Consiglio di Stato Sez. VI n. 10228 del 21 novembre 2022
Elettrosmog.Assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria

Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori e, quindi, come tali sono compatibili con ogni destinazione funzionale prevista dalla pianificazione urbanistica e devono essere localizzate in modo che sia assicurato un servizio capillare. Nonostante il riconoscimento del carattere di opere di pubblica utilità e malgrado l’assimilazione ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria, le predette infrastrutture non possono essere evidentemente localizzate indiscriminatamente in ogni sito del territorio comunale, perché, al cospetto di rilevanti interessi di natura pubblica l’esigenza della realizzazione dell’opera di pubblica utilità può risultare cedevole. Ma è lo stesso Codice delle comunicazioni elettroniche a fare espressamente «salve le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell’ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione» (art. 3 comma 3). A questi fini, l’installazione di infrastrutture «viene autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, […] della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della legge 22 febbraio 2001, n. 36 e relativi provvedimenti di attuazione» (art. 87, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003).

Pubblicato il 21/11/2022

N. 10228/2022REG.PROV.COLL.

N. 02843/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2843 del 2022, proposto da
Comune di Volpago del Montello, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Alberto Borella e Piero Borella, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alberto Borella in Treviso, viale F.lli Cairoli, n. 15;

contro

Wind Tre s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Cellnex Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Bellante e Luigi Ammirati, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione del Veneto e Provincia di Treviso, non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Terza) n. 258/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Wind Tre s.p.a. e di Cellnex Italia s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2022 il Cons. Giovanni Pascuzzi e uditi per le parti gli avvocati Alberto Borella, Giuseppe Sartorio e Marco Bellante;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso del 2021 la società Wind Tre s.p.a. ha impugnato davanti al Tar per il Veneto:

- il provvedimento prot. 3119 del 5.3.2021 con il quale il Responsabile Area Urbanistica Edilizia Privata Attività Produttive del Comune di Volpago del Montello ha annullato, in autotutela, il titolo formatosi per silentium sull’istanza presentata dalle società Wind Tre e Galata (oggi Cellnex Italia) s.p.a., ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. 259/03, per realizzare un impianto tecnologico di telefonia mobile di pubblica utilità, (codice “TV386") alla Via Schiavonesca Nuova snc (su porzione di terreno identificata al NCT di Treviso al fg.35 mapp.524);

- ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale ivi inclusi, per quanto e solo ove possa occorrere, gli atti invocati nel provvedimento gravato prima richiamato:

- il Piano di Settore per la telefonia mobile laddove, consentendo (art.9) l’installazione di impianti di telecomunicazioni in unica area (frazione di Selva), posta a distanza di circa 1000 mt. da quella di interesse di Wind Tre e dal centro abitato, preclude la possibilità di posizionarli altrove e dunque di fornire il servizio di telefonia alla zona residenziale B1; e l’art.4, comma 6, nonché, se occorresse ogni altra disposizione ostativa;

- l’art.9 delle norme di attuazione del Piano di Assetto del Territorio approvato (delibera di ratifica di G.P. n.92 del 2.45.2016), nella sola ipotesi in cui dovesse essere ritenuto, erroneamente, preclusivo al posizionamento dell’impianto di telefonia progettato dalle ricorrenti nell’area indicata, in conseguenza del fatto che esso, in asserita applicazione della categoria di valore 1 (che riguarda luoghi integri ed inalterati a differenza dell’area prescelta) andrebbe a ricadere nei “coni visuali”;

- il P.I. (Piano degli interventi) con particolare riferimento alle norme tecniche operative invocate (segnatamente all’art.7 e art. 27) nella ipotesi in cui potessero essere interpretate in senso preclusivo al posizionamento dell’impianto di telecomunicazioni (quale impianto produttivo) a ridosso delle zone residenziali;

- per quanto di interesse, le NTA del PRG, Adeguamento del Piano d’Area del Montello (approvato con D.C.R. n.36 del 31.7.2013 con variante adeguamento), se ed ove mai ostative all’impianto ed al rilascio dell’autorizzazione richiesta dalla società Wind Tre.

1.1 La società Wind Tre esponeva le seguenti circostanze in punto di fatto:

- di essere titolare delle licenze rilasciate dal Ministero delle Comunicazioni e dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per erogare il servizio radiomobile pubblico di comunicazione sul territorio italiano, servizio di rilevanza pubblicistica e di preminente interesse generale, le cui infrastrutture sono qualificate opere di urbanizzazione primaria aventi carattere di pubblica utilità, ai sensi degli art. 12 e ss. del d.p.r. n.327/01 (art. 90, comma 1, codice delle comunicazioni elettroniche), e pertanto compatibili, secondo l’insegnamento consolidato, con qualsiasi zonizzazione impressa dagli strumenti urbanistici;

- nella Provincia di Treviso era emersa l’ineludibile necessità di aumentare e migliorare la copertura della rete telefonica e, a tal fine, anche in forza di apposito accordo quadro concluso con la società Galata (oggi Cellnex Italia) s.p.a., veniva effettuata una analisi del territorio che evidenziava, tra l’altro, la assoluta urgenza di dare copertura anche al Comune di Volpago del Montello (TV) e, ovviamente, all’area residenziale dove maggiormente è richiesto il servizio; veniva, dunque, individuata porzione di terreno, in via Schiavonesca Nuova, catastalmente identificato al NCT di Treviso al fg.35 mappale 524-702, di proprietà del signor Gino Pastro, che prestava il proprio assenso stipulando regolare contratto di locazione;

- in data 13.1.2020 veniva presentata, ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n.259/2003, istanza congiunta (con Galata - Cellnex) di autorizzazione al Comune di Volpago del Montello, corredata da tutta la documentazione prescritta;

- in data 29.1.2020, il Dipartimento Provinciale di Treviso dell’A.R.P.A. del Veneto esprimeva parere radioprotezionistico positivo in ordine alla realizzazione e attivazione dell’impianto;

- in data 13.2.2020 perveniva preavviso di diniego del Responsabile Area Urbanistica, Edilizia Privata e attività produttive del Comune di Volpago del Montello che esponeva i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di autorizzazione, con invito a produrre eventuali controdeduzioni, che erano effettivamente presentate dalla società in data 24.2.2020;

- a seguito delle osservazioni del 24.2.2020, in data 27.7.2020 (tenendo conto anche della sospensione straordinaria dei termini per l’emergenza sanitaria) si perfezionava il titolo autorizzativo in forma tacita, non essendo stato comunicato dall’Amministrazione alcun provvedimento nel termine perentorio di 90 giorni di cui al comma 9 dell’art.87 del codice delle comunicazioni elettroniche in combinato disposto con il d.l. n. 18/2020 e con l’art.10-bis della legge 241/1990;

- pertanto, successivamente al deposito del progetto per le opere in zona sismica del 12.11.2020, veniva inoltrata la comunicazione di inizio dei lavori, corredata di tutta la documentazione prescritta e i lavori venivano effettivamente avviati;

- l’Amministrazione comunale, dopo avere inoltrato il 27.1.2021 una nota di irricevibilità dell’inizio dei lavori e di possibile archiviazione della pratica, con successiva nota assunta in data 5.2.2021, preso atto dell’intervenuta formazione del (pur contestato) silenzio assenso e del titolo ad aedificandum, comunicava l’avvio del procedimento per il suo annullamento in autotutela; entrambe le comunicazioni comunali erano riscontrate con osservazioni del 16.2.2021;

- nonostante le osservazioni, veniva assunto il provvedimento di annullamento in autotutela del titolo autorizzativo tacito.

1.2 Il provvedimento impugnato prot. 3119 del 5.3.2021 ha come oggetto «Annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione asseritamente ottenuta per silenzio-assenso per l’installazione di una nuova stazione radio base per reti di comunicazione elettroniche mobili».

