TAR Lombardia (MI) Sez. V n. 3818 del 21 maggio 2009
Modif. Genetiche. Autorizzazione
Dal d.lgs.8 luglio 2003 n.224 emerge come la richiesta di autorizzazione da parte del “notificante” debba contenere una serie di specifiche informazioni, il cui contenuto è riportato, per ciò che attiene alla valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, proprio nei protocolli tecnici di competenza ministeriale. Non v’è dubbio, quindi, che in mancanza dei suddetti protocolli, il notificante non è in grado di indicare nella propria domanda le informazioni richieste ai sensi dell’art. 8, co.II°, lett. c), d.lgs. cit. e l’autorità preposta all’esame della domanda non è posta nelle condizioni di istruire la domanda medesima. Tale conclusione va ribadita anche in relazione alla procedura in deroga, descritta dall’art. 5 del d.M. cit., posto che i suddetti protocolli rappresentano, all’evidenza, l’unico parametro di riferimento anche per il parere obbligatorio di competenza regionale (o provinciale), che non potrà che vertere sulla idoneità del sito proposto dal notificante.
Modif. Genetiche. Autorizzazione
Dal d.lgs.8 luglio 2003 n.224 emerge come la richiesta di autorizzazione da parte del “notificante” debba contenere una serie di specifiche informazioni, il cui contenuto è riportato, per ciò che attiene alla valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, proprio nei protocolli tecnici di competenza ministeriale. Non v’è dubbio, quindi, che in mancanza dei suddetti protocolli, il notificante non è in grado di indicare nella propria domanda le informazioni richieste ai sensi dell’art. 8, co.II°, lett. c), d.lgs. cit. e l’autorità preposta all’esame della domanda non è posta nelle condizioni di istruire la domanda medesima. Tale conclusione va ribadita anche in relazione alla procedura in deroga, descritta dall’art. 5 del d.M. cit., posto che i suddetti protocolli rappresentano, all’evidenza, l’unico parametro di riferimento anche per il parere obbligatorio di competenza regionale (o provinciale), che non potrà che vertere sulla idoneità del sito proposto dal notificante.
N. 03818/2009 REG.SEN.
N. 02150/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2150 del 2008, proposto da:
Pioneer Hi-Bred Italia Servizi Agronomici Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Giangiacomo, Paola Nunziata, Laura Opilio, Cristina Spinelli Ressi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Milano, via M. Buonarroti n. 39;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., rappresentata e difesa dall' avv. Antonella Forloni ed elettivamente domiciliata in Milano, via Fabio Filzi 22, presso la sede dell’Avvocatura Regionale;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della nota della Regione Lombardia prot. n. MI.2008.0017483, datata 7 agosto 2007, nonché,
- del decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali datato 19.01.2005, nonché, di ogni altro atto presupposto, successivo o, comunque, connesso;
e per la condanna della resistente Amministrazione al risarcimento del danno.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21/04/2009 la dr.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
L’esponente, società operante nel campo della produzione delle energie alternative mediante produzione di biocarburanti, con lettera datata 20.12.2006 chiedeva al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (da ora anche MATT) l’autorizzazione per l’emissione deliberata nell’ambiente di OGM (nella specie ibridi di mais) per fini diversi dall’immissione sul mercato.
Il Ministero, con nota datata 4.01.2007, rispondeva, in sostanza, che, “vista la normativa in corso di definizione”, ovvero, la mancanza dei “Protocolli tecnici” e degli accordi con la Regione interessata per la individuazione del sito sul quale effettuare le prove, la richiesta “per il momento, non potrà essere esaminata dalla Commissione Interministeriale di Valutazione”.
Con lettera datata 13.03.2007 la ricorrente si rivolgeva alla Regione Lombardia per richiedere l’autorizzazione alla sperimentazione nel sito privato ubicato nei pressi di Mantova.
In assenza di risposte da parte dell’ente interpellato, la società ricorrente diffidava, sia, il MATT, ad adottare nel termine di gg.30 i Protocolli tecnici, che, la regione Lombardia, a porre in essere tutti gli adempimenti necessari, tra l’altro, per l’individuazione dei siti di sperimentazione di cui all’art. 3 d.M.19.01.2005.
Entrambi gli enti interpellati fornivano risposta: la Regione, per quel che qui rileva, comunicava che tutti gli adempimenti di propria competenza erano stati assolti mentre non risultavano ancora approvati i Protocolli Tecnici di competenza ministeriale; pertanto, concludeva la Regione, essendo detti Protocolli indispensabili per la valutazione dell’adeguatezza dei siti deputati alla sperimentazione, l’individuazione dei suddetti siti avrebbe potuto essere effettuata solo successivamente all’emanazione dei Protocolli in questione.
L’esponente è insorta contro quest’ultima risposta della Regione Lombardia e contro il decreto ministeriale ‘05, chiedendone l’annullamento per i motivi che si passa, di seguito, ad illustrare:
1) violazione di legge, anche in relazione ai principi comunitari, con particolare riguardo all’art. 1 co.2 d.M. 19.01.2005 e d.lgs.vo 224/2003. Ciò, in quanto i Protocolli tecnici sarebbero deputati alla “gestione del rischio” derivante dall’emissione di OGM nell’ambiente, il che sta a significare, per il patrocinio ricorrente, che in mancanza di una situazione di rischio, non v’è necessità dei suddetti protocolli. Nel caso di specie la ricorrente, al momento del deposito della notifica, aveva già svolto la valutazione del rischio ambientale escludendone la ricorrenza. Detta valutazione doveva essere oggetto di verifica da parte dell’ANC (MATT) che si avvale della Commissione Interministeriale di Valutazione (CIV) e, soltanto in caso di esito negativo della verifica, avrebbe dovuto porsi un problema di gestione del rischio e, quindi, di applicabilità dei protocolli tecnici. Invece, nel caso in esame, la Regione non avrebbe neppure iniziato l’istruttoria sulla notifica di PIONEER, a causa dell’assenza dei ridetti Protocolli.
2) violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 5 co.1 del d.M. 19.01.2005 e al d.lgs. 224/03; eccesso di potere per carenza e/o insufficienza di motivazione. Ciò, in quanto la Regione avrebbe negato l’autorizzazione in deroga all’emissione di OGM su sito privato, sull’erroneo presupposto che la mancata emanazione dei protocolli impedirebbe la valutazione di idoneità dei siti.
