.
Si trattava, dunque, di operazioni che, necessitando dell’esecuzione di scavi profondi e ripetuti per tutta l’estensione della spiaggia a varie quote di profondità, non potevano essere improvvisate sul momento ma dovevano essere accuratamente predisposte e programmate.
Senza considerare, peraltro, l’ulteriore impedimento costituito dalla sospensione dei lavori dal 30 marzo al 19 aprile 2002 per il ritrovamento di un ordigno bellico fra il materiale sversato sul litorale dalla draga.
Da quanto precede deve osservarsi che il periodo di tempo intercorso fra il 20 marzo ed il 6 aprile 2002, data in cui furono effettuati i prelievi, non può senz’altro imputarsi – come sostiene la sentenza impugnata – ad inerzia dei collaudatori.
Peraltro, i collaudatori rilevarono le difformità contrattuali in più di un’occasione durante le visite di collaudo.
Innanzitutto, nel verbale n. 5 del 20 marzo 2002 rilevarono le difformità nell’esame composizionale delle sabbie. In quella occasione i signori RITOSSA e CONCAS formularono ulteriori osservazioni e rilievi ai sensi dell’art. 194, 3° comma, del DPR già citato, con riferimento sia alla ravvisata ristretta tempistica rispetto alle indicazioni progettuali delle operazioni di ripascimento, sia in ordine al metodo di calcolo della quantità di sabbia sversata. Anche dette osservazioni sarebbero state sufficienti all’Amministrazione per adottare i provvedimenti di propria competenza in ordine ai lavori e ai pagamenti.
Nel verbale n. 6 del 3 aprile 2002, alla presenza, tra gli altri, del Responsabile del procedimento, proprio al fine di poter meglio valutare la conformità della sabbia al capitolato sia nella quantità che nelle caratteristiche, la Commissione di collaudo suggeriva, ai sensi dell’art. 194, 3° comma citato, al direttore dei lavori di emettere un ordine di servizio per indurre l’impresa ad effettuare la necessaria e doverosa operazione di grigliatura del materiale sversato, in modo da far scoprire tutti i livelli di sabbia anche al fine di operare le necessarie detrazioni di pagamento per il materiale non conforme dal punto di vista granulometrico. Inoltre, i collaudatori rilevavano l’eccessiva quantità di sabbia sversata rispetto agli atti progettuali, con suggerimento alla Direzione lavori di intervenire puntualizzando con propria nota la situazione all’impresa. Svolgevano, altresì, ulteriori osservazioni in ordine alla concentrazione dei tempi di sversamento rispetto ai tempi progettuali, già oggetto di precedente rilievo, chiedendo un specifica relazione di studio in proposito e sollecitando, sull’aspetto ambientale, la Commissione di monitoraggio.
Nel verbale n. 7 del 6 aprile 2002, i collaudatori formulavano osservazioni e suggerimenti alla Direzione lavori in ordine alle già richieste operazioni di grigliatura, pettinatura e spianamento della spiaggia.
Infine, nel verbale n. 8 in data 17 aprile 2002, alla presenza, fra gli altri, del Responsabile del procedimento e dei Direttori dei lavori, gli ingg. RITOSSA e CONCAS, resi edotti della emissione del certificato di pagamento relativo al IV SAL in data 15.04.2002, ne contestavano l’emissione ritenendolo eccessivo, trattandosi di pagamento in partita provvisoria e “tenuto conto delle contestazioni in corso”. A quel punto l’Amministrazione provinciale, e per essa il Responsabile del procedimento, allertata sul punto dalle osservazioni della Commissione di collaudo, tenuto conto delle fasi dell’iter di pagamento successive all’emissione del certificato, aveva ancora i tempi tecnici per procedere alla sospensione del certificato di pagamento e non emettere, prudenzialmente, il mandato di pagamento (emissione di fatto avvenuta, a cura della Ragioneria provinciale, in data 30 aprile 2002).
Si deve pertanto osservare, a seguito di quanto precedentemente esposto, che nessun comportamento dolosamente omissivo o volutamente compiacente può ravvisarsi nei collaudatori in tale fase di esecuzione dei lavori, né tanto meno negligente, perché contrariamente a quanto sostenuto dai primi giudici, la quantità e tempestività delle segnalazioni poste in essere in corso d’opera dai collaudatori avrebbero dovuto portare l’amministrazione e, per essa, il responsabile del procedimento da un lato ed i Direttori dei lavori dall’altro, a procedere a sospendere i pagamenti e per quanto possibile fermare i lavori anche in assenza dei risultati finali delle analisi sulla composizione della sabbia, in quanto vi erano già sufficienti elementi per procedere in tal senso, forniti dalla Commissione di collaudo quale conseguenza delle osservazioni e suggerimenti effettuati ai sensi dell’art. 194 3° comma DPR n. 554/1999.
