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TAR CAMPANIA - NAPOLI- Sezione I ( Pres. Coraggio, Rel. p. Carpentieri) n. 1337/04
- I privati sono esclusi ex art. 13 L. 241/90 dalla partecipazione al procedimento istitutivo di un'area naturale protetta regionale
-Il favor ivi espresso dal legislatore nazionale per l’inclusione nelle aree naturali protette di immobili ed aree demaniali o, comunque, in titolarità pubblica, non esclude, evidentemente, la possibilità, allorché l’area meritevole di protezione sia prevalentemente in titolarità privata, di procedere comunque al perseguimento, mediante l’istituzione del parco, dell’interesse pubblico preminente alla conservazione della natura e alla promozione di uno sviluppo sostenibile dei territori caratterizzati da interesse naturalistico-ambientale.
-La consapevolezza dell’amministrazione dell’esistenza di un atteggiamento spesso sfavorevole delle popolazioni residenti nei confronti delle misure di protezione della natura (atteggiamento dovuto soprattutto a cattiva informazione e ad una aprioristica ostilità verso qualsiasi forma di conformazione della proprietà privata per ragioni di interesse generale), lungi dal precludere l’adozione delle necessarie misure di conservazione, avrebbe potuto al più giustificare l’adozione di azioni di sensibilizzazione e di corretta informazione delle popolazioni stanziate nelle aree interessate dal parco, ma non può certo tradursi in una paralisi del procedimento o nel suo snaturamento con subordinazione del suo esito positivo alla prestazione di un inammissibile preventivo consenso unanime da parte di tutti e di ciascuno dei privati interessati

segnalata dall'Avv. M. Balletta

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REPUBBLICA ITALIANA

N. 13237 Reg. Sent.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

ANNO 2004

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione I^ - composto dai Signori:

N. 7770 Reg. Ric.

ANNO 2002

1) Giancarlo Coraggio - Presidente

2) Luigi Domenico Nappi - Consigliere

3) Paolo Carpentieri - Consigliere - relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 7770/2002 Reg. Gen., proposto da Rapa Giovanni, Rotondo Claudio, Aversano Luigi, Aversano Alfonso, Borrelli Alberto, Rampone Michele, Pella Tonino, De Spirito Carmine Antonio, Selvaggio Antonio, Salvatore Corrado, Dell’Estate Paolo, Tella Erminio, Tella Severino, Gliottone Mario, Grande Giovanni, Zanni Albino, Gliottone Giovanni, Grande Domenico, Aversano Gemma, Aversano Alessandro, Migliozzi Rosindo, Croce Bruno, Gliottone Antonio, La Prova Armando, La ventura Aldo, De Nunzio Biagio, Selvaggio Alberto, Borrelli Edoardo, D’Angelo Giuseppe, Pinelli Alessandro, Zanni Andrea, Grande Carmine, Izzo Alfredo, Dell’Estate Angelo, Mondella Angelo, Aversano Carmine, Mollica Maria, Tella Giovanni, De Rosa Pasquale, Misterioso Marco, Aversano Nunzio, Grande Francesco, Croce Palma, Grande Gentilina, Dell’Estate Ida, Grande Virgilia, Compagnone Ernesto, Aversano Benedetto, Dell’Estate Anna, Dell’Estate Sabina, Gliottone Maria Atonia, Gliottone Eugenio, Mollica Giovanni, Croce Valerio, Rampone Giuseppe, Mollica Ercole, Croce Margherita, Gliottone Giulio, Croce Tommaso, Gliottone Aurelia, Gliottone Massimo, Cifelli Ottavio, Antinolfi Giacomo, Ma succi Nevio, Mattia Michela, Mondella Luigi, Croce Angelo Eugenio, Dell’Estate Gennaro, Selvaggio Giovanni, Misto Giuseppe, Aversano Mauro, rappresentati e difesi dall’avv. Luigi Gerardo Bagni, con domicilio eletto in Napoli alla piazza Municipio, presso la Segreteria del T.A.R.,

contro

la Regione Campania, in persona del Presidente della giunta regionale p.t., rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Colosimo, con domicilio eletto in Napoli alla via S. Lucia 81, presso la sede legale dell’ente;

e nei confronti

del Comune di Conca della Campania, in persona del sindaco p.t., non costituito;

per l’annullamento, previa sospensione

<>.

