segnalata dall'Avv. M. Balletta
REPUBBLICA
ITALIANA |
N.
13237 Reg.
Sent. |
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO |
ANNO 2004 |
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania - Sezione I^
- composto dai Signori: |
N.
7770
Reg. Ric.
ANNO 2002 |
1) Giancarlo Coraggio - Presidente
2) Luigi Domenico Nappi - Consigliere
3) Paolo Carpentieri - Consigliere - relatore
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sul
ricorso n. 7770/2002
Reg. Gen., proposto da Rapa
Giovanni, Rotondo Claudio, Aversano Luigi, Aversano Alfonso, Borrelli
Alberto, Rampone Michele, Pella Tonino, De Spirito Carmine Antonio, Selvaggio
Antonio, Salvatore Corrado, Dell’Estate Paolo, Tella Erminio, Tella Severino,
Gliottone Mario, Grande Giovanni, Zanni Albino, Gliottone Giovanni, Grande
Domenico, Aversano Gemma, Aversano Alessandro, Migliozzi Rosindo, Croce Bruno,
Gliottone Antonio, La Prova Armando, La ventura Aldo, De Nunzio Biagio,
Selvaggio Alberto, Borrelli Edoardo, D’Angelo Giuseppe, Pinelli Alessandro,
Zanni Andrea, Grande Carmine, Izzo Alfredo, Dell’Estate Angelo, Mondella
Angelo, Aversano Carmine, Mollica Maria, Tella Giovanni, De Rosa Pasquale,
Misterioso Marco, Aversano Nunzio, Grande Francesco, Croce Palma, Grande
Gentilina, Dell’Estate Ida, Grande Virgilia, Compagnone Ernesto, Aversano
Benedetto, Dell’Estate Anna, Dell’Estate Sabina, Gliottone Maria Atonia,
Gliottone Eugenio, Mollica Giovanni, Croce Valerio, Rampone Giuseppe, Mollica
Ercole, Croce Margherita, Gliottone Giulio, Croce Tommaso, Gliottone Aurelia,
Gliottone Massimo, Cifelli Ottavio, Antinolfi Giacomo, Ma succi Nevio, Mattia
Michela, Mondella Luigi, Croce Angelo Eugenio, Dell’Estate Gennaro, Selvaggio
Giovanni, Misto Giuseppe, Aversano Mauro, rappresentati e difesi dall’avv.
Luigi Gerardo Bagni, con domicilio eletto in Napoli alla piazza Municipio,
presso la Segreteria del T.A.R.,
contro
la
Regione Campania, in persona del
Presidente della giunta regionale p.t., rappresentata e difesa dall’avv.
Salvatore Colosimo, con domicilio eletto in Napoli alla via S. Lucia 81, presso
la sede legale dell’ente;
e
nei confronti
del
Comune di Conca della Campania, in
persona del sindaco p.t., non costituito;
per
l’annullamento, previa sospensione
<
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTO l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania, con le
annesse produzioni;
VISTA l’ordinanza collegiale n. 3900/2002 del 7 agosto 2002, con la
quale la Sezione ha respinto l’istanza di sospensione del provvedimento
impugnato nel ricorso introduttivo;
VISTE le memorie depositate dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
VISTI gli atti tutti di causa;
UDITI alla pubblica udienza del 16 giugno 2004 - relatore il Magistrato
Dr. Carpentieri - gli avv.ti indicati nel verbale;
CONSIDERATO
in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con
il ricorso in esame, notificato il 10/16 luglio 2002 e depositato in Segreteria
il successivo 23 luglio, i ricorrenti, tutti proprietari terrieri residenti nel
comune di Teano, frazione Casafredda, hanno impugnato la delibera della giunta
regionale della Campania n. 1406 del 12 aprile 2002 istitutiva del Parco
regionale di Roccamonfina e Foce del Garigliano, con annesse perimetrazione
provvisoria e misure di salvaguardia da valere fino all’approvazione del piano
del parco.
