Cass.Pen. Sez. III n. 41602 del 13 ottobre 2023 (CC 14 set 2023)
Pres. Ramacci Rel. Scarcella Ric.Testa
Ecodelitti.Pesca illegale e delitto di inquinamento ambientale
In caso di concorso tra le contravvenzioni previste dagli artt. 7 e 8 d.lgs. 9 gennaio 2012, n. 4, che puniscono, "salvo che il fatto costituisca più grave reato", le condotte lesive dell'ambiente marino e quelle di pesca illegale, e il delitto previsto dall'art. 452-bis cod. pen. trova applicazione quest'ultima disposizione che incrimina la compromissione o il deterioramento, significativi e misurabili, di uno dei profili del bene ambiente, come descritti dalla medesima disposizione al comma 1, nn. 1 e 2.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 19 aprile 2023, il Tribunale del riesame di Palermo, è stata confermata l’ordinanza GIP/tribunale di Palermo emessa nei confronti dell’indagato TESTA CARLO avverso il decreto di sequestro preventivo 13.03.2023 emesso ai sensi del comma 2 dell’art. 321, cod. proc. pen., per un importo di 57.963,14 euro per il reato di cui all’art. 452-bis, comma 2, cod. pen., commesso in concorso con altri soggetti qui non ricorrenti, per aver, abusivamente, in violazione della normativa internazionale, comunitaria ed interna (decreto 7.07.1995 della Regione Sicilia per i ricci; D.M. 27.02.2018 rinnovato con DD.MM. 30.12.2019, 30.12.2020, 29.12.2021 per le oloturie) – la quale vieta per i ricci la raccolta nel numero superiore a 50 per pescatore sportivo e per le oloturie qualsiasi forma di cattura, uccisione, perturbazione, anche dei relativi habitat sottomarini, prelievo, detenzione, commercio, utilizzo per scopi di lucro, acquisto, vendita, trasporto, sbarco, trasbordo, offerta, esposizione per la vendita, cessione, danneggiamento o distruzione dei siti di popolamento, in ogni stadio di vita e crescita dalla specie, perturbando così il relativo habitat marino e sottomarino, cagionavano mediante il prelievo indiscriminato, con cadenza continua ed incessante, una compromissione ovvero un deterioramento significativi e misurabili della popolazione di riccio di mare e oloturie, determinando così un significativo squilibrio dell’ecosistema marino associato e della biodiversità correlata ai fondali della Sicilia Sud Occidentale, in quanto la condotta degli imputati ha comportato una drastica e stabile eliminazione degli esemplari di P. Lividus e H. Poli ivi esistenti, lambendo il disastro ambientale, per un quantitativo di ricci sottostimato di oltre 140.000 e 251 kg. di polpa di ricci e 137 kg. di oloturie, fatto aggravato a norma del comma 2 dell’art. 452-bis, cod. pen., atteso che il delitto veniva consumato in danno di specie animale protetta, in relazione fatti commessi dal febbraio 2016 al febbraio 2021.
2. Avverso l’ordinanza impugnata nel presente procedimento, il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo un unico motivo, di seguito sommariamente indicato.
2.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di violazione di legge e correlato vizio di motivazione in relazione all’art. 452-bis, cod. pen., d. lg. n. 4 del 2012, e 321, comma 2, cod. proc. pen.
In sintesi, si censura l’ordinanza impugnata, anzitutto, perché avrebbe ritenuto sussistere il fumus delicti nonostante in sede di discussione davanti ai giudici del riesame la difesa avesse contestato tale requisito riportandosi alla discussione orale svolta nel procedimento camerale riguardante la misura cautelare personale applicata all’indagato, richiamando quanto dedotto in termini di gravi indizi di colpevolezza con le dovute differenziazioni con riferimento al procedimento in esame, in cui si discute di una cautela reale. Il richiamo ai gravi indizi, operato dall’ordinanza impugnata, denuncerebbe il vizio di violazione di legge dedotto, essendo pacifico in giurisprudenza che nel procedimento cautelare reale si impone pur sempre la valutazione dell’esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l’evento punito dalla norma penale alla condotta del reo che, nella specie, non poteva farsi rientrare nell’alveo previsto dall’art. 452-bis, cod. pen. Sul punto, richiamata l’imputazione cautelare contestata, la difesa ne ha sostenuto l’insussistenza per una serie di motivi.