E se, alla fine, gli ingg. RITOSSA e CONCAS hanno collaudato l’opera, sia pure con detrazioni, si deve osservare che a ciò i medesimi sono stati indotti non dall’intento doloso di assecondare il disegno politico di licenziare comunque i lavori, ma dall’avere considerato che, ai sensi dell’art. 197 del DPR n. 554/1999, i difetti e le mancanze riscontrati, per quanto gravi, non fossero comunque tali da pregiudicare “la stabilità dell’opera e la regolarità del servizio”, unica condizione che in base alla norma citata avrebbe loro consentito di rifiutare l’opera in quanto “assolutamente inaccettabile”. Si è trattato, cioè, di un ragionamento che ha tenuto conto della fruibilità del bene (seppure gravemente compromesso nel valore paesaggistico a seguito della non corretta esecuzione del ripascimento) sotto il profilo dell’attività di balneazione e della circostanza che, delle due funzioni cui l’intervento era destinato, quella di protezione civile e quella di conservazione delle caratteristiche ambientali e paesaggistiche della spiaggia, l’intervento di ripascimento aveva realizzato quanto meno la funzione di recupero del litorale depauperato, sia pure a costo di pesanti violazioni del capitolato e del progetto nell’impiego dei materiali, le quali avevano pregiudicato comunque il valore ambientale della spiaggia. Proprio in ragione delle citate difformità contrattuali i collaudatori avevano applicato all’impresa in sede di collaudo una penale di oltre un milione di euro, ivi compreso l’importo già detratto dalla Direzione Lavori.
Da tutto quanto sopra riportato questo Collegio conclude per l’accoglimento dell’appello degli ingg. Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS, con esclusione di ogni responsabilità a loro carico, atteso che, nel breve arco temporale della durata dei lavori, essi hanno posto in essere quanto tecnicamente possibile nel rispetto delle norme che regolavano l’operato dei collaudatori.
10.h) – Il signor Renzo ZIRONE durante l’intervento di ripascimento è stato Assessore dei Lavori Pubblici presso la Provincia di Cagliari.
Egli, come già fatto rilevare dei primi giudici, risulta pienamente coinvolto nella vicenda, avendo preso parte alla stessa in tutte le fasi del ripascimento. Avuto riguardo allo specifico profilo della sua responsabilità l’appellante, come ha già fatto in primo grado, si difende dalle contestazioni ed avversa la decisione del primo giudice affermando di avere soltanto “controfirmato”, in quanto assessore e quindi soggetto politico, atti predisposti da dirigenti e tecnici ed invoca la scriminante di cui all’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 20/1994, che esonera da responsabilità i titolari degli organi politici che in buona fede abbiano approvato ovvero abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione di atti “che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi”.
L’appellante afferma, in sostanza, che l’organo politico deliberante dovrebbe andare esente da responsabilità ai sensi dell’art. 1, comma 1-ter, della L. n. 20/1994, poiché ha semplicemente approvato atti rientranti nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi.
Anche tale motivo di appello è da respingere, in quanto l’ esimente politica è esperibile nei confronti degli organi di governo dell’Ente nella loro attività di elezione delle scelte attinenti alla politica generale dell’ente locale, nella specie non in contestazione (Sez. I Centrale, n. 115/2003).
In secondo luogo, la giurisprudenza pacifica afferma che la c.d. “scriminante politica” è esclusa quando l’evidenza dell’erroneità dell’atto sia stata tale da escludere qualsiasi buona fede (Sez. II centr., n. 29/A del 3.2.1999; n. 303/A del 3.11.2003 ; Sez. Lazio, n. 2087 del 12.10.2005; Sez. Lombardia, n. 323 del 6.03. 2003).
Nel caso di specie, si deve convenire che la tesi difensiva manca di cogliere la circostanza che all’Assessore ZIRONE è stata addossata una responsabilità “in proprio” e non per atti altrui.
Egli afferma di non avere avuto deleghe, ma se così fosse non si spiegherebbe il suo costante intervento in prima persona in tutte le operazioni di ripascimento; la tesi difensiva non lo esime certo da responsabilità, dal momento che, anche in tal caso, l’assessore avrebbe dovuto assumere un atteggiamento più prudente e incline a maggiori accertamenti.
In realtà, egli ha agito nell’ambito delle proprie competenze, condizionando l’operato anche degli altri soggetti. E’ quanto emerge anche dalla sentenza della Corte di appello di Cagliari n. 1021/2009, nella quale si precisa: “E’ ben vero che l’Assessore ha in linea generale un preminente ruolo politico, ma nel caso in esame lo ZIRONE non si era evidentemente accontentato di ricoprire la carica politica e lasciar fare ai tecnici quanto di loro competenza, ma aveva da subito, massicciamente, preso parte attiva a tutte le fasi del ripascimento, da quella iniziale relativa all’aggiudicazione dell’appalto a quelle successive, presentandosi, in tal modo, come uno dei diretti referenti dell’impresa che, come si è esposto, indirizzava anche a lui la corrispondenza relativa all’esecuzione dell’appalto e riceveva risposte anche da lui sottoscritte. Con siffatta condotta l’assessore aveva di fatto apposto il proprio benestare ufficiale a tutte le operazioni in corso ed all’operato dei tecnici del suo assessorato, rafforzandone di conseguenza i propositi tra i quali, in particolar modo, quello di portare avanti ad ogni costo le operazioni di ripascimento nonostante l’evidente esito negativo e le proteste generali”.
E difatti le risultanze documentali agli atti comprovano i maniera inequivocabile la sua partecipazione attiva ed in prima persona, non solo attraverso la firma di atti di rilievo (si pensi, ad esempio, alla nota del 9 gennaio 2002 con cui egli, unitamente ai Direttori dei lavori ed al Responsabile del procedimento, dava assicurazioni all’Impresa di un celere interessamento della Provincia presso il Ministero dell’Ambiente al fine di operare la correzione delle coordinate della zona di prelievo, che poi non si è verificato), ma anche attraverso la partecipazione a riunioni (presso il Ministero dell’Ambiente o la Commissione di monitoraggio); ha poi seguito personalmente le operazioni di versamento del materiale, impartendo disposizioni sulla sicurezza dell’arenile (cf. nota prot. 13790 del 2 aprile 2002) ed ha preso parte ad incontri con la stampa e con televisioni locali in cui ha assunto il ruolo di consapevole e fattiva difesa dell’operato della Provincia e dei suoi organi tecnici, sostenendo la corretta esecuzione del ripascimento durante la fase di esecuzione dei lavori. Famosa è l’intervista, rilasciata dallo ZIRONE nel marzo 2002, subito dopo l’inizio delle attività di sversamento della sabbia sul litorale e in piena protesta da parte della popolazione e delle associazioni ambientaliste, nella quale egli ha assunto toni del tutto tranquillizzanti sulle caratteristiche della sabbia riversata e sul suo imminente “sbiancamento” una volta asciugatasi.
