 Sez.III n. 11490 del 22 marzo 2011 (Ud. 15 dic. 2010)
Sez.III n. 11490 del 22 marzo 2011 (Ud. 15 dic. 2010)
Pres. Ferrua Est.Marini Ric. Fabbriconi.
Rifiuti.Dipendente dell'ente o dell'impresa autore del reato
La responsabilità per la condotta di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti (art. 256, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) imputabile all'ente o all'impresa attiene anche al dipendente che abbia dato causa all'evento o abbia contribuito alla commissione della condotta stessa, perché non si tratta di reato proprio.
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. FERRUA  Giuliana           - Presidente  - del 15/12/2010
 Dott. GRILLO  Renato             - Consigliere - SENTENZA
 Dott. MULLIRI Guicla I.          - Consigliere - N. 2034
 Dott. MARINI  Luigi         - est. Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. GAZZARA Santi              - Consigliere - N. 17356/2010
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 FABBRICONI FRANCESCO, nato a Camerino il 22 Agosto 1980;
 Avverso la sentenza emessa al termine di rito abbreviato in data 27  			Ottobre 2009 dal Tribunale di camerino, che lo ha condannato alla  			pena di 3.000,00 Euro di ammenda per violazione degli artt. 192 e 256  			del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Fatto accertato il 1 Febbraio  			2008;
 Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dott. MARINI Luigi;
 Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dott. D'AMBROSIO  			Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
 RILEVA
 A seguito di accertamento compiuto dai verbalizzanti il 1 Febbraio  			2008, il Sig. Fabbriconi, quale geometra dipendente della S.r.l.  			Cagnini Costruzioni, è stato tratto a giudizio per avere abbandonato  			circa 160 metri cubi di rifiuti provenienti da demolizioni edilizie,  			ivi compresi rocce da scavo. Il Tribunale, ammesso il richiesto rito  			abbreviato, ha ritenuto provato sulla base delle dichiarazioni del  			trasportatore che sia stato il geom. Fabbriconi a individuare il  			luogo ove trasportare e depositare i materiali di scavo e gli altri  			inerti che sono stati abbandonati in un terreno comunale per essere  			solo successivamente destinati altrove.
 Il Sig. Fabbriconi propone ricorso tramite il Difensore.  			Con primo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione  			per avere il Tribunale omesso di valutare l'attendibilità delle  			dichiarazioni testimoniali poste a carico del ricorrente, dipendente  			della S.r.l. Cagnini Costruzioni, da parte del trasportatore dei  			rifiuti che era dipendente di altra ditta, e cioè la ditta  			individuale Cagnini Fabio: il ricorrente, dunque, non aveva alcuna  			autorità di dare ordini al dipendente della ditta individuale.  			Inoltre, il testimone nel rendere le dichiarazioni ha ammesso di  			essere l'autore del trasporto e dell'abbandono dei materiali, così  			che avrebbe dovuto assumere la qualità di indagato ed essere  			ascoltato con le garanzie di legge
 Con secondo motivo lamenta violazione di legge, e in particolare del  			D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, per avere il Tribunale  			ricondotto l'azione del ricorrente al primo comma di tale  			disposizione, mentre nella ipotesi che la condotta venga posta in  			essere da una ditta o società deve applicarsi il comma 2, che limita  			la responsabilità penale al titolare dell'impresa o al responsabile  			dell'ente.
 OSSERVA
 Osserva preliminarmente la Corte, alla luce del contenuto dei motivi  			di ricorso, che il giudizio di legittimità rappresenta lo strumento  			di controllo della corretta applicazione della legge sostanziale e  			processuale e non può costituire un terzo grado di giudizio volto  			alla ricostruzione dei fatti oggetto di contestazione. Si tratta di  			principio affermato in modo condivisibile dalla sentenza delle  			Sezioni Unite Penali, n. 2120, del 23 novembre 1995 - 23 febbraio  			1996, Facilini (rv 203767) e quindi dalla decisione con cui le  			Sezioni Unite hanno definito i concetti di contraddittorietà e  			manifesta illogicità della motivazione (n. 47289 del 2003, Petrella,  			rv 226074).
