Consiglio di Stato Sez. IV n. 8385 del 18 ottobre 2024
Beni ambientali.Nozione di bosco nella normativa e nella giurisprudenza
A livello normativo la nozione di bosco può essere desunta dal combinato disposto di alcune norme. Innanzitutto, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - “Codice dei beni culturali e del paesaggio” – all’art. 134, relativo ai beni paesaggistici, dispone che sono beni paesaggistici, tra gli altri, anche le aree di cui all’art. 142 (art. 134, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004). Quest’ultimo articolo, dedicato alle “aree tutelate per legge”, prevede che sono comunque di interesse paesaggistico e, pertanto, sottoposti alle relative disposizioni di tutela “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227” (art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004). L’art. 142 rimanda, dunque, alla nozione recepita dal legislatore nazionale con l’art. 2 (“Definizione di bosco e di arboricoltura da legno”) del d.lgs. n. 227 del 2001 che tuttavia è stato abrogato dal d.lgs. 3 aprile 2018, n. 34 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali). Tale ultimo decreto, all’art. 3, comma 3, definisce bosco “le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento”. Al successivo articolo 4, “Aree assimilate a bosco”, il legislatore assimila a bosco, tra l’altro, “le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o come prati o pascoli arborati” (comma 1, lett. e). Accanto alla nozione normativa di bosco, la giurisprudenza fa riferimento ad una nozione sostanziale perché la finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” ex art. 131, d.lgs. n. 42/2004; il che equivale a dire che la nozione normativa di bosco, per la giurisprudenza, deve essere affiancata da una nozione sostanziale perché essa è finalizzata all’apposizione del vincolo di tutela paesaggistica. Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone, dunque, a monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il provvedimento certativo adottato dall’autorità amministrativa competente che ne attesti con efficacia ex tunc l’effettiva esistenza. Per cui, il provvedimento, oltre a dover essere adottato dall’amministrazione tecnica competente, deve dare espressamente conto dei tratti biofisici individuanti l’area boscata tutelata
Pubblicato il 18/10/2024
N. 08385/2024REG.PROV.COLL.
N. 08019/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8019 del 2021, proposto da Bio Bimat s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Pietro Ferraris ed Enzo Robaldo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna (ARPAE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Fantini e Patrizia Onorato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Comune di Concordia Sulla Secchia, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Federico Gualandi e Francesca Minotti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Aimag s.p.a. e A.S. Reti Gas s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'avvocato Giuseppe Piperata, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Emilia-Romagna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Silvia Ricci e Claudia Menini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Servizio Autorizzazioni e Concessioni a Modena dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romangna (ARPAE - SAC di Modena), Provincia di Modena, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Bologna e Province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara, Consorzio della Bonifica Burana, Comune di San Possidonio, non costituiti in giudizio;
nei confronti
Ministero dell’Interno – Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Modena, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l''Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 00070/2021, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Arpae Emilia-Romagna, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Concordia Sulla Secchia, di Aimag s.p.a., di A.S. Reti Gas s.r.l. e del Ministero della Cultura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 giugno 2024 il Cons. Rosario Carrano e uditi per le parti gli avvocati come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con il ricorso di primo grado, la società Bio Bimat s.r.l., premesso di aver presentato apposita domanda per la realizzazione di un impianto di recupero rifiuti in area di sua proprietà, ha impugnato il verbale conclusivo della Conferenza di Servizi del 23 gennaio 2020 finalizzata al rilascio del Provvedimento autorizzatorio unico regionale (PAUR) comprensivo del provvedimento di Valutazione di impatto ambientale (VIA).
Con distinto ricorso per motivi aggiunti, ha poi impugnato la successiva delibera n. 516 del 18 maggio 2020 della Giunta regionale di diniego del PAUR, facendo valere sia vizi derivati che vizi propri.
Con il ricorso principale, ha contestato in primo luogo i pareri della Soprintendenza e del Comune (su cui si fonda il diniego) che hanno escluso la compatibilità ambientale dell’intervento a causa della presenza sull’area in questione di un bosco assoggettato ex lege a vincolo paesaggistico (art. 142, co. 1, lett. g), d.lgs. n. 42/2004). Secondo la società, invece, non si tratterebbe di un vero e proprio bosco, ma di una “mera ricrescita arbustiva” creatasi spontaneamente a seguito dell’abbandono dell’area, priva di pregio e di valore paesaggistico; in ogni caso, ha dedotto la necessità di rimozione di tale vegetazione ex art. 192, d.lgs. n. 152/2006 a causa della presenza di rifiuti sull’area (residui cementizi di opere di urbanizzazione non completate).
Inoltre, ha dedotto una serie di vizi procedurali (tra cui: illegittima partecipazione di alcuni enti alla conferenza di servizi, illegittimo diniego di proroga del termine per osservazioni ex art. 10 bis, legge n. 241/1990), nonché, con successivi motivi aggiunti, di vizi inerenti alla delibera regionale di diniego PAUR, per aver fatto un mero rinvio al verbale conclusivo della Conferenza di servizi e per aver omesso di rispondere motivatamente all’istanza di riesame presentata dalla società.
2. – Con la sentenza impugnata, il T.a.r. ha respinto sia il ricorso principale che quello per motivi aggiunti.
In particolare, ha respinto il primo gruppo di censure relativo all’assenza di un bosco o comunque di un suo valore paesaggistico.