In particolare, le fonti di prova per il periodo 2016-2020 sarebbero unicamente costituite da 35 foto e 14 video estratti da Facebook che riportano soltanto la data di pubblicazione e non quella di realizzazione, donde si potrebbe dubitare della genuinità di tali fonti non essendovi alcuna certezza. Diversamente per il periodo di dicembre 2020-febbraio 2001 la gravità indiziaria discenderebbe dall'attività di intercettazione e di osservazione, controllo e pedinamento posta in essere dalla polizia giudiziaria. Secondo la difesa sarebbe evidente la insussistenza di una qualsiasi gravità indiziaria con riferimento al primo periodo in quanto tutto il compendio indiziario sarebbe frutto di ipotesi, calcoli ipotetici, congetture, riguardanti sia il quantitativo sia la grandezza dei ricci che le loro modalità di cattura. Per quanto riguarda invece il periodo successivo, oggetto di controllo da parte della polizia giudiziaria, è necessario operare una valutazione alla luce del delitto ipotizzato, dovendosi osservare come, per quanto riguarda la pesca delle oloturie, la normativa è stata introdotta nel 2018 e l'indagato non era a conoscenza che la loro pesca costituisse reato avendone acquisito contezza solo quando, il 2 febbraio 2021, subì un sequestro di 40 chilogrammi di oloturie venendo condannato con decreto penale, tant'è che da tale periodo non ha più pescato tale specie. Diversamente, per quanto riguarda la pesca dei ricci, si tratta di un'attività del tutto lecita che è sottoposta soltanto ai limiti quantitativi pescabili, ed è proprio sui quantitativi dei ricci potenzialmente pescabili che i giudici del riesame avrebbero dovuto svolgere valutazioni che in realtà sono state del tutto omesse, atteso che i giudici del riesame si sarebbero limitati a recepire in maniera acritica i calcoli presuntivi effettuati dalla polizia giudiziaria senza nemmeno verificarne correttezza e fondatezza. Si tratterebbe di calcoli presuntivi in quanto, in assenza di sequestri, il calcolo è stato effettuato in maniera ipotetica con calcoli di volumi di pescato approssimativo tant'è che, muovendo dal dato ricavato dalla polizia giudiziaria, si arriverebbe ad un volume di pescato di 560 ricci al giorno e non di 3500, come ipotizzato nella consulenza del pubblico ministero, sicché, considerando che erano due le persone a dedicarsi alla pesca, si tratterebbe di 280 ricci ciascuno, il che non potrebbe certamente integrare il reato di inquinamento ambientale trattandosi di prelievi effettuati nell'ambito dell'intera costa sud siciliana, perfettamente in linea con il normale sfruttamento dei fondali marini. La condotta assumerebbe pertanto rilievo soltanto sotto il profilo amministrativo e al più, da un punto di vista penale, potrebbe rientrare sotto il decreto legislativo n. 4 del 2012 che prevede un reato di tipo contravvenzionale, non essendovi né strumenti né mezzi né tantomeno quantitativi per potersi ritenere trattarsi di pesca massiva integrante il reato di inquinamento ambientale. Difetterebbe, in ultima analisi, quindi, l’autonoma valutazione del fumus commissi delicti, essendosi limitato il tribunale del riesame a paragonarlo ai gravi indizi di colpevolezza di cui alla misura personale.
Quanto, invece, al periculum in mora, si evidenzia nel caso di specie la mancanza di motivazione con riferimento al medesimo, in quanto non in linea con quanto richiesto dalle Sezioni Unite “Ellade” che, per il sequestro preventivo funzionale alla confisca obbligatoria, richiede l’illustrazione da parte del giudice delle ragioni che rendono necessaria l’anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio. Nella specie, i giudici del riesame avrebbero cercato di porre un rimedio alla lacuna motivazionale sul punto del primo giudice, ritenendo integrato tale requisito in considerazione della natura fungibile e facilmente occultabile del bene in sequestro, con conseguente pericolo di dispersione e non rintracciabilità ai fini della confisca in caso di condanna. Si tratterebbe di motivazione censurabile in diritto in quanto, ove si convenisse con i giudici del riesame, ogni sequestro preventivo avente ad oggetto denaro risulterebbe sempre legittimo integrando in re ipsa il requisito in esame, laddove, invece, mancherebbe nella specie una spiegazione del motivo per il quale il denaro sequestrato potrebbe dissolversi nel nulla in attesa della fine del processo.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 20 luglio 2023 la propria requisitoria scritta con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
In sintesi, osserva il PG come il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice.