Richiamati il preavviso di rigetto ex art. 10-bis della legge n. 241/1990 del 13.2.2020, le controdeduzioni di Cellnex Italia del 26.10.2020 relativamente all’ottenimento dell’autorizzazione per silenzio-assenso, l’avvio del procedimento per l’annullamento in autotutela dell’autorizzazione tacita per silenzio-assenso (peraltro contestato, in presenza del preavviso di rigetto con indicazione delle ragioni ostative al rilascio dell’autorizzazione), l’Amministrazione comunale ha fondato l’impugnato provvedimento sulle seguenti ragioni:

- assenza di un titolo legittimante la realizzazione dell’antenna su terreno di proprietà di terzi, in violazione dell’art. 4, comma 6, del Piano antenne approvato con delibera del C.C. n. 32/2009 e successive modifiche;

- violazione del Piano antenne, del PAT e del P.I., in quanto il Piano consente di realizzare un impianto di telefonia nella frazione di Selva del Montello a distanza di meno di 1.000 metri dal luogo nel quale Wind-Cellnex intende collocare l’antenna; l’area di intervento è situata all’interno dei “coni visuali” previsti dall’art. 9, commi 14, 15 e 16 delle norme di attuazione del PAT (individuati nella tavola n. 13.3.3 del Piano degli Interventi – P.I.) e riportati anche nella tavola n. 1 e n. 5 del Piano antenne, coni visuali in relazione ai quali non sono ammesse nuove costruzioni per un tratto di m. 20 in corrispondenza dei medesimi e per una profondità di 300 o comunque sino alla prima barriera visiva (art. 9, comma 16, NTA del PAT), risultando, pertanto, irrilevante che il Piano antenne consideri l’area in questione come “territorio neutro” e necessitando, comunque, di una eventuale richiesta di variante del Piano antenne ai sensi dell’art. 8, comma 6, richiesta non presentata da Wind;

- l’area di intervento è in zona B1 che prescrive (art. 7 NTA del P.I.) un’altezza massima dei fabbricati di m. 8,7, risultando, invece, l’antenna richiesta da Wind alta 34 m., posta a distanza variabile da fabbricati esistenti dai 15 ai 20 metri e in prossimità di un’area facente parte di un piano attuativo “del Sol” – ZTO C2.1/8 – già approvato e attualmente vigente, che prevede l’insediamento di 23 abitanti in 3 edifici, che verrebbero a trovarsi ad una distanza variabile dai 27 ai 37 metri dall’antenna; risulterebbe più adatta ad ospitare l’antenna l’area individuata dal Piano antenne (tavola 5), più lontana dal centro abitato;

- il Comune è tutelato da un Piano d’Area del Montello, approvato con D.C.R. n. 36 del 31.07.2003, che comprende tutto il territorio comunale. Ai sensi dell’art. 13, comma 2 al terzo punto, le direttive definiscono un’apposita disciplina con l’introduzione della definizione di “fasce di attenuazione” tra gli insediamenti produttivi e la residenza, sia di natura fisica che in termini di destinazioni compatibili, finalizzate a ridurre l’impatto di eventuali elementi detrattori; l’inserimento del nuovo impianto, all’interno della zona residenziale (esistente e di prossima realizzazione, come da piano attuativo) comporterebbe la necessità di individuare un vincolo attorno all’antenna, intesa come fascia di attenuazione, atta a distanziare nuove costruzioni residenziali in base al tipo di emissioni elettromagnetiche previste, al fine di salvaguardare maggiormente i nuovi abitanti e vincolando in qualche modo anche le costruzioni esistenti limitrofe in termini di ampliamento e ricavo di nuove unità;

- lungo l’ex linea ferroviaria è presente il percorso ciclo-pedonale e l’introduzione di nuovi elementi, soprattutto con altezze notevoli come la nuova antenna, diventerebbero elementi di forte impatto e disturbo del paesaggio nell’ottica dell’importanza che tale percorso rappresenta a livello storico, paesaggistico ed ambientale;

- l’interesse pubblico all’annullamento in autotutela dell’autorizzazione consiste: (i) nell’evitare che l’antenna venga collocata nel centro abitato della frazione di Selva del Montello, a ridosso delle numerose abitazioni già esistenti e a quelle che verranno realizzate in attuazione del Piano di lottizzazione “del Sol”, esposte alle radiazioni, tanto più in presenza di un’area sita in prossimità, nella quale il Piano Antenne ha previsto la localizzazione di un impianto fisso per la telefonia mobile; - (ii) nella deturpazione del paesaggio che deriverebbe dalla realizzazione di una struttura alta 34 m., ubicata a pochi distanza dall’area vincolata sotto il profilo paesaggistico (a tutela del Piano d’area del Montello) in quanto all’interno dei coni visuali in cui è vietata la realizzazione di nuove costruzioni dal PAT e dal P.I.; - (iii) la realizzazione dell’antenna arrecherebbe un danno enorme al paesaggio tutelato dall’art. 10 del Piano antenne (integrazione paesaggistica) che prevede, al comma 1, che «la realizzazione degli impianti di telefonia mobile dovrà osservare i principi di integrazione paesaggistica riportati nei commi successivi»; il comma 2 prescrive che «nella progettazione e realizzazione delle I.T.M. si terrà conto della necessità di preservare il paesaggio urbano e rurale, con particolare attenzione all’integrazione paesaggistica, intesa quale l’insieme di azioni che permettono di ridurre le percezione visiva delle I.T.M. e che comprendono anche la ricerca di soluzioni architettoniche formali adeguate»; l’art. 9 del Piano precisa che «nella localizzazione dei siti idonei si è tenuto in considerazione il principio di minimizzazione dell’inquinamento elettromagnetico riguardo alle aree a carattere residenziale».

Il provvedimento impugnato conclude affermando che sussiste l’interesse pubblico all’annullamento in via di autotutela dell’autorizzazione consistente:

«a) nella tutela del paesaggio vincolato dai due coni visuali ove è vietata qualunque costruzione;

b) nella mancata “minimizzazione” dell’inquinamento elettrico-magnetico in considerazione della collocazione dell’antenna in zona residenziale».

Il provvedimento impugnato ha ritenuto, infine che l’interesse pubblico appare prevalente rispetto all’interesse dell’istante alla realizzazione dell’impianto tenuto conto:

«a) che l’istante non poteva ignorare che il Piano Antenne non prevede l’installazione di un I.T.M. nell’area scelta da Wind-Cellnex;

b) che nessun affidamento alla possibilità di realizzare l’impianto nel luogo indicato è stato fornito dall’Amministrazione, che il 13.02.2020 aveva emesso un preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10-bis L. 241/1990;

c) che il piano antenne individua un’area destinata ad ospitare in I.T.M. in prossimità di quella prescelta da Wind-Cellnex;

d) che i lavori di realizzazione dell’impianto non sono mai iniziati, come verificato dal sopralluogo eseguito il 27.01.2021, né alla data odierna, nonostante fosse stato preannunciato l’inizio dei lavori per il 19.11.2020».

1.3 A sostegno dell’impugnativa la società Wind Tre s.p.a. formulava i seguenti motivi di ricorso:

I. Violazione della l. 241/1990 sul procedimento amministrativo – Mancata e/o inadeguata comparazione degli interessi in sede di annullamento in autotutela – Violazione del t.u. delle comunicazioni approvato con d.lgs.1.8.2003 n.259 – Violazione dell’art.87 d.lgs. 259/2003 – Violazione ed omessa applicazione della legge n.241/1990 (artt. 20, 21 quinquies e nonies) – Violazione del principio di autotutela – Violazione del principio di affidamento.

Si sosteneva che:

- l’annullamento in autotutela era stato adottato senza osservare il giusto procedimento e le disposizioni che sovrintendono agli atti di ritiro/annullamento in autotutela (artt. 7, 8 e 10-bis della l.241/1990) ed alla motivazione particolarmente accorta ed approfondita che deve sorreggere provvedimenti di secondo grado tenendo conto delle osservazioni del destinatario e degli interessi contrapposti;

- l’Ente non aveva previamente verificato la possibilità della conservazione/convalida del titolo da annullare/revocare;

- l’Ente aveva tradito la buona fede e l’affidamento ingenerato nel momento in cui aveva consentito che decorressero i termini dall’inoltro delle osservazioni e che si consolidasse il 17.7.2020 il titolo silenzioso, avviando il procedimento soltanto all’indomani della comunicazione di avvio dei lavori, a distanza di circa sette mesi;

- il provvedimento aveva valutato solo parzialmente le osservazioni della società Wind Tre.

II. Illegittimità propria e anche derivata delle norme secondarie per contrasto con l’art. 8, co.6, l.36/2001 novellato dal d.l. n.76/2020 conv. in l. 120/2020 – Violazione del principio di precauzione, ex art. 4 l.36/2001 – Violazione dell’obbligo di disapplicazione di norma locale in contrasto con norma di legge di rango sovraordinato - Travisamento dei presupposti di diritto.

Si sosteneva che:

- il provvedimento di annullamento dell’autorizzazione silenziosa aveva applicato il piano di settore per gli impianti di telefonia mobile senza considerare che, nelle more, il legislatore nazionale era intervenuto sulla disposizione dell’art.8, comma 6, della legge n.36/2001, ossia proprio su quella norma che aveva consentito all’Ente di approvare a suo tempo le aree idonee e quelle precluse alla installazione degli impianti di telecomunicazioni;

- a seguito della novella non è legittima la pratica di alcuni Enti locali di individuare unilateralmente le aree idonee alla localizzazione degli impianti escludendo tutto il restante territorio comunale: la novella legislativa ha espressamente escluso per i Comuni la possibilità «di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base» ossia di impedire che si possano realizzare impianti in aree diverse da quelle unicamente consentite;

- quando una norma di legge, attributiva del potere regolamentare o pianificatorio, viene modificata da una legge successiva nel senso della precisa delimitazione del potere stesso, i regolamenti (ovvero le disposizioni anche urbanistiche) adottati nel vigore del regime previgente, che non risultino compatibili con i limiti successivamente posti al potere regolamentare, non possono continuare a trovare applicazione.