VISTO il ricorso con i relativi allegati;

VISTO l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania, con le annesse produzioni;

VISTA l’ordinanza collegiale n. 3900/2002 del 7 agosto 2002, con la quale la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato nel ricorso introduttivo;

VISTE le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

VISTI gli atti tutti di causa;

UDITI alla pubblica udienza del 16 giugno 2004 - relatore il Magistrato Dr. Carpentieri - gli avv.ti indicati nel verbale;

CONSIDERATO in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso in esame, notificato il 10/16 luglio 2002 e depositato in Segreteria il successivo 23 luglio, i ricorrenti, tutti proprietari terrieri residenti nel comune di Teano, frazione Casafredda, hanno impugnato la delibera della giunta regionale della Campania n. 1406 del 12 aprile 2002 istitutiva del Parco regionale di Roccamonfina e Foce del Garigliano, con annesse perimetrazione provvisoria e misure di salvaguardia da valere fino all’approvazione del piano del parco.

A sostegno del gravame deducono diversi motivi di violazione di legge e di eccesso di potere.

Si è costituita ed ha resistito in giudizio la Regione Campania, concludendo per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza nel merito del ricorso.

Con ordinanza n. 3900 del 7 agosto 2002 la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione del provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 16 giugno 2004 la causa è stata chiamata e trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è infondato e va come tale rigettato.

Può prescindersi pertanto dall’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla regione Campania.

Sotto un primo profilo parte ricorrente afferma che l’inserimento nel parco dei comuni di Sessa Aurunca e di Teano sarebbe avvenuto sul falso presupposto che i suddetti comuni facessero parte della Comunità montana Monte S. Croce.

La regione ha chiarito, nelle sue difese depositate il 26 maggio 2004, che si è trattato di un “refuso di stampa”, peraltro del tutto ininfluente, “in quanto l’appartenenza o meno di un qualsivoglia comune ad una comunità montana non costituisce presupposto per l’inclusione di tale comune all’interno del parco”. Le ragioni della perimetrazione provvisoria, ampiamente motivate, riposano su considerazioni sostanziali di meritevolezza di tutela ambientale delle aree prese in considerazione. E tali ragioni sostanziali sono autonome e diverse rispetto al profilo, di rilievo soprattutto amministrativo, dell’appartenenza o meno dei suddetti comuni alla Comunità montana in questione. La censura è dunque infondata.

Sotto altro profilo i ricorrenti lamentano il fatto di non essere stati preventivamente sentiti dall’amministrazione procedente, in violazione della legge 241 del 1990.

Il motivo è infondato. E’ agevole replicare richiamando l’articolo 13 della legge 241 del 1990, che esclude dalla partecipazione i procedimenti diretti alla emanazione di atti di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Come puntualmente richiamato dalla difesa regionale, del resto, il complesso procedimento volto alla istituzione di un’area protetta regionale si articola, per legge nazionale quadro (n. 394 del 1991) e per legge regionale attuativa (33 del 1993, come modificata dalla legge 18 del 2000), in una serie di passaggi istruttori e consultivi che assicurano ampiamente la partecipazione (non già dei singoli cittadini, cosa oggettivamente impossibile, bensì) degli enti locali territorialmente competenti. Il che si spiega sia con la oggettiva impossibilità o notevole difficoltà di una partecipazione puntuale di ciascun singolo soggetto stanziato nella vasta area territoriale riguardata dalla pianificazione, sia sul rilievo (evidenziato da recente dottrina) per cui l’attività di pianificazione inerisce direttamente alle funzioni di autogoverno delle comunità facenti capo all’ente territoriale, in favore delle quali opera, giusta la previsione degli articoli 1 e 5 della Costituzione, una sorta di <>, donde la modulazione della partecipazione, disposta dalla legge speciale di settore che disciplina la pianificazione a fini di conservazione della natura, attraverso la mediazione necessaria dell’ente territoriale esponenziale della comunità locale.