Quanto al fumus l’apparato argomentativo è sia graficamente che contenutisticamente esistente, avendo i giudici del cautelare espressamente motivato sulla valenza indiziaria delle molteplici fonti di prova a carico dell’interessato, le cui doglianze si risolvono in una inammissibile lettura alternativa delle emergenze indiziarie per addivenire ad una soluzione ad egli favorevole, senza introdurre profili di radicale "incompatibilità" all'interno dell'impianto logico argomentativo del provvedimento impugnato. Quanto al periculum il ricorso invece appare fondato, non apparendo adeguatamente motivate le ragioni che rendono indifferibile il sequestro preventivo e che vanificherebbero la confisca successiva alla definizione del giudizio, dovendo avere come parametro guida della motivazione non la mera fungibilità del bene oggetto del provvedimento ablatorio ma le “esigenze anticipatorie” comuni sia al sequestro in esame che a quello conservativo ex art. 316 c.p.p., come ampiamente precisato dalle Sezioni Unite del 2021, carenza argomentativa che rende radicalmente irragionevole l’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato in relazione al solo secondo motivo.
2. Ed invero, premesso che il ricorso è stato proposto anche per motivi diversi da quelli consentiti dalla legge (ciò valendo, in particolare, per tutte le censure di vizio motivazionale prospettate dalla difesa dell’indagato, che ha evocato il vizio di motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., censura come è noto non prospettabile in sede di giudizio cautelare reale di legittimità, governato dalla previsione dell’art. 325, cod. proc. pen. che consente la deduzione del solo vizio di violazione di legge e non già del vizio di motivazione: tra tutte, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, PC Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710 – 01), quanto al fumus del reato ipotizzato, è lo stesso tribunale del riesame a dar conto che contro l’ordinanza genetica la difesa aveva proposto una generica istanza di riesame, limitandosi a chiedere l’annullamento del provvedimento impositivo limitatamente alla somma di denaro in sequestro. I giudici del riesame, in particolare, hanno provveduto a trascrivere lo stralcio dell’ordinanza applicativa della misura cautelare personale nei confronti dell’indagato, in cui sono contenuti gli elementi di gravità indiziaria che, con riferimento al delitto ambientale attualmente oggetto dell’imputazione cautelare, sono stati ritenuti sussistenti a carico dell’indagato e dei correi qui non ricorrenti.
Orbene, sul punto le censure dell’indagato non hanno pregio, atteso che, se è ben vero che il "fumus commissi delicti" per l'adozione di un sequestro preventivo, pur non dovendo integrare i gravi indizi di colpevolezza di cui all'art. 273 cod. proc. pen., necessita comunque dell'esistenza di concreti e persuasivi elementi di fatto, quantomeno indiziari, che consentano di ricondurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato (tra le tante: Sez. 5, n. 3722 dell’11/12/2019 - dep. 29/01/2020, Rv. 278152 – 01), è tuttavia pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che nel procedimento incidentale concernente l'impugnazione di misure cautelari reali, non contravviene alla regola, secondo la quale oggetto della valutazione non sono gli indizi di colpevolezza ma soltanto l'astratta configurabilità del reato ipotizzato - cosiddetto "fumus delicti" -, il giudice che prenda in esame l'esito del parallelo procedimento incidentale relativo alle misure cautelari personali, ed in particolare il provvedimento di rigetto della richiesta di misura, con affermazione della estraneità della condotta addebitata alla fattispecie criminosa, dal momento che l'esclusione, con siffatta motivazione, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza fa venire meno quella astratta configurabilità del reato, che è requisito essenziale per l'applicabilità delle misure cautelari reali (tra le tante: Sez. 2, n. 19657 del 17/04/2007, Rv. 236590 – 01).