3) violazione e/o falsa applicazione della direttiva 2001/18/CE, nonché, dei principi generali del Trattato U.E..Ciò, in quanto il legislatore nazionale avrebbe aggiunto, alla valutazione del rischio ambientale prevista dalla direttiva comunitaria, una distinta valutazione, relativa al “rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare”, non consentita dalla citata direttiva. Conseguirebbe da ciò, a mente dello stesso patrocinio, l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare il d.lgs.n.224 cit. (e, quindi, anche il d.M. 19.01.2005) nella parte in cui impone ai notificanti di includere, nella notifica ex art. 8, anche la valutazione del rischio per l’agrobiodiversità sopra esposta, con il conseguente annullamento della nota regionale qui gravata e con l’ordine alla P.A. di procedere all’istruttoria della richiesta di autorizzazione avanzata dall’esponente.
4) in subordine, con richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 T.C.E., affinché la stessa Corte si pronunci sulla compatibilità della normativa di attuazione con la direttiva 2001/18/CE;
5) in ulteriore subordine, si solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 co.2 lett. c) del d.lgs.n.224/2003 e del d.M. 19.01.2005, in relazione all’art. 76 Cost., poiché il d.lgs. n.224 eccederebbe l’ambito disegnato dalla legge delega.
Si è costituita la Regione Lombardia, contro deducendo con separata memoria alle censure avversarie.
Alla Camera di Consiglio del 4.11.2008 le parti hanno concordato il rinvio della decisione sulla domanda di sospensiva all’udienza che, contestualmente, è stata fissata per il merito al 21 aprile 2009.
In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.
Alla pubblica udienza del 21 aprile 2009 la causa, previa rinuncia di parte ricorrente alla domanda di sospensiva, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, rileva il Collegio come, in mancanza di notifica dell’odierno ricorso al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in veste di “organo che ha emesso l’atto impugnato” e, quindi, parte resistente necessaria, il ricorso stesso risulta, in parte, inammissibile, in relazione alla domanda di annullamento diretta avverso il predetto decreto Ministeriale.
Sempre in via preliminare, rileva il Collegio come la prospettazione di un possibile rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, alla Corte di Giustizia della Comunità Europea va disattesa, non ravvisandosi, come si chiarirà meglio nel prosieguo, sulle questioni di diritto comunitario sottoposte al Collegio, dubbi interpretativi.
Quanto, poi, alle censure rivolte avverso la nota regionale con cui si comunica la mancata espressione del parere sull’idoneità del sito individuato dall’esponente, il Collegio reputa opportuna una breve panoramica sull’attuale contesto normativo riguardante la materia in esame.
Dev’essere menzionata, in primo luogo, la disciplina di matrice comunitaria, basata sulla direttiva 2001/18/CEE che, sostituendo la dir.90/220/CEE, riscrive le regole base per l’attività di sperimentazione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM).
Nelle premesse della direttiva 2001/18 viene dato notevole rilievo all’attività di controllo dei rischi derivanti dall’immissione deliberata nell’ambiente di OGM, al fine precipuo di tutelare la salute umana e l’ambiente (5° Considerando), specificando che, in base al Trattato UE, l'azione della Comunità per la tutela dell'ambiente dev’essere basata sul principio dell'azione preventiva (6° e 8° considerando).
La direttiva in esame mira, poi, a rendere più efficace e trasparente la procedura prevista per l’autorizzazione dell’emissione deliberata nell’ambiente e l’immissione in commercio di OGM.
Viene prevista, infatti, la necessità di “stabilire procedure e criteri armonizzati per la valutazione, caso per caso, dei rischi potenziali derivanti dall'emissione deliberata nell'ambiente di OGM” (18° considerando). A tal fine, prima di ogni immissione, è richiesta la necessaria valutazione, caso per caso, del rischio ambientale (19° consid.), valutazione sulla quale la direttiva detta una metodologia comune, nell’Allegato II, recante i “Principi per la valutazione del rischio ambientale” (ove si illustrano, in termini generali, l’obiettivo da raggiungere, gli elementi da considerare, i principi generali e la metodologia da adottare, per eseguire la valutazione di rischio ambientale, con la puntualizzazione che:”Possono essere elaborate note tecniche orientative secondo la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 30, paragrafo 2, al fine di facilitare l’attuazione e la spiegazione del presente allegato”).
Per le due attività prese in esame, emissione deliberata e immissione in commercio, la direttiva 2001/18/CEE prevede due procedure autorizzatorie, disciplinate, rispettivamente, nelle parti B e C .
La diversità fra le due procedure si spiega, in relazione al diverso fine per cui viene compiuta l’emissione di OGM nell’ambiente: la parte B riguarda, infatti, i rilasci compiuti per fine diverso dall’immissione in commercio (quindi, ad es., per la ricerca); la parte C, invece, attiene al rilascio per l’immissione in commercio.
Concetto importante che trova la sua definizione nella direttiva è quello di “notifica”, con cui si intende la presentazione all’Autorità competente di uno Stato membro, delle informazioni prescritte dalla direttiva. Altro concetto di rilievo è, come già accennato, quello di “valutazione del rischio ambientale”, che allude alla valutazione - condotta a norma dell’allegato II cit. - dei rischi per la salute umana e per l’ambiente, diretti o indiretti, immediati o differiti, che possono essere connessi all’emissione deliberata nell’ambiente o all’immissione in commercio di OGM.
Le informazioni di cui all’allegato II cit., peraltro, sono state integrate - in base alla decisione della Commissione della C.E. del 24 luglio 2002 - da note orientative, che forniscono linee guida dettagliate per descrivere gli obiettivi, i principi e la metodologia da seguire per facilitare i rispettivi compiti dei notificanti e delle autorità competenti, “in modo da realizzare una valutazione del rischio ambientale completa ed adeguata”.
La direttiva, infatti, introduce la regola per cui è compito di chi intende procedere all’emissione deliberata nell’ambiente di un OGM, di dovere “notificare” all’Autorità competente la relativa richiesta, con le informazioni di cui all’allegato III°, accompagnata dalla valutazione del rischio ambientale (VRA), con le informazioni di cui all’allegato II°, concernente quel particolare OGM.
Per tale via, in piena coerenza con l’approccio precauzionale della direttiva de qua, chi vuole dare luogo ad un’emissione di OGM deve, in sostanza, dimostrare l’assenza di rischi per la salute e l’ambiente dell’emissione stessa (cfr. art. 4 dir.2001/18 sugli obblighi di carattere generale gravanti sui singoli Stati membri).