A tal riguardo, il primo giudice ha ritenuto che i “suddetti pareri della Soprintendenza risultano congruamente motivati riguardo alle ragioni per le quali tale area “coperta da vegetazione arborea” presente nel sito sul quale avrebbe dovuto essere realizzato l’impianto di smaltimento di rifiuti della ricorrente è stata valutata, innanzitutto quale area boschiva soggetta alla disciplina normativa di cui agli artt. 3 e 4 del D. Lgs. n. 34 del 2018 e, quindi, quale bene paesaggistico vincolato ai sensi di quanto prescrive l’art. 142, c. 1, lett. g) del D.Lgs. n. 42 del 2004” (pag. 8-9 della sentenza impugnata), escludendo altresì la sussistenza di evidenti profili di illogicità, irragionevolezza o contraddizione.
Inoltre, ha qualificato le censure di parte ricorrente alla stregua di una contestazione del merito amministrativo, insindacabile in sede di legittimità (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata).
Ha, poi, evidenziato che “la vigente normativa statale in materia (il già citato D. Lgs. n. 34 del 2018), sottopone a vincolo paesaggistico i boschi in quanto tali, senza effettuare distinzioni sulla base di parametri concernenti le diverse tipologie di boschi o su distinzioni altrimenti effettuate in base al valore paesaggistico dell’area” (pag. 9 della sentenza impugnata).
In secondo luogo, ha ritenuto irrilevante la presenza o meno di rifiuti sull’area, in quanto “non è elemento oggettivamente idoneo a scalfire la legittimità dei provvedimenti impugnati, stante che la presenza o meno di rifiuti abbandonati, di per sè non può certamente far venire meno il vincolo già impresso all’area”, aggiungendo inoltre che tale rilievo è comunque infondato in quanto su tale questione è già “intervenuto il comune di Concordia sulla Secchia, che, nel rendere il proprio parere ambientale sull’intervento della ricorrente e sul materiale rinvenuto nell’area di intervento, ha espressamente negato che detto materiale possa essere qualificato quale “rifiuto”, specificando inoltre che, in ogni caso, la bonifica del sito non avrebbe comportato l’abbattimento dell’area boschiva” (pag. 10 della sentenza impugnata).
Con riferimento alle censure relative alla superfluità degli ulteriori pareri e gli atti infraprocedimentali concernenti la compatibilità dell’intervento alla normativa urbanistico- edilizia di riferimento, richiesti a varie amministrazioni locali da Arpae in sede di Conferenza dei Servizi, il T.a.r. ha ritenuto che tale “rilievo è manifestamente infondato, oltre che inconferente, risultando gli atti e i pareri espressi nella Conferenza dei Servizi condotta e gestita da Arpae tutti necessari sulla base di quanto prescritto dalla vigente normativa di riferimento” (pag. 10 della sentenza impugnata).
Pertanto, ha ritenuto “legittimo lo svolgimento dell’iter procedimentale in Conferenza dei Servizi, anche avuto riguardo alla proposta di variante urbanistica effettuata dalla società ricorrente in data 1/7/2019 al fine di potere legittimamente realizzare il proprio impianto nell’area in questione. Su tale richiesta si è infatti motivatamente pronunciato – in sede di Conferenza – il Comune di Concordia sulla Secchia, che, nell’esprimere parere contrario al rilascio dell’autorizzazione ambientale, ha respinto anche la proposta di variante urbanistica, con posizione che è stata successivamente recepita da Arpae in sede decisoria della Conferenza di Servizi” (pag. 12 della sentenza impugnata)
In terzo luogo, con riguardo alla mancata proroga dei termini per le osservazioni al preavviso di rigetto, il T.a.r. ha osservato che “non è prevista alcuna proroga dei termini per la presentazione delle osservazioni ex art. 10 bis e che, in relazione alla mancata completezza della documentazione, si deve rilevare che trattasi di capo di motivazione autonomo ed ulteriore rispetto a quello principale (area interessata dall’intervento della ricorrente gravata da vincolo sull’area boscata) – che, di conseguenza, la ricorrente non avrebbe alcun interesse ad annullare, sorreggendosi ugualmente il provvedimento principalmente impugnato, su tale motivazione” (pag. 12 della sentenza impugnata).
Infine, con riguardo al ricorso per motivi aggiunti, ne ha dichiarato l’infondatezza sia con riferimento ai vizi derivati, sulla base delle precedenti argomentazioni, sia con riguardo ai vizi propri, in quanto il provvedimento regionale “nell’uniformarsi alla proposta negativa formatasi in sede di Conferenza di Servizi, non doveva a sua volta dotare la propria determinazione di una particolare motivazione” (pag. 13 della sentenza impugnata), aggiungendo inoltre che la “espressa, piena condivisione dei risultati della Conferenza dei Servizi, da parte della Regione, è infine elemento dirimente per ritenere palesemente infondato il rilievo con cui la ricorrente ritiene illegittimo che la Regione non abbia accolto la propria istanza di provvedere in autotutela all’annullamento della proposta della Conferenza di Servizi” (pag. 13 della sentenza impugnata).
3. – Con atto di appello, la società ha impugnato la sentenza deducendo una cinque motivi di appello, oltre a riproporre i motivi di primo grado non esaminati, nonché la relativa domanda risarcitoria.
4. – Con apposite memorie, si sono costituiti il Comune di Concordia sulla Secchia, la Regione Emilia-Romagna, il Ministero della Cultura, l’ARPAE, nonché le società AS Retigas s.r.l. e Aimag s.p.a., chiedendo il rigetto del ricorso.
5. – All’udienza pubblica del 27 giugno 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.
