Sez. 3, Sentenzan. 19505 del 27/04/2004 (Ud. 16/03/2004 n.00490 ) Rv. 228885
Presidente: Zumbo A. Estensore: Grassi A. Imputato: Ambrosi ed altro. P.M. Iacoviello F. (Parz. Diff.)
(Annulla in parte senza rinvio, App. Brescia, 9 luglio 2001).
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Smaltimento dei rifiuti - Danno ambientale - Soggetti responsabili - Individuazione - Ente comunale - Diritto al risarcimento - Sussistenza.
CON MOTIVAZIONE
Massima (Fonte CED Cassazione)
In tema di reati ambientali compete al Comune, quale ente territoriale, il diritto al risarcimento del danno ambientale derivante dalla inosservanza delle disposizioni in tema di gestione di rifiuti, atteso che questo non consiste soltanto in una compromissione dell'ambiente, ma altresì in una offesa alla personalità umana nella sua dimensione individuale e sociale; inoltre tale risarcimento grava su tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di produzione e smaltimento dei rifiuti, responsabili in solido tra loro.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 16/03/2004
Dott. RAIMONDI Raffaele - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRASSI Aldo - Consigliere - N. 490
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GRILLO Carlo - Consigliere - N. 40055/2001
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AMBROSI FEDERICO, nato ad Occhiobello il 27 Giugno 1959;
MOROTTI BRUNO, nato a Sassuolo il 17 Marzo 1943;
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Brescia in data 9/7/01;
Letti gli atti, il provvedimento denunciato ed il ricorso;
Udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Grassi;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del S. Procuratore Generale Dott. F. M. Iacoviello, il quale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, perché manifestamente infondati;
Udito l'Avv. P. Orecchia, difensore del Comune di Sermide, parte civile;
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Osserva:
Con sentenza della Pretura Circondariale di Mantova -sez. dist. di Revere- in data 17/9/90, Arnaldo Cestaro e Bruno Moretti venivano condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e -solo per il primo- con i benefici di cui agli artt. 163 e 175 c.p., alla pena, ciascuno, di quattro mesi di arresto e due milioni di lire d'ammenda, nonché, in solido, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede ed al pagamento, a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva, della somma di quattrocento milioni di lire in favore del Comune di Sermide, costituitosi parte civile, in quanto colpevoli del reato previsto dagli artt. 110 c.p. e 6 lett. d), 16 e 26 D.P.R. 10/9/82, n. 915, del quale erano chiamati a rispondere per avere, in concorso fra loro, il primo quale titolare dell'omonima ditta corrente in Agugliaro, la quale aveva acquistato dalla curatela fallimentare della "Sermide S.p.a." gli impianti residui ed i macchinali dello Zuccherificio ed il secondo quale amministratore unico della "Tutto di Tutto s.r.l." corrente in Sassuolo, la quale aveva acquistato dall'altro i detti impianti e macchinali, effettuato, senza la necessaria autorizzazione, lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi derivati dallo smontaggio e dalla demolizione di parti metalliche di essi, contenenti amianto, come accertato il 20/10/89.
Con la stessa sentenza Federico Ambrosi, rappresentante legale della "SIDIM s.n.c", era assolto dallo stesso reato, per non averlo commesso e da quello di cui all'art. 650 c.p., per insussistenza del fatto, mentre veniva dichiarato non doversi procedere, a carico del medesimo, in ordine alle altre contravvenzioni ascrittegli, perché estinte per amnistia.
Affermava, fra l'altro, il Pretore:
- che dagli atti era emerso come il Cestaro avesse acquistato, dalla curatela del fallimento della "Sermide S.p.a.", gli impianti e macchinari dello zuccherificio (residuati da precedenti numerose vendite ad altre ditte le quali avevano provveduto, in proprio, al relativo smantellamento) che poi aveva rivenduto al Moretti il quale aveva appaltato allo Ambrosi i lavori di smontaggio e demolizione delle relative parti metalliche;
- che la natura tossica e nociva del materiale di coibentazione dei macchinari, contenente amianto, era stata accertata dalla perizia tecnica disposta, la quale aveva evidenziato il superamento, in detta sostanza, dei limiti di tollerabilità previsti dalla legge;
- che lo Ambrosi, appaltatore dei lavori di smontaggio, avrebbe dovuto rispondere del reato di trasporto e trattamento dei rifiuti in questione, diverso da quello contestatogli e relativamente al quale il P.M., cui gli atti venivano all'uopo rimessi, avrebbe potuto esercitare autonoma azione penale.