Naturalmente, le informazioni scientifiche allegate alla domanda dovranno, poi, essere sottoposte al controllo pubblico delle autorità competenti, che dovranno esaminarne la sufficienza, la congruenza e la validità esprimendo, all’esito di tale valutazione, la propria risposta scritta (si prevede, in particolare, la possibilità per l’autorità di richiedere ulteriori informazioni al notificante, ovvero, la possibilità per gli Stati membri di consultare il pubblico e, se opportuno, determinati gruppi in merito all'emissione deliberata proposta).
In Italia, l’attuazione della suesposta direttiva è stata affidata al d.lgs.8 luglio 2003 n.224, che ha individuato nel Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio (MATT) l’autorità nazionale competente in materia (art.2). Il decreto si occupa, sia, del contenuto della notifica (art.8), che, della valutazione del rischio ambientale (allegato II parte D). Esso introduce, poi, nell’ambito delle informazioni che debbono essere ricomprese nella notifica, quella attinente “la valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, in conformità alle prescrizioni stabilite dal decreto di cui al comma 6” (così art. 8 cit. co.II° lett. c).
Detto comma, dal canto suo, statuisce che: “Con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sono definite, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le prescrizioni ai fini della valutazione del rischio di cui al comma 2, lettera c).”
Alla suddetta previsione ha fatto seguito il decreto ministeriale datato 19/1/2005 che, dal canto suo, ha demandato al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MPAF) la definizione, con proprio decreto, dei Protocolli tecnici operativi per la gestione del rischio delle singole specie GM (art. 1 co.II°). Si tratta di “schede che individuano le caratteristiche della specie considerata, le modalità operative e le misure da adottare all'atto dell'emissione deliberata di OGM, volte alla tutela dell'agrobiodiversità, dei sistemi agrari e della filiera agroalimentare” (art.2).
Lo stesso decreto prevede, poi, all’art. 3, che chiunque intenda effettuare un’emissione deliberata di OGM nell’ambiente, per fine diverso dall’immissione sul mercato, debba conformarsi alle indicazioni contenute nei suddetti protocolli tecnici (comma I°); indi, prevede che Regioni e Province autonome provvedano a: “a) designare entro 90 giorni dalla pubblicazione del presente decreto l'Autorità regionale o provinciale competente; b) individuare, entro 6 mesi dalla designazione dell'Autorità regionale o provinciale competente, previo accordo con i proprietari e gestori di cui all'art. 2, lettera d), comma 1, i siti del proprio territorio utilizzabili per la sperimentazione indicando, se del caso, restrizioni motivate per specifici organismi e/o siti di rilascio; c) stabilire tariffe che il notificante è tenuto a versare per l'utilizzo dei siti di proprietà o gestiti direttamente; d) trasmettere all'Autorità nazionale competente i risultati ed ogni ulteriore informazione derivante dai controlli effettuati anche su propria iniziativa.”.
Infine, per quanto di rilievo in relazione all’odierno ricorso, va richiamato l’art. 5 del d.M. in questione il quale statuisce che:
”1. Nelle more dell'individuazione dei siti da parte delle regioni e province autonome, l'Autorità nazionale competente, sulla base della valutazione tecnica espressa dalla Commissione interministeriale di valutazione (CIV) di cui all'art. 6 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 e sulla base del parere obbligatorio espresso dall'Autorità regionale o provinciale competente, valuterà l'idoneità del sito proposto dal notificante.
2. L'autorizzazione ad effettuare la sperimentazione in siti diversi da quelli indicati nell'art. 3, comma 1, lettera a), potrà essere rilasciata dall'Autorità nazionale competente sulla base di una richiesta motivata presentata dal notificante, della valutazione tecnica espressa dalla CIV nella quale è riportato il parere obbligatorio dell'Autorità regionale e provinciale competente della regione interessata e purché sia garantita nel corso degli anni la tracciabilità delle diverse pratiche colturali predisposte.”
Tanto premesso, in relazione al panorama normativo vigente, devono essere ora esaminate nel merito le doglianze di parte riferite alla nota regionale impugnata.
Sui motivi di ricorso nn.1) e 2).
L’esponente assume la contrarietà della risposta regionale a quanto prescritto nelle citate fonti comunitarie e nazionali, atteso che queste ultime non condizionerebbero affatto l’esame della notifica alla presenza dei protocolli tecnici, né nella procedura “ordinaria” e tantomeno in quella “in deroga”.
I motivi sono infondati.
Dalla normativa sopra riferita emerge come la richiesta di autorizzazione da parte del “notificante” debba contenere una serie di specifiche informazioni, il cui contenuto è riportato, per ciò che attiene alla valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, proprio nei protocolli tecnici di competenza ministeriale.
Non v’è dubbio, quindi, che in mancanza dei suddetti protocolli, il notificante non è in grado di indicare nella propria domanda le informazioni richieste ai sensi dell’art. 8, co.II°, lett. c), d.lgs. cit. e l’autorità preposta all’esame della domanda non è posta nelle condizioni di istruire la domanda medesima. Tale conclusione va ribadita anche in relazione alla procedura in deroga, descritta dall’art. 5 del d.M. cit., posto che i suddetti protocolli rappresentano, all’evidenza, l’unico parametro di riferimento anche per il parere obbligatorio di competenza regionale (o provinciale), che non potrà che vertere sulla idoneità del sito proposto dal notificante.
È utile, in tal senso, riportare alcune delle prescrizioni contenute nell’allegato al decreto ministeriale 2005, per comprendere come la valutazione rimessa alla regione (o alla provincia) non possa, comunque, prescindere dai Protocolli in questione, chiamati a dare attuazione, in relazione a ciascun O.G.M., alle prescrizioni medesime.