- posto che l’art. 8, co.6, della legge 36/2001, ha qualificato come limite alla localizzazione (vietato) quello che si traduca nella preclusione «in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia», la disposizione del Piano del Comune di Volpago del Montello che dispone che i nuovi impianti possano essere installati solo in determinate aree idonee con esclusione di tutte le altre (salvo, nelle sole zone neutre, previa approvazione di apposita variante al Piano dei siti idonei), si porrà in insanabile contrasto con l’attuale formulazione dell’art. 8. co.6 cit.

III. Violazione dell’art.8, comma 6, della legge n. 36 del 2001 - Violazione dell’art.86 del d.lgs 259/03 - Illegittimità derivata da quella del piano di settore per la telefonia mobile, approvato dal Comune – Violazione e falsa applicazione dell’art.10 del piano di settore per la telefonia mobile – Illegittimità derivata – Incompetenza – Violazione e falsa applicazione dell’art.9 commi 14, 15 e 16 delle norme di attuazione del PAT – Illegittimità derivata – Erroneità della motivazione.

Si sosteneva in via gradata che:

- era infondata la tesi secondo cui l’area di intervento sarebbe caratterizzata da vincoli in ragione del fatto che è situata all’interno dei “coni visuali” previsti dall’art.9 commi 14, 15 e 16, delle norme di attuazione del PAT con conseguente inammissibilità di nuove costruzioni nella zona neutra, anche ai sensi del citato art.9 comma 16 del PAT perché: (i) nell’area de qua non sussistono vincoli paesaggistici la cui imposizione, se proveniente dall’Ente locale, sarebbe comunque illegittima e comunque non estendibile agli impianti ITC; (ii) la preclusione comunque, proprio per quanto stabilito dal comma 16 dell’art.9 del PAT invocato, è nei confronti delle sole “nuove costruzioni”, che non sono ammesse «per i coni visuali di categoria 1, per un tratto di 20 mt. in corrispondenza di coni visuali e per una profondità di 300 o comunque sino alla prima barriera visiva secondo l’angolatura del cono ottico»; (iii) già sussiste ivi un traliccio di alta tensione e dunque ivi non poteva essere applicata la Direttiva prevista per la categoria di valore 1 ma al più la categoria di valore 3 (già alterata da elementi incongrui).

IV. segue: Violazione dell’art.8 comma 6, della legge n. 36 del 2001 - Violazione dell’art.86 e ss. del d.lgs 259/03 – Violazione dei principi di semplificazione, celerità e non aggravamento del procedimento - Violazione delle direttive comunitarie e della direttiva CE 22/2002 – Omessa valutazione dell’interesse pubblico al servizio di telefonia mobile - Illegittimità derivata da quella del piano di settore per la telefonia mobile, approvato dal Comune – Violazione e falsa applicazione dell’art.10 del piano di settore per la telefonia mobile – Illegittimità derivata – Incompetenza – Violazione e falsa applicazione dell’art.9 commi 14, 15 e 16 delle norme di attuazione del PAT – Illegittimità derivata – Erroneità della motivazione.

Si sosteneva, sempre in via gradata, che era infondata la tesi secondo cui nel territorio neutro l’eventuale realizzazione di nuovi impianti deve essere recepita, ai sensi dell’art. 8, comma 6, nel Piano vigente mediante una complessa procedura di variante analoga a quella della previa approvazione del programma annuale.

V. Violazione dell’art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001 - Violazione dell’art.86 del d.lgs 259/03 - Illegittimità derivata da quella del piano di settore per la telefonia mobile, approvato dal Comune – Violazione e falsa applicazione dell’art.7 delle NTO del P.I. – Illegittimità derivata – Incompetenza – Violazione e falsa applicazione dell’art.9 commi 14, 15 e 16 delle norme di attuazione del PAT – Illegittimità derivata – Erroneità della motivazione.

Nell’affermare l’illegittimità dell’ulteriore affermazione secondo cui all’interno della zona residenziale B1 l’impianto sarebbe in contrasto con l’art.7 delle NTO del P.I, che prevede «l’altezza massima prevista per i fabbricati in mt.8.70» mentre la futura antenna avrebbe altezza di gran lunga maggiore si sosteneva che:

- gli impianti di telefonia mobile non possono essere assimilati alle normali costruzioni edilizie;

- irrilevante era la contestazione di asserita vicinanza rispetto ai fabbricati esistenti, la quale, oltre che frutto di un’inammissibile ingerenza in questione di carattere sanitario di competenza ARPAC, contrasta non solo con le disposizioni procedimentali del codice delle comunicazioni elettroniche ma con quelle che hanno sancito l’interesse pubblico al servizio di telefonia mobile (art.3, co.2 del codice delle comunicazioni elettroniche), che ha carattere universale (art.1 lett. ll codice delle comunicazioni elettroniche), il carattere di pubblica utilità ai sensi degli artt.12 e ss. d.p.r. 32/01 (artt. 86 e 90 co.1 del codice delle comunicazioni elettroniche), l’indefettibilità ed urgenza (art. 8 Delibera Autorità TLC n.128 del 14.03.2001).

Nel ribadire l’illegittimità dell’ulteriore affermazione secondo cui la futura antenna si verrebbe anche a trovare «in prossimità di un’area facente parte di un piano attuativo del Sol –ZTO C2.1/8- già approvata e attualmente vigente, che prevede l’insediamento di 23 abitanti in 3 edifici che verrebbero a trovarsi ad una distanza variabile dai 27 ai 37 metri», si sosteneva che:

- l’incompetenza del Comune ad introdurre limiti di tutela sanitaria;

- la disciplina urbanistica della zona limitrofa, neppure attuata, si riferisce a tipologie di opere diverse rispetto alle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione le quali, in quanto opere di urbanizzazione primaria, sono soggette alle regole loro proprie e, pertanto, sono compatibili con qualsiasi previsione di zonizzazione o di edificazione, salvo il caso che specifiche previsioni non ne impediscano espressamente la realizzazione e salvo il legittimo esercizio della potestà localizzativa da parte dei comuni, nei limiti indicati dalla sentenza n. 303 del 20 luglio 2007 della Corte costituzionale;

- le previsioni urbanistiche richiamate nel provvedimento impugnato risultano del tutto irrilevanti, non potendosi considerare applicabili ad opere considerate di urbanizzazione primaria.

- il provvedimento con il quale si intende – in asserita tutela della salute - preludere gli I.T.M. a ridosso e nelle zone residenziali – consentendole solo nelle zone idonee – è illegittimo, in via propria e derivata da quella delle disposizioni invocate (tra cui l’art.13 co.2 che avrebbe introdotto “fasce di attenuazione” tra impianti produttivi e la residenza), in quanto rappresenta un non corretto esercizio, da parte del Comune, del potere di cui all’art. 8, co.6, l.36/01, ovvero, la conseguenza dell’“invasione” comunale nella sfera delle attribuzioni del legislatore statale in materia di tutela della salute ex art. 117, co.2, lett. s) Cost.;

- la previsione regolamentare/pianificatoria laddove individui, in positivo, solo alcuni siti ritenuti idonei ad ospitare impianti, escludendo le zone residenziali è illegittima se avvenuta senza una preventiva fase di concertazione con i Gestori.

VI. Violazione di legge – Violazione e mancata applicazione dell’art.87 comma 5 e 9 del d.lgs. n.259/2003 - Mancata applicazione degli artt.7, 8 e 10 della legge 7.8.1990 n.241 – Violazione del d.p.r. 30.6.2001 n.381 – Tardività – Violazione del giusto procedimento.

Nell’affermare l’illegittimità di quella parte della motivazione con la quale il Comune insisteva sulla carenza del titolo di legittimazione alla realizzazione dell’antenna su terreno di proprietà di terzi, si sosteneva che:

- il titolo di legittimazione (assenso o locazione o altro titolo) non risulta indicato tra i documenti da allegare all’istanza di autorizzazione ex art.87 del d.lgs 259/03 (e dall’allegato 13 modello A) ai fini del rilascio ovvero del perfezionamento del titolo abilitativo;

- in ogni caso esiste sia un assenso che un vero e proprio contratto di locazione.

2. Nel giudizio di primo grado si costituiva il Comune di Volpago del Montello contestando la formazione del silenzio assenso sull’istanza presentata da Wind (stante l’invio del preavviso di rigetto), nonché tutte le censure di parte ricorrente, e chiedendo il rigetto del ricorso per infondatezza.

2.1 Nel giudizio di primo grado si costituiva anche Cellnex Italia Spa –in realtà in qualità di cointeressata e non di controinteressata -alla quale il ricorso era stato notificato, chiedendo l’accoglimento del medesimo.

3. Con sentenza n. 258/2022 il Tar per il Veneto (analizzando unitariamente i motivi proposti) ha accolto il ricorso annullando, per l’effetto, il provvedimento impugnato.