Contro la decisione di primo grado proponevano impugnazione gli imputati condannati, nonché il Procuratore della Repubblica presso la menzionata Pretura Circondariale ed il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Brescia, per chiedere:
- il Cestaro, l'assoluzione dalla contravvenzione della quale era stato dichiarato colpevole, per non averla commessa, essendosi limitato ad acquistare gli impianti e macchinali dalla curatela fallimentare ed a rivenderli, poco dopo, al Morotti;
- quest'ultimo, l'assoluzione dallo stesso reato, per insussistenza del fatto, sia perché aveva acquistato impianti e macchinali dello zuccherificio pagandoli L. 400.000.000, e non rifiuti, sia perché nella peggiore delle ipotesi poteva ipotizzarsi, a suo carico, l'abbandono di rifiuti in area privata, non punibile penalmente; in subordine, invocava la riduzione della pena inflittagli, la revoca della condanna al risarcimento dei danni ed al versamento di somma di denaro a titolo di provvisionale o, almeno, una riduzione del relativo ammontare;
- il P.G. ed il P.M., l'affermazione della responsabilità penale dell'Ambrosi, in ordine ai reati ascrittigli, sia perché l'art. 26 D.P.R. 915/'82 concerneva l'effettuazione delle diverse fasi di smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, delle quali il trattamento ed il trasporto di essi erano parte integrante, sicché non era ipotizzabile alcun mutamento sostanziale del fatto di reato contestato all'imputato, sia perché dovevano considerarsi legittime le ordinanze sindacali non ottemperate; inoltre, un aumento delle pene inflitte agli imputati condannati, in quanto non adeguate all'entità e gravità dei fatti.
La Corte d'Appello di Brescia, con sentenza del 9/7/01, dichiarava non doversi procedere a carico dell'Ambrosi, del Cestaro e del Morotti, in ordine alla contravvenzione di cui agli artt. 16 e 26 D.P.R. 915/'82, perché estinta per prescrizione, confermava le statuizioni civili della decisione impugnata e condannava il Cestaro ed il Morotti a rifondere al Comune di Sermide, costituito parte civile, le spese e compensi del secondo grado di giudizio, affermando e statuendo, fra l'altro:
a) che proprio alla condotta dello Ambrosi era da attribuirsi l'ammasso di amianto rilevato nella zona circostante lo stabilimento dello zuccherificio dove lo stesso aveva effettuato, per averli avuti appaltati dal Morotti, i lavori di smontaggio dei macchinali e del materiale ferroso che "in loco"erano stati portati da quest'ultimo;
b) che non era condivisibile la tesi difensiva secondo cui l'Ambrosi avrebbe acquistato solo i materiali ferrosi, dato che la curatela fallimentare aveva venduto i beni residui dello zuccherificio "a cancello chiuso, nello stato di fatto in cui si trovavano, con ogni costo, onere e responsabilità relativa allo smontaggio, rottamazione e trasporto ad esclusivo carico del compratore";
c) che la responsabilità penale del Cestaro era stata correttamente affermata, ed andava ribadita, in quanto egli aveva acquistato i macchinali di che trattatasi, dalla curatela fallimentare, per il prezzo di L. 417.000.000 e li aveva rivenduti al Morotti, dopo meno di un mese, per lo stesso prezzo, dal che erano deducibili l'accordo ed il comune interesse di entrambi nell'acquisto di che trattasi;
d) che nei fatti per i quali è processo era da ravvisarsi lo stoccaggio provvisorio di rifiuti, non l'abbandono di essi in area privata, perché, stante la particolare volatilità dei medesimi e le numerose brecce nel muro di recinzione dell'area, essi potevano facilmente disperdersi, a causa della pioggia, nelle zone circostanti di uso pubblico;
e) che andavano confermate le statuizioni civili della decisione impugnata, sia perché v'era, in atti, la prova dell'esistenza di ingenti danni cagionati dalla condotta di tutti gli imputati, sia perché non meritava accoglimento la richiesta di riduzione della somma di denaro assegnata alla parte civile a titolo di provvisionale in quanto "pur essendo pacifico che il disastro ambientale provocato fosse addebitabile anche a numerose altre persone, la sua entità, anche in fatto di costi prevedibili per lo smaltimento, era tale da fare ritenere che la somma imposta fosse una parte infinitesimale del danno provocato"; inoltre, perché la sola messa in sicurezza del sito aveva comportato un esborso di circa tre miliardi di lire. Avverso la sentenza di secondo grado l'Ambrosi ed il Morotti hanno proposto ricorso per Cassazione e ne chiedono l'annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione.