6. – L’appello è fondato nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
7. – Con il primo motivo di appello (pag. 21-30), la società ha impugnato il capo di sentenza con cui il T.a.r. ha ritenuto legittimo il diniego di compatibilità ambientale del progetto per la presenza di un bosco tutelato ex lege, censurando, in subordine, l’omessa pronuncia sull’assenza di pregio paesaggistico dell’area, la mancata valutazione dei progetti di piantumazione, nonché la violazione del legittimo affidamento sull’inesistenza di un vincolo.
Il motivo è fondato.
7.1. – A tal riguardo, occorre innanzitutto richiamare il quadro normativo e giurisprudenziale che viene in rilievo in questa materia (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 agosto 2023, n. 7475).
A livello normativo la nozione di bosco può essere desunta dal combinato disposto di alcune norme.
Innanzitutto, il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - “Codice dei beni culturali e del paesaggio” – all’art. 134, relativo ai beni paesaggistici, dispone che sono beni paesaggistici, tra gli altri, anche le aree di cui all’art. 142 (art. 134, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 42 del 2004).
Quest’ultimo articolo, dedicato alle “aree tutelate per legge”, prevede che sono comunque di interesse paesaggistico e, pertanto, sottoposti alle relative disposizioni di tutela “i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento, come definiti dall’articolo 2, commi 2 e 6, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 227” (art. 142, comma 1, lett. g), d.lgs. n. 42 del 2004).
L’art. 142 rimanda, dunque, alla nozione recepita dal legislatore nazionale con l’art. 2 (“Definizione di bosco e di arboricoltura da legno”) del d.lgs. n. 227 del 2001 che tuttavia è stato abrogato dal d.lgs. 3 aprile 2018, n. 34 (Testo unico in materia di foreste e filiere forestali).
Tale ultimo decreto, all’art. 3, comma 3, definisce bosco “le superfici coperte da vegetazione forestale arborea, associata o meno a quella arbustiva, di origine naturale o artificiale in qualsiasi stadio di sviluppo ed evoluzione, con estensione non inferiore ai 2.000 metri quadri, larghezza media non inferiore a 20 metri e con copertura arborea forestale maggiore del 20 per cento”.
Al successivo articolo 4, “Aree assimilate a bosco”, il legislatore assimila a bosco, tra l’altro, “le radure e tutte le altre superfici di estensione inferiore a 2.000 metri quadrati che interrompono la continuità del bosco, non riconosciute come prati o pascoli permanenti o come prati o pascoli arborati” (comma 1, lett. e).
7.2. – Ciò posto, occorre aggiungere che accanto alla nozione normativa di bosco, la giurisprudenza fa riferimento ad una nozione sostanziale perché la finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” ex art. 131, d.lgs. n. 42/2004 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2016, n. 3574); il che equivale a dire che la nozione normativa di bosco, per la giurisprudenza, deve essere affiancata da una nozione sostanziale perché essa è finalizzata all’apposizione del vincolo di tutela paesaggistica (Cons. Stato, sez. I, 4 dicembre 2020, n. 1962).
Il vincolo paesaggistico ex lege per le aree boscate presuppone, dunque, a monte la sussistenza in natura del bosco, così come definito dal legislatore, e a valle, in ragione della natura del vincolo, il provvedimento certativo adottato dall’autorità amministrativa competente che ne attesti con efficacia ex tunc l’effettiva esistenza (cfr. Cons. Stato, sez. I, 4 dicembre 2020, n. 1962; Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2016, n. 3574).
Per cui, il provvedimento, oltre a dover essere adottato dall’amministrazione tecnica competente, deve dare espressamente conto dei tratti biofisici individuanti l’area boscata tutelata (Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2016, n. 3574).
Con particolare riferimento alla nozione sostanziale di bosco, la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2019 n. 1462; Cons. Stato, Sez. V, 10 agosto 2016, n. 3574; Sez. VI, 29 maggio 2013, n. 1851) è costante nel ritenere che:
a) sebbene, secondo il dettato dell’art. 142, c. 1, lett. g), d.lgs. n. 42/04, essa risulta nozione normativa, poiché fa riferimento alla definizione data dall’art. 2 d.lgs. n. 227/01 (oggi, art. 3, d.lgs. 3 aprile 2018, n. 34), in virtù di questo rinvio, postula la necessaria presenza di un terreno di una certa estensione, coperto con una certa densità da “vegetazione forestale arborea” e - tendenzialmente almeno - da arbusti, sottobosco ed erbe (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 2013, n. 1851);
b) invero, la finalità di tutela del paesaggio, sottesa alla nozione di bosco, implica il rispetto della ragionevolezza e della proporzionalità in relazione a tale finalità, con la conseguenza che foreste e boschi sono presunti di notevole interesse e meritevoli di salvaguardia perché elementi originariamente caratteristici del paesaggio, cioè del “territorio espressivo di identità” ex art. 131 d.lgs. n. 42/04 (cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 agosto 2016, n. 3574);
c) per questa ragione dalla nozione di bosco vanno esclusi gli insiemi arborati che non costituiscono elementi propri e tendenzialmente stabili della forma del territorio, quand’anche di imboschimento artificiale, ma che rispetto ad essa costituiscono inserti artefatti o naturalmente precari;
d) la copertura forestale, necessaria per ritenere sussistente un bosco, deve costituire un sistema vivente complesso (non perciò caratterizzato da una monocoltura artificiale), di apparenza non artefatta e deve essere tendenzialmente permanente:
d.1) al contrario, non è di per sé sufficiente all’integrazione della nozione la mera presenza di piante, le quali, sebbene numerose, non siano tali da sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi, così dissipando del tutto l’idea che per bosco debba intendersi l’insieme monocultura di alberi destinati, ad esempio, alla produzione di legname (Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2019 n. 1462; Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8242).