Ne discende che tale principio deve ritenersi valevole anche a contrario, ossia laddove il giudice del riesame rigetti la richiesta di caducazione della misura cautelare, con affermazione della sussunzione della condotta addebitata nella fattispecie criminosa, dal momento che la conferma, con siffatta motivazione, della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza consolida quella astratta configurabilità del reato, che è requisito essenziale per l'applicabilità delle misure cautelari reali.
Ne consegue, pertanto, che attesa la genericità della doglianza (che non si confronta con l’ordinanza impugnata), non possono essere svolte dinanzi a questa Corte, in sede di giudizio cautelare di legittimità, censure che attingano l’ordinanza del tribunale del riesame tacciandola per asserite violazioni di legge o carenze motivazionali (peraltro nella specie non ravvisabili, avendo infatti il giudice collegiale della cautela condiviso le argomentazioni del GIP contenute nell’ordinanza genetica, ripercorrendo, per sintesi, i contenuti dell’attività di indagine svolta, dando conto puntualmente della gravità indiziaria a carico dell’indagato per l’ipotesi di reato oggetto di contestazione, corroborata anche da attività tecniche sfociate in una consulenza svolta dal PM che ha dato conto degli elementi da cui ritenere configurabile, per quanto qui rileva, il delitto ambientale ipotizzato, chiarendo anche ruoli e funzioni svolti dagli indagati, tra cui l’attuale ricorrente Testa, nella compagine associativa familiare descritta in atti ed individuata anche grazie alle operazioni di ascolto ed ai servizio di o.c.p. eseguiti), rispetto alle quali l’indagato oppone censure del tutto generiche, fondate su una presunta carenza di autonoma valutazione del fumus delicti, a fronte della compiuta valutazione, nel procedimento cautelare personale, alla cui motivazione l’ordinanza impugnata rinvia, concernente la gravità indiziaria.
2.1. In ogni caso, osserva il Collegio, le doglianze esposte sul fumus, espongono anche il fianco ad un giudizio di manifesta infondatezza.
Ed invero, quanto alla configurabilità del delitto ambientale con riferimento alla pesca delle oloturie, è sufficiente richiamare quanto già affermato da questa Corte laddove si è puntualizzato che rientrano tra le condotte ritenute “abusive” le violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito amministrativo o penale. Dunque, il requisito dell’abusività della condotta sussiste tanto con riferimento ad attività clandestine (perché svolte in totale assenza di titolo abilitativo), quanto in presenza di attività apparentemente legittime. Nella specie, si è ritenuto rientrasse tra le condotte “abusive”, per la configurabilità di alcuni delitti contro l’ambiente, l’esercizio di attività di pesca delle oloturie che seppure non vietata, veniva effettuata con mezzi vietati o da soggetti privi dei necessari titoli abilitativi, come del resto avvenuto nel caso sottoposto all’esame di questo Collegio (Sez. 3, n. 18934 del 15/03/2017, non mass.).
Analogamente, quanto alla configurabilità del delitto ambientale con riferimento alla pesca dei ricci di mare, è altrettanto pacifico che l’attuale normativa (DM 12 gennaio 1995 del Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali, recante “Disciplina della pesca del riccio di mare”, in G.U. Serie Generale n.20 del 25 gennaio 1995) tutela il Paracentrotus lividus e ne regola il prelievo, tanto che è vietato nel periodo compreso tra il mese di maggio e giugno. È stabilito dall’articolo 2 della disciplina della pesca del riccio di mare che il pescatore professionale non può catturare giornalmente più di 1.000 esemplari, mentre il pescatore sportivo non può catturarne più di 50. A seguire l’articolo 3 disciplina le dimensioni del riccio di mare, che devono essere di una taglia minima non inferiore a 7 cm di diametro, compresi gli aculei. Dal punto di vista commerciale, i ricci di mare devono obbligatoriamente essere raccolti da pescatori professionali autorizzati e devono essere muniti di regolare etichetta per garantirne la tracciabilità; al riguardo, valgono le stesse norme previste per i molluschi bivalvi lamelliformi. La raccolta è praticata, previo permesso, anche da pescatori sportivi e dilettanti (pesca ricreativa) i quali non possono cedere i Ricci di mare a terzi a nessun titolo.