Tutto ciò costituisce prova inequivocabile che egli era perfettamente al corrente dell’andamento dei lavori e delle difficoltà, oltre che delle irregolarità, che di volta in volta emergevano, essendosi di fatto ingerito nella gestione amministrativa dell’appalto, anche in assenza di espressa delega presidenziale.
Tuttavia, in luogo di sollecitare gli organi tecnici, a fronte del grave inadempimento contrattuale, ad intervenire disponendo la sospensione dei lavori, o comunque in luogo di indurli ad un comportamento più cauto e più responsabile, l’Assessore ne ha avallato anche pubblicamente le condotte, sostenendo che i lavori di sversamento sul litorale di materiale grossolano e non conforme alla prescrizioni contrattuali proseguissero senza soluzione di continuità, in ciò accettando il rischio di un risultato finale in totale difformità da quanto previsto in progetto.
Correttamente, dunque, il primo giudice ha sottolineato l’inverosimiglianza della tesi sostenuta dallo ZIRONE, riguardo ad una sua asserita incapacità di valutare in termini tecnici quale fosse il reale stato delle cose, posto che quest’ultimo doveva apparire di sicura gravità anche ad un non tecnico, cui era stata persino rappresentata graficamente (cfr. mappa allegata alla comunicazione dell’Impresa del 19 dicembre 2001) la quasi completa diversità dell’area autorizzata da quella richiesta, nonché l’alta e concreta probabilità che, in assenza di correzione dell’errore, dal sito autorizzato sarebbe stata prelevata sabbia non idonea qualitativamente e quantitativamente, con rischio di compromissione del risultato finale dell’intervento.
Da quanto esposto, il Collegio non può che confermare la responsabilità dell’Assessore ZIRONE nella vicenda e la piena sussistenza del nesso di causalità fra la condotta scientemente tenuta, e pertanto dolosa, e l’evento dannoso occorso, stante la penetrante conoscenza che il medesimo aveva delle problematiche che caratterizzavano lo svolgimento dei lavori di ripascimento.
10.i) – Al Presidente della Provincia, dr. Sandro BALLETTO, è stato imputato di avere consapevolmente tollerato e infine omesso di impedire, in violazione di precisi doveri di mandato, che l’attività ostensivamente pregiudizievole posta in essere dai dirigenti tecnici della Provincia e dai numerosi professionisti incaricati andasse a compimento, senza mai richiamare gli organi tecnici ad un più puntuale esercizio dei propri doveri, eventualmente anche sollecitandoli alla sospensione delle operazioni di ripascimento in presenza delle rilevanti difformità contrattuali che le stesse avevano manifestato.
Nel proprio atto di gravame, l’appellante ha precisato che con sentenza n. 333/2009, depositata il giorno 8 aprile 2009, la Corte di appello di Cagliari – 1^ Sez. penale lo ha assolto per il reato di danneggiamento e violazione ambientale, con la formula “per non aver commesso il fatto”, nel mentre era già stato assolto dal GIP per il reato di abuso di ufficio. Tale statuizione è stata confermata dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 43739/2010 depositata il 10 dicembre 2010.
Ebbene, osserva questo Giudicante che l’intervenuta assoluzione del dott. BALLETTO in sede penale, pur serbando indiscutibilmente efficacia vincolante nel giudizio contabile ex art. 652 c.p.p., non muta i termini della responsabilità amministrativa addebitabile al Presidente della Provincia, per condotte amministrative che, non costituenti fatto-reato, hanno causalmente contribuito al verificarsi del nocumento erariale, nelle sue due componenti del danno patrimoniale e di immagine.
Il nucleo essenziale della censura proposta dall’appellante, quanto alla sua personale responsabilità, ruota intorno al principio della separazione tra indirizzo politico e gestione dirigenziale, nonché alla applicabilità della scriminante di cui all’art. 1, comma 1-ter, dellalegge n. 20 del 1994, che esonera da responsabilità i titolari degli organi politici che in buona fede abbiano approvato ovvero abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione di atti “che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi”.
In proposito il Collegio si riporta a quanto già osservato per l’appellante ZIRONE, in merito alla non operatività, nel caso di specie, di siffatta scriminante.
Ciò in quanto, in realtà, al dott. BALLETTO è stata contestata ed addossata una responsabilità “in proprio” e non per atti altrui, riferita alla circostanza che al Presidente della Provincia, stanti i compiti di sovrintendenza e vigilanza intestati per il ruolo di vertice ricoperto, non doveva sfuggire la consapevolezza degli andamenti irregolari e viziati di un opera di primaria importanza – e dunque esulante il novero degli atti di ordinaria amministrazione – di rilevanza tanto più grande quando, iniziati gli sversamenti della sabbia, si destò la preoccupazione dell’opinione pubblica.