L’ampiezza e la completezza della partecipazione democratica degli enti esponenziali delle comunità locali coinvolte è stata garantita dal fatto che il procedimento in esame è stato riadottato dalla regione Campania in ossequio alla nuova formulazione dell’articolo 6 della legge regionale 33 del 1993, come introdotta dall’articolo 34 della legge regionale n. 18 del 2000, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale 14 luglio 2000, n. 282, che aveva dichiarato incostituzionale l’articolo 6 della legge regionale 33 del 1993 nella parte in cui non garantiva un’adeguata partecipazione degli enti locali.

Con il terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la delibera impugnata, in violazione delle previsioni della legge quadro, avrebbe incluso nel parco aree in larga parte di proprietà privata.

La tesi è infondata, poiché poggia su una lettura non condivisibile dell’articolo 22, comma 3, della legge 394 del 1991. Il favor ivi espresso dal legislatore nazionale per l’inclusione nelle aree naturali protette di immobili ed aree demaniali o, comunque, in titolarità pubblica, non esclude, evidentemente, la possibilità, allorché l’area meritevole di protezione sia prevalentemente in titolarità privata, di procedere comunque al perseguimento, mediante l’istituzione del parco, dell’interesse pubblico preminente alla conservazione della natura e alla promozione di uno sviluppo sostenibile dei territori caratterizzati da interesse naturalistico-ambientale.

Con ulteriore motivo di gravame i ricorrenti sostengono che la regione, contraddittoriamente, pur essendosi mostrata consapevole del fatto che uno degli elementi di maggiore “criticità” nel procedimento istitutivo delle aree naturali protette in Campania fosse costituito dalla contrarietà delle popolazioni, avrebbe deciso di dare comunque conclusione positiva al procediment, nel senso dell’istituzione del parco.

La consapevolezza dell’amministrazione dell’esistenza di un atteggiamento spesso sfavorevole delle popolazioni residenti nei confronti delle misure di protezione della natura (atteggiamento dovuto soprattutto a cattiva informazione e ad una aprioristica ostilità verso qualsiasi forma di conformazione della proprietà privata per ragioni di interesse generale), lungi dal precludere l’adozione delle necessarie misure di conservazione, avrebbe potuto al più giustificare l’adozione di azioni di sensibilizzazione e di corretta informazione delle popolazioni stanziate nelle aree interessate dal parco, ma non può certo tradursi in una paralisi del procedimento o nel suo snaturamento con subordinazione del suo esito positivo alla prestazione di un inammissibile preventivo consenso unanime da parte di tutti e di ciascuno dei privati interessati.

Si censura, altresì, in ricorso il carattere “condizionale” e non definitivo della perimetrazione, che sarebbe perciò affetta da superficialità.

Trattandosi di perimetrazione provvisoria, aperta ad eventuali aggiustamenti nel corso dell’iter ulteriore del procedimento istitutivo del parco, l’elasticità e la parziale rivedibilità della perimetrazione appartengono alla logica delle cose, e non costituiscono certo un vizio di legittimità dell’atto.

I ricorrenti deducono infine profili di contrasto con la Costituzione e invocano la sentenza della Corte n. 282 del 2000 (già citata), ma non considerano la sopravvenuta legge regionale 18 del 2000, che ha adeguato alla pronuncia della Consulta la legge regionale sui parchi 33 del 1993.

Con un ultimo motivo di ricorso affermano la carenza di pubblico interesse all’istituzione del parco, ma non considerano la competenza istituzionale della regione nella conservazione e protezione della natura per aree di rilievo non nazionale e pretendono di sovvertire l’ordine giuridico dei valori dei beni-interessi protetti, affermando una sorta di preminenza assoluta della proprietà privata. I ricorrenti con ciò mostrano di non cogliere i benefici derivanti, nel medio e lungo periodo, da una gestione ambientalmente corretta del territorio, la cui integrità naturalistica – meritevole di conservazione - dovrebbe essere intesa come una risorsa, e non già come una causa di svantaggio.

In conclusione il ricorso si presenta del tutto sfornito di fondamento e va conseguentemente respinto.

Le spese di lite, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico dei ricorrenti, in solido tra loro, nell’importo liquidato in dispositivo.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I^, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi € 1.000,00 (mille/00).

Così deciso in Napoli nella Camera di Consiglio del 16 giugno 2004.

Il Presidente

Il Relatore