È ben vero che in caso di pesca marittima illegittima si fa riferimento alla l. 14 luglio 1965, n.963, oggi sostituita dal d.lgs. n. 4 del 2012, prevedendosi dunque il fatto come reato di tipo contravvenzionale, con sanzioni di arresto ed ammenda (oltre la confisca del pescato), ma è indubbio che, ove la condotta si caratterizzi per un’attività che la consulenza tecnica descrive come tale da aver provocato un notevole grado di compromissione che, alla luce di ulteriori accertamenti, potrebbe assurgere a vero e proprio deterioramento delle popolazioni determinando così un significativo squilibrio dell’ecosistema marino associato e della biodiversità correlata ai fondali della Sicilia Sud Occidentale, dal mero reato contravvenzionale non può che sfociarsi nella configurabilità del delitto di inquinamento ambientale, come del resto già chiarito da questa Corte che ha sul punto, affermato come in caso di concorso tra le contravvenzioni previste dagli artt. 7 e 8 d.lgs. 9 gennaio 2012, n. 4, che puniscono, "salvo che il fatto costituisca più grave reato", le condotte lesive dell'ambiente marino e quelle di pesca illegale, e il delitto previsto dall'art. 452-bis cod. pen. trova applicazione quest'ultima disposizione che incrimina la compromissione o il deterioramento, significativi e misurabili, di uno dei profili del bene ambiente, come descritti dalla medesima disposizione al comma 1, nn. 1 e 2. (Fattispecie relativa alla pesca di corallo rosso in assenza di titolo abilitativo e con modalità vietate: Sez. 3, n. 9079 del 30/01/2020, Rv. 278419 – 01; conf. Sez. 3, n. 9080/2020 e Sez. 3, n. 10469/2020, non massimate).
3. Resta da esaminare la residua doglianza afferente alla mancata motivazione circa la sussistenza del periculum in mora.
Sul punto, i giudici del riesame motivano il sequestro del denaro, nella misura di 1.800,00 euro in sede di esecuzione del provvedimento, in quanto rinvenuta nella disponibilità del ricorrente, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell'autore della condotta, e che rappresenti l'effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come diretta, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l'allegazione o la prova dell'origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037 – 01). I giudici specificano, pertanto che, in assenza di ulteriori censure mosse dalla difesa, che ricorreva il requisito del periculum “derivante dalla natura fungibile e facilmente occultabile del bene in sequestro, con conseguente pericolo di dispersione e non rintracciabilità ai fini della confisca in caso di condanna”.
3.1. Come anticipato, la motivazione del provvedimento è stata censurata in parte qua dalla difesa dell’indagato, sostenendo che tale motivazione sarebbe inidonea a giustificare la necessaria anticipazione dell’effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio. Dunque, per il mancato rispetto del principio affermato dalle Sezioni Unite “Ellade”, le quali hanno affermato che il provvedimento di sequestro preventivo di cui all'art. 321, comma 2, cod. proc. pen., finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 cod. pen., deve contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio, salvo restando che, nelle ipotesi di sequestro delle cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione costituisca reato, la motivazione può riguardare la sola appartenenza del bene al novero di quelli confiscabili "ex lege" (Fattispecie relativa a sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato in ordine al quale la Corte ha chiarito che l'onere di motivazione può ritenersi assolto allorché il provvedimento si soffermi sulle ragioni per cui, nelle more del giudizio, il bene potrebbe essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato: Sez. U, n. 36959 del 24/06/2021, Ellade, Rv. 281848 – 01).
