A) è necessario che nella pratica si rinvenga una puntuale affermazione del carattere di inamovibilità dei manufatti realizzati. Infatti la volontà di procedere all’incameramento delle opere, soltanto genericamente palesata dall’amministrazione, deve essere suffragata da una (condivisa ed accettata ?) perizia tecnica atta a ricondurre quanto costruito tra i manufatti di “difficile rimozione”;
B) quand’anche, in passato (in sede di istruttoria preordinata al rilascio della concessione), l’allora competente Ufficio del genio civile per le opere marittime avesse ritenuto che le realizzande opere fossero da annoverarsi tra quelle inamovibili, si deve tenere conto che l’espressione del parere si è avuta in un tempo lontano e, da tale data ad oggi, le modalità costruttive e di sgombero hanno subito evoluzioni tali da far sì che il concessionario, con qualche ragione, possa affermare che quanto giudicato di “difficile rimozione” secondo parametri considerati congrui 20 o 30 anni or sono, ben difficilmente può conseguire il medesimo giudizio in rapporto ai concetti attuali;
C) si è anticipata l’eventualità che il Genio Civile per le opere marittime possa, a suo tempo, aver effettivamente ritenuto che la progettazione prodotta dal concessionario fosse tale da condurre alla realizzazione di opere inamovibili: ebbene, a prescindere da quanto già argomentato, si deve rilevare che l’incidentale pronuncia dell’organo tecnico – se mai vi è stata – si è basata su degli elaborati progettuali e quindi, allo stato attuale, non può esistere a priori la certezza che l’esecuzione materiale delle opere non abbia reso indispensabile il ricorso a soluzioni tecnico-realizzative parzialmente differenti da quelle inizialmente ipotizzate. Tali soluzioni, che da un lato potrebbero non aver in alcun modo comportato modifiche tali da configurare innovazioni rilevanti ai sensi dell’articolo 24 del reg. cod. nav., dall’altro sarebbero comunque state potenzialmente in grado di modificare le valutazioni sulla natura dei manufatti. Anche in questa ipotesi, pertanto, non risulterebbe soddisfatto il requisito di certezza dell’inamovibilità delle opere realizzate, prescritto dall’articolo 49 del codice della navigazione, perché possa concretizzarsi un incameramento.
Per quanto concerne al punto 2):
a) l’articolo 49, primo comma, del codice della navigazione stabilisce che “salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”;
b) è immediatamente agevole rilevare che l’anzidetto articolo 49 non prevede un generalizzato incameramento automatico delle opere inamovibili, ma contiene al suo interno una possibilità di deroga concretizzabile attraverso esplicite previsioni contenute nell’atto di concessione. È quindi necessario verificare puntualmente che il titolo di concessione non contenga alcuna ulteriore precisazione: ad esempio, se prevedesse come acquisibili dallo Stato soltanto “le opere in buono stato di manutenzione” (come spesso indicato nei provvedimenti rilasciati), conseguirebbe logicamente che ogni opera non considerata “in buono stato di manutenzione” non potrebbe essere incamerata;
c) appare immediatamente evidente come, nell’ultima ipotesi accennata, l’incameramento non possa verificarsi automaticamente al momento della scadenza della concessione in quanto, per espressa previsione dell’atto concessorio, l’effetto dell’acquisizione allo Stato si realizza esclusivamente con riferimento alle opere definite “in buono stato di manutenzione”. È altrettanto ovvio che soltanto a seguito di un’apposita verifica tecnica da effettuarsi in loco (e in contraddittorio con il concessionario) potranno eventualmente essere individuate quelle opere che si presentino conformi ai richiesti requisiti;
d) a tutto ciò si aggiunga che resta pur sempre salva la facoltà dell’amministrazione concedente di ordinare la demolizione dei manufatti realizzati, “con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato”. Ebbene è evidente come anche questa facoltà possa essere esercitata soltanto dopo una verifica dello stato dei luoghi e come la proprietà delle opere permanga in capo al concessionario fino a tale momento perché, in caso contrario, non potrebbe essergli intimata la completa rimozione delle stesse. Infatti se la proprietà fosse automaticamente trasferita allo Stato, quest’ultimo dovrebbe provvedere in prima persona (e non richiederla al concessionario espropriato) alla riduzione dell’area demaniale marittima in pristino stato;
Per quanto attiene al terzo punto:
I) l’articolo 10 della legge n. 88/2001 ha modificato il comma 2 dell’articolo 01 del D.L. n. 400/1993, convertito con modificazioni dalla legge n. 494/1993, stabilendo che “le concessioni di cui al comma 1 (quelle con finalità turistico-ricreativa – n.d.r.), indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni (…)”;
II) se lo scopo della concessione rientra a pieno titolo tra quelli definiti turistico-ricreativi potrebbe essere logico sostenere che alla scadenza dell’originario titolo concessorio si sia verificato l’automatico rinnovo della concessione, a prescindere dalla natura delle opere realizzate, con la conseguenza che l’eventuale incameramento delle stesse risulta posticipato ex lege alla definitiva cessazione del rapporto;
III) se l’amministrazione intenda (e comunque si pongono fondati dubbi circa la liceità di un tale operato) non dare attuazione alla norma introdotta dal richiamato articolo 10 della legge n. 88/2001 o comunque modificare in qualche modo le clausole della concessione, dovrebbe preliminarmente interessare il concessionario che a sua volta, dopo aver effettuato tutte le valutazioni ritenute necessarie – non ultime quelle connesse all’economicità ed alla convenienza della prosecuzione nel rapporto con l’amministrazione –, dovrebbe manifestare esplicitamente la propria volontà di continuare, o meno, la fruizione del bene demaniale;
IV) poiché nel diritto positivo sussiste pur sempre la possibilità di rinunciare ad una concessione, si osserva che, extrema ratio, il concessionario ritenendo non più proficuo l’uso di una porzione di demanio marittimo a seguito dell’imposizione di oneri ulteriori a quelli preventivati, ben potrebbe rinunciare alla concessione a lui assentita. Se il mutamento delle condizioni concessive (come l’incameramento, con effetto retroattivo, delle opere realizzate ed il conseguente mutamento del rateo di canone) avviene dopo che il bene demaniale è stato regolarmente goduto dal concessionario, si evidenzia una palese lesione dei diritti del privato. Infatti, il diritto del concessionario di conoscere a priori le clausole contrattuali verrebbe completamente disatteso e quello stesso concessionario, che in buona fede abbia continuato a fruire del bene demaniale marittimo, sarebbe informato solo dopo un lungo lasso di tempo dei retroattivamente mutati oneri concessori! In tale prospettiva assumono particolare rilievo i differenti importi di canone richiesti in funzione della mutata imputazione della proprietà dei manufatti presenti nella concessione: infatti, per effetto delle disposizioni contenute nella citata legge n. 296/2006, i canoni relativi ai “beni pertinenziali” sono calcolati in modo particolarmente oneroso e, a fronte delle precedenti modalità di determinazione, possono essere soggetti ad aumenti fino al 2500%.
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Dato atto che, affinché si attui la previsione di cui all’articolo 49 del codice della navigazione, è conditio sine qua non l’avvenuta preliminare materializzazione di tutte e tre le condizioni enunciate, se soltanto una di esse non si è verificata (o non è data prova del suo verificarsi), sembra che il concessionario possa contare su argomentazioni di qualche pregio per contrastare le eventuali, e non condivise, pretese dell’amministrazione.
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Aspetti peculiari assume, infine, l’ipotesi in cui il concessionario abbia realizzato – in perfetta buona fede e munito di tutti i permessi necessari (ivi compresa l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 24 del regolamento di esecuzione al codice della navigazione) – una serie di opere all’interno di una concessione regolarmente disciplinata con licenza senza che l’amministrazione concedente abbia mosso preliminari rilievi di sorta ovvero abbia segnalato la necessità (prima dell’avvio dei lavori) di modificare la forma del provvedimento concessorio oppure abbia inserito una specifica clausola nel titolo rilasciato.
Nel caso in questione, qualora fosse, inopinatamente, paventato l’incameramento dei manufatti realizzati – si ripete, in vigenza di una licenza di concessone e, soprattutto, – in carenza di una preventiva contestazione e conseguente accertamento tecnico-giuridico dell’avvenuta modifica della consistenza strutturale delle opere rispetto agli elaborati tecnici sui quali l’amministrazione si è basata per il rilascio dell’autorizzazione, si evidenzierebbero ulteriori motivi di sostegno per l’instaurazione di un contenzioso.