7.3. – Alla luce di tale orientamento, quindi, deve ritenersi che ai fini della sussistenza di un bosco soggetto a vincolo paesaggistico occorre non solo la sussistenza di un preciso requisito dimensionale, secondo la definizione normativa (art. 3, co. 3, d.lgs. n. 34 del 2018), ma anche la sussistenza di un requisito naturalistico e paesaggistico, secondo la nozione sostanziale di bosco, dovendo trattarsi di un sistema vivente complesso, tendenzialmente permanente, tale da sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi, nonché costituire un elemento proprio e tendenzialmente stabile della forma del territorio, originariamente caratteristico del paesaggio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2019 n. 1462).
7.4. – Orbene, nel caso di specie, sia la sentenza di primo grado che il provvedimento impugnato non si pongono in linea con il suddetto orientamento giurisprudenziale, avendo omesso di considerare che la nozione normativa di bosco deve essere affiancata dalla suddetta nozione sostanziale.
7.5. – Invero, il motivo di diniego posto a fondamento del provvedimento negativo di compatibilità ambientale è rappresentato dalla “presenza di un bosco che presenta le caratteristiche dimensionali, formali e qualitative delle zone boscate definite dal D.Lgs. 34/2018”, richiamando sul punto il parere negativo della Soprintendenza (prot. n. 26528 del 29 novembre 2019) e quello del Comune di concordia sulla Secchia (prot. n. 0015635 del 12 dicembre 2019) che si basa esclusivamente sul precedente parere negativo della Soprintendenza. Quest’ultimo parere, a sua volta, si fonda sulla perizia tecnica dell’agronomo Giovanni Trentanovi (allegata al parere) da cui si evince la consistenza delle specie arboree presenti nell’area in questione.
In particolare, la determinazione conclusiva della Conferenza di servizi ha motivato il diniego di compatibilità ambientale in quanto nell’area in questione vi sarebbe un insieme arboreo rientrante nella definizione di “bosco” di cui al d.lgs. n. 34 del 2018 che, seppur di recente formazione, si estende per “una superficie di 32.000 mq”.
Secondo il provvedimento impugnato, inoltre, tale formazione boscata “assume un valore paesaggistico di notevole importanza perché unica nel territorio di Concordia sulla Secchia” oltre a contribuire al “riequilibrio paesaggistico” essendo situata “all’interno di un territorio fortemente antropizzato”.
Inoltre, richiamando sul punto il Piano Forestale Regionale, il provvedimento ha evidenziato la sussistenza di politiche regionali “volte ad accrescere i livelli di naturalità della pianura” caratterizzata da una “forte diminuzione di diversità biologica” e da un basso indice di boscosità (2%).
Infine, ha richiamato le previsioni del PTCP che riconoscono anche a pioppeti o formazioni spontanee boscate cresciute in conseguenza di opere infrastrutturali (quali strade, canali di bonifica, ferrovie), il ruolo di “nuclei catalizzatori” per lo sviluppo di “ecosistemi naturalisticamente validi”.
7.6. – Orbene, esaminando la motivazione del provvedimento impugnato alla luce della nozione normativa e sostanziale di bosco, si deve ritenere innanzitutto non contestata la sussistenza del requisito dimensionale, sebbene l’atto impugnato si sia limitato ad affermare che l’area in questione presenta le caratteristiche dimensionali di cui al d.lgs. n. 34/2018, e che la consistenza della superficie della cenosi spontanea è pari a 32.000 mq, senza ulteriormente specificare se la “copertura arborea forestale” sia o meno “maggiore del 20 per cento” dell’intera superficie in questione (art. 3, comma 3, d.lgs. n. 34/2018).
Ciò posto, deve tuttavia ravvisarsi un vizio di difetto di motivazione consistente nell’omessa considerazione delle caratteristiche della vegetazione arborea dal punto di vista naturalistico e paesaggistico.
Non si motiva, infatti, in ordine alla sussistenza o meno di un sistema vivente complesso, tendenzialmente permanente, tale da sviluppare un ecosistema in grado di autorigenerarsi, né si spiega se tale vegetazione spontanea costituita un elemento proprio e tendenzialmente stabile della forma del territorio, originariamente caratteristico del paesaggio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 marzo 2019 n. 1462).
A ben vedere, infatti, le motivazioni addotte nel provvedimento impugnato fanno sostanzialmente riferimento più a considerazioni di tipo ambientale che paesaggistico.
Sul punto, invero, occorre richiamare l’orientamento di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2022, n. 624) secondo cui resta netta la distinzione tra paesaggio e ambiente, implicando - il primo - la percezione (per lo più qualitativa) e l’interpretazione da un punto di vista soggettivo e - il secondo - prevalentemente l’apprezzamento delle quantità fisico-chimiche e dei loro effetti biologici sull’ecosistema da un punto di vista oggettivo (approccio, quest’ultimo, implicito nella nozione - centrale nella legislazione ambientale - di inquinamento, cfr. art. 5, lett. i-ter) d.lgs. n. 152 del 2006).