3.2. Orbene, premesso che non rileva ai fini della motivazione sul periculum in mora la circostanza che si tratti, nella specie, di un sequestro finalizzato alla confisca diretta del profitto, rappresentato dal denaro sequestrato (essendo stato chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte che il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria, diretta o per equivalente – nella specie relativa al delitto di cui all’art. 452-bis, comma 2, cod. pen. -, deve contenere la concisa motivazione anche del "periculum in mora", da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablatorio rispetto alla definizione del giudizio, dovendosi escludere ogni automatismo decisorio che colleghi la pericolosità alla mera natura obbligatoria della confisca, in assenza di previsioni di segno contrario: tra le tante, con riferimento alla confisca obbligatoria tributaria, si v. Sez. 3, n. 4920 del 23/11/2022, dep. 2023, Rv. 284313 – 01), deve tuttavia evidenziarsi che la motivazione resa dai giudici del riesame non possa considerarsi adeguata a giustificare l’adozione del provvedimento ablatorio con funzione anticipatoria della confisca, atteso che il pericolo di dispersione del bene in sequestro, rappresentato nella specie dal denaro, è stato genericamente giustificato richiamando la particolare qualità e natura del bene ablato, il denaro, per definizione bene fungibile e quindi suscettibile di essere più facilmente disperso od occultato o comunque non più rintracciato.
Trattasi, tuttavia, di giustificazione argomentativa non sufficiente a fondare la configurabilità del periculum la motivazione sulla cui sussistenza, come chiarito dalle Sezioni Unite “Ellade”, deve prevedere l'esplicita specificazione delle ragioni per cui si ritiene che, nelle more del giudizio, la cosa (nella specie, il denaro), suscettibile di confisca, possa essere modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata, rendendone imprescindibile l'immediata apprensione, stante il rischio che la confisca possa successivamente divenire impraticabile.
La ratio della misura è, infatti, quella di preservare, anticipandone i tempi, gli effetti di una misura che, ove si attendesse l'esito del processo, potrebbero essere vanificati dal trascorrere del tempo. Operando un parallelismo con l'istituto del sequestro conservativo ex art. 316 cod. proc. pen., l'indicata sentenza ha inequivocabilmente esplicato che, in definitiva, «è il parametro della "esigenza anticipatoria" della confisca a dovere fungere da criterio generale cui rapportare il contenuto motivazionale del provvedimento, con la conseguenza che, ogniqualvolta la confisca sia dalla legge condizionata alla sentenza di condanna o di applicazione della pena, il giudice sarà tenuto a spiegare, in termini che, naturalmente, potranno essere diversamente modulati a seconda delle caratteristiche del bene da sottrarre, e che in ogni caso non potranno non tenere conto dello stato interlocutorio del provvedimento, e, dunque, della sufficienza di elementi di plausibile indicazione del periculum, le ragioni della impossibilità di attendere il provvedimento definitorio del giudizio».
3.3. Ed allora, in tal maniera chiariti i principi espressi dalle Sezioni Unite, osserva il Collegio come di essi non sia stata fatta corretta applicazione da parte del Tribunale del riesame nell'ordinanza impugnata, non essendo state adeguatamente precisate (se non con un generico riferimento alla fungibilità del denaro, oggetto del sequestro, che renderebbe in sostanza sussistente in re ipsa il requisito del periculum ogniqualvolta ad essere sequestrato fosse una somma di denaro, motivazione che già questa Corte ha ritenuto non sufficiente per giustificare l’ablazione funzionale ad un sequestro conservativo, principio applicabile per identità di ratio anche a quello preventivo, essendosi affermato che il "periculum in mora" non può essere giustificato sulla sola considerazione che la cosa sequestrata si identifichi in un'ingente somma di denaro, per sua natura suscettibile di pericolo di dispersione: Sez. 6, n. 20923 del 15/03/2012, Rv. 252865), in ossequio a quanto richiesto dal Supremo Collegio, le ragioni di attuale sussistenza di una situazione di periculum tale da rendere necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca rispetto alla definizione del giudizio.
I giudici del riesame non hanno, in particolare, esplicato le ragioni di sussistenza del periculum in mora, e cioè gli specifici motivi per cui è stato ritenuto che il confiscando bene - peraltro fungibile e non intrinsecamente illecito, trattandosi di una somma di denaro - possa, nelle more della celebrazione del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato (per un’applicazione analoga, si v., da ultimo: Sez. 4, n. 29398 dell’8/06/2022, Torregrossa, non mass.).
4. In ragione della considerazione da ultimo resa, deve, allora, essere disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo, al fine di colmare il deficit argomentativo evidenziato.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 324, co. 5, c.p.p.
Così deciso, il 14 settembre 2023