A
sostegno del gravame deducono diversi motivi di violazione di legge e di eccesso
di potere.
Si
è costituita ed ha resistito in giudizio la Regione Campania, concludendo per
l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza nel merito del ricorso.
Con
ordinanza n. 3900 del 7 agosto 2002 la Sezione ha respinto l’istanza di
sospensione del provvedimento impugnato.
Alla
pubblica udienza del 16 giugno 2004 la causa è stata chiamata e trattenuta in
decisione.
DIRITTO
Il
ricorso è infondato e va come tale rigettato.
Può
prescindersi pertanto dall’esame delle eccezioni di inammissibilità sollevate
dalla regione Campania.
Sotto
un primo profilo parte ricorrente afferma che l’inserimento nel parco dei
comuni di Sessa Aurunca e di Teano sarebbe avvenuto sul falso presupposto che i
suddetti comuni facessero parte della Comunità montana Monte S. Croce.
La
regione ha chiarito, nelle sue difese depositate il 26 maggio 2004, che si è
trattato di un “refuso di stampa”, peraltro del tutto ininfluente, “in
quanto l’appartenenza o meno di un qualsivoglia comune ad una comunità
montana non costituisce presupposto per l’inclusione di tale comune
all’interno del parco”. Le ragioni della perimetrazione provvisoria,
ampiamente motivate, riposano su considerazioni sostanziali di meritevolezza di
tutela ambientale delle aree prese in considerazione. E tali ragioni sostanziali
sono autonome e diverse rispetto al profilo, di rilievo soprattutto
amministrativo, dell’appartenenza o meno dei suddetti comuni alla Comunità
montana in questione. La censura è dunque infondata.
Sotto
altro profilo i ricorrenti lamentano il fatto di non essere stati
preventivamente sentiti dall’amministrazione procedente, in violazione della
legge 241 del 1990.
Il
motivo è infondato. E’ agevole replicare richiamando l’articolo 13 della
legge 241 del 1990, che esclude dalla partecipazione i procedimenti diretti alla
emanazione di atti di pianificazione e di programmazione, per i quali restano
ferme le particolari norme che ne regolano la formazione. Come puntualmente
richiamato dalla difesa regionale, del resto, il complesso procedimento volto
alla istituzione di un’area protetta regionale si articola, per legge
nazionale quadro (n. 394 del 1991) e per legge regionale attuativa (33 del 1993,
come modificata dalla legge 18 del 2000), in una serie di passaggi istruttori e
consultivi che assicurano ampiamente la partecipazione (non già dei singoli
cittadini, cosa oggettivamente impossibile, bensì) degli enti locali
territorialmente competenti. Il che si spiega sia con la oggettiva impossibilità
o notevole difficoltà di una partecipazione puntuale di ciascun singolo
soggetto stanziato nella vasta area territoriale riguardata dalla
pianificazione, sia sul rilievo (evidenziato da recente dottrina) per cui
l’attività di pianificazione inerisce direttamente alle funzioni di
autogoverno delle comunità facenti capo all’ente territoriale, in favore
delle quali opera, giusta la previsione degli articoli 1 e 5 della Costituzione,
una sorta di <
L’ampiezza
e la completezza della partecipazione democratica degli enti esponenziali delle
comunità locali coinvolte è stata garantita dal fatto che il procedimento in
esame è stato riadottato dalla regione Campania in ossequio alla nuova
formulazione dell’articolo 6 della legge regionale 33 del 1993, come
introdotta dall’articolo 34 della legge regionale n. 18 del 2000, a seguito
della pronuncia della Corte costituzionale 14 luglio 2000, n. 282, che aveva
dichiarato incostituzionale l’articolo 6 della legge regionale 33 del 1993
nella parte in cui non garantiva un’adeguata partecipazione degli enti locali.
Con
il terzo motivo di ricorso i ricorrenti sostengono che la delibera impugnata, in
violazione delle previsioni della legge quadro, avrebbe incluso nel parco aree
in larga parte di proprietà privata.