Si legge, così, nel predetto allegato, alla lett. C, tra le “Informazioni necessarie” richieste “allo scopo di effettuare una valutazione del rischio che sia concretamente riferita all'area di emissione”, che “devono essere acquisite informazioni di base riguardanti il territorio con riferimento all'impatto sul settore agricolo.” In particolare, è previsto che: ”L'analisi delle caratteristiche ambientali, agronomiche e socioeconomiche del territorio dovrà riportare, almeno, le seguenti informazioni:
distribuzione delle coltivazioni e degli allevamenti presenti nel territorio in esame, con particolare riguardo alle specie interfeconde con l'organismo oggetto di sperimentazione. …;
presenza e distribuzione di siti di conservazione di risorse genetiche autoctone di interesse agrario; presenza nell'area di coltivazioni o allevamenti di pregio, anche se di specie non affini (tipiche, DOP, IGP, biologiche ecc.);
presenza nel territorio in esame di aree naturali protette, di aree critiche e sensibili di qualunque natura;
presenza di colture e allevamenti sperimentali di altro tipo, di produzioni da seme, di vivai ecc.; presenza nel territorio di giardini storici o giardini pubblici con presenza di piante di rilevante interesse storico-culturale e/o ambientale;
caratteristiche chimico-fisiche e biologiche del suolo;
presenza di falda, suo andamento e profondità; sistemi prevalenti di gestione degli agroecosistemi (gestione della flora infestante, gestione della difesa fitosanitaria, modalità di concimazione e di irrigazione);
tipologia di gestione degli allevamenti più diffusa (livello di naturalità, ecc.);
caratteristiche climatiche (temperature medie ed escursioni termiche, umidità in rapporto alle stagioni, andamento termopluviometrico annuo, venti prevalenti, con forza e direzione, ecc.); precedente uso del sito, con particolare riguardo alle sperimentazioni di OGM e alle colture interfeconde con essi;
presenza nell'area di artropodofauna utile e altri antagonisti naturali potenzialmente suscettibili a prodotti genici specifici degli OGM; livello e tipologia di antropizzazione dell'area (densità di popolazione, assetto urbanistico, presenza di aree artigianali-industriali, ecc.) e vie di trasporto antropico di eventuali materiali di moltiplicazione o di inquinamento genetico (strade, ferrovie, aeroporti e altre infrastrutture);
aspetti sociali ed economici del territorio rilevanti per la valutazione del rischio (attività economiche prevalenti collegate all'agricoltura, molo dell'agricoltura, fatturato a livello nazionale e regionale della produzione oggetto di sperimentazione) con particolare riferimento alla componente agraria e zootecnica delle filiere.”.
Ad ulteriore riprova della necessità della previa adozione dei suddetti Protocolli, possono, poi, addursi le prescrizioni in concreto adottate dal Ministero, nei Protocolli trasmessi alla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province autonome (cfr. all. n. 1 parte resistente, di cui a nota P.d.C.M. 23.10.2008) ove, a proposito della specie agraria “mais”, sono fornite dettagliate indicazioni a proposito della identificazione dell’area di rilascio, della sua delimitazione, delle distanze, dell’isolamento, ecc., tutte preordinate alla valutazione dell’idoneità del sito sotto il profilo della tutela dell’agrobiodiversità, dei sistemi agrari e della filiera agroalimentare.
Consegue da ciò, come non colga nel segno l’affermazione di parte ricorrente, secondo cui i protocolli tecnici in questione, essendo volti alla gestione del rischio, sarebbero necessari soltanto nel caso in cui si presentasse, in concreto, una situazione di rischio.
Al contrario, un’ interpretazione della suesposta normativa che valorizzi il principio comunitario di precauzione, non può che indurre a ritenere i ridetti protocolli tecnici, quali strumenti di conformazione preventiva dell’azione da intraprendere per l’emissione deliberata nell’ambiente degli OGM, strumenti con cui dovranno confrontarsi, sia, i soggetti notificanti, per la predisposizione della richiesta di autorizzazione all’emissione, che, le autorità a vario titolo competenti e coinvolte nel procedimento autorizzatorio (sia ordinario che in deroga).
Sul terzo motivo.
Richiamando le suesposte considerazioni, il Collegio non può che disattendere anche la richiesta, sottesa al predetto motivo, di disapplicazione del d.lgs. 224/03, per presunto contrasto con la direttiva 2001/18/CE, atteso che, un’interpretazione corretta del testo comunitario non può prescindere, come già accennato, dalla valorizzazione del principio di precauzione e dalla considerazione del rilievo che assumono, nella medesima direttiva, la tutela della salute umana e dell’ambiente. In tale ottica, non si può che giungere alla conclusione per cui, le previsioni introdotte dal legislatore nazionale, a proposito della valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, sono senz’altro riconducibili all’interno dei confini disegnati dalla direttiva 2001/18/CEE.
Non è, pertanto, condivisibile la considerazione espressa dal patrocinio ricorrente, a proposito dell’inadeguato recepimento della direttiva comunitaria dal parte dello Stato italiano, atteso che, lo “scopo” dichiarato della direttiva in questione non è quello di armonizzare le normative nazionali a tutto vantaggio della libera circolazione dei beni, come adombra di credere il predetto patrocinio, ma, quello reso palese dall’art. 1 della direttiva stessa, secondo cui: “Nel rispetto del principio precauzionale, la presente direttiva mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e dell'ambiente quando:
- si emettono deliberatamente nell'ambiente organismi geneticamente modificati a scopo diverso dall'immissione in commercio all'interno della Comunità,
- si immettono in commercio all'interno della Comunità organismi geneticamente modificati come tali o contenuti in prodotti.”.
L’emissione di OGM, quindi, non può affatto avvenire a scapito della salute umana e dell’ambiente, che, pertanto, debbono essere salvaguardati in via preventiva. Ciò significa che la previsione di una valutazione, quale quella oggetto del d.M. più volte citato, in quanto mirata alla salvaguardia della agro biodiversità, secondo le specificazioni contenute nell’allegato al ridetto decreto, non urta contro le prescrizioni della ridetta direttiva e rappresenta una modalità non distorta di attuazione del suo scopo.
Anche il terzo motivo di ricorso si appalesa, quindi, infondato, mentre, va disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Sulla questione di legittimità costituzionale.
Rileva il Collegio come erroneamente parte ricorrente prospetta l’eccesso di delega da parte del d.lgs.n.224/03, avendo come parametro di riferimento la stessa direttiva comunitaria 2001/18/CEE. In realtà, l’eccesso lamentato sarebbe configurabile soltanto qualora, nella stessa legge comunitaria di delega (L. 1.03.2002 n.39), il legislatore nazionale avesse posto dei criteri direttivi incompatibili con la previsione, da parte del legislatore nazionale, della valutazione del rischio per l’agrobiodiversità di che trattasi.
Così, tuttavia, non è stato, posto che la legge comunitaria 2001 ha sic et simpliciter delegato il governo ad attuare la direttiva, richiedendo la piena conformità della normativa di attuazione con le prescrizioni contenute nelle direttive comunitarie.
Ebbene, richiamando le considerazioni poc’anzi espresse, a proposito del terzo motivo di ricorso, il Collegio non ritiene affatto di dover ravvisare, nella valutazione del rischio di cui si occupa il più volte cit. d.M.’05, una deroga alla disciplina posta dalla direttiva, né reputa che la valutazione medesima fuoriesca dai confini disegnati dalla direttiva 2001 in questione, per il raggiungimento dello scopo che la stessa impone agli Stati membri di perseguire.