Pertanto, devono ritenersi non pertinenti, per i fini che qui interessano, i richiami alle politiche regionali forestali per la tutela della biodiversità e al riconoscimento di formazioni boscate spontanee quali “nuclei catalizzatori” per lo sviluppo di “ecosistemi naturalisticamente validi”, trattandosi di motivazioni afferenti più alla tutela ambientale e forestale che a quella paesaggistica.
In secondo luogo, sebbene siano certamente pertinenti le motivazioni relative al valore paesaggistico del “bosco” in esame, per la sua unicità nel territorio comunale e per il suo contributo al “riequilibrio paesaggistico” essendo situato “all’interno di un territorio fortemente antropizzato”, tuttavia, devono ritenersi insufficienti ai fini dell’integrazione di quella nozione sostanziale di bosco sopra ricordata che, in ordine al profilo paesaggistico, richiede che la formazione boschiva, a prescindere dalla sua origine e dal suo stadio di sviluppo, costituisca un elemento proprio e tendenzialmente stabile della forma del territorio, originariamente caratteristico del paesaggio.
Pertanto, il motivo di appello deve essere accolto con conseguente riforma della sentenza impugnata e annullamento del provvedimento per difetto di motivazione sulla sussistenza di un bosco assoggettato a vincolo paesaggistico.
A tal riguardo, inoltre, giova precisare che in sede di riedizione del potere amministrativo, rimane salva la sfera di discrezionalità tecnica dell’amministrazione in materia, con conseguente insindacabilità nel merito di eventuali scelte meramente opinabili, ma non anche illogiche ed irrazionali.
8. – Con il secondo motivo di appello (pag. 31-36), la società ha impugnato il capo di sentenza con cui il primo giudice ha ritenuto irrilevante la presenza di rifiuti sull’area in questione implicante la rimozione della vegetazione.
Il motivo è infondato.
Premesso che si tratta di una censura avente carattere logicamente subordinato al mancato accoglimento del primo motivo di appello, deve comunque osservarsi come non sia stata dimostrata da parte dell’appellante la dedotta necessità di abbattimento degli alberi come conseguenza della presenza di materiale inerte nell’area in questione: si tratta, invero, di un assunto solamente allegato ma non dimostrato.
Né può essere valorizzata tale censura sotto il profilo del difetto di motivazione, trattandosi di un aspetto espressamente preso in considerazione (cfr. parere del Comune del 23 gennaio 2020 sul materiale antropico rinvenuto nell’area di intervento), come già rilevato dal T.a.r.
Né, infine, l’utilizzo del termine “bonifica” da parte dell’amministrazione può essere letto come un indice di travisamento dei fatti o di confusione concettuale, dovendo interpretare l’atto amministrativo nel suo complesso e secondo il suo significato sostanziale, a prescindere dalle formule utilizzate.
9. – Con il terzo motivo di appello (pag. 36-42), ha impugnato il capo di sentenza con cui il primo giudice ha ritenuto necessaria la presenza di tutti gli enti convocati alla conferenza di servizi.
In particolare, con il suddetto motivo di appello, la società ha inteso contestare non già la partecipazione del Comune e della Provincia alla Conferenza di Servizi “quanto piuttosto che in detta sede fossero stati chiamati a rilasciare autorizzazioni non necessarie ai fini del PAUR, ma ritenute tali dall’autorità procedente, con la conseguenza che i relativi dinieghi autorizzativi sono stati poi strumentalmente utilizzati per denegare l’istanza di AIA” (pag. 38 dell’appello), rilevando, pertanto, che la partecipazione di tali enti “sarebbe dovuta avvenire non già quali enti deputati al rilascio del permesso di costruire e della variante urbanistica, ma come soggetti chiamati ad esprimere un parere, tecnico e non vincolante, ai fini del rilascio dell’AIA” (pag. 40 dell’appello).
Il motivo è infondato.
Invero, se da un lato è vero che la partecipazione di tali enti alla Conferenza di Servizi, pur obbligatoria, non avviene ai fini dell’acquisizione di uno titolo abilitativo specifico (parere, nulla-osta o altro atto di assenso comunque denominato), bensì per acquisirne le valutazioni, in linea con la natura istruttoria che la giurisprudenza usualmente attribuisce a tale modulo procedimentale ai fini dell’autorizzazione degli impianti di cui trattasi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5985), tuttavia, dall’altro lato è anche vero che il provvedimento di diniego impugnato non si fonda esclusivamente su tali pareri negativi, bensì su di una più complessa valutazione attinente alla individuazione delle posizioni prevalenti.
Inoltre, dallo stesso provvedimento impugnato emerge chiaramente come tali enti siano stati convocati non già per rilasciare specifici titoli (nella specie, permesso di costruire e variante urbanistica, sebbene vengano espressamente menzionati), bensì per esprimere il proprio parere di competenza ai fini del rilascio dell’AIA nell’ambito del più complesso procedimento finalizzato al rilascio del PAUR.
10. – Con il quarto motivo di appello (pag. 42-44), ha impugnato il capo di sentenza con cui il primo giudice ha escluso un vizio di legittimità per mancata concessione della proroga del termine per le osservazioni ex art. 10-bis legge n. 241/1990, oltre ad eccepire una omessa pronuncia sulle ulteriori censure relative sia al vizio di incompetenza della Regione ad esprimersi in materia di proroga del termine procedimentale e sia alle tempistiche della Conferenza di Servizi.
Il motivo è infondato.
10.1. – Innanzitutto, con riguardo alla mancata concessione della proroga del termine per la presentazione delle osservazioni, deve ritenersi corretta la decisione del T.a.r. sul punto, la quale ha rilevato come nessuna proroga in tal senso sia prevista dalla legge, come peraltro espressamente riconosciuto dalla stessa parte appellante (cfr. pag. 43 dell’appello).