Addirittura potrebbe essere invocato il palese comportamento contraddittorio del concedente che, inizialmente, mostra concludentemente di valutare un manufatto di “facile rimozione” provvedendo alla disciplina della relativa concessione mediante “licenza” (o “licenza suppletiva” o “autorizzazione” ai sensi dell’ultima parte del secondo comma dell’articolo 24 reg. cod. nav.), e poi, senza che siano intervenute modifiche realizzativo-strutturali, decide di considerarlo di “difficile rimozione” segnalando di volerlo assoggettare alle previsioni di cui all’articolo 49 del codice della navigazione.
Infatti, la coerenza giuridico-amministrativa vuole che, come in precedenza ricordato, l’amministrazione accerti (e dimostri) preventivamente la natura delle opere progettate dal concessionario e, sulla base delle conclusioni raggiunte, rilasci l’opportuno atto autorizzativo.
È quindi possibile rinvenire l’ulteriore elemento di censura determinato dal comportamento omissivo del concedente che abbia trascurato, da un lato, di classificare la tipologia dei manufatti prima della loro eventuale realizzazione e, dall’altro, di portare a conoscenza del concessionario gli effetti amministrativi che tale costruzione avrebbe comportato.
Può essere utile ribadire che, se l’eventuale giudizio di inamovibilità delle opere fosse stato correttamente comunicato nel corso dell’iter istruttorio, il concessionario – ove lo avesse reputato conveniente – avrebbe potuto proporre una differente soluzione progettuale o addirittura rinunciare completamente all’esecuzione degli interventi originariamente proposti.
Perciò, potrebbe essere ulteriormente sostenuta l’avvenuta violazione dei diritti del concessionario sia per quanto attiene alla certezza delle condizioni “contrattuali”, sia per quanto concerne alla facoltà – opzionale – di rinuncia, a seguito di differente, personale decisione, alla realizzazione dei lavori richiesti.
A ciò si aggiunga che, poiché le nuove determinazioni a cui l’amministrazione è pervenuta sono destinate a produrre effetti diretti nei confronti del concessionario, queste non possono essere meramente imposte, ma devono necessariamente seguire i dettami della legge n. 241/1990 in materia di trasparenza e partecipazione al procedimento amministrativo.
Conseguentemente, l’avvio dell’iter in questione deve essere attuato in conformità alle previsioni degli articoli 7 e seguenti di tale fonte normativa, e la sua conclusione agli articoli 2 (in particolare il comma 11), e 32.
È ovvio che l’eventuale mancato rispetto di una o più delle menzionate disposizioni di legge può essere invocato dal privato come ulteriore motivo di illegittimità in sede di ricorso.
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Per completezza di trattazione, si cita la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 1290/2007, con la quale l’alto consesso – a seguito di appello proposto dall’amministrazione dei trasporti e della navigazione avverso la sentenza con la quale il TAR Cagliari aveva statuito la necessità di assicurare il contraddittorio e motivare adeguatamente le ragioni per le quali andavano disattese le rivendicazioni del concessionario circa il mantenimento della proprietà di un’opera assoggettata ad incameramento – ha ritenuto che “che la controversia (…) abbia a oggetto una posizione di diritto soggettivo, ossia la titolarità del diritto di proprietà di un bene, e non riguardi materia devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Ne consegue il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo”.
Tale arresto può essere considerato introduttivo di aspetti particolarmente interessanti in vista di un possibile futuro contenzioso perché, dal rinvio della questione alla sfera di competenza del giudice ordinario, consegue la possibilità del concessionario di utilizzare la procedura d’urgenza di cui all’articolo 700 del cod. proc. civ.
C. Alberto Nebbia-Colomba
[1] Art. 2, comma 1, legge n. 241/1990: “Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso”.
[2] Art. 3, legge n. 241/1990: “1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi previste dal comma 2. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria. 2. La motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale. 3. Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell'amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l'atto cui essa si richiama.
4. In ogni atto notificato al destinatario devono essere indicati il termine e l'autorità cui è possibile ricorrere”.