 Una dimostrazione della sostanziale differenza esistente tra i due  			giudizi può essere ricavata, tra l'altro, dalla motivazione della  			sentenza n. 26 del 2007 della Corte costituzionale, che (punto 6.1),  			argomentando in ordine alla modifica introdotta dalla L. n. 46 del  			2006 al potere di impugnazione del pubblico ministero, afferma che la  			esclusione della possibilità di ricorso in sede di appello  			costituisce una limitazione effettiva degli spazi di controllo sulle  			decisioni giudiziali in quanto il giudizio avanti la Corte di  			cassazione è "rimedio (che) non attinge comunque alla pienezza del  			riesame di merito, consentito (invece) dall'appello".  			Se, dunque, il controllo demandato alla Corte di cassazione non ha  			"la pienezza del riesame di merito" che è propria del controllo  			operato dalle corti di appello, ben si comprende come il nuovo testo  			dell'art. 606 c.p.p., lett. e) non autorizzi affatto il ricorso a  			fondare la richiesta di annullamento della sentenza di merito  			chiedendo al giudice di legittimità di ripercorrere l'intera  			ricostruzione della vicenda oggetto di giudizio.
 Tale impostazione è stata ribadita, anche dopo la modifica dell'art.  			606 c.p.p., lett. e) apportata dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art.  			8, comma 1, lett. b), dalle sentenze della Seconda Sezione Penale, n.  			23419 del 23 maggio - 14 giugno 2007, PG in proc. Vignaroli (rv  			236893) e della Prima Sezione Penale, n. 24667 del 15 - 21 giugno  			2007, Musumeci (rv 237207). Appare, dunque, del tutto convincente la  			costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è  			"preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di  			fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di  			nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti"  			(fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n. 22256 del 26 aprile -  			23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
 In applicazione di tali principi interpretativi, la Corte considera  			infondata la censura contenuta nella prima parte del primo motivo di  			ricorso, con la quale si introducono elementi di critica che  			attengono alla ricostruzione del fatto e che non prospettano affatto  			una manifesta illogicità della motivazione impugnata ma si limitano  			a sollecitare una diversa lettura del material probatorio.  			Quanto al secondo profilo di censura contenuto nel primo motivo di  			ricorso, la Corte rileva che la persona che rese dichiarazioni non ha  			assunto nei fatti la qualità di indagato, che il ricorrente non  			espone di avere prospettato in corso di giudizio alcuna eccezione  			circa la utilizzabilità delle dichiarazioni, e che non risulta che  			lo stesso ricorrente abbia proposto ai giudici di appello la  			questione di fatto che costituisce presupposto della questione di  			diritto in esame; dal momento che non è consentito alla parte  			prospettare per la prima volta a questa Corte questioni che attengono  			alla ricostruzione del fatto e al relativo regime giuridico delle  			prove, deve concludersi per la inammissibilità del proposto motivo  			di ricorso.
 Venendo al secondo motivo di ricorso, la Corte esclude che la  			responsabilità per i fatti contestati possa essere limitata  			esclusivamente al titolare dell'impresa o al responsabile dell'ente.  			Non vi è dubbio, infatti, che coloro che hanno dato causa al  			verificarsi dell'evento e alla realizzazione delle condotte illecite  			possano essere chiamati a risponderne secondo quanto previsto dalla  			prima parte del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256: non si è in  			presenza di reato proprio e sussiste, dunque, la responsabilità  			penale anche del dipendente della ditta o della società che ponga in  			essere la condotta tipica.
 Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso dev'essere  			respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p.,  			al pagamento delle spese processuali.
 P.Q.M.
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese  			processuali.
 Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2010.
 Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2011
 
                    