Deducono, in particolare, i ricorrenti:
1. che il reato di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazione, loro contestato, sarebbe stato ritenuto esistente illegittimamente dal momento che dalla curatela del fallimento dello zuccherificio erano stati acquistati impianti e macchinari il cui smantellamento aveva comportato lo accumulo del materiale di coibentazione delle relative strutture metalliche e, dunque, l'abbandono di esso in area privata, non il relativo stoccaggio provvisorio;
2. che tale stoccaggio -da intendersi quale conferimento o ammasso in un unico sito di rifiuti in funzione del loro smaltimento- aveva avuto ad oggetto le strutture metalliche degli impianti acquistati, non qualificabili come rifiuti tossici e nocivi;
3. che non vi sarebbe in atti prova alcuna di avvenuta dispersione dei rifiuti, a causa della pioggia, in aree limitrofe destinate ad uso pubblico, ipotizzata solo quale mera, astratta possibilità;
4. che la contravvenzione di cui all'art. 26 D.P.R. 915/'82 integrerebbe un reato di pericolo, non di danno, dalla cui consumazione non potrebbe essere derivato alcun danno risarcibile;
5. che, in ogni caso, il Comune di Sermide, costituitosi parte civile, avrebbe diritto al risarcimento del danno ambientale, non quantificabile, ma non potrebbe vantare alcuna pretesa risarcitoria in ordine al danno derivante dalle spese per lo sgombero e la bonifica dell'area dello stabilimento dello zuccherificio, dal momento che detti sgombero e bonifica incombono alla curatela fallimentare, trattandosi di area privata, non pubblica;
6. che poiché all'atto dell'acquisto, da parte di esso Morotti, degli impianti e macchinari dei quali si parla, l'asserito danno ambientale era già in atto, di esso dovrebbero rispondere solo in minima parte, mentre la statuizione della Corte di merito, non avendo individuato e quantificato quale sia il danno riconducibile alla loro condotta, li esporrebbe ad un obbligo risarcitorio integrale, in violazione del principio di responsabilità personale sancito dall'art. 18 L. 8/7/86, n. 349.
MOTIVI DELLA DECISIONE
A mente dell'art. 2 D.P.R. 10/9/82, n. 915, applicabile alla fattispecie in esame, per "rifiuto" deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto derivante da attività umane o da cicli naturali, abbandonato o destinato all'abbandono.
In materia di smaltimento dei rifiuti, per stoccaggio provvisorio deve intendersi -in virtù delle norme di cui al D.P.R. 10/9/82, n. 915- la raccolta e l'immagazzinamento di essi, in attesa della loro eliminazione, sia nei luoghi di produzione, che altrove, sicché solo nell'ipotesi in cui gli stessi siano stati trattenuti in attesa del loro ritiro, periodico e frequente, da parte di ditte specializzate, può essere esclusa la figura giuridica del loro stoccaggio provvisorio che si distingue dall'accumulo temporaneo di essi perché questo costituisce il risultato finale della produzione del rifiuto, precariamente ammassato sotto il diretto controllo del produttore, in attesa di smaltimento, mentre il primo si qualifica per il carattere non precario dello ammasso e per la destinazione dei rifiuti alle ulteriori fasi di smaltimento contemplate dall'art. 16 D.P.R. 915/'82 (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 7/11/95, Siriani e 27/6/96, Perette). L'art. 26 D.P.R. 9l5/82, attuativo delle direttive C.E.E., prevede l'obbligo della autorizzazione, senza eccezioni, in materia di smaltimento di rifiuti tossici e nocivi e, dunque, anche per lo stoccaggio provvisorio di essi, che del relativo smaltimento costituisce una fase (v. conf. Corte Cost. 1/7/92, n. 307 e Cass. sez. 3^ pen., 19/02/99, Frascio).
L'accumulo non autorizzato, anche in area di propria pertinenza, di materiali qualificabili come rifiuti tossici e nocivi, già qualificabile come reato ai sensi dell'art. 26 dell'abrogato D.P.R. 915/82, vigente all'epoca del fatto, rientra oggi -senza soluzioni di continuità- nella previsione dell'art. 51 co. 2 D Lgs. 5/02/'97, n. 22, in base al quale il detto accumulo può costituire reato solo se "incontrollato" ed, affinché possa configurarsi l'ipotesi del deposito "controllato" e temporaneo, ai sensi dell'art. 6 lett. m) D.Lgs. 22/'97, occorre il rispetto delle condizioni dettate dal citato articolo ed, in particolare, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione e l'osservanza dei tempi di giacenza, in relazione alla natura e qualità del rifiuto (v. conf. Cass. sez. 3^ pen., 30/9/98, Tiragallo ed 11/6/02, Brustia).
