Pres. Postiglione Est. Lombardi Ric. Dotti
Rifiuti – Terre e rocce da scavo
L’inquinamento che non snatura le terre e rocce da scavo è esclusivamente quello afferente alle sostanze inquinanti, derivanti dall’attività di escavazione, perforazione e costruzione e, cioè, dalle stesse operazioni di scavo, mentre i materiali diversi, derivanti da demolizioni edilizie, non rientrano in tale categoria
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Brescia ha affermato la colpevolezza di Dotti Emanuela in ordine al reato all’art. 51, co. 1 lett. a), del D.L.vo n. 22/97, ascrittole perché, in qualità di amministratore unico della Ditta “Fin Beton s.r.l., effettuava lo stoccaggio, per circa 300 mc., di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da materiali provenienti da demolizioni frammisti a terra da scavo, senza la prescritta autorizzazione.
La sentenza ha affermato che il materiale di cui alla contestazione deve qualificarsi rifiuto, non rientrando lo stesso nella categoria delle sostanze e materiali effettivamente riutilizzati senza aver subito alcun trattamento preventivo, ai sensi dell’art. 14, co. 2 lett. a), del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in L. 8 agosto 2002 n. 178, né in quella delle terre e rocce da scavo, di cui all’art. 1, co. 17-19, della L. 21 dicembre 2001 n. 443.
In punto di fatto il giudice di merito ha accertato che il materiale di cui si tratta era costituito non solo da terre e rocce da scavo, ma anche da materiali provenienti da demolizioni, quali tegole, laterizi rotti, pezzi di cemento e coppi.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, che la denuncia con due motivi di gravame.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 1, co. 17-19, della L. 21 dicembre 2001 n. 443, nonché dell’art. 14, co. 2 lett. a), della L. 8 agosto 2002 n. 178.
La ricorrente censura l’affermazione della sentenza, secondo la quale deve escludersi che i materiali di cui alla contestazione rientrino nella categoria delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’art. 1, co. 17-19, della L. 21 dicembre 2001 n. 443, deducendo sul punto che il giudice di merito ha interpretato erroneamente la norma citata, ai sensi del cui disposto le sostanze provenienti da scavo non costituiscono rifiuti, anche quando sono contaminate da sostanze inquinanti derivanti dalla attività di escavazione, perforazione e costruzione, allorché siano destinate, come nel caso in esame, allo impiego per operazioni di reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, anche se destinati a differenti cieli di produzione industriale, incluso il riempimento delle cave coltivate. Si deduce inoltre che il giudice di merito ha anche effettuato una lettura travisante delle risultanze processuali a proposito della presenza di frammenti di laterizi e calcestruzzo, presenza che risultava del tutto residuale.
Si deduce, infine, che i materiali di cui alla contestazione non potevano essere qualificati rifiuti anche ai sensi dell’art. 14, co. 2 lett. a), della L. 8 agosto 2002 n. 178, trattandosi di materiali prodotti dalla società Fin Beton, di cui quest’ultima non aveva l’intenzione di disfarsi, reimpiegandolo a seguito di un’operazione di trattamento preventivo minimo (macinazione o triturazione), non sussumibile in alcune delle tipologie che vengono qualificate quali operazioni di recupero ai sensi dell’allegato C) del D.L.vo n. 22/97.
Con il secondo mezzo di annullamento la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 163 c.p..
Si osserva che il giudice di merito ha concesso all’imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena, benché quest’ultima non ne avesse formulato richiesta.
Si deduce, quindi, che il beneficio in questione, ferma restando la valutazione del giudice di merito in ordine alla possibilità di concederlo, rientra nella disponibilità dell’imputato, alla cui richiesta deve ritenersi subordinata la concessione medesima, che, peraltro, è interesse dell’imputata non usufruire del predetto beneficio in relazione ad una condanna che non ne compromette la libertà personale.
Il ricorso non è fondato.
Osserva la Corte in ordine al primo motivo di gravame che il giudice di merito ha accertato in punto di fatto, sulla base di una valutazione delle risultanze processuali non censurabile in sede di legittimità mediante la generica deduzione di rilievi in senso contrario, che i materiali oggetto del deposito da parte della ditta Fin Beton erano costituiti, oltre che da terre e rocce da scavo, anche da residui di demolizioni edili, quali tegole, laterizi rotti, pezzi di cemento e coppi.