3.1 Il primo giudice dopo aver ricordato, in linea generale, che la normativa applicabile alla materia di cui si discute esprime un particolare favor per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico e dopo aver ricostruito il quadro normativo anche alla luce delle pronunce della Corte costituzionale ha affermato:

- nel caso in esame, la decorrenza del termine di cui al comma 9 dell’art. 87 del d.lgs. n. 259/1993 ha determinato la formazione del silenzio assenso sull’istanza presentata dalla ricorrente;

- diversamente da quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente, se è pur vero che l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 ha portata generale e deve ritenersi applicabile anche al procedimento previsto dall’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 è altrettanto vero che per effetto del decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, pur dovendosi considerare l’interruzione determinata dal preavviso di rigetto e dalla presentazione di osservazioni da parte dell’istante, deve ritenersi formato il titolo autorizzatorio tacito ove l’Amministrazione non abbia dato seguito alla comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda ex art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 concludendo il procedimento con l’adozione di un provvedimento espresso di rigetto. Tanto più nel caso in cui – come in quello di cui si discute – il richiedente abbia presentato osservazioni al preavviso di rigetto, con la conseguenza che la condotta inerte dell’Amministrazione ben può essere interpretata come (tacito) accoglimento delle osservazioni prodotte e conseguente formazione del titolo autorizzatorio per silentium;

-del resto, la stessa Amministrazione comunale sembra ben consapevole della avvenuta formazione del silenzio-assenso, tanto da adottare un provvedimento di annullamento in via di autotutela - per quanto, in maniera evidentemente contradditoria, in esso si contesti la formazione del silenzio assenso - che non sarebbe stato necessario ove non si fosse integrato il provvedimento tacito di cui al ricordato art. 87.

3.2 Il primo giudice ha ritenuto fondata la censura (primo motivo) relativa alla violazione della disciplina dell’autotutela rilevando che nel caso in esame non solo non sono state esplicitate le effettive ragioni di pubblico interesse sottese al provvedimento di secondo grado teso a rimuovere l’autorizzazione tacita, limitandosi l’Amministrazione a riproporre – anche nella parte del provvedimento deputata all’esposizione dell’interesse pubblico all’esercizio dell’autotutela – le ragioni di asserita illegittimità del titolo tacito, ma soprattutto non ha in alcun modo effettuato il dovuto bilanciamento e comparazione degli interessi contrapposti, interessi che nel caso in esame, con riferimento alla società Wind Tre s.p.a., non sono rappresentati unicamente dall’interesse meramente privatistico della società ricorrente, ma anche e in special modo dall’interesse del gestore di telecomunicazioni e titolare di licenza ministeriale a realizzare un impianto di telecomunicazioni che ha carattere di pubblica utilità, al fine di completare e rendere efficiente una rete che integra un pubblico servizio.

3.3 Il Tar per il Veneto ha ritenuto fondate anche le censure di cui al secondo e terzo motivo.

Secondo il primo giudice:

- è illegittima l’individuazione unilaterale di aree idonee alla localizzazione degli impianti, con esclusione di tutto il restante territorio comunale, o perché espressamente qualificato come “localizzazioni incompatibili”, ovvero perché indicato come “territorio neutro”, che diviene, comunque, incompatibile con l’installazione dell’impianto in conseguenza dall’interpretazione della relativa disciplina fornita dall’Amministrazione, ritenuta applicabile anche agli impianti di telefonia;

- è chiaro che l’indubbia rilevanza attribuita dal legislatore agli impianti di telecomunicazioni e al conseguente servizio pubblico induce a ritenere che disposizioni che escludono ampie aree di territorio rispetto a quelle puntualmente identificate si pongano in contrasto con la disciplina normativa ricordate e con le finalità da essa perseguite;

- il provvedimento gravato si appalesa illegittimo nella parte in cui ritiene che l’impianto in questione non ricadrebbe all’interno del “territorio neutro”, giusta la presenza di coni visuali previsti dall’art. 9 commi 14, 15 e 16 delle norme di attuazione del PAT (individuati nella tavola n. 13.3.3 del Piano degli Interventi – P.I.) e riportati anche nella tavola n. 1 e n. 5 del Piano antenne, atteso che «per i coni visuali di categoria 1, per un tratto di ml 20 in corrispondenza dei coni visuali e per una profondità di 300 o comunque sino alla prima barriera visiva, secondo l’angolatura del cono ottico, non sono ammesse nuove costruzioni (…)» (art 9, comma 16, NTA del Piano Assetto del Territorio);

- pur volendo prescindere dalla circostanza che nell’area interessata dall’installazione dell’impianto di telefonia non sussiste alcun vincolo paesaggistico posto a tutela dei beni ambientali e culturali di cui al d.lgs. n. 42/2004, ossia non sussistono vincoli che impongano una valutazione approfondita dei profili di tutela ambientale, culturale o paesaggistica, per cui non poteva rilevarsi un’incompatibilità sulla base di rilievi attinenti alla tutela del paesaggio in difetto di uno specifico vincolo paesaggistico, appare dirimente il rilievo secondo il quale l’impianto di telefonia in questione non può essere assimilato, in relazione ai coni visuali, alle “nuove costruzioni” vietate dal comma 16 dell’art. 9 delle NTA del PAT, atteso che tale tipologia di impianti sono assimilati ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria (art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003);

- proprio in considerazione dell’assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, gli impianti di telefonia mobile, in assenza di specifiche previsioni, non possono essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non è soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti, in quanto riferite a tipologie di opere diverse o in quanto elaborate in relazione a possibilità di diverso utilizzo del territorio.

3.4 Per ragioni del tutto analoghe, il Tar per il Veneto ha ritenuto parimenti illegittimo anche il riferimento, contenuto nel provvedimento gravato, alla presenza di un percorso ciclopedonale lungo la ferrovia Montebelluna-Ponte della Priula, stante la mancanza di vincoli paesaggistici e la assimilazione ad opere di urbanizzazione primaria degli impianti in discussione.

3.5 Altrettanto illegittima è stata ritenuta la parte di provvedimento con cui l’Amministrazione, richiamando il disposto di cui al comma 6 dell’art. 8 del c.d. Piano “antenne” e la procedura di variante al Piano ivi prevista, ha evidenziato la mancata presentazione da parte di Wind Tre s.p.a. di richiesta di variante al Piano medesimo. Secondo il primo giudice:

- tale procedimento si pone in contrasto con la disciplina di cui agli artt. 86 e seguenti del d.lgs. n. 259/2003, la quale non solo esprime un particolare favor per la realizzazione delle reti e dei servizi di comunicazione elettronica, ma rappresenta, in linea con le prescrizioni comunitarie, una disciplina volta a promuovere la semplificazione dei procedimenti attraverso l’adozione di procedure che siano, tra l’altro, uniformi e tempestive, anche al fine di garantire l’attuazione delle regole della concorrenza;

- tali esigenze di celerità, con la conseguente riduzione dei termini per l’autorizzazione all’installazione – che costituiscono “<principi fondamentali> operanti nelle materie di competenza ripartita, che, unitamente ad altri ambiti materiali di esclusiva spettanza statale, rappresentano i titoli di legittimazione ad intervenire nel settore in esame “(Corte Costituzionale 7 luglio 2006, n. 265 cit.)-, richiedono che il procedimento così definito non venga aggravato con oneri non previsti dalla disciplina medesima.

3.6 Secondo il Tar per il Veneto il provvedimento gravato non è condivisibile anche nella parte in cui evidenzia che il progettato impianto di telefonia, ricadendo in zona residenziale B1, contrasterebbe con l’art. 7 delle NTO del P.I. in ordine al rispetto dell’altezza massima dei fabbricati e sarebbe, altresì, a distanza dai fabbricati esistenti variabile dai 15 ai 20 metri, nonché in prossimità di un’area facente parte del piano attuativo “del Sol” – ZTO C2.1/8 che prevede l’insediamento di 23 abitanti in 3 edifici. A dire del primo giudice:

- va ribadito che le norme di carattere tecnico/edilizio relative agli ordinari fabbricati non possono essere estese anche ad impianti tecnologici quali le stazioni radio base, non essendoci alcuna equiparazione tra edifici ordinari e impianti, stante la evidente specificità di questi ultimi, anche sotto il profilo funzionale;

- il formale utilizzo degli strumenti urbanistici e il dichiarato intento di esercitare le proprie competenze in materia di governo del territorio, non possono giustificare l’adozione di misure che, nella sostanza, costituiscono indirettamente una deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato, quali ad esempio il generalizzato divieto di installazione delle stazioni radio base in tutte le zone territoriali omogenee a destinazione residenziale;

- appaiono, dunque, del tutto ultronee le considerazioni in ordine alla vicinanza (e, quindi, all’incompatibilità dell’impianto) rispetto a fabbricati esistenti ovvero di futura realizzazione: tali considerazioni, infatti, da un lato, si traducono in una inammissibile ingerenza in questioni attinenti al rispetto dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione, materia assegnata dalla legge ad altri soggetti; dall’altro, contrastano con le ricordate disposizioni del d.lgs n. 259/2003, che hanno equiparato gli impianti di cui si discute ad opere di urbanizzazione primaria e hanno sancito l’interesse pubblico al servizio di telefonia mobile, prevedendone il carattere di pubblica utilità.