E’ un dato di fatto, accertato anche in sede penale, che della questione del ripascimento si occupavano, oltre ai dirigenti amministrativi (e in particolare il responsabile del procedimento ed i direttori dei lavori) ed ai vari tecnici, anche il Presidente della Provincia e l’Assessore ai lavori Pubblici, come del resto era naturale in considerazione della importanza dei lavori da eseguire e dell’incidenza degli stessi su beni di rilevanza paesaggistica fondamentale.
Il presidente BALLETTO aveva peraltro presieduto la Giunta provinciale che, con deliberazione del 3 agosto 2001, aveva nominato i componenti della Commissione incaricata del monitoraggio, approvando contestualmente gli schemi di convenzione con gli stessi predisposti.
Peraltro, è ormai noto che durante l’esecuzione dei lavori di sversamento della sabbia, erano stati presentati svariati esposti da parte di numerose associazioni ambientaliste, diretti anche al Presidente della Provincia, tra i quali quello dell’Associazione Legambiente che l’11 marzo 2002 chiedeva la sospensione dei lavori di ripascimento del Poetto, evidenziando che i primi quantitativi di sabbia sversati sulla spiaggi, oltre che di colore nero, erano di granulometria decisamente differente da quelli delle sabbie originarie.
La presenza, in più occasioni, del Presidente della Provincia e dell’Assessore ZIRONE durante i lavori di sversamento della sabbia (e, quindi, la diretta constatazione da parte degli stessi di quanto avveniva) è documentata da numerosi articoli pubblicati sui quotidiani locali.
La presenza in spiaggia, in occasione dei primi lanci effettuati dalla draga Antigoon, del Presidente BALLETTO e dell’Assessore ZIRONE, risulta da “L’Unione sarda” del 9 marzo 2002, che evidenziava come i predetti avessero constatato la diversa tonalità cromatica della sabbia. In particolare, al dr. BALLETTO è attribuita la frase: “nera, ma diventerà candida grazie all’ossidazione”.
Un ulteriore sopralluogo, compiuto sulla spiaggia da BALLETTO e ZIRONE in compagnia di alcuni tecnici, formava oggetto di un articolo dell’”Unione Sarda” del 14 marzo 2002; il 15 marzo lo stesso quotidiano riferiva che, durante una conferenza stampa il dr. BALLETTO aveva respinto con decisione l’ipotesi di una sospensione dei lavori di ripascimento.
L’”Unione sarda” e “La nuova Sardegna” del 21 marzo 2002 documentavano un ulteriore sopralluogo sulla spiaggia, presenti l’Assessore ZIRONE e il presidente BALLETTO.
Particolarmente rilevante appare, ancora, la dichiarazione del dott. BALLETTO pubblicata sull’”Unione sarda” del 24 marzo 2002, secondo cui non solo la sabbia del Poetto sarebbe tornata come prima, ma sarebbe diventata “ancora più bianca” per la presenza di una quantità di quarzo nelle sabbia di riporto “maggiore rispetto a quella preesistente”: circostanza, questo, in netto contrasto con quanto emerso sino ad allora dai risultati delle analisi commissionate dalla stessa Provincia, e con le difformità che avevano già segnalato i collaudatori ingg. RITOSSA e CONCAS fin dalla visita in corso d’opera del 20 marzo 2002.
Come del resto riconosciuto dallo stesso appellante nel corso del giudizio abbreviato, dato il particolare rilievo del ripascimento del Poetto, il progetto predisposto dalla precedente Amministrazione era stato sottoposto alla sua attenzione non appena eletto.
Da quanto riferito dall’Assessore ZIRONE in sede penale e poi riportato sulla “Nuova Sardegna” del 15 ottobre 2004, ogni decisione sul Poetto era stata presa collegialmente ed il Presidente BALLETTO era da lui costantemente informato di ogni cosa.
Ebbene, è stato accertato che il materiale riversato sulla spiaggia del Poetto in occasione del ripascimento si differenziava nettamente, per le caratteristiche morfologiche e mineralogiche, non solo dalla sabbia originale presente nella spiaggia, ma soprattutto da quella individuata nei parametri (non modificati e non modificabili) di cui al capitolato speciale di appalto ed ai documenti da esso richiamati.
Il dato, del tutto pacifico, veniva riconosciuto anche dai collaudatori, i quali evidenziavano altresì come le pietre sino ad allora rimosse dalla spiaggia ammontassero ad oltre 6.600 metri cubi.
Ebbene, a fronte di tale circostanza, da più punti segnalata e in presenza dell’allarme destato nell’opinione pubblica, il Presidente della Provincia ha tenuto un atteggiamento del tutto omissivo, in violazione dei precisi doveri a lui imposti dall’art. 50, comma 2 delD.Lgvo n. 267/2000, secondo cui il Presidente della Provincia, quale “organo responsabile dell’amministrazione dell’ente” (comma 1), sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici ed all’esecuzione degli atti.
E ciò è evidente se si tiene conto che, con la legge n. 127/1997 e, in seguito, con il D.Lgvo n. 267/2000, l’attribuzione di competenze in materia contrattuale e dei relativi adempimenti esecutivi ai dirigenti trova, comunque, il proprio bilanciamento nel rafforzamento dei poteri di indirizzo e di controllo, e in particolare di quelli attribuiti (al Sindaco e) al presidente della Provincia.
D’altra parte, per il ruolo di vertice che il BALLETTO rivestiva, un intervento presso il responsabile del procedimento e il direttore dei lavori - non certo per ordinare la sospensione dei lavori, che non rientrava fra i suoi poteri, ma per richiamare l’attenzione dei medesimi sulle difformità riscontrate ed evidenziate dagli stessi collaudatori, per sollecitare il rispetto delle prescrizioni contrattuali e delle procedure in materia ed eventualmente indurli a valutare la necessità di sospendere i lavori al fine di compiere più approfonditi accertamenti - era comunque da ritenersi doveroso.