La sentenza impugnata, pertanto, ha esattamente escluso che detti materiali siano sussumibili nella categoria di quello previsto dal citato art. 1, co. 17-19, della L. 21 dicembre 2001 n. 443, come modificati dall’art. 23 della L. 31 dicembre 2003 n. 306, contenenti disposizioni interpretative dell’art. 7, co. 3 lett. b) e dell’art. 8, co. 1 lett. f) bis, del D.L.vo n. 22/97.
Sul punto si deve osservare che l’inquinamento, che non snatura le terre e rocce da scavo, ai sensi delle disposizioni citate, è esclusivamente quello afferente alle sostanze inquinanti, derivanti dalla attività di escavazione, perforazione e costruzione, e, cioè, dalle stesse operazioni di scavo, mentre nel caso in esame i materiali diversi, derivanti da demolizioni edilizie, certamente non rientrano nella citata categoria delle sostanze inquinanti.
Peraltro, l’utilizzazione delle predette terre e rocce da scavo è subordinato alla presentazione di un progetto sottoposto a VIA o, comunque, alla presentazione di un progetto approvato dalla competente autorità amministrativa, previo parere dell’ARPA, mentre il giudice di merito ha accertato la inesistenza della prescritta progettazione.
La sentenza ha, altresì, esattamente affermato che i materiali di cui alla contestazione non rientrano tra le sostanze per le quali deve essere esclusa la nozione di rifiuto, ai sensi della interpretazione autentica dell’art. 6, co. 1 lett. a), del D.L.vo n. 22/97, contenuta nell’art. 14, co. 2 lett. a) del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in L. 8 agosto 2002 n. 178.
Infatti, il comma secondo del citato art. 14 - come peraltro esattamente rilevato nella sentenza impugnata - si riferisce esclusivamente alle sostanze di cui alle lettere b) e c) del comma primo e, cioè, alle sostanze di cui il produttore “abbia deciso” o “abbia l’obbligo dì disfarsi” e non anche alle sostanze di cui alla lettera a) e, cioè, alle sostanze di cui ci si sia già disfatti.
Orbene,
il giudice di merito ha
accertato in proposito che i materiali stoccati dalla Fin Beton non
erano stati
prodotti dalla predetta società, bensì dalle
ditte operanti nei cantieri dai
quali
Né può attribuirsi alcuna rilevanza all’inciso contenuto nel ricorso circa la produzione dei predetti materiali direttamente dalla Fin Beton, senza che sia stato formulata alcuna contestazione avverso il puntuale accertamento di merito della sentenza in proposito.
Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
Secondo l’ormai consolidato indirizzo
interpretativo di questa Suprema
Corte “Per la concessione della
sospensione
condizionale della pena non sono ipotizzabili né
la necessità di
una istanza dell’imputato
né
il potere della parte di rinunciarvi,
con la sola precisazione che la concessione medesima non può risolversi in un pregiudizio per
l’imputato, che involga interessi giuridicamente apprezzabili
in quanto correlati alla
finalità stessa della sospensione condizionale,
compromettendo posizioni
garantite con la previsione del beneficio. In tale
prospettiva la mera opportunità
di riservare i! beneficio a
future condanne eventualmente
più gravi non può
assumere quella rilevanza giuridica
richiesta per considerare la concessione come pregiudizievole.” (sez.
III, 200012279, Buzzi, riv. 217991; conf. sez.
I,
199910791, Bello, riv. 214207; sez. I, 200225513,
Turiano, riv. 219805; sez. V, 200315791,
Tagliabue, riv. 224192).
Orbene, poiché la ricorrente ha fondato la contestazione in ordine alla concessione del beneficio non richiesto sulla mera opportunità di riservarlo per altre eventuali future evenienze, si palesa evidente la inammissibilità della doglianza nei sensi in cui è stata proposta.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto
dell’impugnazione segue
la condanna della ricorrente
al
pagamento delle spese processuali.