3.7 Secondo il primo giudice quanto sopra esposto vale anche con riferimento all’introduzione della definizione di “fasce di attenuazione” tra gli insediamenti produttivi e la residenza, valorizzato nel provvedimento gravato, stante l’inapplicabilità agli impianti di cui si discute.

3.8 Il Tar per il Veneto ha, infine, ritenuto fondate le censure di parte ricorrente (sesto motivo) anche in relazione al titolo di legittimazione (punto 1 del provvedimento gravato). A tal proposito, pur volendo prescindere dal rilievo che il titolo di legittimazione non è contemplato tra i documenti da allegare all’istanza di autorizzazione di cui all’art. 87 come indicati dall’Allegato 13 modello A del d.lgs n. 259/2003 (con la conseguenza che la relativa disposizione del c.d. Piano antenne che richiede tale titolo -art. 4, comma 6, Piano di settore per la telefonia mobile- sarebbe illegittima, ove fosse effettiva causa di rigetto dell’istanza), è stato rilevato che parte ricorrente ha documentato non solo il possesso dell’assenso del proprietario dell’area, ma ha, altresì, prodotto il relativo contratto di locazione.

3.9 Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso è stato accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato, restando assorbite le ulteriori questioni sollevate dalla parte ricorrente.

4. Avverso la sentenza del Tar per il Veneto ha proposto appello il Comune di Volpago del Montello per i motivi che saranno più avanti analizzati.

5. Si sono costituite in giudizio la società Cellnex e la società Wind Tre chiedendo il rigetto dell’appello.

6. Con ordinanza 2030/2022 questa Sezione ha sospeso l'esecutività della sentenza impugnata ai soli fini della fissazione dell’udienza di merito.

7. All’udienza del 13 ottobre 2022 l’appello è stato trattenuto per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

2. Il primo motivo di appello è rubricato: «Sull’insussistenza del silenzio-assenso».

Si sostiene che:

- il Tar per il Veneto, con riferimento al preavviso di diniego, avrebbe ignorato i principi affermati nella sentenza del Consiglio di Stato n. 418/2014 ovvero che «non potrebbe ritenersi logica la formazione di un provvedimento tacito di assenso quando la stessa Amministrazione, sia pure in modo ancora non definitivo, ha chiaramente indicato (nel preavviso di diniego) le ragioni per la quali la domanda proposta non può essere accolta»;

- è da fare proprio il passo della citata sentenza n. 418/2014 che afferma: «Non può quindi condividersi l’affermazione del giudice di primo grado secondo la quale la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza non rientrava fra gli atti interruttivi o impeditivi tassativamente indicati dal predetto art. 87, comma 9, del d.lgs n. 259 del 2003. Tale disposizione è, infatti, volta ad impedire l’emanazione di atti puramente dilatori e prevede che la domanda, decorso il termine assegnato, si intende accolta (con la formazione del silenzio-assenso) a meno che non intervenga un provvedimento negativo. Ma tale disposizione non consente di non dare valore ad un atto (come il preavviso di diniego) che è comunque negativo e che non è definitivo solo perché volto a consentire agli interessati di poter esprimere le loro valutazioni ai fini di una possibile diversa conclusione del procedimento…. Nella fattispecie è pacifico che il preavviso di diniego, emesso in data 11 ottobre 2005 e poi reiterato in data 17 ottobre 2005, è intervenuto prima dello scadere del termine per la formazione di silenzio-assenso (24 ottobre 2005). In conseguenza, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, il silenzio-assenso sulla domanda proposta dalla società Siemens non poteva ritenersi formato»;

- appare del fuori luogo l’affermazione, contenuta a pag. 14 della sentenza impugnata, laddove si legge che «la stessa Amministrazione comunale sembra ben consapevole della avvenuta formazione del silenzio-assenso, tanto da adottare un provvedimento di annullamento in via di autotutela – per quanto, in maniera evidentemente contradditoria, in esso si contesti la formazione del silenzio-assenso – che non sarebbe stato necessario ove non si fosse integrato il provvedimento tacito di cui al ricordato art. 87»;

- vero è invece che l’annullamento in autotutela del predetto silenzio-assenso fu effettuato per puro scrupolo per l’ipotesi che il Giudice avesse ritenuto di non condividere il convincimento del Comune relativamente all’insussistenza del silenzio-assenso, «nonostante ad avviso dello scrivente non sussistano i presupposti per la formazione del silenzio-assenso in presenza del preavviso di rigetto del 13 febbraio 2020, citato, con il quale furono indicate le ragioni ostative al rilascio dell’autorizzazione in difetto dei presupposti, come sopra precisato, prima dello spirare del termine per la formazione del silenzio-assenso (cfr. Cons. di Stato, sez. III, 28 gennaio 2014 n. 418)».

2.1 Il motivo è infondato.

La tempistica emerge in maniera chiara dalla documentazione prodotta in giudizio.

In data 13 febbraio 2020 il Comune ha emesso il preavviso di diniego sulla domanda presentata (il 13 gennaio 2020) dalla società Wind Tre (congiuntamente con Galata - Cellnex) di autorizzazione alla installazione dell’impianto ai sensi dell’art. 87 del d.lgs. n.259/2003.

In data 24 febbraio 2020 la società Wind Tre ha presentato le proprie osservazioni al citato preavviso di diniego.

Successivamente a tale data il Comune non ha emanato nessun provvedimento definitivo di diniego.

Ne discende che si è integrata la fattispecie del silenzio assenso prevista dell’art. 87, comma 9, del d.lgs. n.259/2003 (normativa applicabile ratione temporis), ovvero sono decorsi i 90 giorni previsti dalla norma citata. In forza del combinato disposto dell’art. 87, comma 9, codice delle comunicazioni elettroniche (ante riforma del 2021), dell’art.10-bis l.241/90 e d.l. n.18/2020 (il cui art.103 aveva disposto la sospensione dei termini tra il 23 febbraio 2020 e il 15 aprile 2020, inizialmente prorogato al 15.5.2020), si è perfezionato il titolo autorizzatorio silenzioso.

Mette conto notare che nel citato preavviso di diniego del 13 febbraio 2020 il Comune testualmente affermava: «Ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 241 del 1990 si rende noto che i richiedenti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti che siano ritenuti utili e pertinenti al superamento dei motivi sopraindicati che ostano all'accoglimento della domanda, entro il termine perentorio di 10 giorni dal ricevimento della presente comunicazione. Qualora non pervenga un'osservazione ovvero queste non siano pertinenti o non siano ritenute accettabili con apposita motivazione da parte di questo ufficio sarà emesso il provvedimento definitivo di diniego».

Anche a non voler considerare che è stata la stessa Amministrazione a riconoscere la necessità di un provvedimento definitivo di diniego (e ad affermare, implicitamente, che il silenzio avrebbe dovuto essere interpretato come accettazione delle osservazioni pervenute) si deve richiamare quanto già affermato da Cons. Stato, sez. III, 05/11/2014, n.5455.

Nella specie il Comune ha emesso un vero e proprio preavviso di rigetto, richiamando espressamente le ulteriori forme procedimentali e le garanzie partecipative dell'art. 10-bis della l. 241/1990.

L'applicazione dell'art. 10-bis della l. 241/1990 al procedimento in questione costituisce un'ulteriore e importante forma di garanzia procedimentale per l'operatore, non incompatibile con la speciale disciplina del d.lgs. 259/2003, ma comporta per il Comune l'obbligo, laddove esso si determini a comunicare il preavviso di rigetto e si autovincoli all'osservanza dell'art. 10-bis della l. 241/1990, al rispetto anche della previsione della stessa norma, secondo cui il preavviso sospende i termini per concludere il procedimento che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo.

Il termine, stante la specifica previsione dell'art. 87, comma 9, del d. lgs. 259/2003, non può che essere quello di novanta giorni per la formazione del silenzio-assenso, poiché diversamente il preavviso di diniego, lungi dal configurarsi quale ulteriore garanzia per il privato, si risolverebbe in uno strumento per procrastinare sine die la conclusione del procedimento, anche quando invece, come nel caso di specie, è espressa volontà del legislatore che esso si concluda, anche per silentium, in un termine assai breve per l'evidente favor che assiste il sollecito rilascio delle autorizzazioni relative alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici.

Tale favor impone che il Comune, quando adotti un preavviso di rigetto, debba concludere il procedimento con un provvedimento espresso nel termine di novanta giorni successivo al deposito delle osservazioni o dalla scadenza del termine per presentarle, formandosi altrimenti il silenzio-assenso di cui all'art. 87, comma 9, del d.lgs. 259/2003.

La disciplina dell'art. 10-bis della l. 241/1990, infatti, deve trovare integrale applicazione, sicché al preavviso di rigetto deve seguire il provvedimento definitivo entro il termine di novanta giorni, stante altrimenti il formarsi del silenzio-assenso.