Tuttavia, anche prescindendo dal suddetto rilievo di tipo formale ed esaminando il problema dal punto di vista sostanziale, la mancata concessione di una proroga, invero, potrebbe assumere rilievo sotto il diverso profilo del mancato rispetto del canone di correttezza e buona fede da parte dell’amministrazione procedente (cfr. art. 1, comma 2-bis, legge n. 241/1990), alla luce delle concrete circostanze del caso (nella specie, consistenti nella elevata complessità della vicenda e nell’imminenza delle festività natalizie).
Tuttavia, una simile valutazione deve avere ad oggetto la condotta dell’amministrazione nel suo complesso, non limitandola al singolo episodio di diniego di proroga.
Alla luce di tale considerazione, quindi, deve escludersi una simile violazione, avuto riguardo alla condotta successiva dell’amministrazione, la quale, sebbene abbia formalmente negato la proroga, ha comunque preso in considerazione tutta la documentazione presentata dalla ricorrente oltre il suddetto termine di 10 giorni previsto dall’art. 10-bis legge n. 241/1990.
Infatti, a fronte di un preavviso di diniego notificato in data 18 dicembre 2019, l’amministrazione non solo ha preso in considerazione la documentazione trasmessa dalla società solo in data 15 gennaio 2020 (ben oltre i 10 giorni previsti dalla legge), ma ha anche rinviato la seduta della conferenza di servizi fissata per tale data alla successiva seduta del 23 gennaio 2020 proprio al fine di valutare le osservazioni pervenute.
Pertanto, nonostante il formale diniego, la parte appellante ha comunque beneficiato di una proroga in via di fatto.
10.2. – In secondo luogo, non può neanche obiettarsi circa la non congruità del termine di fatto già prorogato, avendo la società chiesto un differimento di 45 giorni, ossia fino al 1° febbraio 2020.
Sul punto, infatti, è sufficiente osservare che, anche a prescindere dalla insussistenza di una formale violazione procedurale, la società non ha dedotto alcuna lesione del diritto di difesa o di partecipazione procedimentale. Al contrario, è la stessa parte appellante ad ammettere esplicitamente che “il preavviso di diniego (doc. 10) è stato esaustivamente riscontrato dalla società esponente, la quale con le integrazioni del 15 gennaio 2020 (docc. 16 e 20) ha puntualmente risposto ad ogni singolo rilievo dell’ente, fornendo tutte le descrizioni di dettaglio e le integrazioni richieste” (pag. 53 dell’appello).
10.3. – Ciò vale anche a respingere le ulteriori censure relative alle tempistiche di svolgimento della conferenza di servizi.
Infine, con riguardo al dedotto vizio di incompetenza della Regione ad esprimersi in materia di proroga del termine procedimentale ex art. 10-bis, legge n. 241/1990, deve ritenersi che tale censura sia inammissibile per difetto di interesse, in quanto rivolta nei confronti di un atto endoprocedimentale, non avente natura provvedimentale.
11. – Con il quinto motivo di appello (pag. 44-45), ha impugnato il capo di sentenza con cui il primo giudice ha respinto la censura di difetto di motivazione del provvedimento di diniego di autotutela.
Il motivo è infondato.
Invero, il provvedimento di diniego espresso di autotutela deve essere qualificato come un atto meramente confermativo della precedente determinazione e non richiede una apposita motivazione a sostegno del mancato accoglimento dell’istanza.
Sul punto, la giurisprudenza è costante nel ritenere che “il diniego espresso di autotutela su un precedente provvedimento dell’amministrazione è un atto meramente confermativo, non impugnabile in via autonoma, poiché, di norma, non compie una nuova valutazione degli interessi in gioco, e non può quindi trasformarsi in un mezzo per accordare una sostanziale rimessione in termini rispetto alla contestazione dell’originario provvedimento; come tale, esso si distingue dalla conferma, che compie invece una nuova valutazione degli stessi interessi, sia pure con lo stesso esito finale, ed è quindi impugnabile in via autonoma. Il principale criterio concreto per distinguere fra le due fattispecie è poi il fatto che nel secondo caso e non nel primo l’amministrazione compie una nuova istruttoria, che secondo logica deve riguardare gli stessi interessi originariamente coinvolti e non, come evidente, interessi diversi” (Cons. Stato, sez. IV, 11 luglio 2022, n. 5774).
Inoltre, è stato anche precisato che “che gli atti "meramente confermativi" sono quegli atti che, a differenza degli atti "di conferma", si connotano per la ritenuta insussistenza, da parte dell’amministrazione, di valide ragioni di riapertura del procedimento conclusosi con la precedente determinazione; mancando detta riapertura e la conseguente nuova ponderazione degli interessi coinvolti, nello schema tipico dei c.d. "provvedimenti di secondo grado", essi sono insuscettibili di autonoma impugnazione per carenza di un carattere autonomamente lesivo.
In pratica, l’atto meramente confermativo ricorre quando l’amministrazione si limita a dichiarare l’esistenza di un suo precedente provvedimento, senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione; esso si connota per la sola funzione di illustrare all’interessato che la questione è stata già delibata con precedente espressione provvedimentale, di cui si opera un integrale richiamo. Tale condizione, quale sostanziale diniego di esercizio del riesame dell’affare, espressione di lata discrezionalità amministrativa, lo rende privo di spessore provvedimentale, da cui, ordinariamente, la intrinseca insuscettibilità di una sua impugnazione.
