In Sicilia troppa trasparenza nuoce alla Costituzione
di Massimo GRECO
Nella Sicilia di Pirandello - Uno, nessuno e centomila -, inutile ricordarlo, si passa quotidianamente da un eccesso all’altro. La recente elezione alla Presidenza della Repubblica del siciliano Sergio Mattarella ne rappresenta l’ennesima conferma. Ma, ahimè, le conferme arrivano puntuali anche sul versante opposto, quello delle “male fatte”. Le politiche pubbliche regionali degli ultimi anni sono infatti da annoverare in quell’ambito nebuloso e grigiastro che impregna la qualità della vita in Sicilia.
Il rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione negli ultimi anni è stato al centro di numerosi interventi del legislatore statale, tutti tesi a rendere l’operato degli Enti pubblici sempre più trasparente. Le più recenti innovazioni in tema hanno introdotto anche l’obbligo di pubblicare gli atti amministrativi al fine di consentire ai cittadini di esercitare un controllo sociale sull’operato della P.A. come apparato, ma anche sulla performance dei singoli dipendenti pubblici. Il cittadino è sempre più interessato ad avere una P.A. trasparente, efficace ed efficiente e, più recentemente, anche performante. In sostanza non basta più che il funzionario pubblico faccia il suo “dovere”, ma che lo faccia “bene”. Si vuole quindi passare ad un Amministrazione pubblica la cui mission si misura anche in termini qualitativi. Del resto, il mantenimento di una spesa pubblica tra le più alte d’Europa, richiede massicci investimenti per trasformarla in “vantaggio competitivo”.
Orbene in Sicilia, è noto, si fanno spesso le pentole ma non i coperchi. Nel tentativo disordinato, e spesso isterico, d’introdurre nell’ordinamento regionale norme innovative, magari per il gusto di superare quelle già introdotte nell’ordinamento statale, si finisce per ingarbugliare l’applicazione di disposizioni finalizzate alla cura di specifici interessi pubblici. Quello della pubblicazione degli atti amministrativi sui siti web istituzionali è sintomatico di tale, più o meno inconsapevole, leggerezza del nostro legislatore regionale.
L’art. 68 della l.r. n. 21 del 12 agosto 2014 prescrive l’obbligo per l’Amministrazione regionale di pubblicare nel sito internet della Regione Siciliana per esteso una tipologia ben precisa di atti amministrativi. Il comma 5 del medesimo articolo così recita: “I decreti dirigenziali devono essere pubblicati per esteso nel sito internet della Regione siciliana. La non pubblicazione entro le successive 48 ore dalla data di emissione, termine perentorio, oltre che essere ragione di nullità dell’atto…. La disposizione è stata traumaticamente tranciata perché cassata dall’impugnativa del Commissario dello Stato. La versione originaria del disegno di legge n. 782 dal titolo “Assestamento del bilancio della Regione per l’anno finanziario 2014. Variazioni al bilancio di previsione della Regione per l’esercizio finanziario 2014 e modifiche alla legge regionale 28 gennaio 2014, n. 5 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2014. Legge di stabilità regionale’. Disposizioni varie.”, approvata dall’ARS l’1 agosto 2014, conteneva l’inciso “e la rimozione del dirigente responsabile del decreto”. Per il Commissario dello Stato “Quest’ultima previsione non appare conforme al principio di ragionevolezza di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione in quanto verrebbe posto a carico del dirigente autore del decreto la responsabilità e la conseguente sanzione di un’inerzia eventualmente non propria ed esonerato il responsabile della stessa. La pubblicazione telematica dell’atto potrebbe, infatti, non rientrare nella sfera di azione del predetto, giacché comunemente tutti gli atti sono trasmessi, per l’inserimento nel sito telematico, ad un’altra struttura operativa tenuta a provvedere entro i termini previsti dalla legge. Al dirigente autore dell’atto verrebbero quindi addebitate le conseguenze della omissione o tardivo adempimento di altri soggetti che invece rimarrebbero privi di sanzioni. La responsabilità sanzionabile del dirigente firmatario dell’atto non può che essere limitata alla trasmissione dello stesso per la pubblicazione e non anche all’omesso inserimento nel sito internet della Regione di cui è responsabile diverso soggetto”.
La questione merita un approfondimento. Se per un verso è infatti condivisibile l’impugnativa del Commissario dello Stato volta ad eliminare una sanzione sproporzionata ed aleatoria per il Dirigente sottoscrittore del decreto non pubblicato, per altro verso la permanenza nell’ordinamento della restante parte della disposizione normativa che dispone la nullità del decreto dirigenziale procura più di una perplessità.