Tale considerazione è decisiva e assorbente, nel caso di specie, dato che la società Wind Tre vanta il titolo abilitativo formatosi, appunto, per silentium ai sensi dell'art. 87, comma 9, del d. lgs. 259/2003.

3. Il secondo motivo di appello è rubricato: «Sulla legittimità dell’annullamento in via di autotutela: in particolare sulla sussistenza dell’interesse pubblico».

Si sostiene che:

- il Tar per il Veneto ha ritenuto che l’atto impugnato: a) non avrebbe esplicitato le ragioni di pubblico interesse sottese al provvedimento e b) non avrebbe effettuato il dovuto bilanciamento e la comparazione degli interessi contrapposti sebbene nella narrativa della sentenza fosse stata riportata integralmente la motivazione del provvedimento contenente tanto le ragioni di pubblico interesse quanto il bilanciamento degli interessi contrapposti;

- il Comune ha mostrato chiaramente di voler consentire a Wind la realizzazione dell’impianto, anche attraverso una revisione del Piano antenne al fine di individuare siti che tutelino tutti gli interessi coinvolti.

3.1 Il motivo è infondato.

Il primo giudice nella narrativa della sentenza ha esaurientemente e correttamente dato atto dei contenuti dell’atto impugnato mentre nei motivi della decisione ha chiarito perché quella parte di motivazione dell’atto non poteva considerarsi appagante. Non c’è contraddizione tra le due cose.

Inoltre, come chiarito, ad esempio, da Cons. Stato, sez. IV, 20/07/2016, n. 3296 è inidonea a sorreggere il provvedimento amministrativo una motivazione formulata in termini tali da risultare generica, apodittica e apparente.

Nella specie è vero che l’atto impugnato contiene delle frasi sull’interesse pubblico, ma il primo giudice ha chiarito che l’atto: a) non conteneva le «effettive ragioni» di pubblico interesse sottese al provvedimento di secondo grado; e, soprattutto, b) non aveva «in alcun modo effettuato il dovuto bilanciamento e comparazione degli interessi contrapposti».

Questo è il punto dirimente. Il Tar per il Veneto non ha affermato che l’Ente non ha svolto alcun bilanciamento ma (ha piuttosto affermato) che non ha svolto quel bilanciamento dovuto tra l’interesse pubblico dell’Ente comunale e quello, altrettanto pubblico e di pubblica utilità, della società Wind Tre. Quest’ultima, infatti, non è portatrice unicamente di un interesse di natura privatistica ma anche di un interesse a completare e rendere efficiente una rete di comunicazione che integra un pubblico servizio. Occorreva comparare due interessi pubblici: tale comparazione è totalmente mancata.

Il secondo motivo di appello non può essere accolto perché è condivisibile la conclusione raggiunta dal primo giudice.

3.1.1 Le considerazioni svolte in ordine alla volontà mostrata dal Comune di voler consentire alla società Wind Tre la realizzazione dell’impianto, anche attraverso una revisione del Piano antenne al fine di individuare siti che tutelino tutti gli interessi coinvolti è estranea alla soluzione del punto specifico controverso e può valere come indice di future determinazioni come tali non rilevanti in questa sede.

4. Il terzo motivo di ricorso è rubricato: «Sull’illegittimità della pretesa di Wind di realizzare l’impianto in contrasto con la normativa urbanistica vigente relativamente alla tutela del paesaggio ed anche attraverso l’individuazione dei coni visuali ove non sono ammesse nuove costruzioni».

Il motivo propone una pluralità di censure che saranno analizzate partitamente.

4.1. Sotto un primo profilo si contesta quanto statuito dal primo giudice in ordine al titolo legittimante.

In particolare si sostiene che:

- la ricorrente ha prodotto il titolo legittimante la realizzazione dell’antenna solo a corredo del ricorso proposto avanti il Tar: corretto appare pertanto il rilievo contenuto nel provvedimento impugnato sulla mancanza del titolo legittimante l’istanza;

- il Tar ha ignorato il disposto dell’art. 4, comma 6, del Piano antenne che così recita: «l’insediamento delle infrastrutture fisse per la telefonia mobile dovrà avvenire in aree di proprietà esclusiva dei soggetti che autorizzano l’insediamento dell’impianto. Pertanto, all’atto della presentazione della domanda di autorizzazione il soggetto richiedente/denunciante dovrà dimostrare di aver valido titolo ad eseguire le opere e a mantenere l’impianto in esercizio». Ciò che non è avvenuto giacché il titolo è stato prodotto soltanto nel corso del giudizio, vale a dire dopo che il Comune ne aveva rilevato la mancanza;

- Wind ha sostenuto l’illegittimità dell’art. 4, comma 6 del Piano antenne, in quanto la legge non prevede che l’istanza di autorizzazione relativamente alla realizzazione di un impianto di telefonia debba essere accompagnata dal titolo attestante il diritto reale di godimento del terreno sul quale verrebbe collocato l’impianto. Ma il Comune ha sempre l’onere, desumibile dall’art. 11 d.p.r. n. 380/2001, di verificare la legittimazione del richiedente, accertando se egli sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o se, comunque, abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato sez. VI, 3 febbraio 2020 n. 865).

L’appellante ha anche richiamato la sentenza di questa Sezione del 30 luglio 2019 n. 5374, secondo la quale «la rilevata mancata dimostrazione – pur dopo la richiesta di integrazione e gli adempimenti posti in essere dalla società – di un idoneo titolo attestante il diritto reale di godimento dell’immobile, del rispetto delle prescrizioni del d.m. n. 37/2008 e della conformità dell’immobile su cui doveva essere installata l’antenna ai titoli autorizzativi costituiva motivo di rigetto dell’istanza e, dunque, configurava una situazione nella quale l’Amministrazione poteva definire il procedimento con atto espresso».

4.1.1. La doglianza è infondata.

Va preliminarmente chiarito che ove anche nella specie fosse stato applicabile l’art. 4, comma 6, del Piano antenne secondo il quale all’atto della presentazione della domanda di autorizzazione il soggetto richiedente/denunciante deve dimostrare di aver valido titolo ad eseguire le opere e a mantenere l’impianto in esercizio, la mancata presentazione del titolo in quel momento non avrebbe avuto come effetto il diniego della domanda bensì l’attivazione del cosiddetto soccorso istruttorio previsto dall’articolo 6 della legge 241/1990: il responsabile del procedimento, una volta verificata l’assenza del titolo di cui si discute, prima di dare per scontato che lo stesso non ci fosse, avrebbe dovuto chiedere all’istante di integrare la documentazione.

In un contesto nel quale i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione devono essere improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede (art. 1, comma 2-bis, l. 241/1990) l’obiettivo non è sanzionare una possibile dimenticanza ma verificare se il titolo esiste o no.

Da quanto detto discende che non è pertinente il richiamo alla sentenza di questa Sezione n. 865/2020 (peraltro resa in materia di edilizia e non in un caso analogo a quello di cui si discute): il Comune ha l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, ma deve farlo concedendo al richiedente stesso la possibilità di dimostrare tale legittimazione , ad esempio attraverso il soccorso istruttorio e non dare per scontato che la legittimazione non ci sia sulla base di un mero primo esame della documentazione.

Del pari inconferente è il richiamo alla sentenza di questa Sezione n. 5374/2019. In quel caso l’istante non era riuscito a provare l’esistenza di un titolo di legittimazione. Nel caso di specie tale prova è stata comunque fornita.

In ogni caso nella specie trova applicazione l’art.87 del d.lgs. 259/03. Come correttamente affermato dal primo giudice il titolo di legittimazione non è contemplato tra i documenti da allegare all’istanza di autorizzazione di cui all’art. 87 come indicati dall’Allegato 13 modello A del d.lgs. n. 259/2003.

4.2 L’appellante considera poi inescusabile l’errore commesso dal primo giudice nel voler escludere l’applicabilità delle norme contenenti il divieto di realizzare nuove costruzioni nell’area prescelta da Wind sul presupposto – totalmente infondato – che gli impianti di telefonia mobile non potrebbero essere considerati “costruzioni”, in quanto assimilati alle opere di urbanizzazione primaria (che ovviamente sono costruzioni a tutti gli effetti).

Si sostiene che:

- tale argomentazione contrasterebbe con la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato che considera “costruzioni” anche “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazioni” (art. 3, comma 1, lett. e.4 del t.u. n. 380/2001), al pari degli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune, come previsto dal medesimo art. 3 del testo unico, comma 1, lett. e.2;

- il Tar per il Veneto ha mostrato di ignorare che costituiscono “interventi di nuova costruzione” tutti quelli indicati alla lettera e) del citato comma 1 dell’art. 3 del t.u., vale a dire a tutte le ipotesi da e.1 fino ad e.7;

- l’assimilazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica alle opere di urbanizzazione primaria non comporta affatto la loro esclusione dal novero delle “nuove costruzioni” (al pari di tutte le altre opere di urbanizzazione primaria, soggette al controllo previsto dall’art. 10 del t.u. n. 380/2001;

-anche le infrastrutture di comunicazione elettronica devono rispettare la normativa urbanistica che verrebbe violata attraverso la realizzazione dell’antenna all’interno di ben due coni visuali nei quali sono vietate nuove costruzioni.