La
tesi è infondata, poiché poggia su una lettura non condivisibile
dell’articolo 22, comma 3, della legge 394 del 1991. Il favor
ivi espresso dal legislatore nazionale per l’inclusione nelle aree naturali
protette di immobili ed aree demaniali o, comunque, in titolarità pubblica, non
esclude, evidentemente, la possibilità, allorché l’area meritevole di
protezione sia prevalentemente in titolarità privata, di procedere comunque al
perseguimento, mediante l’istituzione del parco, dell’interesse pubblico
preminente alla conservazione della natura e alla promozione di uno sviluppo
sostenibile dei territori caratterizzati da interesse naturalistico-ambientale.
Con
ulteriore motivo di gravame i ricorrenti sostengono che la regione,
contraddittoriamente, pur essendosi mostrata consapevole del fatto che uno degli
elementi di maggiore “criticità” nel procedimento istitutivo delle aree
naturali protette in Campania fosse costituito dalla contrarietà delle
popolazioni, avrebbe deciso di dare comunque conclusione positiva al
procediment, nel senso dell’istituzione del parco.
La
consapevolezza dell’amministrazione dell’esistenza di un atteggiamento
spesso sfavorevole delle popolazioni residenti nei confronti delle misure di
protezione della natura (atteggiamento dovuto soprattutto a cattiva informazione
e ad una aprioristica ostilità verso qualsiasi forma di conformazione della
proprietà privata per ragioni di interesse generale), lungi dal precludere
l’adozione delle necessarie misure di conservazione, avrebbe potuto al più
giustificare l’adozione di azioni di sensibilizzazione e di corretta
informazione delle popolazioni stanziate nelle aree interessate dal parco, ma
non può certo tradursi in una paralisi del procedimento o nel suo snaturamento
con subordinazione del suo esito positivo alla prestazione di un inammissibile
preventivo consenso unanime da parte di tutti e di ciascuno dei privati
interessati.
Si
censura, altresì, in ricorso il carattere “condizionale” e non definitivo
della perimetrazione, che sarebbe perciò affetta da superficialità.
Trattandosi
di perimetrazione provvisoria, aperta ad eventuali aggiustamenti nel corso
dell’iter ulteriore del procedimento
istitutivo del parco, l’elasticità e la parziale rivedibilità della
perimetrazione appartengono alla logica delle cose, e non costituiscono certo un
vizio di legittimità dell’atto.
I
ricorrenti deducono infine profili di contrasto con la Costituzione e invocano
la sentenza della Corte n. 282 del 2000 (già citata), ma non considerano la
sopravvenuta legge regionale 18 del 2000, che ha adeguato alla pronuncia della
Consulta la legge regionale sui parchi 33 del 1993.
Con
un ultimo motivo di ricorso affermano la carenza di pubblico interesse
all’istituzione del parco, ma non considerano la competenza istituzionale
della regione nella conservazione e protezione della natura per aree di rilievo
non nazionale e pretendono di sovvertire l’ordine giuridico dei valori dei
beni-interessi protetti, affermando una sorta di preminenza assoluta della
proprietà privata. I ricorrenti con ciò mostrano di non cogliere i benefici
derivanti, nel medio e lungo periodo, da una gestione ambientalmente corretta
del territorio, la cui integrità naturalistica – meritevole di conservazione
- dovrebbe essere intesa come una risorsa, e non già come una causa di
svantaggio.
In
conclusione il ricorso si presenta del tutto sfornito di fondamento e va
conseguentemente respinto.
Le
spese di lite, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico dei
ricorrenti, in solido tra loro, nell’importo liquidato in dispositivo.
P.Q.M.
IL
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLA CAMPANIA, SEZIONE I^, definitivamente
pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo rigetta e condanna i ricorrenti, in
solido tra loro, al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in
complessivi € 1.000,00 (mille/00).
Così
deciso in Napoli nella
Camera
di Consiglio del 16 giugno 2004.
Il
Presidente
Il
Relatore