La prima questione concerne l’ambito applicativo di siffatta disposizione normativa. La novella disposizione regionale sembra circoscrivere l’obbligo della pubblicazione sul sito internet della Regione solo per una tipologia ben precisa di atti (delibere della Giunta regionale, decreti presidenziali ed assessoriali, decreti dirigenziali). E poiché “no law no ius”, tutte le restanti tipologie di atti amministrativi sembrano implicitamente esclusi dal medesimo obbligo. A questo punto bisogna però capire se questo risultato è il frutto di un lapsus calami del legislatore regionale. Infatti, nell’ordinamento siciliano, oltre alle specifiche previsioni contenute nella l.r. n. 22/2008 per gli Enti locali, viene in rilievo l’art. 12, comma 3, della l.r. n. 5/2011, a tenore del quale “Tutti gli atti della pubblica amministrazione sono pubblici ed assumono valore legale dal momento del loro inserimento nei siti telematici degli enti, a tal fine opportunamente pubblicizzati”.
La necessità di individuare le tipologie di atti amministrativi la cui pubblicazione nei siti web istituzionali è obbligatoria rileva anche ai fini del più recente “accesso civico” disciplinato dal d.lgs. n. 33/2013. L’art. 5 di detto decreto legislativo, la cui applicazione nell’ordinamento siciliano non dovrebbe dividere - trattandosi di norma riconducibile alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni amministrative, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (Corte Cost, sent. n. 282 del 2002) -, statuisce che “L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione”. Appare quindi evidente l’importanza di conoscere l’estensione applicativa di quest’ultimo strumento di trasparenza, prima riservato dalla legge n. 241/90 ai soli portatori di interesse qualificato all’ostensione. Se infatti l’obbligo di pubblicazione nei siti web istituzionali degli Enti non discrimina le tipologie di atti amministrativi, si può ragionevolmente affermare che in Sicilia, a differenza di quanto accade nell’ordinamento statale, l’accesso indiscriminato agli atti della P.A. è consentito per iniziativa di quisque de populo.
La seconda questione concerne gli effetti della mancata pubblicazione dell’atto amministrativo sul sito internet della Regione siciliana. Il legislatore regionale tipicizza una fattispecie di nullità (rectius, nullità testuale) privando di efficacia giuridica l’atto amministrativo non pubblicato. La pubblicazione, in quanto segmento della fase integrativa dell’efficacia dei provvedimenti, si pone come condizione legale di efficacia stessa degli atti amministrativi.
Il legislatore ha voluto quindi sanzionare l’omessa pubblicazione dell’atto con la sanzione più grave delle invalidità, quella della nullità, che notoriamente costituisce una forma speciale di invalidità che si ha nei soli casi in cui sia specificatamente sancita dalla legge. Ai sensi dell’art. 21 septies della legge n. 241/90 “È nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge”.
Invero, il legislatore ben poteva optare per l’ipotesi più mite dell’annullabilità dell’atto, lasciando quindi alle parti potenzialmente coinvolte, la scelta di farne acclarare lo stato patologico, secondo i tradizionali canoni sottesi all’esercizio della funzione pubblica di autotutela per la medesima Amministrazione dalla quale promana l’atto, ovvero su input di soggetti esterni all’Amministrazione eventualmente legittimati ad agire in giudizio ex art. 100 cpc.
Optando per la nullità testuale, il legislatore regionale sembra aver voluto ridurre i margini di manovra allo ius poenitendi della P.A., atteso che il concorso dei quattro requisiti richiesto dall’art. 21 nonies della legge n. 241/90 (illegittimità dell’atto, attualità dell’interesse pubblico alla rimozione, valutazione del legittimo affidamento ingenerato e misurazione del tempo ragionevole) è prescritto per quegli atti la cui invalidità dà luogo ad annullabilità e non anche per quegli atti, come quelli di cui trattasi, la cui invalidità dà luogo, per espressa previsione di legge, a nullità. Infatti, mentre la riconduzione della invalidità del provvedimento amministrativo, in via generale, alla specie della illegittimità risulta coerente con la imperatività del provvedimento, posto che è assolutamente plausibile la coesistenza della invalidità (illegittimità) dell’atto con la produzione unilaterale degli effetti, in particolare nella sfera giuridica di terzi, risulta meno immediatamente conformabile il rapporto tra atto nullo ed efficacia del medesimo.
Tuttavia nel diritto amministrativo la disciplina della nullità configura un compromesso tra ordinamento privatistico ed ordinamento pubblicistico. Infatti mentre l’annullabilità rappresenta la regola generale di invalidità del provvedimento, nel diritto civile la regola generale in caso di violazione di norme imperative è quella della nullità. La nullità del provvedimento amministrativo, che trova la sua disciplina nel già citato art. 21 septies della legge n. 241/90, come introdotta dalla legge n. 15/2005, è stata infatti esclusa dal legislatore nel caso di contrasto a norme imperative di legge, essendo stata giudicata una categoria particolarmente pericolosa rispetto alle esigenze di certezza e di stabilità dell’azione amministrativa.