Per le su-estese considerazioni, la questione di legittimità prospettata da parte ricorrente in relazione all’art. 76 Cost. si appalesa manifestamente infondata.
Conclusivamente, il Collegio ritiene che il ricorso in epigrafe indicato debba essere, in parte, dichiarato inammissibile e, per il resto, respinto.
Analogamente dev’essere respinta la domanda risarcitoria, in assenza dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c., primo fra tutti quello dell’illegittimità del provvedimento regionale qui gravato.
La novità e la complessità delle questioni trattate inducono, nondimeno, il Collegio a ritenere sussistenti giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, decidendo sul ricorso in epigrafe così statuisce:
- lo dichiara in parte inammissibile e, per il resto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Laura Marzano, Referendario
Concetta Plantamura, Referendario, Estensore
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO
N. 02150/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 2150 del 2008, proposto da:
Pioneer Hi-Bred Italia Servizi Agronomici Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Giangiacomo, Paola Nunziata, Laura Opilio, Cristina Spinelli Ressi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Milano, via M. Buonarroti n. 39;
contro
Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta Regionale p.t., rappresentata e difesa dall' avv. Antonella Forloni ed elettivamente domiciliata in Milano, via Fabio Filzi 22, presso la sede dell’Avvocatura Regionale;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
- della nota della Regione Lombardia prot. n. MI.2008.0017483, datata 7 agosto 2007, nonché,
- del decreto del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali datato 19.01.2005, nonché, di ogni altro atto presupposto, successivo o, comunque, connesso;
e per la condanna della resistente Amministrazione al risarcimento del danno.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Regione Lombardia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21/04/2009 la dr.ssa Concetta Plantamura e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
L’esponente, società operante nel campo della produzione delle energie alternative mediante produzione di biocarburanti, con lettera datata 20.12.2006 chiedeva al Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio (da ora anche MATT) l’autorizzazione per l’emissione deliberata nell’ambiente di OGM (nella specie ibridi di mais) per fini diversi dall’immissione sul mercato.
Il Ministero, con nota datata 4.01.2007, rispondeva, in sostanza, che, “vista la normativa in corso di definizione”, ovvero, la mancanza dei “Protocolli tecnici” e degli accordi con la Regione interessata per la individuazione del sito sul quale effettuare le prove, la richiesta “per il momento, non potrà essere esaminata dalla Commissione Interministeriale di Valutazione”.
Con lettera datata 13.03.2007 la ricorrente si rivolgeva alla Regione Lombardia per richiedere l’autorizzazione alla sperimentazione nel sito privato ubicato nei pressi di Mantova.
In assenza di risposte da parte dell’ente interpellato, la società ricorrente diffidava, sia, il MATT, ad adottare nel termine di gg.30 i Protocolli tecnici, che, la regione Lombardia, a porre in essere tutti gli adempimenti necessari, tra l’altro, per l’individuazione dei siti di sperimentazione di cui all’art. 3 d.M.19.01.2005.
Entrambi gli enti interpellati fornivano risposta: la Regione, per quel che qui rileva, comunicava che tutti gli adempimenti di propria competenza erano stati assolti mentre non risultavano ancora approvati i Protocolli Tecnici di competenza ministeriale; pertanto, concludeva la Regione, essendo detti Protocolli indispensabili per la valutazione dell’adeguatezza dei siti deputati alla sperimentazione, l’individuazione dei suddetti siti avrebbe potuto essere effettuata solo successivamente all’emanazione dei Protocolli in questione.
L’esponente è insorta contro quest’ultima risposta della Regione Lombardia e contro il decreto ministeriale ‘05, chiedendone l’annullamento per i motivi che si passa, di seguito, ad illustrare:
1) violazione di legge, anche in relazione ai principi comunitari, con particolare riguardo all’art. 1 co.2 d.M. 19.01.2005 e d.lgs.vo 224/2003. Ciò, in quanto i Protocolli tecnici sarebbero deputati alla “gestione del rischio” derivante dall’emissione di OGM nell’ambiente, il che sta a significare, per il patrocinio ricorrente, che in mancanza di una situazione di rischio, non v’è necessità dei suddetti protocolli. Nel caso di specie la ricorrente, al momento del deposito della notifica, aveva già svolto la valutazione del rischio ambientale escludendone la ricorrenza. Detta valutazione doveva essere oggetto di verifica da parte dell’ANC (MATT) che si avvale della Commissione Interministeriale di Valutazione (CIV) e, soltanto in caso di esito negativo della verifica, avrebbe dovuto porsi un problema di gestione del rischio e, quindi, di applicabilità dei protocolli tecnici. Invece, nel caso in esame, la Regione non avrebbe neppure iniziato l’istruttoria sulla notifica di PIONEER, a causa dell’assenza dei ridetti Protocolli.
2) violazione e/o falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 5 co.1 del d.M. 19.01.2005 e al d.lgs. 224/03; eccesso di potere per carenza e/o insufficienza di motivazione. Ciò, in quanto la Regione avrebbe negato l’autorizzazione in deroga all’emissione di OGM su sito privato, sull’erroneo presupposto che la mancata emanazione dei protocolli impedirebbe la valutazione di idoneità dei siti.
3) violazione e/o falsa applicazione della direttiva 2001/18/CE, nonché, dei principi generali del Trattato U.E..Ciò, in quanto il legislatore nazionale avrebbe aggiunto, alla valutazione del rischio ambientale prevista dalla direttiva comunitaria, una distinta valutazione, relativa al “rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare”, non consentita dalla citata direttiva. Conseguirebbe da ciò, a mente dello stesso patrocinio, l’obbligo del giudice nazionale di disapplicare il d.lgs.n.224 cit. (e, quindi, anche il d.M. 19.01.2005) nella parte in cui impone ai notificanti di includere, nella notifica ex art. 8, anche la valutazione del rischio per l’agrobiodiversità sopra esposta, con il conseguente annullamento della nota regionale qui gravata e con l’ordine alla P.A. di procedere all’istruttoria della richiesta di autorizzazione avanzata dall’esponente.
4) in subordine, con richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 234 T.C.E., affinché la stessa Corte si pronunci sulla compatibilità della normativa di attuazione con la direttiva 2001/18/CE;
5) in ulteriore subordine, si solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 co.2 lett. c) del d.lgs.n.224/2003 e del d.M. 19.01.2005, in relazione all’art. 76 Cost., poiché il d.lgs. n.224 eccederebbe l’ambito disegnato dalla legge delega.
Si è costituita la Regione Lombardia, contro deducendo con separata memoria alle censure avversarie.