4.2.1 La doglianza è infondata.

4.2.2 Conviene preliminarmente richiamare alcuni principi ribaditi di recente da questa Sezione: essi forniscono una uniformità di orientamento anche rispetto a decisioni più risalenti.

In un primo momento la giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva più volte affermato, in applicazione dell'art. 4 della legge n. 223 del 1990, che l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione sonora e televisiva necessitavano di due autonome e distinte concessioni, quella radiotelevisiva e quella urbanistica-edilizia. Il quadro normativo è mutato a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 1° agosto 2003 n. 259 (codice delle comunicazioni elettroniche), i cui artt. 86 e 87, nel disciplinare il rilascio di autorizzazioni relativamente alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici, prevedono un procedimento autorizzatorio unico, che assorbe e sostituisce il procedimento per il rilascio del titolo abilitativo edilizio (Cons. Stato, sez. VI - 26/03/2018, n. 1887).

È pacifico, pertanto, che il procedimento di installazione delle infrastrutture per impianti radioelettrici, disciplinato dall'art. 87 d.lg. n. 259/2003 (codice delle comunicazioni elettroniche), costituisce un procedimento unico, nell'ambito del quale devono confluire anche le valutazioni edilizie, senza che debba essere attivato un secondo autonomo procedimento edilizio, in conformità delle esigenze di semplificazione procedimentale (Cons. Stato, sez. VI - 09/06/2021, n. 3019).

Del resto tale conclusione trova implicito conforto nel sistema normativo come rilevato da Cons. Stato, sez. VI - 22/01/2021, n. 666: il silenzio-assenso previsto dall'art. 87, comma 9, del d. lgs. 259 del 2003 rappresenta una fattispecie procedurale di carattere speciale che esclude l'applicazione della normativa di carattere generale di cui al d.p.r. n. 380/2001, che assorbe in sé e sintetizza anche la valutazione edilizia che presiede al titolo ed esprime la volontà del legislatore di concludere il procedimento in un termine breve, per l'evidente favore che assiste il sollecito rilascio delle autorizzazioni relative alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici.

4.2.3 Alla luce di questi principi le doglianze proposte dall’appellante risultano prive di fondamento:

- la giurisprudenza recente del Consiglio di Stato è quella che si è appena sintetizzata: quale che sia la qualificazione da dare alle antenne (es.: nuova costruzione come afferma il Comune), la valutazione degli interessi urbanistici è ricompresa nell’unico procedimento disciplinato dall'art. 87 d.lgs. n. 259/2003 sul quale il Comune ha lasciato che si formasse il silenzio assenso;

- il rispetto della la normativa urbanistica da parte delle infrastrutture di comunicazione elettronica deve essere acclarato nell’ambito del ridetto procedimento disciplinato dall'art. 87 d.lgs. n. 259/2003.

4.3 L’appellante contesta quindi le affermazioni contenute a pagina pag. 18 della sentenza impugnata, laddove il primo giudice ha affermato che «il provvedimento gravato si appalesa illegittimo anche nella parte in cui ritiene che l’impianto in questione non ricadrebbe all’interno del “territorio neutro” giusta la presenza dei coni visuali previsti dall’art. 9, commi 14, 15 e 16 delle norme di attuazione del PAT (individuati nella tavola n. 13.3.3 del Piano degli interventi – P.I.) e riportati anche nella tavola n. 1 e n. 5 del Piano antenne, atteso che per i coni visuali di categoria 1, per un tratto di ml 20 in corrispondenza dei coni visuali e per una profondità di 300 o comunque sino alla prima barriera visiva, secondo l’angolatura del cono ottico, non sono ammesse nuove costruzioni (…)” (art. 9, comma 16, NTA del Piano assetto del territorio)».

Secondo l’appellante la sentenza ha contestato al Comune di aver escluso che il sito individuato dalla società Wind Tre sia compreso all’interno del “territorio neutro”, in quanto l’art. 8 del Piano antenne individua il territorio neutro “ove non sono presenti vincoli o limitazioni”. E ciò perché, secondo il Tar per il Veneto, «nell’area interessata dall’installazione dell’impianto di telefonia mobile non sussiste alcun vincolo paesaggistico posto a tutela dei beni ambientali e culturali di cui al d.lgs. n. 42/2004, ossia non sussistono vincoli che impongano una valutazione approfondita dei profili di tutela ambientale, culturale o paesaggistica».

L’appellante sostiene che la sentenza ignora l’esistenza del vincolo di inedificabilità assoluta all’interno dei coni visuali previsto dal PAT e dal Piano degli interventi (P.I.).

4.3.1 La doglianza è infondata.

Nella specie è pacifico che non esistano, sul sito interessato, vincoli di inedificabilità imposti da normative diverse da quella prevista a livello comunale (su cui si tornerà più avanti). Non esiste, in particolare, alcun vincolo posto a tutela dei beni ambientali e culturali di cui al d. lgs. 42/2004.

L’impianto non può essere assimilato alla nozione di nuova costruzione vietate dal comma 16 dell’art. 9 delle NTA del PAT, atteso che tali impianti sono assimilati ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria: cfr. art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/2003 che (nel testo ante riforma vigente al momento dello svolgimento dei fatti causa) esordisce con le seguenti parole: «Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88 , e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultralarga, effettuate anche all'interno degli edifici sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all' articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380».

Ai sensi della norma appena citata le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli artt. 87 e 88, sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all'art. 16, comma 7, d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori e, quindi, come tali sono compatibili con ogni destinazione funzionale prevista dalla pianificazione urbanistica e devono essere localizzate in modo che sia assicurato un servizio capillare.

Certo, Cons. Stato, Sezione VI, 2 novembre 2022, n. 9487 ha chiarito che nonostante il riconoscimento del carattere di opere di pubblica utilità e malgrado l’assimilazione ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria, le predette infrastrutture non possono essere evidentemente localizzate indiscriminatamente in ogni sito del territorio comunale, perché, al cospetto di rilevanti interessi di natura pubblica l’esigenza della realizzazione dell’opera di pubblica utilità può risultare cedevole. Ma è lo stesso Codice delle comunicazioni elettroniche (come ribadito nella sentenza appena citata) a fare espressamente «salve le limitazioni derivanti da esigenze della difesa e della sicurezza dello Stato, della protezione civile, della salute pubblica e della tutela dell’ambiente e della riservatezza e protezione dei dati personali, poste da specifiche disposizioni di legge o da disposizioni regolamentari di attuazione» (art. 3 comma 3). A questi fini, l’installazione di infrastrutture «viene autorizzata dagli enti locali, previo accertamento, […] della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della legge 22 febbraio 2001, n. 36 e relativi provvedimenti di attuazione» (art. 87, comma 1, del d.lgs. n. 259 del 2003).

Nella specie non esistono motivi giuridicamente fondati che ostano alla localizzazione dell’impianto nel sito di che trattasi visto che la normativa applicabile alla materia di cui si discute esprime un particolare favor per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico.

4.4 L’appellante sostiene che la sentenza del primo giudice sbaglia laddove afferma che: «Invero, pur volendo prescindere dalla circostanza che nell’area interessata dall’installazione dell’impianto di telefonia non sussiste alcun vincolo paesaggistico posto a tutela dei beni ambientali e culturali di cui al d.lgs n. 42/2004, ossia non sussistono vincoli che impongano una valutazione approfondita dei profili di tutela ambientale, culturale o paesaggistica….per cui non poteva rilevarsi un’incompatibilità sulla base di rilievi attinenti alla tutela del paesaggio in difetto di uno specifico vincolo paesaggistico, appare dirimente il rilievo secondo il quale l’impianto di telefonia in questione non può essere assimilato, in relazione ai coni visuali, alle “nuove costruzioni” vietate dal comma 16 dell’art. 9 delle NTA del PAT, atteso che, come ricordato nelle premesse, tale tipologia di impianti sono assimilati ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria…: proprio in considerazione dell’assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, gli impianti di telefonia mobile, in assenza di specifiche previsioni, non possono essere assimilati alle normale costruzioni edilizie, pertanto, la loro realizzazione non è soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti, in quanto riferite a tipologie di opere diverse o in quanto elaborate in relazione a possibilità di diverso utilizzo del territorio».

Secondo l’appellante siffatte argomentazioni sono assolutamente errate, come chiarito dalla giurisprudenza (Cons. Stato n. 2521/2014): di qui la gravità dell’errore commesso dal TAR Veneto, per aver ritenuto che l’equiparazione alle opere di urbanizzazione primaria dell’impianto progettato da Wind comporterebbe la sottrazione alla normativa urbanistica, giacché tali impianti devono essere considerati, a tutti gli effetti, come “interventi di nuova costruzione”, contrariamente a quanto ritenuto dal Tar per il Veneto.