Pertanto, le ipotesi di nullità testuale per omessa pubblicazione degli atti previsti dall’art. 68 della l.r. n. 21/2014, attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata, vanno ricondotte al vizio di violazione di legge, atteso che le norme riguardanti l’azione amministrativa, dato il loro carattere pubblicistico, sono sempre norme imperative e quindi non disponibili da parte dell’Amministrazione. Soltanto un’interpretazione non approfondita dell’art. 97 Cost. può far ritenere che il rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione presupponga l’adesione a un’interpretazione in chiave ultra formalistica dell’operato di questa. Perciò, esse si convertono in cause di annullabilità del provvedimento amministrativo, da farsi valere entro il breve termine di decadenza previsto dal C.P.A. (180 gg.), a tutela della stabilità del provvedimento amministrativo. Per i fautori di tale ultima tesi, le norme che disciplinano l’azione amministrativa, essendo norme imperative, trovano fondamento nei principi costituzionali del buon andamento ed efficacia dell’art. 97 Cost., e non possono dar luogo alle nullità virtuali.
Del resto, se così non fosse, saremmo in presenza di una norma lesiva del principio di buon andamento dell’Amministrazione, custodito dal citato art. 97 Cost., e dei correlati principi di proporzione e conservazione degli atti giuridici. L’art. 68 della l.r. n. 21/2014, infatti, nel perseguire l’interesse pubblico sotteso all’esigenza di rendere trasparente l’operato della P.A., attraverso la pubblicazione di alcuni atti amministrativi sul sito internet della Regione, introduce una sanzione che, al netto dell’impugnativa del Commissario dello Stato sopra illustrata, finisce per colpire solo l’efficacia dell’atto amministrativo non pubblicato, peraltro attraverso la grave misura della nullità. Un siffatto deterrente che il legislatore regionale ha inteso introdurre nell’ordinamento regionale si presenta all’evidenza irragionevole perché, paradossalmente, non colpisce l’autore dell’omessa pubblicazione, ma sacrifica l’atto amministrativo in sé, che, nella maggior parte dei casi, è destinato ad incidere sulla posizione giuridica degli ignari cittadini. Si farebbe quindi ricadere sulle comunità un errore (la mancata pubblicazione dell’atto amministrativo) che è tutto interno all’organizzazione della P.A..
Invero, il c.d. principio di conservazione degli atti giuridici ha la funzione di evitare la rimozione di un provvedimento amministrativo, quando esistano i presupposti tali da consentire un salvataggio del medesimo. L’azione amministrativa deve essere promossa per attendere allo svolgimento di interessi pubblici, i quali appaiono concretizzati in maniera più puntuale ove si consenta all’Amministrazione competente di non paralizzare la propria funzione autoritativa per raggiungere scopi non strettamente connessi agli interessi pubblici che si intendono assicurare. La regola della “buona amministrazione”, sottesa al richiamato art. 97 Cost. ed immanente all’azione pubblica, obbliga quindi il legislatore a dare certezza di legalità e giustizia concreta.
La previsione della nullità per la mancata pubblicazione dell’atto amministrativo si porrebbe altresì in violazione al principio di proporzionalità, atteso che, all’evidenza, la scelta di far ricadere sull’efficacia dell’atto gli effetti negativi della sua mancata pubblicazione, anziché sull’autore dell’omissione, oltre a determinare una distorsione immotivata dell’interesse pubblico che con la disposizione si intende curare, determina un risultato assolutamente sproporzionato: la nullità dell’atto amministrativo. Come sopra accennato, il legislatore avrebbe dovuto individuare una misura strettamente proporzionata con il fine da raggiungere, preferendo, nell’arco delle possibili scelte, “la misura più mite”, sicchè lo strumento in concreto prescelto non superi la soglia di quanto appaia necessario per il soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito.
Peraltro, siffatta disposizione normativa regionale non trova conforto neanche nella speciale normativa statale dalla quale trae verosimilmente origine. L’art. 46 del d.lgs. n. 33 del 14 marzo 2013 recante il “Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, molto più opportunamente, stabilisce che “L’inadempimento degli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa vigente…costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili”. Quindi, una tipologia di sanzione funzionalmente legata all’autore dell’omessa pubblicazione dell’atto e non certo all’efficacia giuridica dell’atto stesso.
Delle due l’una quindi: o l’art. 68 della l.r. n. 21/2014, nella parti in cui dispone la nullità degli atti per mancata pubblicazione degli stessi, viene applicato secondo l’argomentata interpretazione costituzionalmente orientata, ovvero ci si adopera per eccepire la questione di costituzionalità per violazione dell’art. 97 Cost..
In definitiva, a parere di chi qui scrive, occorre affermare che i provvedimenti amministrativi non pubblicati sul sito internet della Regione Siciliana, ancorchè formalmente nulli, hanno una propria efficacia “interinale” (fin tanto che la nullità non venga accertata), la quale rende possibile la stessa definizione dell’atto come provvedimento amministrativo dotato di imperatività (e che pertanto si impone unilateralmente ai suoi destinatari). Questi ultimi non possono sottrarsi agli effetti dell’atto, ovvero agire come se l’atto non esistesse e/o fosse improduttivo di effetti (tamquam non esset), ritenendo, ovvero opponendo, la nullità dello stesso, ma, onde tutelare le proprie posizioni giuridiche, hanno l’onere di agire in giudizio al fine di ottenerne la declaratoria di nullità.
Certo, l’esegesi non è agevole, ma il contesto normativo siciliano è quello che è!