Alla Camera di Consiglio del 4.11.2008 le parti hanno concordato il rinvio della decisione sulla domanda di sospensiva all’udienza che, contestualmente, è stata fissata per il merito al 21 aprile 2009.
In prossimità della pubblica udienza entrambe le parti hanno depositato memorie.
Alla pubblica udienza del 21 aprile 2009 la causa, previa rinuncia di parte ricorrente alla domanda di sospensiva, è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, rileva il Collegio come, in mancanza di notifica dell’odierno ricorso al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in veste di “organo che ha emesso l’atto impugnato” e, quindi, parte resistente necessaria, il ricorso stesso risulta, in parte, inammissibile, in relazione alla domanda di annullamento diretta avverso il predetto decreto Ministeriale.
Sempre in via preliminare, rileva il Collegio come la prospettazione di un possibile rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE, alla Corte di Giustizia della Comunità Europea va disattesa, non ravvisandosi, come si chiarirà meglio nel prosieguo, sulle questioni di diritto comunitario sottoposte al Collegio, dubbi interpretativi.
Quanto, poi, alle censure rivolte avverso la nota regionale con cui si comunica la mancata espressione del parere sull’idoneità del sito individuato dall’esponente, il Collegio reputa opportuna una breve panoramica sull’attuale contesto normativo riguardante la materia in esame.
Dev’essere menzionata, in primo luogo, la disciplina di matrice comunitaria, basata sulla direttiva 2001/18/CEE che, sostituendo la dir.90/220/CEE, riscrive le regole base per l’attività di sperimentazione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati (OGM).
Nelle premesse della direttiva 2001/18 viene dato notevole rilievo all’attività di controllo dei rischi derivanti dall’immissione deliberata nell’ambiente di OGM, al fine precipuo di tutelare la salute umana e l’ambiente (5° Considerando), specificando che, in base al Trattato UE, l'azione della Comunità per la tutela dell'ambiente dev’essere basata sul principio dell'azione preventiva (6° e 8° considerando).
La direttiva in esame mira, poi, a rendere più efficace e trasparente la procedura prevista per l’autorizzazione dell’emissione deliberata nell’ambiente e l’immissione in commercio di OGM.
Viene prevista, infatti, la necessità di “stabilire procedure e criteri armonizzati per la valutazione, caso per caso, dei rischi potenziali derivanti dall'emissione deliberata nell'ambiente di OGM” (18° considerando). A tal fine, prima di ogni immissione, è richiesta la necessaria valutazione, caso per caso, del rischio ambientale (19° consid.), valutazione sulla quale la direttiva detta una metodologia comune, nell’Allegato II, recante i “Principi per la valutazione del rischio ambientale” (ove si illustrano, in termini generali, l’obiettivo da raggiungere, gli elementi da considerare, i principi generali e la metodologia da adottare, per eseguire la valutazione di rischio ambientale, con la puntualizzazione che:”Possono essere elaborate note tecniche orientative secondo la procedura di regolamentazione di cui all’articolo 30, paragrafo 2, al fine di facilitare l’attuazione e la spiegazione del presente allegato”).
Per le due attività prese in esame, emissione deliberata e immissione in commercio, la direttiva 2001/18/CEE prevede due procedure autorizzatorie, disciplinate, rispettivamente, nelle parti B e C .
La diversità fra le due procedure si spiega, in relazione al diverso fine per cui viene compiuta l’emissione di OGM nell’ambiente: la parte B riguarda, infatti, i rilasci compiuti per fine diverso dall’immissione in commercio (quindi, ad es., per la ricerca); la parte C, invece, attiene al rilascio per l’immissione in commercio.
Concetto importante che trova la sua definizione nella direttiva è quello di “notifica”, con cui si intende la presentazione all’Autorità competente di uno Stato membro, delle informazioni prescritte dalla direttiva. Altro concetto di rilievo è, come già accennato, quello di “valutazione del rischio ambientale”, che allude alla valutazione - condotta a norma dell’allegato II cit. - dei rischi per la salute umana e per l’ambiente, diretti o indiretti, immediati o differiti, che possono essere connessi all’emissione deliberata nell’ambiente o all’immissione in commercio di OGM.
Le informazioni di cui all’allegato II cit., peraltro, sono state integrate - in base alla decisione della Commissione della C.E. del 24 luglio 2002 - da note orientative, che forniscono linee guida dettagliate per descrivere gli obiettivi, i principi e la metodologia da seguire per facilitare i rispettivi compiti dei notificanti e delle autorità competenti, “in modo da realizzare una valutazione del rischio ambientale completa ed adeguata”.
La direttiva, infatti, introduce la regola per cui è compito di chi intende procedere all’emissione deliberata nell’ambiente di un OGM, di dovere “notificare” all’Autorità competente la relativa richiesta, con le informazioni di cui all’allegato III°, accompagnata dalla valutazione del rischio ambientale (VRA), con le informazioni di cui all’allegato II°, concernente quel particolare OGM.
Per tale via, in piena coerenza con l’approccio precauzionale della direttiva de qua, chi vuole dare luogo ad un’emissione di OGM deve, in sostanza, dimostrare l’assenza di rischi per la salute e l’ambiente dell’emissione stessa (cfr. art. 4 dir.2001/18 sugli obblighi di carattere generale gravanti sui singoli Stati membri).
Naturalmente, le informazioni scientifiche allegate alla domanda dovranno, poi, essere sottoposte al controllo pubblico delle autorità competenti, che dovranno esaminarne la sufficienza, la congruenza e la validità esprimendo, all’esito di tale valutazione, la propria risposta scritta (si prevede, in particolare, la possibilità per l’autorità di richiedere ulteriori informazioni al notificante, ovvero, la possibilità per gli Stati membri di consultare il pubblico e, se opportuno, determinati gruppi in merito all'emissione deliberata proposta).
In Italia, l’attuazione della suesposta direttiva è stata affidata al d.lgs.8 luglio 2003 n.224, che ha individuato nel Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio (MATT) l’autorità nazionale competente in materia (art.2). Il decreto si occupa, sia, del contenuto della notifica (art.8), che, della valutazione del rischio ambientale (allegato II parte D). Esso introduce, poi, nell’ambito delle informazioni che debbono essere ricomprese nella notifica, quella attinente “la valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, in conformità alle prescrizioni stabilite dal decreto di cui al comma 6” (così art. 8 cit. co.II° lett. c).
Detto comma, dal canto suo, statuisce che: “Con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, sono definite, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, le prescrizioni ai fini della valutazione del rischio di cui al comma 2, lettera c).”