4.4.1 La doglianza è infondata per le ragioni già esposte in precedenza.

4.5 L’appellante sostiene che il primo giudice ha erroneamente ignorato che indipendentemente dai vincoli paesaggistici di cui al d.lgs. n. 42/2004, i Comuni ben possono introdurre nello strumento urbanistico vincoli ulteriori, anche relativamente agli aspetti paesaggistici, che vanno ad aggiungersi ai vincoli del codice dei beni culturali, quali sono quelli previsti dall’art. 9 commi 14, 15 e 16 delle NTA del PAT, espressamente menzionati a pag. 18 della sentenza, conformemente a quanto previsto dalla legge urbanistica regionale 23 aprile 2004 n. 11.

L’appellante si riferisce in particolare all’art. 13 della legge regionale 11/2004 che, nell’indicare i «contenuti del Piano di assetto del territorio (PAT)» prevede, al comma 1 lett. b) che il PAT «disciplina, attribuendo una specifica normativa di tutela, le invarianti di natura geologica, geomorfologica, architettonica e paesaggistica, ambientale, storico-monumentale e architettonica, in conformità agli obiettivi ed indirizzi espressi nella pianificazione territoriale di livello superiore…» precisando poi alla lett. h) del medesimo art. 13, che il PAT «detta una specifica disciplina con riferimento ai centri storici, alle zone di tutela e alle fasce di rispetto e alle zone agricole in conformità di quanto previsto dagli articoli 40, 41 e 43».

L’appellante cita per esteso l’art. 43 della legge regionale 11/2004 che prevede al comma 1, che il PAT individua: «c) i limiti fisici della nuova edificazione con riferimento alle caratteristiche paesaggistico-ambientali, tecnico-agronomiche e di integrità fondiaria del territorio”. Ed il comma 2 dell’art. 43 che prevede che «il Piano degli Interventi (P.I..) individua…b) gli ambiti in cui non è consentita la nuova edificazione con riferimento ai limiti di cui al comma 1 lett. c)».

L’appellante riporta un estratto delle NTA del PAT e l’art. 27 delle norme tecniche operative del Piano degli interventi relativi ai coni visuali.

L’appellante sostiene che ferma restando la prescrizione contenuta all’art. 9.16 del PAT in forza della quale “non sono ammesse nuove costruzioni” all’interno dei coni visuali di categoria 1, in tali coni la società Wind Tre vuole realizzare l’antenna, le cui dimensioni arrecherebbero un danno enorme al paesaggio: e più precisamente la vista del Montello, oggetto di vincolo paesaggistico anche per la sua importanza dal punto di vista storico, in quanto teatro di asperrimi combattimenti nella “battaglia del Solstizio” del giugno 1918, decisiva ai fini della vittoria finale.

Secondo l’appellante irrilevante è la circostanza che all’interno del cono visuale sussista già da molti anni un traliccio dell’alta tensione alto metri 15, la cui realizzazione risale alla fine degli anni ’80: il cui impatto è ben diverso dalla struttura alta 34 metri che Wind vorrebbe realizzare.

L’appellante sostiene inoltre che:

- il Tar per il Veneto avrebbe ignorato la copiosa giurisprudenza che considera legittime le disposizioni contenute negli strumenti urbanistici comunali a tutela del paesaggio e, in particolare, quelle contenute nella legge urbanistica regionale n. 11/2004;

- la società Wind Tre sbaglierebbe nel sostenere l’illegittimità, propria e derivata, del provvedimento per incompetenza assoluta in quanto «nell’area de qua non sussistono vincoli paesaggistici la cui imposizione, se proveniente dall’ente locale, sarebbe comunque illegittima e comunque non estendibile agli impianti ITC»;

- la legge regionale 11/2004 attribuisce all’Ente locale il potere di dettare norme a tutela del paesaggio, senza con ciò invadere le competenze statali, prevedendo anche la formazione dei “coni visuali” all’art. 9.14 delle norme di attuazione del PAT tra le “invarianti” di natura paesaggistica.

L’appellante quindi cita numerose massime giurisprudenziali che conforterebbero la tesi della sussistenza in capo ai Comuni del potere di dettare norme a tutela del paesaggio anche con riferimento ai coni visuali.

4.5.1 La doglianza è infondata.

La doglianza va correttamente inquadrata nel tema inerente la possibilità per i Comuni di porre limitazioni alla installazione di impianti di telecomunicazioni sul territorio comunale, possibilità che deve essere valutata alla luce del favor legislativamente affermato per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico.

Il già citato comma 3 dell’art. 86 del d.lgs. 259/2003 assimila le infrastrutture relative alle reti di comunicazione, ivi inclusi gli impianti radioelettrici, ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’articolo 16, comma 7 del d.p.r. n. 380/2001, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori.

Come chiarito da Cons. Stato, Sez. VI, 1 agosto 2017, n. 3853 la giurisprudenza ha avuto in primo luogo modo di affermare che il legislatore statale, nell'inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha espresso un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare affidata ai Comuni non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio. Si è, invero, sostenuto che le opere di urbanizzazione primaria, in quanto tali, risultano in generale compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale, sottolineandosi che la disposizione dell'articolo 86, comma 3, del d.lgs. n. 259/1993 ha in tal modo evidenziato il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni. La giurisprudenza costituzionale (sentt. n. 331/2003 e 307/2003) ha avuto modo di affermare che le disposizioni ostative si palesano come illegittime quando potrebbero addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, con la conseguenza che i "criteri di localizzazione" si trasformerebbero in "limitazioni alla localizzazione", mentre le disposizioni poste a tutela di siti sensibili sono legittime se consentono "una sempre possibile localizzazione alternativa" e non determinano "l'impossibilità della localizzazione". Di conseguenza, la giurisprudenza di questo Consiglio ha ritenuto in primo luogo che non sono legittimi limiti alla localizzazione delle infrastrutture di carattere generale e riguardanti intere ed estese porzioni del territorio comunale, in assenza di una plausibile ragione giustificativa. Ha, poi, affermato che non sono consentiti limiti di carattere generale giustificati da una esigenza di tutela generalizzata della popolazione dalle immissioni elettromagnetiche, dal momento che a tale funzione provvede lo Stato attraverso la fissazione di determinati parametri inderogabili, il rispetto dei quali è verificato dai competenti organi tecnici.

I Comuni possono incidere sulla localizzazione degli impianti di telefonia mobile a patto che la regolamentazione non abbia l'effetto di vietare indiscriminatamente l'istallazione di essi su tutto il territorio comunale. In altri termini è precluso alle amministrazioni comunali d'introdurre nei piani regolatori e negli altri strumenti pianificatori - regolamento comunale per gli impianti - divieti o limitazioni generalizzati o, comunque, estesi ad intere zone comunali con l'effetto di non assicurare i livelli essenziali delle prestazioni che l'Amministrazione è tenuta a garantire su tutto il territorio nazionale (Cons. St., Sez. VI, 23 gennaio 2018, n. 444; si veda anche Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2022, n. 4689).

Questi principi appena richiamati valgono anche nel caso di specie. Quand’anche sia possibile riconoscere la titolarità in capo ai Comuni di poteri in materia paesaggistica, tali poteri non possono essere esercitati in modo da precludere l’installazione di apparecchiature di comunicazione su vaste porzioni del territorio comunale come sono quelle coperte dai cosiddetti coni visuali.

Le difese delle società appellate hanno peraltro dimostrato la genericità del vincolo atteso che guardando la situazione da diversa prospettiva l’impianto non ha apprezzabile impatto visivo.

Circa la circostanza relativa all’altezza dell’antenna che la società Wind Tre vorrebbe realizzare è sufficiente richiamare Cons. Stato, sez. VI, 1 agosto 2017 n. 3853, a cui dire: «Va, invero, osservato che, in ordine ai limiti di altezza, la giurisprudenza ha chiarito che i limiti dettati per le costruzioni non si applicano agli impianti tecnologici di cui qui si tratta, essendo stati posti per l’edificazione di strutture e manufatti aventi un rilievo urbanistico ed edilizio diverso da quello di detti impianti, i quali non sviluppano normalmente volumetria e cubatura, se non limitatamente ai basamenti ed alle cabine accessorie e non determinano, perciò, ingombro visivo paragonabile a quello delle costruzioni né simile impatto sul territorio» (cfr. Cons. Stato, III, 28-11-2013, n. 5693; VI, 17-12-2009 n. 8214).

4.6 L’appellante sostiene che alla luce delle disposizioni relative alla tutela del paesaggio contenute nella l.r. 11/2004 si rivelano del tutto infondate le impugnazioni degli strumenti urbanistici (PAT, P.I., Piano antenne) poste a tutela del paesaggio, indipendentemente dai vincoli previsti dal codice dei beni culturali.

4.6.1 La doglianza è infondata alla luce delle considerazioni esposte.

5. Per i sopra riportati motivi l’appello deve essere rigettato, dovendosi ritenere assorbite ogni ulteriore eccezione delle parti appellate non esaminate.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2022 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Stefano Toschei, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Francesco De Luca, Consigliere

Giovanni Pascuzzi, Consigliere, Estensore