E’ quanto, d’altra parte, riconosciuto anche dal giudice penale, che ha peraltro precisato (cfr. sent. Gip) che “un potere di vigilanza e controllo implica necessariamente il potere-dovere di intervenire ove se ne verifichi la necessità, in quanto, se così non fosse, lo stesso risulterebbe svuotato di ogni significato”.
Anche la giurisprudenza della Cassazione, d’altronde, ha ritenuto che l’amministratore, anche e soprattutto sul piano locale, non può “arroccarsi su di una posizione di apparente neutralità, pretendendo di delegare ai tecnici, senza assunzione di responsabilità diretta, le decisioni su questioni che riguardano con immediatezza la sua funzione pubblica (Cass. sez. 6, 11 maggio 1999, n. 8194).
Con riferimento, poi, al permanere della responsabilità degli organi di governo, anche in presenza del principio di separazione dei compiti della dirigenza, si è espresso anche il giudice amministrativo (TAR Campania, Napoli, sez. I, 6 febbraio 2006, n. 1621) secondo cui “è indubbio che gli organi di governo siano responsabili, in quanto organi di vertice, della conduzione generale dell’attività amministrativa”, come “emerge anche dal principio generale di responsabilità del Sindaco ai sensi dell’art.50 comma 1 d.lgvo 18 agosto 2000 n. 267 e dal potere di nomina dei dirigenti e dei funzionari di cui ai commi 8 e 10, medesima disposizione”.
In particolare il giudice amministrativo ha precisato che, se anche nei settori degli appalti la competenza appartiene alla dirigenza, nel caso di specie “gli organi di governo, comunque a conoscenza di specifici episodi che avrebbero comunque dovuto doverosamente conoscere proprio per la delicata funzione di indirizzo e di responsabilità rivestita”, non avevano posto in essere “nessuna azione di concreto contrasto o rimedio”.
E’ quanto, del resto, verificatosi nella fattispecie all’esame, in cui il massimo organo rappresentativo della Provincia (ente cui lo stesso decreto del Ministero dell’Ambiente aveva genericamente attribuito il potere di sospendere le operazioni di scavo e di sversamento di materiale sull’arenile “per ragioni di dimostrata necessità”) è rimasto totalmente inerte di fronte alle proteste degli ambientalisti, l’allarme della popolazione e la constatazione, attraverso i numerosi sopralluoghi fatti sulla spiaggia durante i lavori di ripascimento, che la sabbia sversata si discostava sensibilmente da quella prevista in capitolato.
Ciò avvalora la tesi esposta dal MULAS in sede penale, e cioè che l’”organo politico” avesse impresso “un’accelerazione…affinchè i lavori venissero comunque effettuati”.
Né può ritenersi convincente la tesi – pure sostenuta dagli altri ricorrenti - secondo cui l’appellante sarebbe rimasto inerte per il timore di perdere i finanziamenti a suo tempo concessi all’ente pubblico per l’esecuzione dei lavori di ripascimento, dal momento che, come ha pure rilevato il giudice penale (cfr. sent. Corte appello Cagliari n. 1021/2009) “in ogni caso la necessità di non perdere i finanziamenti concessi ad un ente non pare affatto assistita da un fine pubblico, quanto piuttosto da un interesse esclusivo di quell’ente ed anche privato degli imputati, i quali volevano presentarsi alla pubblica opinione come coloro che avevano “salvato” il Poetto dal degrado, ottenendo in tal modo un consenso di immagine e strettamente politico che non è affatto coincidente con il primario interesse che con quei lavori si doveva perseguire. Nel caso in esame, dunque…l’interesse pubblico…consisteva nella esecuzione di un corretto intervento di ripascimento, nel rispetto delle prescrizioni contrattuali, e dunque anche nella sospensione o interruzione di lavori che non assicuravano affatto il ripristino della spiaggia nei termini stabiliti”.
D’altra parte, la natura di bene ambientale di particolare rilievo sul quale i lavori dovevano essere eseguiti era nota a tutti, e proprio alla finalità di mantenerne inalterate le caratteristiche di pregio durante il ripascimento si ricollegano i lunghi studi preliminari, la previsione di un intervento di carattere limitato, sperimentale e graduale ed i meccanismi di selezione, controllo e monitoraggio.
Ebbene, di fronte ad un inadempimento contrattuale di immediata percezione e segnalato da più parti, il massimo esponente della Provincia non ha fatto nulla, com’era invece suo dovere, per richiamare i tecnici all’osservanza delle prescrizioni del capitolato, aderendo pienamente al disegno politico di realizzare comunque i lavori ed accettando dunque, con piena consapevolezza, anche il rischio che gli stessi venissero eseguiti in palese difformità.
Né possono ritenersi idonei ad esonerare l’appellante da responsabilità i riferimenti generici e sforniti di elementi di prova concernenti la presunta responsabilità per omissione di intervento di numerosi altri soggetti od organi ed Enti aventi diverse competenze (Pubblico ministero penale, Ministero dell’ambiente, Regione, Capitaneria di Porto, Giunta provinciale, Consiglio provinciale, Consiglio comunale).