Di contro, l’atto di conferma in senso proprio è quello adottato all’esito di una nuova istruttoria e di una rinnovata ponderazione degli interessi, e pertanto connotato anche da una nuova motivazione” (Cons. Stato, sez. III, 24 dicembre 2021, n. 8590).
Nel caso di specie, a seguito dell’istanza di autotutela del 2 marzo 2020, il provvedimento di adozione del PAUR negativo, impugnato in primo grado con motivi aggiunti, sul punto ha evidenziato che “l’esame delle motivazioni espresse non ha determinato da parte del Servizio VIPSA la richiesta di riapertura della Conferenza dei Servizi ad ARPAE” (pag. 19, delibera G.R. n. 516 del 18 maggio 2020).
Pertanto, trattandosi di diniego espresso di autotutela e non essendo stato espletato alcun ulteriore adempimento istruttorio a seguito della presentazione dell’istanza di autotutela, il relativo provvedimento sul punto deve essere qualificato come atto meramente confermativo, con conseguente infondatezza della relativa censura di difetto di motivazione.
12. – Con il sesto motivo di appello (pag. 46-47), la parte appellante, oltre a ribadire le medesime censure di cui al secondo motivo di appello, ha impugnato il capo di sentenza secondo cui il provvedimento regionale, nell’uniformarsi alla proposta negativa formatasi in sede di Conferenza di Servizi, non doveva a sua volta dotare la propria determinazione di una particolare motivazione.
Il motivo è innanzitutto inammissibile per difetto di specificità, in quanto l’appellante si è limitata ad asserire che tale capo di sentenza “non è affatto condivisibile” (pag. 47 dell’appello), senza null’altro aggiungere o specificare, ma è anche infondato in quanto il provvedimento impugnato, nel richiamare in premessa tutto lo svolgimento del complesso iter procedimentale, nonché il verbale conclusivo della Conferenza di servizi (allegato alla delibera), ha inteso sostanzialmente condividere e fare proprie tali determinazioni, il che vale a rendere il provvedimento legittimamente motivato.
13. – Infine, la parte appellante ha riproposto i 5 motivi assorbiti e non esaminati in primo grado (pag. 47-63 dell’appello).
13.1. – Con il primo motivo non esaminato (punto B.I, pag. 47-52 dell’appello), ha censurato il parere urbanistico negativo del Comune, recepito dal provvedimento impugnato, fondato sulla necessità di una previa adozione di un piano attuativo ai fini dell’approvazione della richiesta variante urbanistica, nonché il parere della Provincia di Modena relativo necessità di una valutazione ambientale sulla variante stessa.
Il motivo è fondato.
13.1.1. – Invero, il suddetto parere comunale si fonda sul presupposto che la variante urbanistica non costituisca un effetto automatico del rilascio del provvedimento autorizzatorio unico.
A tal riguardo, occorre innanzitutto ricostruire il quadro normativo applicabile.
Il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. codice dell’ambiente), prevede la necessità dell’autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.) per una serie di impianti (art. 6, comma 13), tra cui anche quelli per il recupero e smaltimento di rifiuti non pericolosi con trattamento biologico (categoria 5.3.b)1, dell’Allegato VIII della Parte seconda del Codice dell’ambiente), come appunto quello di specie.
Inoltre, per le attività di smaltimento o di recupero di rifiuti svolte nei medesimi impianti soggetti ad AIA (art. 6, comma 13), quest’ultima costituisce anche autorizzazione alla realizzazione o alla modifica (art. 6, comma 14 e art. 29-quater, comma 11, cod. amb.), come previsto dall’art. 208 cod. amb.
Infatti, l’art. 29-quater, comma 11, cod. amb. dispone che l’AIA sostituisce ad ogni effetto tutte le autorizzazioni previste dalla legge (Allegato IX della Parte seconda), tra cui anche l’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti (art. 208, comma 2, cod. amb.).
Quest’ultima autorizzazione unica, costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico e comporta la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità dei lavori (art. 208, comma 6, cod. amb.).
Pertanto, dal suddetto quadro normativo, emerge l’infondatezza dell’assunto posto a base dell’impugnato parere secondo cui la variante urbanistica non costituisce un effetto automatico del rilascio del provvedimento autorizzatorio unico, dal momento che è proprio la legge a prevedere tale effetto (art. 208, comma 6, cod. amb.) in conseguenza dell’approvazione dell’autorizzazione unica, nella specie sostituita dall’AIA (art. 208, comma 2, cod. amb. e art. 29-quater, comma 11, cod. amb.).
13.1.2. – Con riguardo, invece, al parere negativo della Provincia di Modena e relativo alla necessità anche della valutazione ambientale strategica (VAS), occorre innanzitutto ribadire che l’art. 6, comma 12, cod. amb., per quanto qui interessa, dispone che per le modifiche di piani territoriali o urbanistici conseguenti a provvedimenti di autorizzazione di opere singole che hanno per legge l’effetto di variante a tali piani, resta ferma l’applicazione della disciplina in materia di VIA ma “la valutazione ambientale strategica non è necessaria per la localizzazione delle singole opere” (art. 6, comma 12, cod. amb.).
Sul punto, l’impugnato parere della Provincia di Modena richiama il disposto dell’art. 21, comma 2, della legge regionale Emilia-Romagna n. 4 del 2018, che condiziona espressamente la variante urbanistica alla valutazione ambientale positiva sulla variante stessa.