Premessi tali principi di diritto, l'esistenza -a carico di tutti gli imputati- della contravvenzione di cui agli artt. 16 e 26 D.P.R. 915/'82 deve ritenersi legittimamente ritenuta, in sede di merito, essendo stato accertato che il Cestaro aveva acquistato, dalla curatela del fallimento della "Sermide S.p.a.", il 27/02/89, gli impianti e macchinari dello zuccherificio residuati da precedenti numerose vendite ad altre ditte, per rivenderli, meno di un mese dopo, il 23/3/89, al Morotti il quale aveva poi appaltato allo Ambrosi i lavori di smontaggio e demolizione delle relative parti metalliche, che nei relativi materiali di coibentazione contenevano amianto.
Il concorso di tutti e tre gli imputati in detto reato è stato motivato in maniera incensurabile, perché giuridicamente e logicamente corretta e l'ipotesi del deposito temporaneo di rifiuti è stata esclusa legittimamente, non essendo i macchinari e gli impianti, oggetto di compravendita per lo smaltimento, scindibili dai rifiuti che contenevano nei relativi materiali di coibentazione. In materia di danno ambientale, posto che questo non consiste solo in una compromissione dell'ambiente ai sensi dell'art. 18 L. 8/7/86, n. 349, ma anche in un'offesa alla persona umana nella propria dimensione individuale e sociale, come ritenuto dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nn. 210 e 641 del 1987, ne deriva che tutti i soggetti coinvolti nel ciclo di produzione e smaltimento di rifiuti tossici e nocivi sono responsabili, in solido fra loro, del risarcimento dei danni cagionati (v. conf. Cass. sez. 1^ civ., 1/9/95, n. 9211).
Orbene, poiché occorre distinguere fra danno a singoli beni di proprietà pubblica o privata ovvero a posizioni giuridiche soggettive individuali, che trovano tutela nelle regole ordinarie e danno all'ambiente, considerato in senso unitario, il cui profilo sanzionatorio comporta un accertamento che non è solo quello del mero pregiudizio patrimoniale, ma anche quello della compromissione dell'ambiente, vale a dire della lesione "in sè" del bene ambientale, la condanna del Cestaro e del Morotti al risarcimento dei danni in favore del Comune di Sermide, ente territoriale, deve essere ritenuta legittima in relazione al danno ambientale cagionato, da quantificarsi nella competente sede civile in rapporto alla loro condotta, come statuito in sede di merito.
Per ciò che concerne la somma di denaro assegnata al detto Comune, costituitosi parte civile, a titolo di provvisionale, va rilevato che essa è stata quantificata, dai Giudici di merito, in considerazione dei costi elevati necessari per "la messa in sicurezza dell'intero stabilimento e la successiva bonifica di esso e dell'area interessata dalla contaminazione".
Tale statuizione non appare legittima in quanto la messa in sicurezza e la bonifica di uno stabilimento privato non è a carico del Comune, sul quale incombe solo l'obbligo di risanamento dell'area pubblica circostante, contaminata.
La circostanza che i rifiuti tossici e pericolosi di che trattasi abbiano contaminato anche aree circostanti allo stabilimento dello zuccherificio della "Sermide S.p.a." è stata ritenuta, in sede di merito, con motivazione incensurabile fondata anche sul rilievo dell'esistenza di molteplici brecce nel muro di recinzione dell'area di pertinenza del detto stabilimento e delle piogge che avrebbero inevitabilmente disciolto o diluito le sostanze nocive contenute nei materiali di coibentazione dei macchinar smantellati. Alla luce delle esposte considerazioni, la decisione impugnata va confermata nel punto concernente la statuizione civile relativa alla condanna del Cestaro e del Morotti, in solido, al risarcimento del danno ambientale cagionato al Comune di Sermide, mentre va annullata, senza rinvio, nei confronti del Morotti e, per l'effetto estensivo dell'impugnazione, anche nei confronti del Cestaro, nel punto relativo alla condanna degli stessi al versamento, alla parte civile costituita, di somma di denaro a titolo di provvisionale. P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
annulla senza rinvio, nei confronti di Bruno Morotti e, per l'effetto estensivo della impugnazione, anche nei confronti di Arnaldo Cestaro, la sentenza della Corte d'Appello di Brescia in data 9/7/01, nel solo punto concernente la condanna degli stessi al pagamento, al Comune di Sermide, costituito parte civile, della somma di quattrocento milioni di lire a titolo di provvisionale;
dichiara compensate fra le parti le spese sostenute dalla detta parte civile per questo grado di giudizio;
rigetta, nel resto, il ricorso proposto dal Morotti, nonché quello presentato da Federico Ambrosi avverso la menzionata sentenza e condanna quest'ultimo al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, il 16 marzo 2004.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2004