Come già ha avuto modo di precisare il giudice penale (cfr. sent. n. 333/2009 cit.) tali enti ed organismi non avevano in ordine al ripascimento in atti – a differenza della Provincia – il patrimonio di dati, conoscenze ed elementi di giudizio che avrebbe consentito un intervento cautelare consapevole, ragionato e tempestivo; la Procura della Repubblica avrebbe dovuto disporre delle consulenze scientifiche e comunque esaminare una gran quantità di documenti, ben noti invece alla Provincia; quanto alla Regione, la stessa aveva chiesto lumi alla Provincia ma la Direzione lavori inviò la documentazione solamente il 18 marzo e nei pochi giorni rimanenti prima del termine delle operazioni di sversamento non avrebbe certo potuto effettuare delle verifiche adeguate.
Deve pertanto ribadirsi la responsabilità nella vicenda anche del dr. BALLETTO, il quale, con condotte dolose, ha scientemente violato i propri doveri di controllo e vigilanza che gli competevano in qualità di Presidente della provincia, omettendo di intervenire – pur in presenza di constatate e gravi violazioni esecutive - sugli organi tecnici preposti alla esecuzione di un appalto di grandissima importanza quale era appunto il ripascimento del Poetto, omettendo di far rilevare la non conformità dell’atto di gestione dei dirigenti tecnici non soltanto all’indirizzo politico, quanto alle regole contrattuali volute dall’Amministrazione stessa proprio al fine di evitare rischi di compromissione delle caratteristiche di pregio ambientale possedute dal litorale del Poetto.
11. Il danno all’immagine - L’eccezione concernente l’insussistenza o improcedibilità del danno all’immagine (GARDU, PISTIS, COLANTONI, FRANCO, ATZENI, ORRU’, SERRA, ZIRONE), proposta per la prima volta in appello, si imbatte nella preclusione processuale di cui all’art. 345, comma 2, c.p.c.
Si tratta, del resto, di eccezione in senso stretto, quindi non rilevabile d’ufficio, come recentemente chiarito dalle Sezioni Riunite con sentenza n. 13/2011/QM del 3 agosto 2011, ivi osservandosi testualmente quanto segue: “Ne consegue che – sebbene la nullità in questione possa essere rilevata da “chiunque” ne abbia interesse – essa non può essere rilevata d’ufficio dal giudice, perché quest’ultimo, per definizione, non può avere interesse nella causa (ex art. 111 Cost.) e perché la norma individua come condizione della nullità un’iniziativa di un soggetto interessato dinanzi alla Sezione, senza alcun riferimento ad iniziative officiose. Nemmeno, del resto, può affermarsi che la proponibilità della nullità da parte di “chiunque” ne abbia interesse ne implichi la rilevabilità d’ufficio, in quanto le due nozioni sono concettualmente distinte (come dimostra l’espressa previsione dell’art. 1421 c.c.) ed il confronto tra l’art. 17 in esame (che prevede solo l’iniziativa di parte) e l’art. 1421 c.c. (che prevede l’iniziativa di parte e il rilievo d’ufficio) conferma che l’intento del legislatore è quello di legare il rilievo della nullità in questione ad un’iniziativa di parte, soprattutto ove si consideri che la nullità in esame ha natura non solo endoprocessuale ma anche “sostanziale” in senso lato”.
Rileva poi il Collegio che in ogni caso – ed in via ancor più assorbente – si tratta di eccezione riferita ad una disposizione di legge che non è applicabile nel giudizio de quo.
Le Sezioni Riunite della Corte dei conti, con sentenza n. 12/2011/QM del 3 agosto 2011, hanno avuto modo di osservare che l’art. 17, comma 30, del D.L. n. 78/2009 influisce direttamente sui presupposti sostanziali dell’azione contabile e che, in particolare, per quel che riguarda il danno all’immagine, il Giudice delle leggi ha provveduto a precisare che tale norma incide sulla configurabilità stessa del danno all’immagine, il quale infatti è stato ritenuto possibile solo se ricorrono talune specifiche fattispecie delittuose (Corte Costituzionale, sent. 15 dicembre 2010, n. 355), e che il quarto periodo del comma 30-ter “esclude l’applicabilità delle nuove previsioni nella sola ipotesi in cui sia stata già emessa una sentenza, sia pure non definitiva”.
Orbene, al momento della entrata in vigore del D.L. n. 78 del 1° luglio 2009 era già stata emessa la sentenza parziale n. 1830/08 del 18 settembre 2008, recante statuizioni decisionali sulla giurisdizione e su altre eccezioni preliminari, tra cui quella relativa alla prescrizione dell’azione di responsabilità.
Poiché, come affermato dalle Sezioni Riunite nella menzionata sentenza n. 12/2001/QM, le sentenze non definitive per le quali vale la c.d. “clausola di salvezza” sono quelle di cui all’art. 279 c.p.c., n. 4 – che risolvono una questione di giurisdizione, oppure di competenza, ovvero decidono questioni pregiudiziali attinenti al processo o preliminari di merito, o ancora alcune soltanto delle questioni di merito ai sensi dell’art. 277, comma 2, c.p.c., impartendo nel contempo provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa – tra le stesse indubbiamente si iscrive la sentenza parziale n. 1830/08 del 18 settembre 2008, emessa dalla Sezione regionale sarda, con la quale ebbe a pronunciarsi, tra l’altro, sull’eccezione di difetto di giurisdizione.
Non operando siffatta preclusione, risulta pertanto impregiudicata, nella fattispecie, la piena perseguibilità del danno all’immagine, anche nei confronti di coloro che non sono stati coinvolti nel giudizio penale, e quindi, anche in assenza di un fatto di reato.
Anche tale motivo di appello, pertanto, di rivela infondato.