A tal riguardo, tuttavia, occorre evidenziare che la suddetta disposizione richiamata dalla Provincia di Modena non è applicabile al caso di specie.
Infatti, la necessità della valutazione ambientale sulla variante (art. 21, comma 2, l.r. n. 4 del 2018) è richiesta dalla legge regionale solo per le opere di cui al comma 1 del medesimo articolo, mentre per i progetti, come quello di specie, di nuovi impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti (art. 208, cod. amb.), trova applicazione il comma 3 dell’art. 21 della suddetta legge regionale, che non prevede alcuna valutazione ambientale sulla variante, limitandosi a stabile che “Il provvedimento autorizzatorio unico relativo ai progetti di cui agli articoli 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) costituisce variante agli strumenti di pianificazione urbanistica sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi indetta ai sensi dell’articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990” (art. 21, comma 3, l.r. n. 4 del 2018).
Da quanto esposto, ne consegue che il rilascio dell’autorizzazione unica per i nuovi impianti di smaltimento o recupero dei rifiuti non solo costituisce variante allo strumento urbanistico (art. 208, comma 6, cod. amb.), ma esclude anche la necessità della valutazione ambientale sulla variante stessa (art. 21, comma 3, l.r. n. 4 del 2018), ferma restando l’applicazione della disciplina in materia di VIA (art. 6, comma 12, cod. amb.).
13.2. – Con i restanti motivi riproposti (punti B.II, B.III, B.IV, pag. 52-60 dell’appello), ha censurato i pareri negativi relativi al permesso di costruire (Comune di Concordia sulla Secchia), alla concessione allo scarico (Consorzio della Bonifica Burana) e agli allacciamenti e connessioni in capo ai gestori dei servizi pubblici (AIMAG s.p.a. e AS Retigas s.p.a.), i quali si fondano tutti su di una asserita carenza documentale che avrebbe impedito una corretta istruttoria.
Sul punto, l’appellante ha dedotto l’esistenza di motivi nuovi di diniego, la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 e del contraddittorio endoprocedimentale con le relative garanzie, il difetto di motivazione in relazione alla documentazione presentata e comunque la superfluità dell’ulteriore documentazione richiesta.
Orbene, le suddette censure, avendo tutte in comune la contestazione delle rilevate carenze documentali, devono ritenersi fondate nella parte in cui evidenziano una violazione procedurale.
In particolare, sussiste una violazione dell’art. 27-bis, d.lgs. n. 152/2006, il quale, nel disciplinare il procedimento di autorizzazione unica regionale (PAUR), prevede una specifica fase istruttoria dedicata alla “verifica della completezza documentale” laddove stabilisce che “Entro trenta giorni dalla pubblicazione della documentazione nel sito web dell’autorità competente, quest’ultima, nonché le amministrazioni e gli enti di cui al comma 2, per i profili di rispettiva competenza, verificano la completezza della documentazione, assegnando al proponente un termine perentorio non superiore a trenta giorni per le eventuali integrazioni” (art. 27-bis, comma 3, d.lgs. n. 152/2006).
A seguito della eventuale integrazione documentale, poi, viene pubblicato un nuovo avviso al pubblico (art. 23, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 152/2006) per la presentazione delle osservazioni (art. 27-bis, comma 4, d.lgs. n. 152/2006).
Infine, si prevede che “Entro i successivi trenta giorni l’autorità competente può chiedere al proponente eventuali integrazioni, anche concernenti i titoli abilitativi compresi nel provvedimento autorizzatorio unico, come indicate dagli enti e amministrazioni competenti al loro rilascio, assegnando un termine non superiore a trenta giorni” (art. 27-bis, comma 5, d.lgs. n. 152/2006).
Alla mancata ottemperanza della richiesta di integrazione documentale derivano delle conseguenze sanzionatorie in capo al soggetto proponente (cfr. art. 27-bis, comma 5, d.lgs. n. 152/2006: “l’istanza si intende ritirata ed è fatto obbligo all’autorità competente di procedere all’archiviazione”).
Orbene, nel caso di specie, le riscontrate carenze documentali avrebbero dovuto essere fatte valere già in sede procedimentale, in occasione della “verifica della completezza documentale”, mentre nella specie non risulta essere stato espletato tale incombente istruttorio.
14. – In considerazione del parziale accoglimento dell’appello, ne deriva l’assorbimento dell’ultima censura (punto B.V, pag. 60-63 dell’appello) riproposta avverso la delibera di giunta regionale per difetto di interesse, né può essere accolta l’istanza risarcitoria (pag. 63 dell’appello), trattandosi di una domanda solo genericamente formulata.
15. – In conclusione, quindi, l’appello deve essere accolto nei sensi di cui in motivazione e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e, per l’effetto, deve disporsi l’annullamento dei provvedimenti impugnati, ferma restando la riedizione del potere amministrativo alla luce dell’effetto conformativo della presente sentenza.
16. – Le spese di lite possono essere compensate tra tutte le parti avuto riguardo alla complessità e particolarità della vicenda, trattandosi di circostanze idonee ad integrare quelle altre ragioni gravi ed eccezionali analoghe a quelle tipizzate dall’art. 92 c.p.c., che consentono la compensazione integrale delle spese di lite (cfr. C. Cost. n. 77 del 2018).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla i provvedimenti impugnati.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 giugno 2024 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Carbone, Presidente
Francesco Gambato Spisani, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere
Rosario Carrano, Consigliere, Estensore