Alla suddetta previsione ha fatto seguito il decreto ministeriale datato 19/1/2005 che, dal canto suo, ha demandato al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MPAF) la definizione, con proprio decreto, dei Protocolli tecnici operativi per la gestione del rischio delle singole specie GM (art. 1 co.II°). Si tratta di “schede che individuano le caratteristiche della specie considerata, le modalità operative e le misure da adottare all'atto dell'emissione deliberata di OGM, volte alla tutela dell'agrobiodiversità, dei sistemi agrari e della filiera agroalimentare” (art.2).
Lo stesso decreto prevede, poi, all’art. 3, che chiunque intenda effettuare un’emissione deliberata di OGM nell’ambiente, per fine diverso dall’immissione sul mercato, debba conformarsi alle indicazioni contenute nei suddetti protocolli tecnici (comma I°); indi, prevede che Regioni e Province autonome provvedano a: “a) designare entro 90 giorni dalla pubblicazione del presente decreto l'Autorità regionale o provinciale competente; b) individuare, entro 6 mesi dalla designazione dell'Autorità regionale o provinciale competente, previo accordo con i proprietari e gestori di cui all'art. 2, lettera d), comma 1, i siti del proprio territorio utilizzabili per la sperimentazione indicando, se del caso, restrizioni motivate per specifici organismi e/o siti di rilascio; c) stabilire tariffe che il notificante è tenuto a versare per l'utilizzo dei siti di proprietà o gestiti direttamente; d) trasmettere all'Autorità nazionale competente i risultati ed ogni ulteriore informazione derivante dai controlli effettuati anche su propria iniziativa.”.
Infine, per quanto di rilievo in relazione all’odierno ricorso, va richiamato l’art. 5 del d.M. in questione il quale statuisce che:
”1. Nelle more dell'individuazione dei siti da parte delle regioni e province autonome, l'Autorità nazionale competente, sulla base della valutazione tecnica espressa dalla Commissione interministeriale di valutazione (CIV) di cui all'art. 6 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 e sulla base del parere obbligatorio espresso dall'Autorità regionale o provinciale competente, valuterà l'idoneità del sito proposto dal notificante.
2. L'autorizzazione ad effettuare la sperimentazione in siti diversi da quelli indicati nell'art. 3, comma 1, lettera a), potrà essere rilasciata dall'Autorità nazionale competente sulla base di una richiesta motivata presentata dal notificante, della valutazione tecnica espressa dalla CIV nella quale è riportato il parere obbligatorio dell'Autorità regionale e provinciale competente della regione interessata e purché sia garantita nel corso degli anni la tracciabilità delle diverse pratiche colturali predisposte.”
Tanto premesso, in relazione al panorama normativo vigente, devono essere ora esaminate nel merito le doglianze di parte riferite alla nota regionale impugnata.
Sui motivi di ricorso nn.1) e 2).
L’esponente assume la contrarietà della risposta regionale a quanto prescritto nelle citate fonti comunitarie e nazionali, atteso che queste ultime non condizionerebbero affatto l’esame della notifica alla presenza dei protocolli tecnici, né nella procedura “ordinaria” e tantomeno in quella “in deroga”.
I motivi sono infondati.
Dalla normativa sopra riferita emerge come la richiesta di autorizzazione da parte del “notificante” debba contenere una serie di specifiche informazioni, il cui contenuto è riportato, per ciò che attiene alla valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, proprio nei protocolli tecnici di competenza ministeriale.
Non v’è dubbio, quindi, che in mancanza dei suddetti protocolli, il notificante non è in grado di indicare nella propria domanda le informazioni richieste ai sensi dell’art. 8, co.II°, lett. c), d.lgs. cit. e l’autorità preposta all’esame della domanda non è posta nelle condizioni di istruire la domanda medesima. Tale conclusione va ribadita anche in relazione alla procedura in deroga, descritta dall’art. 5 del d.M. cit., posto che i suddetti protocolli rappresentano, all’evidenza, l’unico parametro di riferimento anche per il parere obbligatorio di competenza regionale (o provinciale), che non potrà che vertere sulla idoneità del sito proposto dal notificante.
È utile, in tal senso, riportare alcune delle prescrizioni contenute nell’allegato al decreto ministeriale 2005, per comprendere come la valutazione rimessa alla regione (o alla provincia) non possa, comunque, prescindere dai Protocolli in questione, chiamati a dare attuazione, in relazione a ciascun O.G.M., alle prescrizioni medesime.
Si legge, così, nel predetto allegato, alla lett. C, tra le “Informazioni necessarie” richieste “allo scopo di effettuare una valutazione del rischio che sia concretamente riferita all'area di emissione”, che “devono essere acquisite informazioni di base riguardanti il territorio con riferimento all'impatto sul settore agricolo.” In particolare, è previsto che: ”L'analisi delle caratteristiche ambientali, agronomiche e socioeconomiche del territorio dovrà riportare, almeno, le seguenti informazioni:
distribuzione delle coltivazioni e degli allevamenti presenti nel territorio in esame, con particolare riguardo alle specie interfeconde con l'organismo oggetto di sperimentazione. …;
presenza e distribuzione di siti di conservazione di risorse genetiche autoctone di interesse agrario; presenza nell'area di coltivazioni o allevamenti di pregio, anche se di specie non affini (tipiche, DOP, IGP, biologiche ecc.);
presenza nel territorio in esame di aree naturali protette, di aree critiche e sensibili di qualunque natura;
presenza di colture e allevamenti sperimentali di altro tipo, di produzioni da seme, di vivai ecc.; presenza nel territorio di giardini storici o giardini pubblici con presenza di piante di rilevante interesse storico-culturale e/o ambientale;
caratteristiche chimico-fisiche e biologiche del suolo;
presenza di falda, suo andamento e profondità; sistemi prevalenti di gestione degli agroecosistemi (gestione della flora infestante, gestione della difesa fitosanitaria, modalità di concimazione e di irrigazione);
tipologia di gestione degli allevamenti più diffusa (livello di naturalità, ecc.);
caratteristiche climatiche (temperature medie ed escursioni termiche, umidità in rapporto alle stagioni, andamento termopluviometrico annuo, venti prevalenti, con forza e direzione, ecc.); precedente uso del sito, con particolare riguardo alle sperimentazioni di OGM e alle colture interfeconde con essi;
presenza nell'area di artropodofauna utile e altri antagonisti naturali potenzialmente suscettibili a prodotti genici specifici degli OGM; livello e tipologia di antropizzazione dell'area (densità di popolazione, assetto urbanistico, presenza di aree artigianali-industriali, ecc.) e vie di trasporto antropico di eventuali materiali di moltiplicazione o di inquinamento genetico (strade, ferrovie, aeroporti e altre infrastrutture);
aspetti sociali ed economici del territorio rilevanti per la valutazione del rischio (attività economiche prevalenti collegate all'agricoltura, molo dell'agricoltura, fatturato a livello nazionale e regionale della produzione oggetto di sperimentazione) con particolare riferimento alla componente agraria e zootecnica delle filiere.”.