12. La quantificazione del danno all’immagine - Questo Collegio ha già avuto modo, nell’esaminare i motivi di appello degli interessati, di contrastare le deduzioni degli appellanti sull’ asserita “compatibilità” della sabbia versata, precisando che le stesse poggiano sulla tesi di un’opera pubblica destinata alla mera difesa protettiva del litorale; tesi che non può assolutamente ritenersi fondata, perché smentita dalla documentazione contrattuale, dalle peculiarità caratteristiche del luogo dell’intervento, dalla natura sperimentale dello stesso e da tutto ciò che è stato oggetto di lunghi studi e valutazioni preliminari al fine precipuo di preservare e lasciare inalterato il notevole valore estetico e paesaggistico del litorale del Poetto.
E’ stato già precisato da questo giudicante che la finalità che si prefiggeva l’intervento era duplice: di difesa ambientale e di conservazione dell’aspetto estetico del litorale. La circostanza, peraltro, che – sulla base di una valutazione ex ante, cui questo Collegio è tenuto ad attenersi – sia stato raggiunto lo scopo parziale della difesa strutturale della costa, non esclude, tuttavia, l’evento dannoso contestato ed il conseguente danno di immagine per la risonanza e l’allarme sociale che la vicenda destò a livello locale e nazionale, e la conseguente perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dell’Amministrazione provinciale, che durante i lavori di ripascimento ha dato prova di assoluta inefficienza e non ha neppure saputo cogliere l’allarme della popolazione.
Né può ritenersi meritevole di apprezzamento l’eccezione di compensazione del danno medesimo con gli asseriti vantaggi conseguenti ad una migliore fruibilità del litorale.
Ciò in quanto, per potersi ritenere compensabili con il danno, i “vantaggi” o “utilità” presuntivamente accampati debbono derivare causalmente dall’illecito, attraverso una valutazione effettuabile ex post, ma che deve consistere nell’accertamento concreto di effettive e reali conseguenze riconducibili alla condotta trasgressiva causa del nocumento (Sez. I appello, n. 304/2005; n. 240/2007; n. 235/2008).
In altri termini, unico deve essere il fatto generatore che abbia determinato sia il danno che il vantaggio in relazione ai comportamenti tenuti, nel senso che entrambe le poste messe a confronto – danno ed accertata utilità – sono derivate dallo stesso fattore eziologico o titolo.
Nel caso di specie, per ritenere fondata la tesi degli appellanti, si dovrebbe poter dimostrare che gli asseriti incrementi della “fruizione turistica” della spiaggia del Poetto e degli introiti per concessioni demaniali relative a stabilimenti balneari e locali di ristoro sono scaturiti proprio dalle rilevanti difformità verificatesi nell’esecuzione dei lavori di ripascimento e dal fatto che di quella spiaggia, con quei lavori errati, sono state trasmutate le caratteristiche paesaggistiche originarie.
Il che appare un’affermazione contraria al buon senso, e pertanto del tutto inaccettabile.
Tuttavia, la circostanza che quanto meno la finalità di protezione civile sia stata raggiunta, sia pure a scapito dell’ulteriore e imprescindibile finalità del mantenimento dell’alto pregio ambientale della spiaggia, induce il Collegio a disporre una quantificazione in diminuzione del danno patrimoniale e del correlato danno di immagine.
In tale senso gli appelli dei signori Lorenzo MULAS, Andrea GARDU, Salvatore PISTIS, Andrea ATZENI, Paolo ORRU’, Giovanni SERRA, Antonello Priamo Luciano GELLON, Paolo COLANTONI, Leopoldo FRANCO, Remo ZIRONE e Sandro BALLETTO vengono parzialmente accolti, limitatamente alla diversa quantificazione del danno addebitato.
In ragione di quanto appena esposto può pertanto affermarsi che il danno patrimoniale conseguente alla ingiustificata diminuzione patrimoniale subita dalla Provincia a fronte dei lavori di ripascimento eseguiti in difformità dal contratto, quantificato dal primo giudice in euro 3.986.910,35, possa essere ridotto del 40%, e quindi venire rideterminato in euro 2.392.146,00, somma che andrà rivalutata a decorrere dalle date dei singoli pagamenti sulla base degli indici ISTAT.
Ne consegue che anche il danno all’ immagine subìto dall’Amministrazione provinciale di Cagliari, quantificato dai primi giudici in un importo pari al 20% del danno patrimoniale, deve essere rideterminato in euro 478.429,00.
Pertanto il danno complessivamente posto a carico degli appellanti ammonta ad euro 2.870.575,00, oltre interessi legali da calcolare sull’importo del danno patrimoniale rivalutato e su quello dovuto a titolo di danno all’immagine, dalla data della sentenza e sino al soddisfo.
L’accertata piena volontarietà dei comportamenti degli appellanti, intenzionalmente volti a disattendere i propri obblighi di servizio anche a fronte di palesi e macroscopiche difformità contrattuali, induce il Collegio a confermare la condanna in solido. Tuttavia, ai soli fini del riparto interno fra i condebitori - e ferma restando la condanna del signor Luigi ASCHIERI, in solido per l’intero importo del danno erariale (così come rideterminato dalla presente sentenza), già passata in giudicato - si ritiene di dover stabilire, in ragione del diverso apporto causale nella produzione del danno erariale, le seguenti quote di riparto interno per gli appellanti:
- Salvatore PISTIS risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 574.115,00 ai fini del riparto interno, pari al 20% del danno complessivo;
- Andrea GARDU risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 430.586,00 ai fini del riparto interno, pari al 15% del danno complessivo;
- Lorenzo MULAS risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 430.586,00 ai fini del riparto interno, pari al 15% del danno complessivo;
- Andrea ATZENI, Paolo ORRU’ e Giovanni SERRA, componenti della Commissione di monitoraggio, rispondono in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e ognuno fino alla concorrenza di euro 191.372,00 ai fini del riparto interno, pari ad un terzo ciascuno del 20% del danno complessivo;
- Antonello Priamo Luciano GELLON risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 287.057,00 ai fini del riparto interno, pari al 10% del danno complessivo;
- Remo ZIRONE risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 287.057,00 ai fini del riparto interno, pari al 10% del danno complessivo;
- Sandro BALLETTO risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 143.528,00 ai fini del riparto interno, pari al 5% del danno complessivo;
- Paolo COLANTONI risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 71.765,00 ai fini del riparto interno, pari al 2,5% del danno complessivo;
- Leopoldo FRANCO risponde in solido con gli altri per l’intera somma di euro 2.870.575,00 e fino alla concorrenza di euro 71.765,00 ai fini del riparto interno, pari al 2,5% del danno complessivo;
oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali così come calcolati in motivazione.
Alla soccombenza segue la condanna degli appellanti al pagamento, in solido ed in quote uguali, delle spese del presente giudizio.
L’accoglimento degli appelli dei signori Sandro CABRAS, Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS comporta, poi, la loro assoluzione dalla domanda attrice.
A seguito dell’intervenuta assoluzione, si ritiene di porre a carico dell’Amministrazione provinciale di Cagliari il rimborso, in favore degli appellanti prosciolti, delle spese legali del presente giudizio, che si liquidano equitativamente in euro 3.000,00 (tremila/00) ciascuno.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione I Giurisdizionale Centrale, definitivamente pronunciando in ordine agli appelli in epigrafe, in parziale riforma della sentenza n. 1003/2009, ogni altra domanda ed eccezione reietta,
- ACCOGLIE PARZIALMENTE, nei limiti di cui in motivazione, gli appelli proposti dai signori: Lorenzo MULAS, Andrea GARDU, Salvatore PISTIS, Andrea ATZENI, Paolo ORRU’, Giovanni SERRA, Antonello Priamo Luciano GELLON, Paolo COLANTONI, Leopoldo FRANCO, Remo ZIRONE e Sandro BALLETTO avverso la sentenza parziale n. 1830/08 del 18.09.2008 e la sentenza n. 1003/09 del 21 luglio 2009, nonché l’ ordinanza collegiale n. 149/08 del 18.09.2008 e l’ordinanza presidenziale letta a verbale il 9.03.2009, della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Sardegna; per l’effetto:
- CONDANNA i signori Lorenzo MULAS, Andrea GARDU, Salvatore PISTIS, Andrea ATZENI, Paolo ORRU’, Giovanni SERRA, Antonello Priamo Luciano GELLON, Paolo COLANTONI, Leopoldo FRANCO, Remo ZIRONE e Sandro BALLETTO a pagare, a titolo di risarcimento del danno, patrimoniale e di immagine, a favore del pubblico erario e per esso a favore della Provincia di Cagliari, la complessiva somma di euro 2.870.575,00, in solido fra loro per l’intero e nelle seguenti quote ai fini del riparto interno:
- Salvatore PISTIS risponde fino alla concorrenza di euro 574.115,00, pari al 20% del danno complessivo;
- Andrea GARDU risponde fino alla concorrenza di euro 430.586,00, pari al 15% del danno complessivo;
- Lorenzo MULAS risponde fino alla concorrenza di euro 430.586,00, pari al 15% del danno complessivo;
- Andrea ATZENI, Paolo ORRU’ e Giovanni SERRA rispondono ognuno fino alla concorrenza di euro 191.372,00, pari ad un terzo ciascuno del 20% del danno complessivo;
- Antonello Priamo Luciano GELLON risponde fino alla concorrenza di euro 287.057,00, pari al 10% del danno complessivo;
- Remo ZIRONE risponde fino alla concorrenza di euro 287.057,00, pari al 10% del danno complessivo;
- Sandro BALLETTO risponde fino alla concorrenza di euro 143.528,00, pari al 5% del danno complessivo;
- Paolo COLANTONI risponde fino alla concorrenza di euro 71.765,00 pari al 2,5% del danno complessivo;
- Leopoldo FRANCO risponde fino alla concorrenza di euro 71.765,00, pari al 2,5% del danno complessivo;
oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali così come quantificati in motivazione.
- CONDANNA, altresì, in ragione della soccombenza, i signori Lorenzo MULAS, Andrea GARDU, Salvatore PISTIS, Andrea ATZENI, Paolo ORRU’, Giovanni SERRA, Antonello Priamo Luciano GELLON, Paolo COLANTONI, Leopoldo FRANCO, Remo ZIRONE e Sandro BALLETTO al pagamento, in solido e in quote uguali, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in
Euro 1.067,26 (Millesessantasette/26).
- ACCOGLIE gli appelli in epigrafe, proposti dai signori Sandro CABRAS, Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza n. 1003/2009,
- ASSOLVE i signori Sandro CABRAS, Gian Paolo RITOSSA e Mario CONCAS dalla domanda attrice;
- PONE a carico dell’Amministrazione provinciale di Cagliari il rimborso, in favore degli appellanti prosciolti, delle spese legali dagli stessi sostenute per la difesa nel presente giudizio, che si liquidano equitativamente in euro 3.000,00 (tremila/00) ciascuno.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 3 e del 7.02.2012.