Ad ulteriore riprova della necessità della previa adozione dei suddetti Protocolli, possono, poi, addursi le prescrizioni in concreto adottate dal Ministero, nei Protocolli trasmessi alla Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato le Regioni e le Province autonome (cfr. all. n. 1 parte resistente, di cui a nota P.d.C.M. 23.10.2008) ove, a proposito della specie agraria “mais”, sono fornite dettagliate indicazioni a proposito della identificazione dell’area di rilascio, della sua delimitazione, delle distanze, dell’isolamento, ecc., tutte preordinate alla valutazione dell’idoneità del sito sotto il profilo della tutela dell’agrobiodiversità, dei sistemi agrari e della filiera agroalimentare.
Consegue da ciò, come non colga nel segno l’affermazione di parte ricorrente, secondo cui i protocolli tecnici in questione, essendo volti alla gestione del rischio, sarebbero necessari soltanto nel caso in cui si presentasse, in concreto, una situazione di rischio.
Al contrario, un’ interpretazione della suesposta normativa che valorizzi il principio comunitario di precauzione, non può che indurre a ritenere i ridetti protocolli tecnici, quali strumenti di conformazione preventiva dell’azione da intraprendere per l’emissione deliberata nell’ambiente degli OGM, strumenti con cui dovranno confrontarsi, sia, i soggetti notificanti, per la predisposizione della richiesta di autorizzazione all’emissione, che, le autorità a vario titolo competenti e coinvolte nel procedimento autorizzatorio (sia ordinario che in deroga).
Sul terzo motivo.
Richiamando le suesposte considerazioni, il Collegio non può che disattendere anche la richiesta, sottesa al predetto motivo, di disapplicazione del d.lgs. 224/03, per presunto contrasto con la direttiva 2001/18/CE, atteso che, un’interpretazione corretta del testo comunitario non può prescindere, come già accennato, dalla valorizzazione del principio di precauzione e dalla considerazione del rilievo che assumono, nella medesima direttiva, la tutela della salute umana e dell’ambiente. In tale ottica, non si può che giungere alla conclusione per cui, le previsioni introdotte dal legislatore nazionale, a proposito della valutazione del rischio per l’agrobiodiversità, i sistemi agrari e la filiera agroalimentare, sono senz’altro riconducibili all’interno dei confini disegnati dalla direttiva 2001/18/CEE.
Non è, pertanto, condivisibile la considerazione espressa dal patrocinio ricorrente, a proposito dell’inadeguato recepimento della direttiva comunitaria dal parte dello Stato italiano, atteso che, lo “scopo” dichiarato della direttiva in questione non è quello di armonizzare le normative nazionali a tutto vantaggio della libera circolazione dei beni, come adombra di credere il predetto patrocinio, ma, quello reso palese dall’art. 1 della direttiva stessa, secondo cui: “Nel rispetto del principio precauzionale, la presente direttiva mira al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri e alla tutela della salute umana e dell'ambiente quando:
- si emettono deliberatamente nell'ambiente organismi geneticamente modificati a scopo diverso dall'immissione in commercio all'interno della Comunità,
- si immettono in commercio all'interno della Comunità organismi geneticamente modificati come tali o contenuti in prodotti.”.
L’emissione di OGM, quindi, non può affatto avvenire a scapito della salute umana e dell’ambiente, che, pertanto, debbono essere salvaguardati in via preventiva. Ciò significa che la previsione di una valutazione, quale quella oggetto del d.M. più volte citato, in quanto mirata alla salvaguardia della agro biodiversità, secondo le specificazioni contenute nell’allegato al ridetto decreto, non urta contro le prescrizioni della ridetta direttiva e rappresenta una modalità non distorta di attuazione del suo scopo.
Anche il terzo motivo di ricorso si appalesa, quindi, infondato, mentre, va disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.
Sulla questione di legittimità costituzionale.
Rileva il Collegio come erroneamente parte ricorrente prospetta l’eccesso di delega da parte del d.lgs.n.224/03, avendo come parametro di riferimento la stessa direttiva comunitaria 2001/18/CEE. In realtà, l’eccesso lamentato sarebbe configurabile soltanto qualora, nella stessa legge comunitaria di delega (L. 1.03.2002 n.39), il legislatore nazionale avesse posto dei criteri direttivi incompatibili con la previsione, da parte del legislatore nazionale, della valutazione del rischio per l’agrobiodiversità di che trattasi.
Così, tuttavia, non è stato, posto che la legge comunitaria 2001 ha sic et simpliciter delegato il governo ad attuare la direttiva, richiedendo la piena conformità della normativa di attuazione con le prescrizioni contenute nelle direttive comunitarie.
Ebbene, richiamando le considerazioni poc’anzi espresse, a proposito del terzo motivo di ricorso, il Collegio non ritiene affatto di dover ravvisare, nella valutazione del rischio di cui si occupa il più volte cit. d.M.’05, una deroga alla disciplina posta dalla direttiva, né reputa che la valutazione medesima fuoriesca dai confini disegnati dalla direttiva 2001 in questione, per il raggiungimento dello scopo che la stessa impone agli Stati membri di perseguire.
Per le su-estese considerazioni, la questione di legittimità prospettata da parte ricorrente in relazione all’art. 76 Cost. si appalesa manifestamente infondata.
Conclusivamente, il Collegio ritiene che il ricorso in epigrafe indicato debba essere, in parte, dichiarato inammissibile e, per il resto, respinto.
Analogamente dev’essere respinta la domanda risarcitoria, in assenza dei presupposti di cui all’art. 2043 c.c., primo fra tutti quello dell’illegittimità del provvedimento regionale qui gravato.
La novità e la complessità delle questioni trattate inducono, nondimeno, il Collegio a ritenere sussistenti giusti motivi per la compensazione integrale delle spese di lite fra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia, decidendo sul ricorso in epigrafe così statuisce:
- lo dichiara in parte inammissibile e, per il resto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 21/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Laura Marzano, Referendario
Concetta Plantamura, Referendario, Estensore
IL PRESIDENTE
L'ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2009
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
IL SEGRETARIO